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FIRENZE E LA TOSCANA.
Il Palazzo Vecchio di Firenzi 1 .
EUGENIO MUNTZ
FIRENZE
LA TOSCANA
PAESAGGI E MONUMENTI, COSTUMI E IH col; DI STORICI.
MILANO
FRATELLI T RE VE S , EDITORI
1891).
La presente opera, di cui gli Editori FRATELLI TREVES hanno ottenuto re-
golarmente il diritto di pubblicazione in lingua italiana, è messa, per il testo come
per le incisioni, sotto la tutela delle vigenti leggi e trattati di proprietà lette-
raria ed artistica, per tutto il Regno d'Italia, Trieste, Trentino e Canton Ticino.
e,9 14.55,
PREFAZIONE A LI/ LI )]XI< >\L ITALIANA.
" Le strade, ferrate rendendo accessibile alla folla dei viaggiatori la patria per
eccellenza dell'arte e della poesia, hanno, per una fatale conseguenza, condannato al-
l'obblìo tutte le città che restan fuori delle linee ferroviarie. Per l' addietro, ridotto a
servirsi per Lunghe settimane del vetturino e del suo incomodo veicolo, il viaggia-
tore s'allontanava senza esitare dalle vie principali di comunicazione, e senz'abban-
donare mai la sua dimora ambulante, faceva una deviazione di parecchie miglia per
visitare un santuario famoso, un paesaggio romantico, od anche per andai - a contem-
plare un capolavoro d'arte. Oggi il ricorrere ai corrieri o ai vetturini parrebbe una fac-
cenda troppo seria. Perciò, quante città sacrificati; da Urbino in poi, col suo palazzo
insuperabile e il suo orribile albergo (un solo albergo per una città di 10000 anime!
sino a Volterra, Pienza, Montepulciano, Borgo San Sepolcro, Chiusi e tante altre!
" Egli è appunto per reagire contro una trascuranza ingiustificabile, e per rimettere
in luce dei tesori troppo a lungo ignorati, ch'io ho intrapreso la serie di gite di cui
offro ora la narrazione. .,
Cosl incomincia Eugenio Muntz la sua prefazione a quest' opera sulla Toscana ; e
rimprovera ai suoi concittadini di essere meno curiosi dei Tedeschi, degli Inglesi, e
degli Americani, giacche nel visitare la terra classica della bellezza si limitano a circa
dieci o dodici centri consacrati dall' ammirazione secolare.
11 traduttore ritiene che gl'Italiani stessi sono ancor meno curiosi dei Francesi, e
che a loro dovrebbe rivolgersi lo stesso rimprovero, ben più grave. Come poco gl'Ita-
liani conoseono l'Italia!
A doppia ragione sarà utile la traduzione di quest' opera (die ci fa conoscere ed
ammirare la Toscana, fin nei suoi punti più ignorati.
Il Muntz è noto al mondo per la sua classica e voluminosa Storia dell'Arte <ìm-a,ii<
il Rinascimento, ed è un fedele amante dell'Italia e dell'arte italiana.
Dedicatosi già da molti anni a far conoscere i capolavori dell'arte, i ricordi storici
più memorabili, i siti pittoreschi meritevoli della nostra attenzione, al di là delle vie
seguite dalla maggioranza dei touristes, egli risveglia l'interesse per una serie di città,
di paesi o di monasteri sin qui assolutamente abbandonati o sconosciuti. Le sue an-
notazioni hanno il grande merito di essere veritiere e fedeli; si direbbero istantanee di
monumenti e di paesaggi, impressioni vergini d'ogni reminiscenza, come d'ogni idea pre-
concetta.
"Se il mio viaggio d'esplorazione — egli scrive ancora — non è stato ricci» di com-
movente peripezie, m' ha però permesso di studiare davvicino molte particolarità, sin qui
trascurate, dei costumi italiani; di contemplare, direi quasi di scoprire, negli Appennini
dei paesaggi la cui pittoresca armonia, la cui selvaggia grandezza, non hanno nulla da
invidiare ai più bei siti delle Alpi; finalmente e principalmente di riconoscere quali me-
raviglie dell'arte si celino nelle più umili borgate della vecchia Toscana, gloriosa culla
delle scuole moderne. „
Noi crediamo che gl'Italiani accoglieranno con entusiasmo quest' opera così elegan-
temente scritta e brillantemente illustrata, e ne saranno anzi riconoscenti allo straniero
che studia e descrìve il nostro paese con tanta dottrina e tanto amore.
Milano, dicembre L898,
548781
L'autore ha creduto bene di non moltiplicare le note a piè di pagina. Egli vuole per altro ricordare i nomi dei maestri che
lo hanno preceduto in quest'esplorazione di Firenze e della Toscana: Ippolito Taine nel suo Voyage d'Italie: John
Euskin nei Mornings in Florence e nel Val d'Arno; Carlo Yriarte nella sua brillante monografia pubblicata nel 1881 ;
Burkkardt e Bode, dei quali ben di frequente mette a contribuzione il Cicerone: il barone Enrico di Geymiiller che
ha raccontato con tanta erudizione YHistoire de l'Arehiteclure de la Benaissance en Toscane : il dottor Giuseppe Marcotti
che ci ha dato di recente l'ottima Guide-Souvenir de Florence et pays environnanls.
11 sarcofago ili Fedra o<l Ippolito, studiato da Niccolò Pisano (Campo Santo ili Pisa).
•■ Quest'angolo, sepolcro di marmo, in
cui il Duomo, il Battistero, la Torre
pendente; il Camposanto, riposano si-
lenziosi, ijiia'i hello oii .il M ic- morto...
(Taine).
L'n 1>u' 1)1 STÒMA.
La Rinascenza romana a Pisa.
I ri; ati dki.i.a MisKi;n ihmua.
La piazza dki. Hiumo.
A 1
1 viaggiatore, clic giunge in Italia attraverso l'in-
cantevole strada della Cornice. Pisa riserba d'or-
dinario la prima intanine degli s])lend(>ri dell' Arte italiana.
A Genova, malgrado la bellezza del paesaggio e la ricchezza
di qualche palazzo, si cerea invano questo ideale superiore,
che, partito dalla Toscana, trasformò la civiltà di tutt'Eu-
ropa; lo spirita turbato, confuso, al contatto d'un popolo
di mercanti, il cui passato non offre uè testimonianze di
patriottismo, ne altre creazioni intellettuali, accoglie, con
tanto maggior entusiasmo, le feconde emozioni che gli pre-
senta l'antica rivale di Genova, rivali- molto decaduta in
quanto alla prosperità, ma che. nel dominio delle opere,
del pensiero o del sentimento, conserva ancora tanti ti-
toli di gloria imperitura.
Pisa è una città di pianura, una città moderna, in tutta l'estensione del termine,
col suo aspetto di comodità, di unità e di regolarità, ma eziandio di monotonia, che il
genio amministrativo dei Medici, dei quali e moda negare oggi i benefizi, impresse alle
Firenze e la Toscana. 1
11 lampadario ilo] Duomo.
2
FIRENZE E LA TOSCANA.
principali città della Toscana. Perche questi costruttori eccezionali vennero cosi tardi?
Cominciata due secoli prima, la loro opera non avrebbe avuto nulla da invidiare, per
grandezza e magnificenza , a quella delle feroci repubbliche del medio evo. Il primo
colpo d'occhio è stupendo ; pochi minuti dopo aver abbandonata la stazione ferroviaria,
l'omnibus sbocca sulla riva dell'Arno, che forma in questo luogo una curva d'un effetto
veramente magnifico ; le case, dalle persiane verdi, dall'intonacatura gialla o bruna, o
piuttosto i palazzi, perchè tutti questi edifizi hanno un carattere monumentale, seguono
lentamente, maestosamente, senza dar luogo a disuguaglianze sgradevoli, la linea trac-
ciata dal fiume; — questo, o miracolo! è pieno sino alla riva, e rompe contro i pila-
stri le sue onde d'un giallo fangoso ; — i larghi marciapiedi, i parapetti altissimi, coi loro
fanali posti, ad uguale distanza, non già sui marciapiedi, ma sugli stessi parapetti, il
che vi dà un aspetto molto pittoresco — finalmente i ponti di magnifica pietra o di marmo,
concorrono alla grandiosità dell'insieme.
Pisa ha la forma d'un quadrilatero tagliato dall'Arno in due parti disuguali; la riva
destra colla piazza del Duomo e le chiese principali ; la riva sinistra, molto meno popo-
lata, col palazzo Gambalunga, la graziosa e microscopica chiesa di Santa Maria della
Spina, e la chiesa San Paolo a Ripa d'Arno.
La nostra visita comincierà dalla riva destra, e dalla piazza del Duomo ; ma prima
d'intraprendere tale escursione, è importante tracciare sommariamente le vicissitudini
d'una città, meglio, d'un popolo, che occupò un posto cosi grande nella storia d'Italia.
L'origine di Pisa si perde nella notte dei tempi. La sua fondazione risale, se dobbiamo
credere agli storici indigeni, a molti secoli prima della fondazione della Città eterna.
Se non e provato — come cerca di stabilirlo l'autore piuttosto leggiero della Nuora Guida
di Pisa, pubblicata nel 1882, servendosi delle testimonianze di Plinio, di Dionigi d'Ali-
carnasso e di Virgilio — che Pisa si riannoda a Pelope che esisteva già prima del diluvio
di Deucalione, che soccorse Enea, che dovette il suo ingrandimento al saggio Nestore,
è certo però che ben presto cominciò ad essere calcolata tra le piìi importanti colonie
dell'Impero Romano. Numerose rovine, il Bagno di Nerone (i bagni di Nerone), busti,
statue, iscrizioni, ecc., fanno testimonianza della sua prosperità, specialmente nell'epoca
degli Antonini.
Con Pisa noi usciamo dall'atmosfera alquanto limitata delle città di montagna. Qui
abbiamo già vasti orizzonti, uno slancio precoce, l'apparire del Rinascimento sin dal-
l' undecimo secolo, all'epoca in cui il resto della Toscana s'agitava ancora in tenebre
profonde ; abbiamo spedizioni lontane , grandi ricchezze regalmente dispensate. Mentre
che gli altri Italiani si consumavano in lotte intestine, questi combattevano i Saraceni
per terra e per mare, strappavan loro la Sardegna e la Corsica, riscattavano Palermo, le
Baleari, Tunisi, prendevano parte gloriosamente alle crociate; in una parola, spargevano
lungo tutto il Mediterraneo il prestigio delle loro armi e della loro civiltà.
Durante questo periodo, i Pisani, non contenti d'essersi spinti in Grecia, in Egitto
e nell'Asia Minore, in Fenicia, a Tripoli, a Costantinopoli, ad Antiochia, a Tyra, tentano
di salvare le ultime vestigia dell'antica coltura ; la presa d'Amalfi, nel 1 135-1 136, procura
loro la conquista del manoscritto delle Pandette dì Giustiniano; altre spedizioni arric-
chiscono la loro patria della stupenda collezione delle sculture greche e romane che
fanno oggi hi gloria del Camposanto. Sono utili imprese industriali e commerciali: la
pubblicazione d'un Codice commerciale e marittima (verso il 1075), d* Uh' Aritmetica-ili
l'ISA. - UN po' i»i storia. 3
cifre arabe (1202), ed inoltre alcune, istituzioni caritatevoli, come In Pia Casa di Miseri
cordin (1053), che aveva, la missióne «li riscattare i prigionieri, di soccorrere la miseria
vergognosa, di dotare le fanciulle povere, e clic ancora sussiste ; e finalmente la fonda-
zione dell'Università, o "Sapienza,, (fine del XII secolo). I continui rapporti, bellico i o
pacifici cogli A.rabi, avevano sviluppata l'iniziativa in tutta la sua estensione.
Poi, verso la fine del XII secolo, hi forza d'espansione della Repubblica diminuisce;
le lotte colle città vicine prima, Lucca, Genova, ecc. poi le lotte di partito suben
trano alle spedizioni lontane. Ghibellini ardenti, i Pisani condividono tutti i rovesci
della, fazione imperiale. Il tradimento e la morte del conte Ugolino della Gherardcsca
nel 1288, forma il più lugubre episodio di queste lunghe <• vive discordie nazionali e
civili, durante le quali Pisa perdette la Corsica e la Sardegna, e vide colmato il -no
porto dai Genovesi, in seguito alla sanguinosa disfatta del 1284.
La costruzione del Duomo, della Torre pendente e del Battistero segna questo primo
periodo, durante il quale Pisa eclissò completamente Genova e Venezia.
Nella storia dell'arte toscana, si trova così indicata la prima delle tre grandi tappe
percorse dopo la rovina della civiltà antica; Firenze; è la culla al Rinascimento; Siena
incarna lo stile gotico; Pisa, lo stile romanzo in tutta la sua purezza e grandiosità.
Sin dalla seconda metà dell'XI secolo, Pisa dà il segnale d'un tale slancio, troppo
presto fermato dall'invasione dello stile gotico. 11 suo commercio, le sue spedizioni mi-
litari — vere spedizioni di pirati — contro le isole del Mediterraneo, avevano svilup-
pato una straordinaria prosperità, clic riuscì tosto a vantaggio dell'arte dell'edificare.
I monumenti innalzati dai Pisani sono nello stesso temilo i più ricchi ed i piii
perfetti di questo periodo. In generale, delle enormi colonne monoliti, provenienti da
qualche antico edificio, sostengono l'interno. In mancanza di queste, le vicine cave
di Pietrasàntà, di Massa e di Carrara forniscono il più bel marmo bianco che si ]m>si
desiderare. Lo splendore di questa stupenda materia spicca in grazia del miscuglio del
marmo nero, e sopra tutto delle incrostazioni del marmo (-(dorato. Ovunque nella cat-
tedrale di Pisa, sulla facciata, sulle grandi porte laterali, nella navata, un intarsio po-
licromo, a disegni geometrici (triangoli, stelle, circoli), produce un effetto abbagliante.
Un musaico imitante i ricchi tappeti d'Oriente (è il genere di lavoro conosciuto sotto
il nome di "opus alexandrinum „) ricopre il terreno: oggi non ne resta che qualche
frammento dalla parte della cupola. Altri musaici, in cubi di smalto, con fregi d'oro e
d'argento, adornano le pareti; l'insieme brilla come uno scrigno gigantesco.
L'eleganza della forma non la cede alla ricchezza della materia. Si osserva, nei
menomi edifizi pisani, il bisogno di far spiccare i diversi membri della costruzione; ciò
che non è che il risultato della necessità, diventa iter questi artisti ingegnosi il pretesto
di pittoresche combinazioni. Le ali di muro, i pilastri massicci dell' epoca precedente,
sono sostituiti da un sistema di false arcate, o d'archi centinati,. sostenuti da co-
lonne, (die si sviluppano con regolarità, ma senza uniformità: il motivo principale, ri-
petuto all'infinito, come il richiamo d'un tono in un quadro, rafforza l'armonia dell'in-
sieme. E un'arte ancora grave, ma che non ha più nulla di pesante, di rozzo. K. in una
parola, quella prima fioritura del medio evo, caratterizzata dal Taine con tratti così efficaci :
" Un Rinascimento prima del Rinascimento, un secondo germoglio, ([itasi antico, della ci-
viltà antica, un sentimento precoce e completo della bellezza sana e felice, una prima-
vera dopo una neve di sei secoli : ecco le idee e le paróle che si presentano allo spi-
rito. Tutto è marmo, e marmo bianco, il cui candore immacolato splende nell'azzurro.
4 FIRENZE E LA TOSCANA.
Ovunque delle grandi forine solide, la cupola, il muro pieno, i piani equilibrati, eec. ;
ma su tutte queste forme rinnovate dell'antico, quasi un fogliame dilicato sur un vecchio
tronco che rinverdeggia , essi stendono la propria invenzione, un rinforzo di colonnine
sormontate da arcate, ed è difficile esprimere la grazia e l'originalità d' un'architettura
così rinnovata. .. 11
La scinda di Pisa non tardò a stendere anche al di fuori la sua influenza. La maggior
parte della Toscana divenne sua tributaria. A Lucca una mezza dozzina di chiese ri-
producono i tratti della cattedrale pisana. A Prato e ad Empoli, la cattedrale, a Pistoia
diverse chiese; ad Arezzo la "Pieve,,; a Firenze finalmente e nei dintorni, il Patti-
stero, la chiesa di San Miniato, la facciata della Badia di Fiesole, tutti del XII secolo,
sono concepiti collo stesso spirito, colla sola differenza, che gli artisti fiorentini danno
alle loro costruzioni maggior finezza, gli artisti pisani invece maggior rilievo e colore.
Il carattere dominante di tali editi zi è la ricerca della correttezza e della purezza.
La ragione la vince siili' immaginazione (il contrario di ciò che avviene cogli architetti
gotici). Noi abbiamo qui un'arte un po' fredda, ma di una rara nobiltà ; ovunque, l'in-
fluenza dei modelli antichi non può a meno di scorgersi. Esaminate il Battistero di Fi-
renze : quale armonia di linee ! quale semplicità nei mezzi impiegati per produrre la va-
rietà! Un pilastro poco sporgente, delle incrostazioni d'un' estrema sobrietà, non si do-
manda di più! L'architettura toscana era allora più vicina al Rinascimento, di quanto
lo fosse duecento anni più tardi, alla fine del XIV secolo, dopo Orcagna e prima del
Brunellesco.
L'ultimo periodo della storia pisana è sopratutto caratterizzato dalla lotta con Fi-
renze. Dopo varie alternative di successi e di sconfitte, Pisa fu venduta nel 1399 a
Gian Gaelazzo Visconti, e nel 1400 ai Fiorentini, che se ne impadronirono l'anno suc-
cessivo, dopo un ostinato assedio. Sotto il giogo di questi aborriti nemici, la vecchia
Repubblica perdette quanto le restava d'energia e di vitalità. Era già abbastanza spenta
ed assopita nel 1409, perchè si potesse riunirvi il famoso concilio destinato a por fine
allo scisma.
La riapertura della sua Università nel 1472, per cura di Lorenzo il Magnifico, non
fu che un leggero palliativo a tanti mali. Un istante, nel 1494, all'epoca della spedizione
di Carlo Vili in Francia, l'antica energia dei Pisani parve ridestarsi; accolsero il mo-
narca francese quale un liberatore.
Un edificio troppo poco conosciuto ci riporta a questi ricordi cosi interessanti pel
viaggiatore, e questo è l'Opera del Duomo, la casa dell'opera del duomo. La casa
per se stessa e modesta e quale conviene ad un edilizio d'amministrazione ; si compone
d'un pian terreno, e d'un primo piano, piuttosto basso, ma lungo, con ampie finestre
nello stile del XIII secolo; la vicinanza dei capi d'opera che lo circondano, lo ri-
cacciano ancora più nell'ombra. Ma sin dalla soglia un'iscrizione monumentale (rinno-
vata nel 1 695) accompagnata dallo scudo di Francia, dalle figure della Vergine e di
una di un donatore inginocchiato, attira la nostra attenzione; ci informa, in un pre-
tenzioso latino, che il L5 novembre 1494 il re Carlo Vili di Francia si fermò improv-
visamente in questa dimora per cenare: ex insperato comedit (il giovane conquistatore
abitò, durante tutta 1' epoca del suo soggiorno, nel palazzo Medici al Lungarno). Un
ospite reale di più 0 di meno non e neppur da calcolarsi sopra un teatro storico quale
o Viaggio in Italia.
G
FIRENZE E LA TOSCANA.
la piazza del Duomo. Ma l'arrivo di Carlo Vili lasciò una traccia ben altrimenti pro-
fonda nella storia di Pisa ; fu per i suoi abitanti il segnale della rivolta contro l'odioso
giogo fiorentino : così l'iscrizione, dopo aver nominata la cena reale, chiama Carlo Vili
il fondatore della libertà di Pisa e paragona la sua generosità a quella d' Alessandro
il Grande: " Pisame libertatis argumentum nunquam tantam MagnUs Alexander libera-
iitatem ostendit,,.
Fino al 1509, i Pisani riuscirono, con un eroismo superiore ad ogni elogio, a re-
spingere gli attacchi dei Fiorentini.
Ma era l'ultima scintilla d'una fiamma che stava per spegnersi. Esausta da quest'ul-
timo sforzo, Pisa si seppellì in un profondo torpore, e da allora in poi nessuna città
d'Italia condusse un'esistenza piìi dimenticata e sonnolenta.
Dopo questo indispensabile sunto storico, andiamo a rivedere la splendida riunione
di capolavori che si chiamano il Duomo, il Campanile, il Battistero ed il Camposanto.
E oltremodo piacevole il ritrovarsi, dopo un lungo intervallo, nei luoghi che si visitò
nella gioventù. Sono nove anni dacché venni qui per la prima volta ; dopo d'allora non
c'ero pili ritornato. Le impressioni da me provate in quell'epoca furono così vive, che
oggi di subito rinascono con un'intensità ch'io non avrei mai supposto. Era il primo
novembre, il dì d'Ognissanti ; mi pare sempre di udire i gravi rintocchi della campana,
che senza interruzione continuavano ad echeggiare nell'aria caliginosa ; poscia il canto
chiesastico solenne della cattedrale, con accompagnamento d' organo e di strumenti a
corda. Tali ricordi, per quanto insignificanti, rimasero per me inseparàbili dalla piazza
del Duomo; vi si accompagna una specie di vita intellettuale, e me la rendono cara
come una vecchia amica.
Un altro ricordo, molto meno attraente, si unisce a questa prima visita. Arrivato
sulla piazza, mi trovai bruscamente faccia a faccia con una specie di fantasma, col corpo
ricoperto da una tunica di cotone azzurro, lunga sino ai piedi; intorno alla cintola una
grossa corda, e col volto nascosto da una gran maschera, pure azzurra, forata da due
buchi all'altezza degli occhi — il cappuccio. Io indietreggiai spaventato, credendo aver
a che fare o con un delinquente a cui fosse stato imposto tale vestiario per spingerlo
alla contrizione, o con qualche sventurato colpito da un'orribile malattia, condannato a
dissimulare i suoi tratti, come i lebbrosi del medio evo. Il fantasma mi presentò una
specie di scodella di legno, dicendomi con voce ìagrimosa : "Per i poveri carcerati!,,
Gli detti il mio obolo, al più presto possibile, per i sbarazzarmi di lui. Poscia seppi che
in mólte città d'Italia è quello l'abbigliamento obbligatorio dei fratelli della carità; a Fi-
renze, specialmente, i fratelli della Misericordia, reclutati fra i più illustri rappresen-
tanti dell'aristocrazia, si fecero una legge di portarlo in tutte le occasioni in cui eser-
citano il loro ministero, e queste non sono rare.
Il Duomo ed i monumenti che l'accompagnano sono posti all'estremità della città,
in un quartiere deserto, presso i bastioni di '"Porta NuO"V»„. E un'anomalia, che non
ho mai osservato altrove. Ovunque la cattedrale occupa il centro della città, come il
vessillo occupa, il centro del reggimento incaricato di difenderlo. E il nocciolo, intorno
al quale vengono ad aggrupparsi le costruzioni novelle, i nuovi quartieri, è il cuore che
trasmette la vita e l'impulso alle altre parti del corpo. Si potrebbe credere che la di-
sposizione irrazionale di cui mi lagno, sia dovuta ai cangiamenti della topografia pi-
sana; invece nulla di ciò: nel XII secolo, nel 1 1 55 , quando hi città fu provvista di
IMSA. - PO' i»I STÒRIA.
7
bastioni, si fecero questi passare accanto alla Cattedrale, prova evidente che sino da allora
questa era situata in un quartiere fuori del centro.
Questo strano isolamento, questa specie «li relegazione, d'esilio, hanno certamente
contribuito, più <li qualunque altra causa,
a dare a Pisa quella fìsonomia » ,( »sì tri-
ste, quell'aspetto di città morta. Ma re-
stiamo nella piazza del Duomo; La man-
canza di rumore, di movimento, una, calma,
imponente, la vicinanza della campagna ,
concorrono ad accrescere tale effetto; a
due passi da una città di circa 30,000
abitanti, si gustano tutte le dolcezze della
solitudine.
La piazza del Duomo forma un vasto
rettangolo irregolare, abbellito da prati; a
destra, venendo dalla città, il Campanile;
al centro la Cattedrale; a sinistra il Batti-
stero, poi indietro il Camposanto, e final-
mente nel fondo i bastioni merlati, che
lasciano passare di tanto in tanto una boc-
cata d' aria viva e penetrante. Non una
botteguccia, non un albero, turbano l'at-
tenzione clic può concentrarsi tutta intera
sui quattro gigantéschi monumenti. Que-
sti, composti di magnifici blocchi di marmo
bianco, a cui il tempo dette una tinta gial-
lognola, d'una ricchezza e d'un calore in-
superabile, spiccano con una straordinaria
purezza sul fondo azzurro delle montagne,
die si scorgono al di là della cinta, e sullo
splendido tono celeste del firmamento. Lo
spettacolo ha una tale eloquenza da col-
pire persino i viaggiatori — così freddi
e raffinati — del secolo scorso. " lo non
eredo — disse il presidente de Brosse —
che si possa trovare altrove, in uno spa-
zio così ristretto come la piazza del Duomo,
quattro cose più belle delle quattro ivi riunite. Esse sono tutte, da cima a fondo, per-
sino il selciato della piazza, di marmo di Carrara, più bianco e quasi altrettanto fino
dell'alabastro. ..
I n confratello della .Misericordia.
8
FIRENZE E LA TOSCANA.
II.
r li, Duomo. — Buschettus, il Dedalo dell'undecimo secolo. — Gianbologna. — Il Sodoma e Andrea del Sarto.
La costruzione del Duomo, la primaziale, come lo si chiama a Pisa, si riannoda ad
una delle più gloriose imprese della Repubblica ; il patriottismo vi ebbe altrettanta parte,
quanto la pietà. Era il 1063; i Pisani avevano intrapreso una spedizione vittoriosa contro
i Saraceni di Palermo ; erano riusciti a forzare il porto, e ad impadronirsi di sei grandi
L'Annunciazione (frammento della porta di Gianbologna).
navi, cariche di ricchezze ; abbandonando cinque di esse in preda alle fiamme, vendet-
tero la sesta, il cui prodotto, secondo la testimonianza dell'iscrizione metrica tracciata
sulla cupola, servì alla costruzione di questo santuario.
La località scelta fu quella occupata da una basilica del IV secolo, " Santa Repa-
rata in Palude,,, che era a sua volta succeduta a delle terme costruite dall'imperatore
Adriano. La natura del terreno — una vera palude — giustifica pienamente il nome
di " in Palude „ ; e spiega i numerosi guasti prodottisi tanto nella cupola, quanto nel
campanile.
In questi secoli barbari, in cui la personalità d'un artista giunge cosi difficilmente
ad affermarsi, l'architetto Buschettus spicca per uno strano miscuglio di gloria e di mi-
stero. Si ignora quale fosse la sua patria; ci sono degli autori che lo fanno nascere in
Grecia. La Scuola primitiva di Pisa sarebbe, in questo caso, una figlia di Bisanzio.
L'abate Didier non chiedeva egli, precisamente verso la stessa epoca, il concorso d'ar-
tisti bizantini per riorganizzare gli studi d'arte nel suo convento di Montecassino ?
Comunque sia, Buschettus, 0 Boschetto, sembra aver compito una specie di sforzo
PISA. - il- m:omo.
9
tecnico, che colmò (li sorpresa i suoi contemporanei, e Che gli procurò il nome di De
dalo «lei suo tempo. Quando rialzò L'obelisco del circo <li Nerone a Roma, i poeti can
tarono a voce spiegata le sue Lodi; dieci giovinetti, disse uno di costoro, poterono, grazie
al genio di Boschetto, sollevare eolle Loro ninni un peso, che mille paja di buoi avreb
bero a mala pena potuto scuotere.
I lavori del Duomo cominciarono, come si vide, nel 1063; <■ furono condotti con
grande celerità. Se Boschetto non ebbe La soddisfazione di dare l'ultimo tocco al suo
Lavoro, lo lasciò però abbastanza inoltrato, perchè il suo allievo Rainaldus lo potesse
terminare in pochi lustri : questo edificio t'n finito nel 1 H><>, meno di LO : i dopo clic
Duomo di 1* i s a.
v'era stata posta la prima pietra. La consacrazione però non ebbe luogo che nel lll s .
sotto gli auspizi del papa Gelasio IL
11 Duomo di Pisa ha la forma d'una croce latina: si compone di cinque navate e
d'ima cupola non rischiarata, sulla crociera. La sua lunghezza è di circa !»."> meni, la
sua larghezza di 32 metri e mezzo ; 1' altezza della navata eentrale è un po' più di
33 metri. La facciata si divide in cinque piani, sorretti da 58 colonne: il primo piano
comprende sette false arcate, in tre delle quali sono praticate altrettante porte: Le
altre, costituite come due frontoni uno sull'altro, rinchiudono una serie d'archi eenti-
nati, sostenuti da colonnette. Lo stesso sistema delle false arcate fa le spese dell'orna-
mentazione sui lati (lell'edifizio e sulla crociata : i soli piani superiori hanno finestre.
Firenze e la Toscana. -J.
10
FIRENZE E LA TOSCANA.
— Malgrado dei numerosi ristami, l'ultimo dei quali venne eseguito recentemente, lo
splendido marmo, proveniente dalle cave vicine, ha conservato in molti luoghi la sua
tinta antica ; ma tale tinta non è punto brillante : rassomiglia piuttosto ad una specie
di slavatura giallo-limone, interrotta di tanto in tanto dalla ruggine (dovuta probabil-
mente alle incrostazioni del lichene).
L'uso di materiali tolti ad antichi monumenti si rivela sopratutto nell'abside. Una
quantità di colonne di porfido, granito, marmo di Numidia, le une liscie, le altre sca-
nalate o a spirale , provengono sicuramente da edilìzi romani. Neppure si presero la
briga di riordinarle, di rimettere i capitelli che non solo sono disuguali , ma eziandio
di diverse dimensioni; il corinzio e l'jonico si uniscono al composito. Cosi pure nel-
l'interno: nel coro a sinistra una colonna di porfido, col capitello ornato d'una danza di
putti, indica a chiare note un'origine pagana. — Le pietre del Duomo di Pisa sono
di quelle che parlano: "Et lapides locuti sunt,,. Esse ci narrano la storia di venti secoli.
Qui un'iscrizione romana, con queste lettere rovesciate : gjT . J, . uy 11 ; altrove, sulla fac-
ciata, il sarcofago in cui riposa l'architetto Buschettus ; sopra una colonna dell'interno,
la parola Ugolinus tracciata con bei caratteri lapidari del medio evo, e preceduta da
una croce; all'ingresso del coro, a destra, un'iscrizione che rammenta come nel 1 SI 0 il
sarcofago della contessa Beatrice, madre della contessa Matilde, fosse stato trasportato
nel Camposanto ; di sopra il venerabile epitaffio della contessa ; qualche passo più lungi,
quest'altra iscrizione irriverente, tracciata in carattere a colore, da qualche ardente in-
novatore : "Non vogliamo i gesuiti!,,
Un tratto dei costumi italiani: si lasciò l'iscrizione, ma una mano pia cancellò la
parola >/<ni, rivoltando l'arma contro lo stesso aggressore.
L'esterno del Duomo è povero di sculture, specialmente di statue. I gravi archi-
tetti romani dovettero trovare troppo frivolo tale genere di ornamento, e troppo profano.
Solo la facciata dà l'idea della ricchezza. Le due superbe colonne, ai due lati della
porta principale ; i due leoni coricati su queste colonne ; le teste grottesche prodigate
qui come su tutti i monumenti di Pisa; le incrostazioni di marmo colorato disposte
geometricamente ; le cinque statue della Scuola di Giovanni da Pisa (la Vergine ed i
Santi) poste alla base ed alla sommità del frontone; infine i musaici (moderni) la Ver-
gine in mezzo agli angioli, Santa Reparata (con una palma ed una banderuola) dimo-
strano che, almeno da questo lato, il pensiero degli scultori e dei lavoratori in musaico,
s'è trattenuto ovunque con amore.
Altrove numerosi sarcofaghi e sculture antiche, incrostate sulla facciata, aggiungono
l'elemento storico alle pazienti produzioni della Scuola romanza. Ma questi monumenti
furono da lungo tempo trasportati al Camposanto. Il Duomo non ha conservato che il
sarcofago ornato di strigili o scanalature in forma di S, in cui riposa Buschettus, il suo
fondatore.
L'ornamento principale della facciata consiste nelle tre porte di bronzo, di cui Grian-
bologna (Jean Bologne - di Donai) la dotò, dopo l'incendio del 1596, in cui perirono le
antiche porte, opera di Bonanno di Pisa. 2 '
I in' ultra porta, ugualmente in bronzo, e se non di gran valore, almeno prege-
') Morrona nella sua Pisa illustrata (Pisa lsia, t. I. pag. 820 o seg.) ha rilevato i frammenti d'iscrizioni antiche
adoperate come materiali «li costruzione <> <li decorazione. Vi s'incontrano i nomi di Trajano e «li Adriano.
2 > Non ripeterò qui ^li elogi ili quest'opera gigantesca, ma mi limiterò a pregare il lettore «li volev rivedere 1 a-
nalisi da me fatta nella mia Storia dell'Arte (Invanir il Rinascimento, pubblicata da Hachette. Vi troverà mia partioo-
la'iV'Kgiata descrizione delle tre porte e delle incisioni, nel ricco volume che Fouoques di Vagnonville e Abel Desjardins,
consacrarono, anni addietro, al maestro ili Douai.
l'ISA. - IL DUQMO.
vole per la sua antichità, trovasi presso alla galleria traversale, dalla parte della Torre
pendente.
L'autore, secondo la testimonianza «li parecchi archeologi, pare sia lo stesso Bo-
nanno che fuse, nel lisi; la, porta, perfettamente identica del Duomo «li Monreale. E
un'opera d'una- rara barbarie, senza, alenila, idea d'ordine, senza alcuna scienza del mo-
dello o dell'espressione; l'autore non sa neppure porre d'appiombo le sue figure i ro-
soni disposti a serie di otto intorno ad ógni compartimento sono la sola reminiscenza
dell'arte antica).
1/ ignoranza delle proporzioni è tale che gli edilizi sono sovente piti piccoli delle
figure, e queste alla lor volta, nell'idrata in Gerusalemme, eoli' iscrizione Dies pai
marnili, sono più piccine delle foglie di sicomoro su cui sono poggiate. I soggetti
rappresentati nei venti compartimenti sono: ['Annunciazione, la Visitazione, la Natività,
i Ile Magi, la Presentazione al Tem pio, la Fuga in Egitto, la Strage degli uni'"-' nti, il
Battesimo di Cristo, la Tentazione, la Trasfigurazione, la Risurrezione di Lazzaro, I E/n-
La porta di Bonanno (frammento).
irata in Gerusalemme, la Lavanda dei pinti, la Cena, il Bacio ili Giuda, Cristo m
('rare, la Discesa al Limilo, le Tic Donne al zipolerò, VAsemxioiie e la Morte deJUl
Vergine; poi, al basso, dodici profeti, ed in alto Cristo e la Verdine seduti in trono. Per
una disposizione abbastanza rara, i soggetti vanno da destra a sinistra, poi da sinistra
a destra, come nella scrittura chiamata " boustrofe'don „ ; cominciano in basso e termi-
nano nella parte superiore. Li accompagnano iscrizioni abbastanza sommarie u Erodi„
per la Strage degli innocenti; " Sepulcrum ,, per le Pie Donne sul sepolcro, ecc.). In
queste composizioni informi, io non rileverò che un sol tratto, il quale offra un po' d'in-
teresse; le due sorelle di Lazzaro si curvano innanzi a Cristo con una mossa tutta d'un
pezzo, assolutamente eome nel famoso affresco di Giotto, alla " Madonna dell'Arena .. a
Padova, eseguita un centinaio d'anni più tardi.
Nel XIV seeolo, un concittadino di Bonnano, Andrea da Pisa, mostrerà in altre
porte di bronzo, quelle del battistero di Firenze, eome con risorse semplicissime e colla
massima sobrietà, si possano crearé le composizioni più pure e più patetiche. La Scinda
pisana non poteva augurarsi una più splendida rivincita.
12
FIRENZE E LA TOSCANA.
Penetriamo nell' interno del santuario. La prima impressione ehe se ne riceve è la
sorpresa e lo stupore ; in tutta Italia, soltanto la basilica di San Marco a Venezia, la
cattedrale di Siena, e la basilica di San Paolo fuor delle Mura, presso Roma, offrono
una tale magnificenza. Prima di tutto per la ricchezza dei materiali usati nella costru-
zione : le ventiquattro enormi colonne monoliti della navata centrale e le altre in-
numerevoli colonne di marmo o di granito sparse ovunque ; poi 1" alternarsi, così pit-
toresco, dei marmi neri coi marmi bianchi ; come pure la purezza ed il vigore della
disposizione, l' ampiezza delle proporzioni — la sola crociera è vasta come una basi-
lica ; - finalmente lo sfarzo e l'armonia delle tinte sono aumentati da una penom-
bra piena di mistero, un' oscurità maestosa, come la chiama l'abate Richard (il duomo
è rischiarato da più di cento finestre , ma queste sono piccine , poste molto in
alto, c chiuse con vetri colorati). Colla foresta di colonne (non ne conta meno di
450, all' interno e all'esterno) si alternano quelle false arcate, cosi care alla Scuola
pisana; queste alla lor volta spiccano sopra un magnifico soffitto di legno dorato a
cassettoni celesti, ornati di rosoni, di cherubini e delle armi dei Medici, mentre
gli avanzi dell'antico pavimento in musaico si distinguono colla loro tonalità più di-
screta.
Non bisogna temere di bearsi troppo a lungo delle bellezze architettoniche del
Duomo di Pisa, poiché esse formano, se non l'unica, per lo meno la principale attrat-
tiva di tale santuario. Proclamiamolo pure con coraggio : " il contenente la vince sul
contenuto. „
Non poteva essere diversamente in una città la cui vita intellettuale fu repentina-
mente soffocata, al principio del Rinascimento, sotto il giogo fiorentino. La vecchia me-
tropoli pisana non ci offre, come gli altri monumenti toscani, il riassunto degli stili
succedutisi dopo il Medio Evo, quel miscuglio vivo e pittoresco delle produzioni, por-
tanti ciascheduna l'impronta d'un'epoca differente. A mala pena i secoli XIV, XV e XVI
vi sono rappresentati di tanto in tanto da qualche opera isolata, frammentaria. L'archeo-
logo può rallegrarsi di tale unità relativa; l'artista la deplorerà. - In mancanza di statue
e d'affreschi contemporanei all'edilìzio, cioè clic datino dal periodo romanzo, il Duomo
contiene almeno un frammento d'una strana produzione della seconda Scuola, pisana, di
quella che illustrarono Niccolò e Giovanni da Pisa nel XIII e XIV secolo; intendo par-
lare dei due leoni che sostengono le colonne su cui posa il pulpito. Questi due pezzi,
d'uno stile magnifico, pieno di movimento e di grandiosità, provengono dall'antico pulpito,
distrutto nell'incendio del 15!)G. Gli altri frammenti li troveremo occupandoci del
( Jamposanto.
11 musaico dell'abside, "Cristo in trono tra la Vergine e San Giovanni Evangeli-
sta.,, ci fa risalire alla stessa epoca, ma non ha che questo punto comune coli' opera
di Giovanni da Pisa; non considerandone che lo stile, lo si crederebbe anteriore di
cento anni, tanto è rigido, misero e stentato. Questa pagina però rivendica un'origine
illustre; il suo autore, si afferma, non è che Cimabue, il maestro di Giotto. Cominciato
nel 1300 o 1301, il lavoro venne interrotto dalla morte dell'artista; un pittore di nome
Vicinus, lo terminò nel L321. La composizione n'è colossale ; ma, lo ripeto, punto bella;
essa si risente ancora molto dell'influenza bizantina ; il Cristo, specialmente, ha il naso
troppo corto, i baffi come disseccati, e la barba male attaccata.
Le altre opere d'arte appartengono per la maggior parte ad epoche che non pos-
sono neppure aver la pretesa di attrarre la nostra attenzione. Noi non ci fermeremo
ad ammirare i «lodici altari laterali, scolpiti per la maggior parte da un abile artista
PISA. - II- DUOMO.
13
di (|iici dintorni, Stagio Stagi (molto nel 1,561 ). " Quanto ;ii quadri «It i pittori della deca
denza, <|ii;ili ( Irazio Riminaldi, ( Giovanni Stefano Maruscelli, Cosimo < ramberucci, < >tt;i\ i;i n<»
Vannini, Michele Cingali elli, basta ch'essi sieno descritti e portati ;ii sette cidi nelle mo
nografie del Morrona, di Grassi e di Nistri: qui la descrizione «li quelle opere fredde e
L'interno dui Duomo.
noiose sarebbe assolutamente fuori di proposito, sopra tutto quando a due passi, al Campo-
santo, si trovano tanti e tanti eapilavori. Anche «idi stessi contemporanei le hanno se-
l ) Il professore Santo Vanii di Genova dedicò una nota speciale a questo artista : Di maestro Lorenzo t Stagi ■
Sldiji da Pietrasanta, Genova 1868.
14
FIRENZE E LA TOSCANA.
veramente giudicate ; nel suo Viaggio in Italia Cucimi, che peccava anche di troppa
indulgenza per il XVII e XVIII secolo, esclama continuamente: u c'c ben poco di
buono,, oppure "quadri meschini, di debole esecuzione, ecc.,,
La pittura nel suo migliore periodo conta tuttavia nel duomo di Pisa tre pagine
eccellenti davvero: il Sacrifizio di fracco di Giovanni Antonio Bazzi, detto il So-
doma, la Su uhi, Margherita e la Santa Cate-
rina di Andrea del Sarto. Il Sodoma è un mae-
stro di primo ordine, e che solo in Toscana si
può imparare a conoscere ed apprezzare come
merita. Pisa non ha che un capo d'opera, un
quadro sulla tela, da opporre agli splendidi af-
freschi di Siena e di Monte Uliveto Maggiore;
ma il Sacrifizio d'Isacco (1 , r )41-l 542) è una me-
raviglia, degna di prender posto fra quelle del
Correggio e del Tiziano. " Le due sante ingi-
nocchiate , dovute al pennello di Andrea del
Sarto. Sunta Cater ina e Santa TiA.ar'gherita^ ga-
reggiano col Sacrifizio d'Isacco per la grazia
del loro atteggiamento e la bellezza delle tinte.
Di tutti i contemporanei del Sodoma, Andrea
del Sarto è quello il cui talento offre maggiori
analogie col suo; ma non credo essere ingiusto
affermando che il suo stile, essenzialmente fa-
cile, qualche volta persino volgare, non giunge
alla sovrana distinzione, all'incomparabile soa-
vità di quello del suo emulo " lombardo-se-
nese,,. Due altri quadri di Andrea, Sun Pietro
e San Giovanni Battista , sono sensibilmente
inferiori alle due Sante, alla cui seduzione è
impossibile sottrarsi.
Pierino del Vaga, il contemporaneo del So-
doma e di Andrea del Sarto, e allievo di Raf-
faello, è meno perfetto. Checché ne dica il Grassi,
che considera questo quadro come "la piìi pre-
gevole opera di quante adornano gli altari del
tempio,,, la sua Madonna circondata da santi
(finita da G. A. Sogliani) manca di calore e
d'espressione.
La scultura del Rinascimento è principal-
mente rappresentata dai bronzi di Gianbo-
logna: una statuetta il Cristo, un'altra di San Giovanni Battista, poste sulle pile,
furono fuse nel 1 602 da Palma di Massa, secondo i modelli del maestro; sono dunque
contemporanee alle porte della, facciata. Il Crocifisso pure in bronzo, dell'aitar maggiore
è dell'anno successivo, 1603. E una delle opere più celebri dell'ultimo, cronologicamente,
fra i grandi scultori del Rinascimento. Cristo ha la testa clic gli cade sul petto; gli
Santa Caterina d'Alessandria di Andrea del Sarto.
(Duomo di Pisa).
l ) Vedi : HÌ8tòire de l'Ari pendànt In RenuìMKtitcr, Ilaclirttc. l. III. ]>. 531-532.
PISA. - IL DUOMO.. IT)
occhi chiusi, il corpo curvo sotto il proprio peso. "F L'ultimo istante dell' agonia n , ag-
giunge Desjardins, da cui tolgo questa descrizione, "ma si sente die è L'agonia d'un
Dio. Nessuna contrazione dei muscoli, nessuna traccia di convulsioni. L'impressione do-
minante e la ealma e la rassegnazione,,.
Un'altra opera in bronzo, il Lampadario sospeso alla, volta, è celebre per avere ispi-
rato a Galileo le sue ricerche sull'isocronismo delle oscillazioni del pendolo. F un'opera
di rara eleganza, ampia, armonica, e che fa grande onore al suo autore, il fiorentino
Battista di Domenico Lorenzi (1585-1589).
In quanto all'arredo del Duomo, esso è povero e di cattivo gusto. La sedia arcivesco-
vile, posta di fronte al pulpito, è ornata di intarsi clic lasceranno molto freddo il visitatore
abituato alle meravigliose incrostazioni di Firenze, di Siena e dell'Umbria. Lo stile in
cui som» trattati ['.Adorazione tiri .}f<i</i. il Cardellino svolazzante *<>i>i 4 <i un grappolo d'uva,
i paesani, i soggetti di natura morta, calice, nutria, ecc., dimostrano clic L'epoca dei sa-
lotti d'Augusta e di Norimberga non è lontana. Un'iscrizione c'indica la data di questo
monumento cosi poco ricreativo: "Sedente Pisano pontifice Honofrio.... facta est sedes
luce ab Antonio Urbano sedili curata per Ioli. Bap. Cervellesium MDXXXVI,,.
Non farò che nominare il famoso altare d'argento, eseguito nel 1 <>!>2 da Sebastiano
Tamburini di Pisa, una delle opere pesanti e povere clic ottennero troppo a lungo L'am-
mirazione dei viaggiatori, ma clic una critica più illuminata deve spietatamente sacri-
ficare alle sole opere veramente vive del Medio Evo e del Rinascimento.
111.
La TOBEE PENDENTE ED IT, BATTISTERO. — NICCOLÒ DA l'ISA ED IL RlNASClMENTO DEL XTJT SECOLO.
La famosa Torre pendente clic sorge accanto al Duomo fu cominciata nel 1174 c ter-
minata dopo il 1233; è l'opera di due architetti, l'uno italiano, Bonannus, l'altro stra-
niero, Guglielmo d'Inspruck, coadiuvati, si afferma, da Giovanni Ennipantano, pure tede-
sco, c da Tomaso da Pisa.
Osserviamo, a proposito di questo monumento e dei suoi vicini, che in Francia, come
Alfredo Darcel provò chiaramente nelle sue note di viaggio, i nostri architetti hanno
sempre cercato di riunire il campanile alla chiesa, e cosi hanno realizzato le sapienti e
pittoresche concezioni, di cui tante nostre cattedrali offrono esempi chiari e lampanti.
In Italia, invece, sotto l'influenza dell'antica tradizione, ordinariamente si separa il
campanile dalla chiesa, considerando le due parti staccate l'uria dall'altra. F in questa
maniera clic si procedette a Pisa, a Ravenna, a Firenze ed in altre città.
Quanti viaggiatori non giunsero innanzi al campanile con un sentimento d'irritazione!
Troppo spesso delle riproduzioni d'ogni genere, in alabastro, in sughero, in cartapesta,
persino in cioccolatte, hanno stancato i loro sguardi, e colpita la loro imaginazione. Pisa
da parecchi secoli vive di questo sforzo, in cui il caso ebbe parte maggiore della scienza.
Oggi si ammette (die avendo la base dell'edificio disugualmènie ceduto durante la co-
struzione, gli architetti continuarono a fabbricare su questo piano inclinato.' 1
') Vedi la Iti-Ila oliera ili (Jìorgio Rohault de Flettry: Les monumenta de Pise cu wnijen age. Pag. <><m>7.
16
FIRENZE E LA TOSCANA.
10 mi affretto ad aggiungere clic l'originale è cosi grandioso, semplice ed importante
nello stesso tempo, da cancellare persino il ricordo di queste meschine imitazioni.
Passando sopra a tutti i dettagli che si trovano nelle guide, tenterò di rendere le pit-
toresche impressioni prodotte da quest'opera, eterna sfida a tutte le regole della statica
e che, come la Torre Garisenda di Bologna, quando una nube passa sovra di essa, ap-
parisce 11 a coloro che la guardano dalla parte in cui pende, simile al gigantesco Anteo.
Mi basterà ricordare che la Torre pendente forma un immenso cilindro di 16 metri di
diametro, di 48 m 38 di circonferenza alla base, e 54 metri d'altezza; che è composta di
otto piani, collocati l'uno sull'altro come gli anelli d'una spirale, e sostenuti assieme
da 207 colonne, e finalmente che 203 gradini conducono alla sommità con una dolce pen-
denza. Aggiungerò che l'ascensione è proibita ai singoli viaggiatori; il regolamento esige
il concorso simultaneo di tre visitatori almeno, per prevenire gli accidenti, poiché si sale
esternamente, e non internamente al cilindro, eccetto l'ultimo piano che conduce alla
piattaforma.
Un bel concerto composto di sette campane completa questo bizzarro monumento. La
più antica fra di esse, Giustizia, colla data del 1262 ed il nome del fondatore Locterinus di
Pisa, proviene dalla " Torre del Giudice,,; ridesta i più lugubri ricordi; è (lessa che faceva
risuonare i suoi funebri rintocchi quando un condannato veniva condotto al patibolo.
Celebre è la vista (die si gode dalla piattaforma. Il mio amabile e sapiente collega.
Paolo Joanne, mi permetterà di servirmi delle sue parole per descriverne i tratti caratteristici.
"Da una parte — dice — si scoprono gl'Appennini, presso Lucca; dall'altra, una
striscia di mare, da cui sorge, come un monte isolato, l'isola della Gorgona; poi,
successivamente, verso sinistra, Capraia, e se l'atmosfera è limpida, la Corsica, in fondo
all'orizzonte ; in fine l'isola d'Elba, di cui un'estremità soltanto apparisce dietro il Monte
Nero, al sud di Livorno. Dall'orizzontalità del suolo circostante si può facilmente rico-
noscere che in antico doveva essere stato un bassofondo occupato dal mare. In riva al
mare, una linea di oscure foreste indica la tenuta di San Rossore.,,
E superfluo rammentare che fu dall'alto della Torre pendente che il più illustre dei
figli di Pisa intraprese i suoi esperimenti sulla caduta dei corpi; Galileo non contava
allora che venticinque anni. Gli epigrafisti pisani del XIX secolo non si lasciarono sfug-
gire tale occasione per far incidere sul campanile una bella iscrizione Ialina:
"Galileus Galileius experimentis e summa hac turri super gravium corporum lapsu
institutis, legibus motus detectis, mechanicen condidit.... ,,
A qualche passo dal Duomo e dal campanile, s'innalza il Battistero, imponente mo-
numento concepito con idee analoghe. Questo edifizio fu cominciato nel 1153 dall'ar-
chitetto pisano Diotisalvi, che diresse i lavori con una tale rapidità che nel 11 f>6 il piano
inferiore era già terminato. Il seguito dell'impresa non corrispose a questo principio
brillante: la mancanza di denaro produsse la sospensione dei lavori, che non furono
terminati che un secolo più tardi, nel 1278.
11 Battistero forma una rotonda, a tre piani, composti il primo di venti colonne, sor-
reggenti false arcate; il secondo, di sessanta colonne, ornate ciascuna alla estremità da
una testa barbara; il terzo, di diciotto pilastri alternantisi con venti finestre. 1 baldac-
l ) Qua] pare a riguardar la Carisenda
Sullo 'I chinato, qualido mi nuvo] vada
Sovr'essa sì. oh'ella in contrario penda;
(Dante, Inferno, c. xxxi).
''irenze e hi Toxcunu.
18.
FIRENZE E LA TOSCANA.
chini gotici che ornano il secondo e il terzo piano e che contengono delle figure
a mezzo corpo di Profeti o di Apostoli, sono, non occorrerebbe neppur indicarlo, un'ag-
giunta del XIII secolo. Una cupola, d'una forma poco felice, ricopre l'edificio che mi-
sura 107 metri circa di circonferenza, e circa 55 d'altezza. Due colonne riccamente
scolpite dalla cima al fondo fiancheggiano la porta principale ; quella, rimpetto al duomo,
ovunque fogliame, fiori la cui corolla contiene, oltre al resto, una donna seduta che
suona il flauto, oppure una nidiata d'uccelli. E un'arte misteriosa ed inebbriante che
non è piìi quella del Medio Evo, e che non è ancora quella del Rinascimento ; si di-
rebbe una fioritura precipitata, un'intuizione singolarmente profonda dell'antichità, ma
che non fu, ne sviluppata, ne ripresa più tardi, avendo il Rinascimento del secolo XV e XVI
adottati altri punti di vista. Giunto alla sua completa maturità, tale Rinascimento pi-
sano del XII e XIII secolo ci avrebbe dato qualche cosa di diverso dal Rinascimento
propriamente detto: ma esso venne bruscamente arrestato da cause molteplici, ed i suoi
sforzi veramente grandiosi rimasero senza sanzione.
I montanti stessi della porta sono ornati di bassirilievi, rappresentanti Cristo, il re
David, degli Apostoli, ed i simboli dei mesi. Sull'architrave sono scolpiti: il martirio
ili San Giovanni Battista, alcune scene della vita di Cristo ed il Battesimo ad im-
mersione. Altre statue o bassirilievi ornano la parte superiore di questa facciata, che è
d'una grande ricchezza. Vi si osserva specialmente la statua della Vergine col bambino,
ed i due San Giovanni. Tali lavori datano dal XIII al XIV secolo, e provano l'insuf-
ficienza della Scuola pisana nella scultura a bassorilievo.
La porta dal lato opposto (sono quattro, corrispondenti ai quattro punti cardinali)
non è circondata che da due colonne, le cui scanalature a spirale ricordano eerte co-
lonne bizantine, ed in ispecie quelle della basilica di Sant'Apollinare " in Classe presso
Ravenna, e di San Clemente a Roma.
II Battistero si compone di due parti concentriche: una specie di porticato interno
e il corpo stesso dell'edifizio, posto sotto la cupola, sostenuta da due piani di colonne
o di pilastri ; al basso otto magnifiche colonne monoliti e quattro pilastri, sui cui ca-
pitelli si sviluppano degli archi centinati; sull'alto la stessa disposizione, ma colla
differenza che qui le colonne sono sostituite da pilastri. Tre gradini intorno al por-
ticato formano una specie di anfiteatro, donde gli spettatori possono comodamente mirare
le cerimonie.
Il Battistero, come opera d'arte, è povero, tale e quale il Duomo; l'architettura fa le
spese principali della decorazione, che consiste principalmente nell' alternarsi del marmo
nero col marmo bianco.
Il monumento, che più d'ogni altro colpisce la vista, è un ampio bacino ottago-
nale, posto nel centro dell'edifizio, sopra uno zoccolo di tre gradini. Per le sue dimen-
sioni, come per la sua forma, tale conca battesimale ci fa risalire al tempo in cui si
somministrava il battesimo coll'immersione ; un certo numero di fedeli poteva capirvi co-
modamente. In quattro angoli dell'ottagono sono praticate delle cavità più piccole, ri-
servate, si afferma, al battesimo dei bambini (il bacino propriamente detto era destinato
agli adulti).
I tre gradini che conducono al bacino, come pure le sue otto faccio esterne, sud-
diviso in sedici scomparti, sono ornati di eleganti incrostazioni in marmo colorato, che
forma dei rombi, delle stelle ed altre figuri; geometriche; di rosoni in rilievo occu-
pano il centro dei sedici scompartì, e «lamio risalto allo splendore di tale intarsio ricci»
e delicato.
l'ISA. - II, BATTISTERO.
11)
Parecchi autori moderni, tra gli altri gli editori del Cicerone, attribuiscono il ba-
cino battesimale a Tino di Camaino da Siena (detto talora Lino), clic l'avrebbe ese-
guito nel 1312. Ma i documenti antichi ci parlano soltanto (riunì conca battesimale,
scolpita da qùesto maestro pel Duomo, con bassorilievi rappresentanti la vita di San Gio-
vanni Battista, opera già da lungo tempo perdutasi.
A pochi passi dal bacino si erge, isolato, il pulpito di marmo, il capolavoro di Nic-
colò da Pisa, e l'onore del battistero. Tale opera famosa, terminata nel 1260, si com-
pone d'un esagono di marmo, sorretto da nove colonne, in broccatello di Spagna, in
porfido, o in granito orientale, di cui parecchie posano, alla lor volta, sul dorso di leoni.
Delle ligure allegoriche in alto rilievo, e sopratutto sei compartimenti ornati di bassori-
lievi, fan spiccare l'ordine architettonico, che è d'una straordinaria libertà e genialità.
Il pulpito del Battistero, più clic un capo d'opera d'un grande artista, rappresenta
una data nella storia della scultura.
Questa si trovava nel più infimo
grado allorché si innalzavano gli am-
mirabili edilizi di Pisa. E difficile
supporre produzioni più pesanti, più
barbare. Ogni idea di forma umana è
scomparsa; i corpi sono mostruosi, i
volti stupidi. Si può giudicarne dalle
teste grottesche, bestiali , sparse in
tutte le chiese di Pisa, sui capitelli,
sulle volte, come pure sulla porta di
bronzo della crociera del duomo, at-
tribuita a Bonanno.
Le tendenze generali della Scuola
romanza non erano punto favorevoli
allo studio della natura. Non inse-
guendo che combinazioni astratte ,
del i vanti dalla geometria, essa avea
quale scopo la regolarità, l'armonia;
sotto il dominio di tali principi, essa
subordinava la figura umana all'effetto
complessivo che doveva produrre tale
o tal altra parte dell'edilìzio; cosi pure il simbolismo sostituiva, per essa, la rappre-
sentazione delle forme reali. Uno stelo con tre foglie alla cima, rappresentava un al-
bero; alcuni merli sommariamente indicati, una città. Infine le idee più tristi, più
lugubri assediavano l'immaginazione degli artisti e dei fedeli. All' ingresso delle chiese,
dei leoni mostruosi sembravano pronti a divorare i colpevoli; sulla facciata, schiere
d'animali fantastici, basilischi, draghi, grifi, pesavano sulla fantasia come un incubo. Idee
Lugubri, stile barbaro, ecco in due parole il carattere della scultura romanza in Italia.
Tutt' a un tratto compare uno di quegli artisti prodigiosi, che sin dal primo mo-
mento raggiungono, talora anzi oltrepassano la meta, e che pare vivano ben più colla
posterità die coi loro contemporanei.
Niccolò da Pisa è un riformatore, un iniziatore del genere di Prunellesco, di Dona-
tello, o dei fratelli Van Eyck, gli illustri pittori fiamminghi, uno di que' maestri che
sanno elevarsi così in alto, che per parecchie generazioni i suoi successori sono inca-
Rosone della vasca del Battistero.
20
FIRENZE E LA TOSCANA.
paci, 11011 dico di far meglio, ma neppure di fare altrettanto. " Nel mezzo (li questa
notte oscura,,, scrisse Stendhal, in un linguaggio alquanto enfatico. "Nicolò da Pisa,
vide la luce e osò seguirla. „
Io non mi dilungherò qui sulla vita e sulle opere di Niccolò da Pisa. Il lettore per-
metterà ch'io lo rimandi su tal punto al mio lavoro sui Precursori del Rinascimento.
Basterà ch'io ricordi qui che nato, secondo ogni verosimiglianza, ad Apulia in Toscana
verso il 1206, egli mori a Pisa nel 1280.
Come fece tale maestro a sostituire agli informi tentativi dei suoi predecessori uno
stile così nuovo e così perfetto? Ove ha egli ritrovato quest'arte delle proporzioni, del
ritmo, dell'espressione, della nobiltà il cui segreto era perduto già da tanti secoli? -
L'adorazione dui Magi, di Niccolò da Lisa.
Risponderò senz' esitare : nello studio dell' antico. A questo egli va debitore d' esser
riuscito a riformare la statuaria, come erano riusciti, dugent' anni prima, gli architetti
pisani a riformare l'architettura. 1 modelli classici abbondavano a Pisa, ove sin dap-
principio si ebbe cura di raccogliere tali gloriose vestigia d'una civiltà scomparsa. Parec-
chie volte i Pisani dalle loro spedizioni marittime riportarono colonne, capitelli, e so-
vratutto sarcofaghi.
Non è necessario supporre che Niccolò da Pisa sia andato a cercare la sua iniziativa,
come si disse, nell'Italia meridionale, alla corte di Federico li; la Toscana gli offriva in
abbondanza modelli capaci d'ispirarlo. Oggi stesso, ad alcuni passi dal pulpito del Bat-
tistero, capolavoro dello scultore pisano, si vedono i bassorilievi antichi da lui imitati,
il vaso col linceo indiano, ed il sarcofago rappresentante la rf/oi-ia di Fedro e d'Ippolito.
L a T o r va \< e n d e n te. a Vis a..
22
FIRENZE E LA TOSCANA.
Sarebbe però un errore il credere elle Niccolò da Pisa non sia tributario che del-
l'antichità. Presso alle figure gravi e belle, come la Madonna, gli angeli, si scoprono dei
tratti tolti dal vero: un ariete che si gratta la fronte, un cavallo che nitrisce, ecc.
Credo di non ingannarmi attribuendo tali velleità di naturalismo all'influenza degli
scultori settentrionali.
Lo stile gotico è l'espressione delle nuove tendenze del medio evo, del bisogno d'in-
dagare e di scrutare.
Quanto l'arte romanza, fondata sull'uso dell'arco centinato, era semplice, grave, au-
stera, altrettanto l'arte gotica che prende per base l'arco a sesto acuto, cioè una formula
essenzialmente artificiale, è flessibile, ondeggiante, penetrante. Le facoltà dell' immagi-
nazione non tardano ad eclissare quelle della ragione ; lo sguardo ardente di tali gene-
razioni, dal carattere febbrile, penetra nelle più intime latebre della natura; le passioni
sovreccitate pervengono infine a tradursi in un linguaggio pittoresco ed animato.
I bassorilievi di Niccolò si distinguono, è duopo ripeterlo, per la loro ampiezza, per
la loro nobiltà, per la loro regolarità. E impossibile immaginare una scultura che ar-
monizzi meglio colla sua cornice, coi mirabili monumenti degli architetti pisani del se-
colo XII. Nulla di violento, nulla di angoloso e di antidecorativo.
C è però una lacuna in quest' arte, che di primo colpo si è innalzata tant' alto.
Nella stessa epoca in cui lavorava Niccolò da Pisa, sorgevano, a Parigi, a Reims, a
Chartres, e in molte altre città, delle statue che offrono il contrasto più completo con
quelle del maestro pisano. Lo stile di Niccolò, come del resto di tutti i suoi successori,
ha infatti qualche cosa di freddo e di asciutto; s'egli supera altri artisti per la nobiltà
delle composizioni e la gravità di detto stile, egli resta ad essi inferiore dal lato del-
l'emozione e della vita!
IV.
li. Camposanto. — Giovanni da Pisa e lo stile gotico. — Il Panteon delle glorie pisani?.
Orcagna e Benozzo Gozzoli.
Secondo il Vasari , il primo campione dell' architettura gotica in Italia sarebbe
stato Niccolò Pisano. In quell'epoca, lo si sa, era cosa rara che un artista si limi-
tasse ad un'arte soltanto; l'insegnamento simultaneo era già sin d'allora in gran voga.
Niccolò da Pisa, come pure suo figlio Giovanni da Pisa, si distinguevano nell' archi-
tettura e nella statuaria; lo stesso dicasi di Arnolfo di Cambio, loro collaboratore,
di Fra Guglielmo d'Agnello, e di altri artisti romani contemporanei, i Cosmati. Il Vasari
completa la sua asserzione attribuendo a Niccolò una quantità di costruzioni, non
solo in Toscana, ma eziandio a Napoli, a Padova e Venezia. Poco ci manca che il
biografo non ascriva a lui tutte le cattedrali che sorsero in quel momento da un capo
all'altro d'Italia. "
Ma se è provato che Niccolò ha esercitato l'architettura, non è meno certo, sfortu-
') Oyiti ò (limosiniti! «Tir lo stilo "'ittico è penetrato in Italia verso la line del XII secolo. Vedi Enlart: "Origines
franeaises de l'Ai-chitecture gotique imi Italie. Paris 1894...
PISA. - II. CAMPOSANTO.
23
natamente, che nessun edifizio può, con verosimiglianza, essergli attribuito. Come di so-
vente avviene nella storia dell'arte, la sua fama assorbì quella dei suoi numerosi colla-
boratori. Si sono riassunti in un unico nome gli sforzi d'un'intcra generazione.
Il figlio di Nicolò risano, Giovanni, conta invece nel suo' attivo una serie di co-
struzioni del massimo interesse, la facciata della cattedrale di Siena, il compimento
della Cattedrale di Prato, e finalmente il celebre monumento di cui ora ci occuperemo,
il Camposanto di Pisa.
La costruzione del Camposanto si riannoda, come quella del Duomo, ad una spe-
dizione militare dei Pisani.
I cronisti raccontano che l'arcivescovo Ubaldo dei Lanfranchi, capo delle truppe fornite
dalla Repubblica pisana alla terza crociata (1189-1192), ebbe l'idea di far trasportare
in patria una gran quantità di terra proveniente dal Calvario del Golgota. Ritornato a
Pisa, egli acquistò uno spazio di terreno presso il duomo, e lo trasformò in cimitero,
dopo averlo riempito, con una nobile ispirazione, di questa terra santa.
Questa terra , secondo autori seri , aveva virtù miracolose. Ascoltiamo Michele
Montaigne: "Nel mezzo dell' edifizio, dice egli, — havvi un luogo scoperto
ove si continuano ad inumare i morti. Assicurasi generalmente che i corpi ivi depo-
sti si gonfiano nello spazio di otto ore in modo che si vede la terra sensibilmente
innalzarsi: che otto ore dopo diminuiscono, e finalmente che dopo altre otto, le
carni si consumano in modo, che prima dello scorrere di ventiquattro ore, non riman-
gono piìi che le nude ossa. Tale fenomeno è simile a quello del cimitero di Roma, in
cui. quando si seppellisce il corpo d'un Romano, la terra tosto lo respinge. Questo re-
cesso è selciato di marmo come il corridoio, sopra il marmo si mise della terra per
l'altezza di una o due braccia, e si dice che questa terra sia stata portata da Geru-
salemme nella spedizione che i Pisani vi fecero con un grande esercito. Col permesso
del vescovo, si prende un po' di questa terra, ehe si sparge sugli altri sepolcri, avendo
la persuasione che i corpi vi si consumeranno più presto: il che sembra tanto più ve-
rosimile poiché nel cimitero della città non si vedono quasi affatto ossami, e non c'è
altro luogo in cui si possa raccoglierli e rinchiuderli come avviene nelle altre città. „
Questa superstizione che attribuisce alla terra, portata da Gerusalemme, le proprietà
della calce viva, durò sino al XVIII secolo; la si trova ancora in Dupaty, le cui Let-
tere sull'Italia comparvero nel 1786. L'astronomo La Lande stesso s'era chiesto, qual-
che anno prima, se tale dissoluzione dei cadaveri, per cui, ai suoi tempi, occorrevano,
- dice lui, — quarant'otto ore, non era dovuta a degli alcali volatili ! Tanto è diffìcile
estirpare un errore, una volta messo in circolazione.
' ome monumento d'architettura, il Camposanto non ebbe principio che molto tempo
dopo la fondazione del cimitero. Cominciata nel 121<S, la costruzione fu terminata nel
1283, quasi un secolo più tardi della terza crociata.
II Camposanto forma parallelamente al duomo ed al battistero, in una linea più
vicina ai bastioni (è come situato al secondo piano della piazza), un vasto rettangolo
di 12!)'". f>7 2 di lunghezza all'esterno, su 44 m ,:i. r >8 di larghezza, di 126 m ,654 di lun-
ghezza nell'interno, su 42 m ,023 di larghezza. Punto aperture, come se questo santua-
rio della morte non dovesse avere alcuna comunicazione col mondo esterno. Una serie
di false arcate (se ne contano 4M sulla facciata), centinate, come al duomo, al cam-
panile ed al battistero, rialza l'effetto di questi lunghi e nudi muri. All'intersezione di
queste arcate, per solo ornamento, una testa in rilievo, d'una espressione strana e d'uno
stile originale.
li pulpito del Battistero di Ni< lò da risa.
2G
FIRENZE E LA TOSCANA.
La porta d'ingresso principale è sormontata da un baldacchino gotico ornato (li sci
statue, fra le quali bisogna indicare la Vergine ed il Bambinp di Giovanni Pisano.
La semplicità dell'esterno sembra fatta esclusivamente per alimentare l'effetto del-
l'interno: quando so ne varca la soglia, quale splendore! Corridoi larghi per lo meno
10 metri e mezzo, una serie di 02 arcate traforate, di stile gotico ricchissimo (in
realtà sono centinate) da cui penetrano torrenti di luce; nei vani una stupenda serie
di sculture antiche; contro la parete, un pittoresco miscuglio di busti, di statue, di
gruppi in marino; sulle pareti, il più vasto ciclo di affreschi del medio evo e del Ri-
nascimento, di cui possa menar vanto un monumento italiano; finalmente, sul suolo, in-
numerevoli pietre funerarie, le une antiche, le altre rinnovate da mani pietose: certo
quello spettacolo è uno dei più grandiosi ed originali fra tutti quelli clic ci offre la
divina Italia. Le guide raccomandano di visitare il Camposanto di notte, con un bel
chiaro di luna; e non hanno torto. Per godere simili spettacoli, occorre non solo una
disposizione di spirito speciale, ma eziandio una luce soprannaturale.
A primo aspetto il Camposanto non risponde all'idea che uno può farsi d' un san-
tuario di tal genere. Si crede trovare un vasto cimitero, circondato da strette gallerie,
come a Milano, a Bologna, a Genova. Invece, le proporzioni sono invertite e , per conto
mio, dal punto di vista artistico, non me ne lagno: il cimitero è microscopico — si
compone di quattro aiuole ricoperte d'erba e ornate di pochi fiori, con qualche arbusto
qua e là; quattro cipressi agli angoli, e nel centro una colonna, intorno a cui s'avvi-
ticchia un rosaio; ma il chiostro che lo circonda è colossale, e questo chiostro, Gio-
vanni da Pisa, che si mostrò qui architetto di genio, lo volle degno dei tesori ch'era
destinato a circondare, cioè semplice e monumentale nello stesso tempo. C'era da te-
mere che la ripetizione indefinita del medesimo motivo, le sessantadue arcate aperte,
producesse della monotonia. Per ovviare a tale pericolo, l'architetto pisano, conservando
come tema dominante l'arco tondo, imposto dalla vicinanza del duomo, del campanile,
e del battistero, lo unì con gran successo all'arco a sesto acuto. Ognuna delle sue
arcate, tonda in alto, porta sulla sommità una rosa a sei lobi, sovrapposta ad un
pilastro principale, che divide il resto dell'arcata in due grandi finestre a lancetta ; que-
ste finestre che hanno pure una rosa nella sommità, sono alla lor volta suddivise da
pilastri più piccoli; dimodoché ogni arcata contiene tre rose, tre pilastri e quattro fine-
stre: disposizione iodio stesso tempo ricca ed armonica, che produce la varietà nella,
regolarità.
Di tombe propriamente dette, di croci, d'emblemi funerari, neppure traccia ; solo i
mausolei o i cenotafi hanno il diritto di figurare in questa necropoli ideale.
Poiché, malgrado il suo nome e la sua prima destinazione, il Camposanto è il Pan-
teon didle glorie pisane, anziché un campo di riposo. Gli slanci di fede, i trionfi del
patriottismo, le idee d'apoteosi, relegano nell'ombra i sentimenti d'un carattere pura-
mente personale: il dolore d'una famiglia alla morte d'uno dei suoi, oppure lo spettacolo
della varietà delle cose di quaggiù. Nulla di lugubre, eccetto forse le pitture che si
attribuiscono ad Orcagna; nulla (die ricordi la fine fatale di ogni esistenza; ovverossia
i morti non si presentano a noi (die nel loro aspetto imperituro, col ricordo di belle
azioni, di scoperte brillanti, d'opere di genio. Infatti quale riunione straordinaria di mo-
numenti commemorativi, da, quello della, contessa Beatrice, madre della famosa contessa
Matilde, sino a quello della Catalani, da quello dell'imperatore Enrico VII sino a (niello
del poligrafo Algarotti, educato a spese dell'economo Federico li di Prussia, o dell' i-
Storiografo Fabroni! E (die sorprendente colle/ione di capi d'opera, dall' insuperabile
PISA. - II, CAMPOSANTO.
27
riunione di sarcofaghi greci e romani, dal
vaso <li ninnilo col Bacco indiano, copiato
da Niccolò da risa . .sino alle sculture di
Giovanni Pisano ed agii affreschi di Be-
dozzo (i uzzoli!
Nella descrizione di queste innumerevoli
ricchézze, le guide seguono d'ordinario l'or-
dine topografico, ed hanno ragione, perchè
così il frettoloso viaggiatore risparmia una
quantità di andirivieni. Ma il lettore vorrà,
spero, concedermi il diritto di scegliere il
cammino più lungo, ed io approfitterò vo-
lentieri di questa sua condiscendenza. 11
Camposanto di Pisa non è uno di quei mu-
sei di secondo ordine, che si visitano col-
l'orologio alla mano tra un treno e l'altro,
tra un pasto e l'altro! Solo per i ricordi
politici, una buona parte della storia d'Italia
e scritta su quelle venerabili mura: in ciò
(die concerne l'arte, queste combinazioni ar-
chitettoniche, queste sculture, questi affre-
schi non som» essi quasi la chiave princi-
pale della scinda toscana?
La collezione de' sarcofaghi e bassori-
lievi antichi del Camposanto è una delle due
o tre ]>iìi considerevoli di tutta Europa :
non comprende meno di 170 numeri, e ci segna gli annali della scultura, dalla sua
fioritura nel III o II secolo prima della nostra èra, sino alla sua massima decadenza,
nel V o Vi secolo. Da lungo tempo la sua importanza ha colpito gli archeologi.
Nel 1814 l'incisore Gianpaolo Lasinio, figlio di quel Carlo Lasinio che creò vera-
mente il museo del Camposanto, consacrò loro una speciale pubblicazione, accompa-
gnata da tavole; più recentemente, nel 1X74, Diitschke li sottopose ad un nuovo esame
più profondo. Tali sarcofaghi furono, per la maggior parte, portati a Pisa quali trofei
di guerra, durante le spedizioni marittime intrapprese dall' XI al
XIII secolo contro l'Algeria, la Tunisia, probabilmente contro la
Grecia e l'Asia Minore. Servirono dapprima ad ornare la fac-
ciata del duomo; nel 1297, poco dopo il compimento del Cam-
posanto, li si incrostò sulla facciata esterna di tale monumento:
più tardi furono posti iteli' interno per salvarli dalla distru-
zione.
Non è mio intento il descrivere una così ricca collezione, per
grande (die sia l'interesse (di' essa possa offrire per l'arte e per
l'archeologia. Ma come non far menzione del magnìfico sarcofago,
altre volte conosciuto sotto il nome di sarcofago della (\i<-<-i<i <li
Meleagro, ed oggi sotto il nome di Fedra ed Ippolito! La scul-
tura greca si mostra nel suo completo rigoglio, all'avvicinarsi dei-
para bacchico (Camposanto), l'èra cristiana, unendo alla purezza ed alla nobiltà del modello,
I ,;i Vergin I Bambino, di Giovanni da Pisa (< iamposanto |.
28
FIRENZE E LA TOSCANA.
un'illimitata libertà, e sapendo mettere in ogni figura quel fuoco, di cui ebbe, per tanto
tempo, il segreto.
Il sarcofago di Fedra ed Ippolito ebbe a subire una strana sorte. Dopo aver ser-
vito da sepoltura a qualche filosofo o a qualche cortigiano dell'antichità, ricevette, nel
1076, le ossa d'una delle più pie e delle più potenti principesse del Medio Evo, la
contessa Beatrice. Un'iscrizione (rifatta) in versi leonini, cioè la cui sillaba finale fa
rima colla sillaba di mezzo, dimostra tanto la pietà della famìglia, quanto la barbarie
della lingua in quell'epoca:
Quamvis peccatrix sum domna vocata Beatrix
Tu tumulo ru issa jaceo qua' comìtissa
A. D. MLXXVI.
Nel XIII secolo, questo sarcofago fu oggetto d'una distinzione ben altrimenti lu-
singhiera. Dinanzi ad esso gli occhi di Niccolò Pisano s' aprirono alle bellezze della
statuaria antica, e tale fu la vivacità dei sentimenti dello scultore pisano, ch'egli dette
alla Vergine del pulpito del battistero i tratti della Fedra del sarcofago; privilegio raro
e prezioso per un monumento, il rivivere così, di mano in mano, attraverso i secoli!
Ai capi d'opera dell'arte antica fa seguito il tentativo piuttosto imperfetto, ma però
degno di simpatia, d'uno scultore del Medio Evo: è un sarcofago in marmo a strigili,
ornato agli angoli di leoni divoranti un capretto. "Imitazione d'un sarcofago antico,
opera di Biduino, artista pisano del IX secolo, come risulta dall'iscrizione latino-italiana,
iscrizione che conta fra i più antichi monumenti della lingua volgare. „
Tali sono i termini coi quali l'autore della Nuova (ruirfu di Pisa, dell'anno 1882,
descrive tale monumento. Disgraziatamente per l'autore c per noi. bisogna togliere tre-
cento anni all'età del sarcofago e dell'iscrizione. Biduino infatti viveva nel secolo XII
e non nel IX. (Questo maestro, che ha preceduto quasi d'un secolo, nel suo tentativo
di Rinascimento, il suo compatriota Nicola Pisano, esegui nel 1180 le sculture di
San Casciano, presso Pisa, e verso la stessa epoca, quelle di San Salvatore a Lucca.)
Ma ceco il grifo di bronzo dalle ali spiegate, dal corpo coperto di segni bizzarri,
fra i quali si distingue un'aquila ed un leone, oggetto di tante discussioni. Il bravo
Morrona che lo vide pure sull'estremità del duomo, c che lasciando da parte ogni timore,
se n'andò a studiarlo con pericolo della propria vita, "vinto il timore,, in un luogo acces-
sibile ai soli muratori, — il bravo Morrona, dico, è disposto a ritenerlo d'origine etnisca.
L'autore dell'ultima guida di Pisa, nel 1882, dopo averci spiegato essere l'iscrizione
cufica (significa: benedizione perfetta e grazia completa, beatitudine perfetta e pace
eterna, salute perfetta, felicità e fermezza a chi lo possiede), dichiara di considerare
tale " ippogritto ,, come uno dei simboli d'Apollo, ed aggiunge che bisogna collocarlo o
fra le produzioni del secondo periodo egiziano, o fra quelle dell' Etruria. Secondo il
mio debole parere, si tratta semplicemente d'un'opera orientale, per esempio dell' epoca
dei Sassanidi, riportata dai Pisani durante le loro temerarie spedizioni.
Fra le sculture del Medio Evo, esposte in questo musco funerario, l'opera princi-
pale <• l antico pulpito, il "pergamo,,, del Duomo finito nel l.'lll da Giovanni da Pisa.
Gravemente danneggiato dall' incendio del 1596, questo monumento dovette essere de-
molito: si conservarono al Duomo per il nuovo pulpito, due leoni sorreggenti le colonne, e
PISA. - IL CAMPOSANTO.
29
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•■NONQVIDEM-SPER^ENDO- HENÌR1CI • OLSM
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CONTINENTVR' QVESECVNDO « PO ST- EJlVS - FAT
■XV-BIE-VERO-XXV - SEXTIL1S - P1SAS- TRAN SLATA
FVNERB" HOC ' INPHANQ ?l ADH VC ■> yS f ^ vBIEMWSl'@LI
LVCENBVRGENSIS^
IMPERATORE j OSSA!^
• AN NO * VIDELIGET * M ' CCC>
SVMMO « CVM- HOMORElfifi
IBlfiii
Mausoleo dell'imperatore Enrico VII, al Camposanto.
qualche figura secondaria (vedi pa<j;'. 12); il resto fu trasportato al Camposanto. Qualche
anno fa si tentò, aiutandosi coi modelli di quei frammenti, una ricostituzione dell' in-
sieme, recentemente contestata dal signor Supino (se ne può vedere un esemplare nella
cappella della Scuola di Belle Arti a Parigi).
Il pulpito di Giovanni da Pisa riproduce le linee principali di quello che suo padre
Niccolò aveva scolpito pel battistero.
Anche in questo, come in quello, il cofano di marmo posa su colonne, che alla
lor volta sostengono leoni o figure allegoriche. Anche in questo come in quello i basso-
rilievi rappresentano le scene principali della vita di Cristo. Ma quanto diversa l'ispi-
razione in (juei due maestri!
Giovanni avea ricevuto lezioni da suo padre, e lungamente lavorato al suo fianco.
E « cito ch'egli ebbe una parte piìi o meno considerevole nell'esecuzione dei basso-
rilievi del pulpito di Siena; forse egli esegui la fontana di Perugia, la cui composizione
architettonica appartiene al suo famoso contemporaneo fiorentino, Arnolfo del Cambio.
Nelle sue opere si osservano delle figure piìi espressive e meno nobili, più decla-
matorie e meno armoniche che in quelle di Niccolò. 11 dolore, contenuto e represso nel
padre, sgorga e scoppia nel figlio. I personaggi , rassegnati nell' uno, si sdegnano e
si lamentano nell'altro ; lasciano libero corso ai propri sentimenti, senza curarsi di con-
servare quella dignità nella gioia o nel dolore, di cui Niccolò da Pisa sembra aver preso
il segreto agli scultori dell'antichità. Se, nel padre, lo studio dei modelli lasciati dagli
30
FIRENZE E LA TOSCANA.
antichi, la vince sullo studio della natura, nel figliuolo noi scorgiamo il fenomeno op-
posto. Giovanni è anzi tutto un realista, tanto nell'interpretazione delle forine, quanto
nell'espressione dei sentimenti. Io non so l'attenermi dal credere che l'influenza degli
scultori settentrionali, tedeschi o francesi, c'entrasse per qualche cosa in questo sfogo,
in questo delirio di realismo.
Nell'opera di Niccolò Pisano abbiamo constatato la grandezza, la nobiltà, la ponde-
razione, anziché la vivacità dell'espressione. Se un tratto o l'altro è preso dal vivo,
1' insieme respira ancora la gravità, quasi quasi si potrebbe dire la solennità propria al-
l'arte romanza. La preoccupazione dello stile la vince sulla ricerca dell'effetto drammatico.
T lampi di genio che si scoprono nell'opera del figlio — e quest'osservazione s'ap-
plica altrettanto bene al pulpito del duomo di Pisa, quanto a quello della chiesa di
Sant'Andrea di Pistoia, che ne forma il vero riscontro — ■ questi lampi, dico, non ci
faranno dimenticare la mancanza d'ogni armonia, ({nasi quasi si potrebbe dire di ogni
stile. Nulla .di piìi urtante, di piìi stonato. L'architetto abdica completamente innanzi
allo scultore; rinuncia a dare all'insieme la ponderazione cosi necessaria in un'opera
complessa ed atta a rialzare in una volta tutte e due queste arti. Nessuna proporzione
fra le diverse ligure; le une sono gigantesche, le altre quasi microscopiche, senza che
l'artista abbia pensato a moderarne la transizione. Nei bassorilievi presi isolatamente,
nessun pensiero d'ordine; i piani sono a. mala pena indicati; invece di svolgersi sotto
forma di fregi*», come le composizioni del padre, quelle del figlio offrono un miscuglio
incoerente di personaggi, un aggruppamento di (lettagli, un'assoluta mancanza di pu-
rezza. Finalmente, nelle figure considerate separatamente, si osserva indio stesso tempo
l'insufficienza della modellazione, e l'amore della declamazione. I corpi sono mal costrutti,
gli atteggiamenti poco naturali, e le espressioni forzate.
Ebbene, accanto a tali imperfezioni, che ci autorizzano a dubitare della scienza, o per
lo meno della probità professionale di Giovanni da Pisa, l'opera di questo maestro abbonda
di tratti capaci di disarmare la critica, di gesti indovinati e di voci uscite dal cuore.
Prendiamo la Strage degli Innocenti, di Pistoia: siamo in mezzo alla lotta, alla car-
neficina; una madre se ne fugge portando seco la sua creatura; una delle sue compagne,
scapigliata, implora l'impassibile tiranno, o si nasconde il volto, non potendo sopportare
1' orrendo spettacolo; altre cercano di sostenere i loro figli, 0 si chinano sovr' essi,
tentando di raccogliere, dalle loro labbra semichiuse, un alito di vita. L'artista, da vero
esperto, ci fa percorrere tutta la scala dei dolori materni. E 1' eloquente commento di
quelle belle parole di san Matteo: "Rachele (die piange i suoi figli, e non vuol essere
consolata, perchè non sono più. .,
La Crocifiséion'e non è da meno per commuovere. A sinistra la Vergine che cade svenuta;
vicino ad essa un discepolo che singhiozza, ed una delle pie donne che stende le braccia al
cielo in atto di disperazione; a destra i discepoli che fuggono quasi colpiti (la timor panico,
ficco finalmente il dramma, il patetico, il dolore di Laoeoonte <> di Niobe, o piuttosto un
dolore essenzialmente popolare e chiassoso, introdotto da poco nella scultura ! Ma a costo di
quanti sacrifizi! E come bisogna, comperare a caro prezzo l'emozione causata in noi dal-
l'una o l'altra scena ! Accanto a pezzi grandiosi, come i leoni sostenenti le colonne, e
le aquile, si osservano delle figure informi, una copia della, Venere dei Malici (die pare
una caricatura, la Personificazione delle Virtù, d' un' esecuzione forzata e grossolana.
Ritornando a Firenze, troveremo nella pittura, in Giotto, colla stessa potenza d'espres-
sione, una purezza ed una nobiltà di stile affatto sconosciute a Giovanni da Pisa.
Le st;itue di Giovanni da Pisa, sono generalmente d'un lavoro piti accurato dei suoi
PISA. -
IL CAMPOSANTO.
bassorilievi, pei quali d'altronde pare ♦eli' egli abbia lasciato far molto ai suoi collabo
ratori. Nello stesso Camposanto, la sua Madonna, posta accanto a quell'affresco «li
Benozzo Gozzoli, che rappresenta ['Ebbrezza di No"è, si distingue pel sentimento delle
proporzioni, e la disposizione monumentale, senza però poter rivaleggiare colle figure de-
gli artisti francesi contemporanei.
Il mausoleo dell* imperatore Enrico VII di Lussemburgo (13Ò8-1313) ci riconduce
alle speranze ed alle ardenti lotte dei Ghibellini nei primi anni del XIV secolo. Alla
lor tota trovavasi Dante, che invocava con tutti i suoi voti, e celebrava con entu-
siasmo la spedizione del principe chiamato a por fine alle lunghe sventure d'Italia.
Il successo di questo sovrano fu sin dal principio tale da incoraggiare i suoi parti-
giani. Entrato in Milano nel 1311, Enrico posò sul suo capo la corona terrea, e agì con
vigore contro le città guelfe. Passando per Genova, giunse a Pisa, ove fu acclamato dal
popolo, elle gli offri, oltre ad una somma di sessantamila fiorini in oro, un padiglione
di stoffe preziose, guernito d'oro e di gemme. Durante questo stesso soggiorno egli mise
al bando dall'Impero i Fiorentini ed i Lucchesi, gli eterni nemici dei Pisani. Dopo rice-
vuta a Roma la corona imperiale, e combattuto con success»» contro il re Roberto di
Napoli ed i suoi alleati, venne a stabilire di bel nuovo a Pisa il suo quartiere generale.
Stava riunendo un immenso esercito per conquistare il regno di Napoli, quando, in una
dell.' sue spedizioni, morì quasi improvvisamente nel 1313 a Buonconvento, presso Siena.
Secondo le sue ultime disposizioni, il suo corpo fu trasportato in quella stessa Pisa,
ch'egli aveva tanto amato, e deposto nel 1315 nel mausoleo che i Pisani gli innalzarono
nel Duomo. Tale monumento, dopo aver cangiato posto parecchie volte, fu collocato
nel 1830 nel Camposanto, nel luogo ove ancor oggi si trova.
Il mausoleo è l'opera d'un abile scultore della scuola Senese, Tino di Camaino (t 1338).
L'imperatore è rappresentato disteso, coperto della dalmatica imperiale, sparsa d'aquile
a teste semplici, le braccia incrociate sul petto. I tratti ne sono fortemente risentiti:
volto imberbe piuttosto angoloso, fronte prominente. Sulla stessa fronte del sarcofago
sul qnale riposa la statua del defunto, e sotto arcate, sono scolpiti in alto rilievo i
dodici Apostoli; e un lavoro men (die mediocre, senza carattere e senz'espressione. La
parte architettonica merita un esame [(articolare, (ili ovoli, le file di perle e sin le
modanature, tutto indica a qua! punto, continuando la tradizione di Niccolò Pisano, Tino
di Camaino s'ispirò ai modelli classici.
Il mausoleo dei (Minti della Gherardesca (N.° 42, presso al muro, accanto alle ca-
tene dell'antico porto , discendenti dallo sciagurato Ugolino, e signori di Pisa al prin-
cipio del XIV secolo, darebbe una ben triste idea del talento di Tommaso Pisano, figlio
di Andrea Pisano, se tale lavoro dovesse esser attribuito a quell'artista. Nulla di piìi gros-
solano e di più incoerente delle statue clic stanno sul monumento, cioè delle figure di
Cristo, della Vergine, degli Apostoli scolpiti in bassorilievo sul basamento. Non resta pi u
nulla affatto delle gloriose conquiste dell'epoca precedente. Io sbaglio: sotto l' iscri-
ttone che comincia colle parole "Sancta Dei genitrix,, l'artista, tentò di scolpire una
d'ovoli, come Tino di Camaino aveva fatto per il monumento di Enrico VII:
ma tale è la sua inesperienza ch'egli non è neppur riuscito ;i dare a questi semplici
ornamenti la forma circolare che li caratterizza.
Ina pietra coll'iscrizione "S. Stefani de Cionis aurificis et li. suorura.,, idi Mes-
te! Stefano figlio di (Mone, orefice e (lei suoi eredi) con uno scudo con sopra un leone
ed un cinghiale, ci ricorda i valorosi orefici del secolo XIII e XIV.
PISA. -
IL CAMPOSANTI ».
Oltre a queste opere d'arte dobbiamo occuparci un po' dei ricordi storici.
Tra le reliquie più interessanti che sieno esposte al Camposanto, v 'ha le famose
catene di ferro dell'antico porto di Pisa. Tolte nel 1362 dai Genovesi, date da questi
nel Li 7 7 ai Fiorentini, i più crudeli nemici dei Pisani, questi trofei rimasero sospesi
per molte generazioni nel battistero di Firenze. Nel 1X4S i Fiorentini le restituirono ai
loro antichi rivali; enei 18(30 i Genovesi da parte loro restituirono la parte delle ca-
tene ch'era rimasta in loro potere. Un'eloquente iscrizione ricorda queste lotte secolari
e questa tarda riconciliazione:
QUESTE CATENE DEL PORTO PISANO
NEL MCCCLXII
DAI GENOVESI PRESE E DONATE AI FIORENTINI
STETTERO PER SECOLI APPESE IN FIRENZE
TROFEO DIRE FRATERNE
CON SOLENNE VOTO DI QUEL COMUNE
NEL MDCCCXLVUI RESTITUITE
E PER DECRETO DEL MUNICIPIO PISANO
INFISSE NELLE MURA DI QUESTA SPLENDIDA SEDE DI TANTE GLORIE
SIANO AUGURIO D'INVITTA CONCORDIA
TRA LE CITTÀ ITALIANE
PEGNO E SEGNACOLO 1)'UN ERA NOVELLA.
Il silenzio non doveva tardar a regnare nella Scuola pisana, così viva, così fiorente,
durante il principio del Medio Evo. Lo sforzo grandioso tentato nei secoli XIII e XIV
da Niccolò. Giovanni ed Andrea Pisano, lo scultore della porta del battistero di Firenze,
aveva esaurite le forze di questa Scuola.
Nel XV secolo essa non fu in caso di prender parte ai gloriosi tentativi dei Fioren-
tini: è già molto se di tanto in tanto si trova qualche tomba o qualche basso rilievo
secondo i principi del Rinascimento, ed anche queste produzioni, del resto secondarie,
hanno per autori artisti dei dintorni di Firenze o di Carrara.
Il busto in marmo della famosa Isotta, l'amante, poi la sposa di Sigismondo Mala-
tota, tiranno di Rimini, appartiene al numero di tali prove: dà la più triste idea della
bellezza dell' originale fi tratti d'Isotta sono ancora più grotteschi che nelle medaglie)
e del talento del suo autore. Secondo me lo si attribuisce a torto a Mino da Fiesole;
i busti del maestro fiorentino sono ben diversi.
11 Rinascimento propriamente detto è a malapena rappresentato al Camposanto. Le
guide fanno un gran chiasso per uno scudo di marmo di un lavoro floscio, nel cui centro
è scolpita una testa che vorrebbero far passare per un ritratto autografo di Michelan-
gelo. Non si può negare che la fisonomia non .abbia qualche punto di rassomiglianza
con quella dello scultore fiorentino, ma è un'analogia puramente fortuita, a cui non si
può attribuire alcun' importanza.
I monumenti posteriori, sebbene firmati eoi nomi di Bartolomeo Ammanati, di Thor-
waldsen, di Bartolini, di Dupré, ecc., non ci fermeranno; se ne trovano d'uguali in molte
altre città. Ma si fa fatica a togliersi da quegli innumerevoli epitaffi, appartenenti a
cittadini di tutte le parti del mondo, e ultime vestigia d'esistenze brillanti, di nobili
sforzi, di lotte accanite; pare che qui non riposino che nature elette. Quanti morti di
cui si vorrebbe sapere la storia, illustri abitanti della tranquilla città di Pisa, ospiti
Firenze e la Toscana. 5
34
FIRENZE E LA TOSCANA.
stranieri venuti a eercare un supremo asilo sulle rive dell'Arno ! Innanzi a questi blasoni
sbiaditi, a queste iscrizioni quasi cancellate ci sentiamo assaliti da un'ardente curiosità.
Poter conoscere la biografia di tutti gli abitatori del Camposanto ! qual romanzo com-
movente! E non ci sarà dunque in tutta Pisa, ove l'ozio non manca, qualcuno che vorrà
assumersi quest'opera pietosa?
Tentiamo almeno di salvare dall'oblìo i nomi di qualcuno tra coloro che dormono
così lontano dalla patria, in questo suolo ospitale. Presso alla statua dell' Inconsolàbile,
scolpita dal Bartolini, una lastra di marmo bianco ci rivela le gesta d'un capitano di
Strasburgo — " Mattheus Argentinas teutonicus macchinarum belli magister et dux „ ■ —
ucciso nel 1506, difendendo i baluardi di Pisa, e nello stesso tempo ci ricorda tante
lotte eroiche, e questo assedio di quasi quin-
dici anni che mise fine all'indipendenza e
alla prosperità della vecchia città ghibellina.
Più lontano riposa Achille Guibert di
Chavigny, moschettiere del re, morto a Pisa
nel 1684, a soli ventisei anni.
Poi c' è uno dei nostri contemporanei,
Giovanni Dumas di Lione, che dotò la città
di Pisa dell'industria dei tessuti di cotone :
" — A Giovanni Dumas Lionese, quindici
anni dopo la sua morte, Perchè nella sua
memoria si onori il benemerito cittadino che,
straniero a questa provincia, come patria
adottiva la predilesse, e dell'arte dei tessuti
in cotone solertissimo iniziatore, le aprì sor-
gente inestimabile, nuova, di operosità e di
ricchezza: nato 1764, morì 1857. — Suo
figlio Augusto eresse. Cav. prof. Orosi
scrisse. „
Con questi ricordi d' un carattere più
intimo si alternano i titoli di gloria del-
l'Italia contemporanea; il busto di Cavour;
le lapidi poste in onore degli Italiani morti
nel 1848, 1859, 1860, 1861 e 1866 nelle
guerre dell' indipendenza.
Non abbandoniamo questo mondo di ricordi senza un ricordo alla Catalani. La fa-
mosa cantante, morta a Parigi nel 1849, riposa sotto un suntuoso mausoleo, ornato
di tre statue di marmo scolpite dal Costoli. Un'eroina di teatro, unita ai sovrani, ai
grandi cittadini, agli illustri sapienti, ecco un bell'esempio della tolleranza degli Italiani,
e quasi un ultimo riflesso di quei bei principi del Rinascimento, a cui devono la parte
migliore della loro civiltà !
L'Inconsolabile (IH Camposanto, del Bartolini.
Si connette ordinariamente il nome d' Orcagna alla decorazione del Camposanto, e
in particolare all'esecuzione- del famoso Trionfo della Morte, e del Giudizio Finale.
invece nulla di meno certo della cooperazione del maestro in queste pitture. Perciò mi
Limiterò a notare che se non sono sue sono concepite nel suo stile e degne del suo
pennello,
PISA. - IL CAMPOSANTO.
Il Camposanto era fatto per tentare i pittori storici. Non esiste in tutta Italia un
luogo più appropriato alle esigenze della pittura monumentale: da un lato delle vaste
pareti ben unite; dall'altro delle aperture dalle quali la luce entra a torrenti. Così i
Pisani cominciarono ben presto, verso la fine del XIII secolo, ad occuparsi dell'abbelli-
mento di quest'immensa superficie; il lavoro continuò con molte interruzioni sino alla fine
del XV secolo. Quando Benozzo Gozzoli vi dette l'ultima mano erano scoisi circa, due-
cento anni dacché il monumento aveva avuto la sua prima pennellata.
Oltre al nome d Orcagna, quelli di Giotto e di Buffalmacco passarono per lungo tempo
come inseparabili dagli affreschi del Camposanto. Ma questi due nomi devono essere scin-
tati. In ciò che concerne specialmente la storia di Giobbe, attribuita a Giotto oggi si am-
mette ch'essa fu eseguita solo verso il 1370 da un certo Francesco da Volterra.
Veniamo agli affreschi che a torto od a ragione si attribuiscono ad Orcagna.
Il più celebre tra essi è il Trionfo della Morte. Questa grande composizione, in cui
l'autore sembra abbia messo a bella posta in non cale le regole più elementari dell'unità
di luogo e dell'unità d'azione,
si divide in cinque quadri as-
solutamente distinti gli uni da-
gli altri; sebbene sovrapposti
nella stessa cornice.
A sinistra al primo piano,
l' illustrazione classica della
leggenda così popolare nel
medio evo, detta Dei tre morti
e dei tre vivi.
Una cavalcata brillante —
gentiluomini e dame ricca-
mente vestiti, con falchi in
mano e accompagnati da do-
mestici e da cani — ritorna
da una partita di caccia; ad
un tratto la sua attenzione è
attratta da un orribile spettacolo: sotto le zampe dei cavalli appaiono tre bare aperte con-
tenenti la prima un cadavere ancor vestito ; la seconda un cadavere in decomposizione :
la terza uno scheletro :
"Et dans ces grands tombeanx où leurs àmes hautaines
" Font encore les vaines
"Hs sont mangés de vers.
" (Malherbe),,
Per uno strano caso l'oro della corona posta sul capo d' uno dei reali cadaveri è
scomparso: solo il contorno e quasi l'ombra della corona è ancora visibile nell'affresco.
Fra questi orribili avanzi strisciano serpi : le une si rizzano fischiando verso i visi-
tatori, le altre fuggono.
I cavalieri sono titubanti fra la curiosità ed il disgusto. Curvi sul collo delle loro
cavalcature, contemplano, lasciando libero corso ai sentimenti più diversi, quelle prove
eloquenti della vanità delle cose di quaggiù; l'uno si tura il naso, gesto che oggi sem-
brerebbe triviale, ma che i naturalisti del XIV secolo, cominciando da Giotto, nella
11 Giudizio finale del Camposanto.
36
FIRENZE E LA TOSCANA.
Risurrezione di Lazzaro, ammettevano senza scrupolo. Una dama, mesta e dolente, appog-
gia il volto sulla mano; un terzo si volge verso i suoi compagni, e indicando loro col dito
le bare sembra voler commentare quella scena lugubre. Gli animali condividono i sen-
timenti dei loro padroni : un cavallo, allungando il collo ed abbassando la testa, nitrisce,
sentendo l'odore dei cadaveri; un altro si volta inquieto; un terzo s'impenna; i cani tra-
discono la loro inquietudine, o la loro curiosità con vivacità uguale.
Però, dall' altra parte delle bare, un eremita ritto in piedi esorta i visitatori alla
penitenza. Questo personaggio serve di transizione tra la cavalcata ed altri eremiti
ritirati nella montagna del fondo, ove, lungi dalle vanità del mondo, accudiscono tran-
quilli alle loro occupazioni; uno munge una capra, l'altro legge, un terzo ascolta, appog-
II Trionfo della Morte (frammento).
giato alle stampelle. Per cornice, uno di quegli ingrati paesaggi rocciosi, troppo frequenti
nei Primitivi, senza lontananze, senza orizzonte. Cosi com'è, tale paesaggio ha servito
di prototipo alla famosa messa in scena del Faust di Goethe (verso óu e seg.).
Nel gruppo degli infelici che implorano la morte, senza ottenere uno sguardo dalla
capricciosa Dea, cosi pronta ad occuparsi di coloro che non pensano ad essa, e che la
temono, l'artista ha esaurito tutte le immagini della bruttezza e della sofferenza: non si
vedono che storpi carponi, paralitici, incapaci di muoversi, e ciechi in attesa rassegnata.
L'arte non ha piìi nulla a vedere in simili rappresentazioni; la religione stessanoli
saprebbe felicitarsi nel produrre l'edificazione al prezzo di tali provvedimenti.
Innanzi al gruppo degli infermi e degli storpi, il suolo è seminato di cadaveri;
uomini e donne, riccamente vestiti la maggior parte, sono stesi lividi, inanimati;
l'ISA. - IL CAMPOSANTO.
La loro anima s'invola sotto forma di bimbi nudi, simbolo clic si mantenne in certe
scuole, come è noto, sino al principio del XVI secolo. I mostri che si librano sopra
loro, e che cercano impadronirsi di tali anime sciagurate, sono più brutti che terribili.
Come quelli della Tentazione ili Sant'Antonio del pittore incisore alsaziano Martino
Schoen, oppure di Giacomo Callot, essi sono composti di membri tolti alle diverse parti
del regno animale, ali di pipistrelli, artigli d'avoltoio, e zanne di leone.
Presso a tali scene di carneficina, e a tali orribili mostri, si svolge un idillio, pieno
di grazia e di poesia. In un boschetto d'aranci è riunita una società di giovani d'ambo
i sessi; gli uni suonano qualche strumento, altri parlano, altri passeggiano. Due di
J] Trionfo della Morte (frammento).
questi tengono in mano un falco, come a Firenze nella "Cappella degli Spagnuoli,,; così
pure si vede un cagnolino sulle ginocchia d'una delle dame. Sulle loro teste si librano
due amorini precisamente come nel Trionfo di Galatea di Rafael lo, radiante visione del-
l'antichità. Questo idillio, cosi presso al Trionfo tirila Morie, non ricorda forse il pream-
bolo del Decamerone dèi Boccaccio? Sembra vedere i giovani e le dame, rifugiati sulle
deliziose alture di Fiesole, discutere serenamente le questioni le meno serie, mentre il
flagello, la peste terribile del 1348, strazia la città posta ai piedi della montagna. 11
contrasto non è meno commovente.
I n critico ingegnoso, Hettner, tentò collegare questa scena, come quella della Cap-
pella degli Spagnoli, al Commento di San Tommaso d'Aquino sul (.'antico dei Cantici.
Ma è certo, qualunque sia l'influenza che l'autore della Somma ha esercitato sull'arte del
38
FIRENZE E LA TOSCANA.
suo tempo, che l'artista qui ha seguito la sua ispirazione, senza preoccuparsi di teologia.
Sappiamogliene grado.
Il Trionfo della Morte è una di «lucile pagine che s'impongono a forza di brutalità,
e innanzi a cui la critica si trova disarmata. Sarebbe ingiusto applicare le regole del-
l'estetica in corso, ad un'opera in cui l'autore, sfidando ogni tradizione ed ogni pre-
giudizio, è riuscito ad esprimere nel linguaggio più scorretto, ma eziandio più effi-
cace, alcune idee riguardanti il problema dell'esistenza umana. Di stile, nessuna traccia;
le qualità latenti, senza cui l'artista può venir accusato di sagrificare la forma all'idea,
mancano; il modello è sommario, i tratti poveri o grossolani, i panneggiamenti disordi-
nati, il colorito rozzo e crudo. In una parola, nulla ci rivela la mano di uno di quei
maestri innamorati della grand'arte, Giotto, Giottino, Simone Martini, i pittori della Cap-
pella degli Spagnoli. Abbiamo innanzi a noi qualche briaco selvaggio, sublime nell'ec-
cesso del suo ardire.
Ancora un'osservazione su tale composizione tanto importante : Come Niccolò e Gio-
vanni Pisano, il pittore anonimo non potè togliersi all'influenza degli antichi modelli che
popolano Pisa. I due genii volanti sono imitati, secondo Dobbert, un dotto — da uno dei
sarcofaghi del Camposanto (Lasinio, pi. CXLI); i genii colla fiaccola provengono da un
altro sarcofago (Lasinio, pi. XXV); e cosi dicasi del mostro colla falce; ne troviamo il
prototipo nel sarcofago LXOT.
L'Inferno, attribuito a Nardo, il fratello d'Orcagna, è tutto reminiscenze dantesche;
sebbene la dipendenza del pittore dal poeta, sia meno completa che nell'Inferno dipinto
a Firenze, nella chiesa di Santa Maria Novella. Ma non è questo il maggior rimpro-
vero che mi permetto di rivolgere all'autore: colla sua imperfetta cognizione dell'ana-
tomia , egli si è dedicato al corpo nudo (nel Paradiso le persone sono raffigurate ve-
stito, e così s'è esposto a tutta una serie di errori. Egli non ha del resto, nulla ri-
sparmiato per non irritare i nostri sguardi e i nostri nervi. I supplizi così vari e così
raffinati, invenzione d'un secolo, in cui la vita umana era calcolata così poco, si spie-
gano a noi dinanzi , in tutto il loro orrore : infelici divorati da serpenti, o che si di-
vorano fra loro; altri urlanti in mezzo alle fiamme; altri ancora spasimanti dal dolore,
coi visceri strappati. Qui una donna a cui un demonio verde strappa i denti colle tenaglie,
là un uomo allo spiedo, che si fa arrostire come un pollo, e dei demonii sotto forma
di gatti, o dannati colla propria testa in mano, come san Dionigi (coll'iscrizionc Ariano
I/eretico o Simoniaci)] i piìi miti di tali supplizi sono quelli tolti all'antichità: per esempio,
l'uomo che colle mani legate dietro la schiena, e posto innanzi ad una tavola imbandita,
prova tutte le pene di Tantalo. Con quale energia le passioni selvaggie dell'epoca si
riflettono nelle serene regioni dell'arte!
Simili spettacoli sono adatti alla pittura? Michelangelo li ha sublimemente consa-
crati nel Giudizio Universale della Cappella Sistina. Per conto mio, ritengo che il poeta
latino abbia avuto ragione, allorché disse che la nostra vista è più dilicata del nostro
udito, e che un racconto o una descrizione colpisce meno il nostro orecchio, che non
colpisca un quadro i nostri sguardi: " Segnius irritant animos.... „
11 Giudizio Universale offre più unità del Trionfo della Morte e non gli è punto
inferiore per potenza drammatica. 11 raccoglimento, gli slanci d'ammirazione, o l'estasi
degli eletti formano un eloquente contrasto col terrore, la disperazione, l'umiliazione che
si scorgono nei lineamenti dei peccatori. Da Giotto in poi la pittura non avea piii
trovato degli accenti così forti e così veementi !
l'ISA . - II. CAMPOSANTO.
39
E quale tenerezza non pose l'artista nella figura della Vergine abbellita <la una
di quelle aureole in forma di mandorle! Inveee Cristo, elie alza la destra pieno di
sdegno quasi per fulminare i dannati, è il vero precursore del Cristo posto da .Mi-
chelangelo nel Giudizio Finale della Cappella Sistina. Questa composizione ha d'altronde
conservato molte formule convenzionali. Così i personaggi sono di figura disuguale, in
ragione della loro importanza. Cristo è molto più grande degli Apostoli; alla lor volta
questi sono più grandi degli eletti e dei dannati. 1 tipi si prestano ugualmente alla cri-
tica: le donne non sono punto graziose, si vede in esse la mascella prominente che ca-
ratterizza l'arte di Giotto; ed il collo qualche volta pare un gozzo.
La storia di San Raineri e la storia dì (j'whbe, che fanno seguito al Giudizio Univer-
sale, sono dovute ai pittori Andrea da Firenze (1377), Antonio Veneziano (1388-1386) e
Francesco da Volterra (dal 1370 in poi).
Il muro di fondo, corrispondente alla Cappella di San Gerolamo, è coperto di af-
freschi che rappresentano Y Ascensione, la Risurrezione, e la Crocifissione. Questi af-
freschi , per giunta , tagliati a metà da due tombe, sono al disotto del mediocre : teste
calve o grigie, mani e piedi deformi, disposizione antidecorativa: quanti difetti!
Dopo una lunga interruzione, i Pisani decisero nel 14G9 di terminare colla parete
dirimpetto all'entrata, la decorazione pittorica del Camposanto. Essi non potevano essere
mi glio ispirati che dirigendosi al fiorentino Benozzo Gozzoli (nato nel 1420, morto
nel 1498): era nello stesso tempo un poeta gentile che sapeva creare le più simpatiche
figure, ed un parlatore d'inesauribile vena. Non mostrarono minor perspicacia incarican-
dolo d'illustrare le scene dell'antico Testamento, dalla storia di Noè e d' Abramo fin a
Giacobbe, Giuseppe, Mose, Davide e Salomone. 1 ' Nessun tema conveniva meglio ad
un'immaginazione così brillante. Durante dodici anni Benozzo si dedicò a questo la-
voro, l'innovellandosi continuamente, prodigando i motivi pittoreschi ed i freschi idilli,
ch'egli alternava con scene più gravi : episodi di battaglie, auguste assemblee.
La tenerezza o l'effusione non escludevano i tratti di spirito ; tra questi il più popolare da
lungo tempo è la Vergognosa che si copre gli occhi colle mani allargando però le dita, per
contemplare a suo agio e senz'arrossire lo spettacolo poco edificante dell'ebbrezza di Noè.
La costruzione della Torre di Babele — • per prendere un esempio tra altri venti — ci
mostra da una parte un ricco paesaggio chiaro e minuto come quelli dei dintorni di
Firenze, invece d'esser trattato a grandi masse come quelli della Campagna romana;
dall'altra, l'abbagliante Babilonia coi suoi fantastici edilizi degni delle Mille e una Notte,
le cupole, i campanili, le Piramidi, la Colonna trionfale, terminata da un globo con una
Statua dorata. Nel centro, un gruppo d'operai, muratori, scalpellini, gli uni che rimenano
la calce, gli altri che la trasportano in grandi secchie di legno; poi quelli che alzano le
pietre sulle impalcature, e quelli che le mettono a posto. Quale attività! quale slancio!
Parrebbe di essere alla Corte d'uno di quegli entusiasti costruttori che si chiamano Nic-
colò V, Alfonso d'Aragona, o Federico d'Urbino! E nello stesso tempo quanti dettagli
pittoreschi, graziosi! Degli atteggiamenti così naturali, delle pose così ardite e sicure!
Alle estremità, a destra ed a sinistra, una riunione imponente se non solenne, vecchi
l ) Sventuratamente parecchie composizioni furono per tre quarti distrutte, e si è obbligati a studiarle nelle inci-
sioni antiche più o meno infedeli, specialmente nelle tavole gigantesche pubblicate nel 1810 da Lasinio. Nel 1882 si
procedette ad una pulizia generale consistente nel lavare ogni affresco coll'acqua fredda, così da levarne la polvere
lenza toccare il fondo della pittura.
40
FIRENZE E LA TOSCANA.
gravi, adolescenti dalla figura slanciata, dal contegno or fiero, or timido. Fanciulli dai
capelli biondi, d'una freschezza adorabile, gli uni che guardano tranquillamente gli operai,
gli altri che chiacchierano tra di loro!
Quale è in complesso il segreto di questo mago? Consiste nel narrarci la storia del suo
tempo, col pretesto di raccontarci la storia del popolo d'Israele ! La Bibbia qui non è che
un pretesto; nel costume più o meno fantastico degli antichi ebrei o dei cristiani della
Chiesa primitiva, vivono ed agiscono i contemporanei dell'artista, colle loro preoccupazioni,
i loro desiderii, non oso dire le loro passioni, giacche in tutta l'opera di questo simpatico
maestro non- c'è posto che per i sentimenti più sereni e non per il dramma e pel dolore!
La costruzione della Torre tli Babele (frammento di Benozzo Gozzoli).
La critica si mostrò talora severa verso il grande artista. I signori Crowe e Ca-
valcasene, specialmente, gli hanno rimproverato la monotonia dei suoi tipi, i suoi volti
a lama di rasoio, i suoi menti troppo bassi, la durezza del colorito. Per me, io in-
tendo che bisogna avere dei tesori d'indulgenza per un simile mago, che, rinunciando
a far progredire la prospettiva o l'anatomia, o a perfezionare la figura umana, s'è tutto
dedicato a far prevalere i diritti della poesia e dell' immaginazione. Molti altri Fio-
rentini hanno tentato la soluzione dei problemi tecnici perchè uno almeno tra i loro
concittadini fosse autorizzato a pagare un tributo ai bisogni, troppo spesso sacrificati,
dello spirito e del cuore. Accanto agli stilisti ci dev'esser posto per i poeti.
L'Opera del Duomo, di cui parlai nell'occasione della spedizione di Carlo Vili, merita
una visitai
PISA. - II. CAMPOSANTO. 41
L'aspetto del pianterreno promette poco; vi si scorge un disordine tutt'altro che pitto-
resco: il "vestiario dei canonici,, accanto alla "scuola di musica,,, e al " magazzino della
cera ... 11 tutto alterato da restauri di pessimo gusto. Ma passiamo sopra a questi particolari.
<'iassi. l'autore della Descrizione storica ed urtisi ini di Pisa, pubblicata nel 1836-1837,
vanta con enfasi le pitture dell' interno: la vòlta dipinta al pianterreno da Stefano
Maru scelli, un Snido dovuto al pennello di Salvator Uosa, una Madonna di Perino
del Vaga, un San Nicola da Bari di Curradi, due Apostoli di Sogliani, un Sant'An-
tonio di Padova e un San Filippo Neri di Piero da Cortona, e così via! — Tali
pitture più o meno banali, più o meno restaurate non ci tratterranno piìi delle Ma-
donne o dei Cristi in croce del Medio Evo. esposti nelle sale del primo piano: vi si
La fabbrica della Torre <li Babele (frammento di Benozzo GozzoliJ (Camposanto!
cercherebbe invano la nota vibrante, senza cui tali produzioni sono semplici oggetti di
divozione e non già opere d'arte. Invece io raccomando al visitatore dei frammenti che
le viride hanno omesso; e prima di tutto un affresco rappresentante una giovinetta
vestita d'azzurro con una sciarpa ondeggiante e un canestro di frutta sul capo: sog-
getto grazioso e che rivela incontestabilmente la mano di Benozzo Gozzoli. Donde viene
questo frammento? Quando fu portato qui? Mi si afferma che fu staeeato una ventina
d'anni addietro dalla Stanza della Fraternità.
Questa sala del primo piano, ove pranzò Carlo Vili, ha ancora il suo vecchio sof-
fitto di legno, a travi apparenti, altre volte ornate di pitture. La fascia ad affresco
ricorda quelle delle composizioni di Benozzo Gozzoli nel Camposanto ; vi si vedi-
del fogliame e dei bimbi che tengono dei medaglioni su cui stanno figure a mezzo
Firenze e la Toxiana. . 6
42
FJRENZE E LA TOSCANA.
corpo. L' illustre pit-
tore fiorentino avrà for-
se occultato in questo
lavori» gli ozii dei suoi
ultimi anni.
Più lungi, sopra
una porta, un'iscrizione
ricorda eh d'imperatore
Carlo IV ed il re Car-
lo Vili hanno dormito,
" in hoc cuhiculo ,,. Il
principio di questo te-
sto è caratteristico as-
sai : " Sonino et quieti
sacrum „, consacrato al
sonno ed al riposo. Non si direbbe che la città di Pisa abbia voluto dipingersi in
queste tre parole?
Frammento d'uno do
miracoli di san Raniero.
V.
La città dei morti. — Un po' di statistica. — Chiese e palazzi. — I cavalieri di Santo Stetano.
La torre della fame. — L'università e l'accademia.
Dopo lo studio dei capolavori monumentali riuniti sulla piazza del duomo, riesce diffi-
cile l'interessarsi alle altre rarità di Pisa; cioè una ventina di chiese, la maggior parte
antichissime, e una mezza dozzina di palazzi, interessanti più per le loro memorie stori-
che, che per la loro magnificenza. Ma il nostro compito di cicerone c'impone lo stretto
dovere di descrivere monumenti , che in un' altra città occuperebbero un posto impor-
tantissimo. Gettiamo dapprima uno sguardo sulla città stessa, teatro di tante lotte, di
tante imprese da venticinque o trenta secoli.
Pisa venne totalmente trasformata non solo dai tempi antichi , ma anche dopo il
Medio Evo. Lungo questo vasto quadrilatero, delle mura, in piccolo materiale, alte circa
otto metri, senza fossato, uè spalto, talora persino fiancheggiate di selciato, hanno preso
il posto delle antiche fortificazioni, cominciate nel 1152; solo i loro merli — merli di
parata — vi conservano un po' di carattere.
Nessuna irregolarità di terreno, nò salite, uè discese; appena di tanto in tanto un
bastione cadente in rovina. Delle venti porte dell'antica città, ne rimangono soltanto
sci. clic sono piuttosto barriere di dazio. Quanto alla fisonomia d'altri tempi, a mala
pena la si riscontra ancora in uno o due quartieri; come ad esempio la "via del Borgo,,
e le vie vicine. Alcune arcate, sorrette da colonne monoliti, o da pilastri ottagonali,
un po' di colorito, un po' di vita, alcuni accenni indelebili della fiera Repubblica del
Medio l'Ivo, ciò ò quanto basta per fermare il viaggiatore, Più avanti, un'altra via
clic shocca sul Mercato, pure circondata da arcate, ci offre il pittoresco brulichio pro-
prio dei mercati del mezzodì : ò un miscuglio di vecchi carretti, di magro pollame, di
PISA. - LA CITTA DEI MORTI.
oscuri vicoli che mettono in una piazza tutta invasa dal sole, di magnifici Legumi, <li tipi
energici e * l i cenci. A destra ed a sinistra, viuzze che non hanno nulla da invidiare
alle più tortuose ed alle più buie di Genova? di Venezia e di Napoli.
Ma tale visita dura poco: tosto la "Via del Borgo,, si trasforma in un viale senza
colorito, e senza carattere. Gli edili moderni hanno avuto un bel tentare: ovunque, su
questo suolo classico, spunta e risplende l'antichità: nella via "del Monte,, al pian-
terreno d'una casa privata emergono, testimoni del passato, due colonne di granito, con
L' ebbrezza di Noè (frammento di JJenozzo (tozzoli) (Camposanto).
magnifici capitelli istoriati, ornati l'uno di una Flora e di Viri Abbondanza a mezzo
corpo, e di due Vittorie; il secondo d'un Giove pure a mezzo corpo, e di due altre
Vittorie. A Roma la posizione di tali colonne, il cui capitello è appena ad l m ,50 dal
suolo, proverebbe che il suolo si è rialzato; qui nelle vicinanze dell'Arno sarebbe te-
merario l'esporre una simile ipotesi.
Il resto della città si compone di strade abbastanza larghe, la maggior parte senza
marciapiede, e lastricate all'uso etrusco. Le case, pesanti, sono d'una tinta giallo-
gnola, con persiane verdi. Eanno un aspetto sonnolento, non iscrizioni, ne date, ne
44
FIRENZE E LA TOSCANA.
stemmi, che le distinguano, e che aiutino la memoria dello straniero. Pochi negozi e
anche questi miseramente provveduti (ricordo la profusione degl'orribili lavori in ala-
bastro di Volterra, riproduzioni di statue o di celebri edifizì) ; gente ancor meno : l'erba
cresce liberamente, cosicché qualche via potrebbe servire di pascolo, degno riscontro ai
riunii della Toscana, il cui letto asciutto si ricopre d'estate e d'autunno d'una lussu-
r e ggiai 1 te vegetazi one .
Tale mancanza d'animazione, tale assopimento, tale triste silenzio possono offrire
L'ebbrezza ili Noè (frammento di lienuzzo Gozzuli) (Camposanto).
un'attrattiva di più agli occhi dei numerosi ammalati, che vengono a Pisa per cercarvi
la tranquillità oltre alla mitezza del clima: ma per la maggior parte dei viaggiatori non
tardano ad assumere le proporzioni d'un incubo; in un tale ambiente soporifieo sembra
che la noia entri per tutti i pori. Come si caratterizzò bene Pisa, concentrando ogni
sua gloria nel suo cimitero : essa, è davvero la città dei morti!
( 'urne potè trasformarsi così la, fisonomia della, città, già sì attiva e rumorosa, ed il
carattere degli abitanti, cotanto intraprendenti e pieni d'ardore? Il pensiero clic primo
ci balena alla niente, si è, di spiegare tale fenomeno col predominio dell'elemento ani-
PISA. - LA CITTÀ DEI MORTI.
45
ministrativi» e burocratico, in questo capoluogo di prefettura. Infatti, malgrado della pre-
senza d'una colonia abbastanza considerevole d'Israeliti (nel secolo passato ce n'erano
(lascia settecento), l'industria ed il commercio sono relegati nella, retroguardia, causa
l'esercito dei funzionari. Prima di tutto la prefettura con tutti i suoi uffici, poi il
tribunale civile con nove giudici, un cancelliere e quattro membri. Poi la Corte d'As-
sise e la Pretura, col loro contorno inevitabile di avvocati in numero di 63 , di cui
alcuni, è vero, risiedono a Volterra o nei dintorni, procuratori in numero di 64, cau-
sidici 6, notai 15. Un secondo gruppo si compone degli uffici del Demanio; di quello
del Registro, tlelle Ipoteche, del Catasto, delle Contribuzioni: segue poi l'Univer-
sità coi suoi (io professori, e una ven-
tina di ausiliari. Poi viene il personale
del liceo, della scuola normale, del se-
minario, dell' orfanatrofio , degli ospitali
e degli altri istituti di carità. I membri
del clero regolare e secolare formano da
soli un intero battaglione (nel 1852 si
contavano 531 religiosi e religiose; dopo
la soppressione dei conventi, la cifra —
non poteva essere diversamente ! — è
aumentata considerevolmente). Malgrado
della salubrità proverbiale del clima, la
corporazione dei medici ne conta un cen-
tinaio : 49 fra medici e chirurghi, 2 ocu-
listi, 14 farmacisti, 15 veterinari, 24 le-
vatrici.
Aggiungete l'elemento militare e ar-
riverete ad una proporzione enorme di non
combattenti, se così posso esprimermi, cioè
di uomini che non producono , non traf-
ficano, e soltanto consumano. Meno male
se l'attività intellettuale sostituisse l'at-
tività industriale o commerciale: ma in
questa città di 2li,000 abitanti, tra i quali
5 o 600 studenti, non vi sono clic 4 li-
, . ,. ... t • La a Vergognosa,, del Camposanto di Fisa, di Beriozzo Gozzuti.
tirai e o giornali o riviste, di cui uno,
l'Araldico , è una raccolta nobiliare, clic
comparisce di tanto in tanto. Nessuna pubblicazione d'archivi, come nelle altre città
italiane: le stesse monografie locali sono rare; sino a questi ultimi anni, astrazion fatta
dal Supino, si continuò a vivere coi lavori di Morrona o di Grassi.
Le cause d'una simile decadenza vanno ricercate altrove, esse sono più antiche e più
gravi. In un bel discorso, Sismondi, l'autore delle Repubbliche Italiane, le ha esposte con
eloquenza: " Pisa, dice egli, malgrado la sua decadenza, era una città, molto più popolata,
molto più importante, di Urbino, di Rimini, di Pesaro; ma Pisa, una volta soggetta ai
Fiorentini, non produsse più un sol uomo notevole nella letteratura o nella politica, men-
tre le piccole corti di Federico di Montefeltro in Urbino, di Sigismondo Malatesta a
Rimini, d'Alessandro Sforza a Pesaro, contarono ciascuna parecchi filosofi, e parecchi
letterati. ..
46
FIRENZE E LA TOSCANA.
Tale ristagno della vita pubblica, dell'attività privata e dell'intelligenza ha sin
dal secolo XVI colpito tutti i viaggiatori venuti a Pisa. Udiamo Montaigne: "Ad
eccezione dell'Arno, e della bella vista ch'esso offre attraversando la città, come pure
ad eccezione delle chiese, delle rovine antiche e dei lavori particolari, Pisa ha ben
poca eleganza e ben poca attrattiva. Essa è in certo modo deserta, e tanto per tale
solitudine, come per la forma degli edifizt, per la larghezza e la lunghezza delle
sue vie, essa rassomi-
glia molto a Pistoia.
Uno dei suoi difetti
principali consiste
nella cattiva qualità
delle sue acque, che
hanno tutte un sapore
di palude. Gli abitanti
sono poverissimi, ma
per questo però non
sono meno alteri, ne
meno intrattabili e
poco gentili cogli stra-
nieri.
" Città ben poco
popolata, sebbene vi
sia l'Università, scuo-
la di diritto e di me-
dicina, „ — tale è il
giudizio dato nel 1671
dal marchese di Sei-
gnelay. — La stessa
osservazione fa Mis-
son : " è peccato che
un sito cosi bello sia
così povero e così spo-
polato, l'erba è alta
nelle vie in diversi
punti.,, — "Mal po-
polata e quasi sol-
tanto sulle rive del
fiume; la perdita della
sua libertà, e la vi-
cinanza di Livorno ,
che non era poi pes-
Facciata della chiesa di Santa Caterina.
le fecero molto male
disse il Presidente de Prosses
simista.
"La città di Pisa,, - così si esprime l'abate Richard, — ha generalmente l'aspetto
della magnificenza, ma sembra attenda, gli abitanti che vengano a popolarla; poiché ad
eccezione delle rive su cui e' è un po' di movimento, di due o tre strade che mettono
al ponte di marmo, e che sono popolate di piccoli negozi, il resto della città è d'una
tranquillità accasciante. „
PISA. - LA CITTÀ DEI MORTI.
47
L'astronomo Lalande, che visitò Pisa nel L765-1766, non è meno categorico: "La
grandezza della città, relativamente ai «noi pochi abitanti, fa sì che appare deserta;
gl'affitti delle case sono ad un prezzo bassissimo; l'erba cresce nelle pubbliche piazze.
Non si contano — e tale argomento doveva colpire un autore del secolo scorso —
quaranta persone che abbiano equipaggio, quantunque in Italia questo sia uno dei prin-
cipali oggetti di lusso.,,
Trasformazioni dovute a una trista fatalità storica non devono impedirei di ter-
minare la nostra esplorazione. Parecchi monumenti degni d'interesse ci aspettano sul-
l'una e sull'altra riva dell'Arno.
La maggior parte delle chiese pisane della riva destra riproducono il sistema d'ar-
chi e d'arcate usato la prima volta, con tanto splendore, nel Duomo; v'è pure di rigore
l'alternarsi dei marmi bianchi e neri. Tali sono "San Paolo all'Orto, San Pierino,
Santa Maria in Borgo,,, ecc.
A " San Paolo all'Orto,, noi troviamo inoltre, sulla porta, i due leoni tradizionali. L'or-
namentazione della facciata, la cui sola parte inferiore è antica, appartiene allo stile
romanzo: i capitelli dei pilastri sono ornati di foglie d'acanto. E un edificio semplice e
senza grande rilievo.
San Pierino si distingue pel suo pavimento "opus alexandrinum „, ad imitazione
dei tappeti orientali, e per le sue colonne (antiche) di marmo bianco di dimensioni dis-
ugnali, coi capitelli variati.
A "Santa Maria in Borgo,, la facciata, d'una grande semplicità, ci mostra nella
parte superiore gallerie ogivali, attribuite da lungo tempo a Niccolò Pisano, ma che gli
autori del Cicerone ascrivono a Fra Guglielmo, l'eminente allievo di Niccolò, architetto
e scultore ad un tempo come lui. Noi ritroviamo su questa facciata le teste scolpite al
disopra dei capitelli.
Nella chiesa di Santa Caterina (XIII secolo), costruzione attribuita allo stesso Fra
Guglielmo, la tradizione pisana si collega con maggior fermezza alle invenzioni dello
>rile gotico. La facciata in marmo bianco, come d'ordinario, con striscio di marmo nero,
ci mostra al basso le solite arcate centinate; il primo piano è composto d'archi trilobati,
sostenuti da colonne; sui capitelli le eterne teste di marmo. Lo stesso sistema d'archi trilo-
bati tei mina la facciata. L'interno, sebbene semplicissimo (si compone d'una sola navata,
senza cappelle), sebbene molto ritoccato nei secoli XVI e XVII, contiene qualche opera
d'arte interessante. Prima di tutto la tomba dell'arcivescovo Santarelli (I 1342), opera di
Nino Pisano, il figlio di Andrea Pisano. Il monumento è composto con gusto; vi si scorge,
oltre alle colonnette, il soggetto cosi grandioso degli angeli che rialzano una cortina, dietro
cui riposa la statua del defunto. Questa forse, come la maggior parte delle opere di Nino,
manca di qualità trascendentali. Due statue policrome poste sopra un altare, la Vergine
e V Angiolo Gabriele, entrambe buonissime, rivelano la mano dello stesso artista.
Ben diversamente celebre è il quadro di Francesco Traini (verso il 13-40) posto presso
il pulpito, dal quale si dice abbia insegnato san Tommaso: il Trionfo di san Tommaso
d'Aquino, collo sfortunato Averroe, oggetto di tanti sarcasmi, gettato sotto i piedi del
Santo. Nel suo Averroe e l'Averroismo Renan fece un'analisi curiosa di cotesta pagina.
Aggiungerò che le teste un po' rotonde sono d'un disegno corretto, e la composizione
duna gran purezza. Peccato che la pittura, sia così affumicata!^
l > Il seminario ed il museo civico posseggono altre Scene della Vita ili san Domenico, ugualmente dipinte da Traini
per la chiesa di Santa Caterina (vedi il catalogo del Supino. N." HI).
48
FIRENZE E LA TOSCANA.
La chiesa di San Francesco eretta nel 1211, occupata oggi dall'artiglieria e
chiusa al pubblico, non conservò altro d'interessante che il suo campanile di mattoni,
con colonnette di marmo nei vani delle sue finestre ogivali. La facciata, rinnovata
nel 1603, può essere considerata come se più non esistesse. In quanto al chiostro —
molto vasto dal XVI al XVII secolo, esso non si distingue che per il bel cipresso
piantato nel mezzo, e per un completo abbandono. Sui muri di questo chiostro sono in-
castrate lapidi moderne funerarie. Nel fondo, una di quelle pitture d' illusione, predilette
dagli Italiani , una scala che v' invita a salire. Ebbi la sfortuna d' intraprendere lo
studio di questa chiesa una domenica, giorno triste a Pisa, come a Londra: suonai a
tutti gli usci per farmi aprire, perchè mi avevano avvertito dell' esistenza di atfreschi
di Taddeo di Bartolo, di Barnaba da Modena, di Taddeo Gaddi, di Germi: fatica spre-
cata; i custodi dormivano ancora più profondamente che durante la settimana; dovetti
battere in ritirata , senza penetrare nell' interno , e andai più oltre per rinnovare lo
stesso tentativo. 1}
La "Piazza dei Cavalieri,, cioè dei cavalieri di Santo Stefano, è l'unica in questa
città, così vecchia, che ricordi il Rinascimento nel suo declinare. Ad onta della sua sem-
plicità, la facciata del vecchio palazzo dell'ordine della Carovana, edificato dal Vasari
fra il 15G1 e il 15G4, ha ancora un grande aspetto, col suo tetto prominente, i suoi stemmi
agli angoli, le sue nicchie contenenti su mensole i busti dei sei primi grandi maestri, co'
suoi resti di "graffiti,,; specie di affreschi cotanto decorativi, tra i quali si distinguono
ancora rabeschi, trofei e figure in piccole dimensioni. Oggi questo antico seminario, mezzo
militare, mezzo religioso, serve di asilo alla R. Scuola Nonnaie Superiore.
La chiesa adiacente si distingue per una facciata piuttosto pretenziosa, terminata
alla fine del XVI secolo. Nell'interno, alcuni trofei conquistati ai Turchi dai Cavalieri di
Santo Stefano ed alcuni quadri rappresentanti i loro principali fatti d'armi. L'ordine mili-
tare di Santo Stefano (papa e martire) fu istituito nel 15G1 da Cosimo I, per difendere le co-
ste della Toscana dalle scorrerie dei corsari. Come negli ordini consimili, le sue reclute
si facevano quasi esclusivamente tra i nobili; tuttavia il celibato non vi era obbligatorio.
Se i suoi annali non abbondano di fatti gloriosi, come quelli dei cavalieri di Malta e di
Rodi, per lo meno quest'ultimo venuto tra le milizie consacrate, si distinse tosto per le
sue ricchezze (allorché il governo francese lo soppresse, il suo patrimonio si elevava a
quattro milioni settemila settecentottantaquatt.ro "scudi,, una ventina di milioni). L'ordine,
o "religione,, di Santo Stefano, comprendeva, oltre al gran Maestro, un gran Connesta-
bile, un gran Priore, un gran Cancelliere, un gran Conservatore ed un gran Tesoriere.
Fino alla metà del secolo scorso esso mantenne due fregate. I capitoli generali avevano
luogo ogni tre anni. Più di ottocento persone, tanto in Italia che altrove, portavano allora
il titolo e la croce di cavaliere (l'abito di cerimonia si componeva d'un abito nero, con
una gran croce rossa ad otto punte, una croce rigata d'oro smaltata, colla figura di
Santo Stefano nel mezzo, e di un cordone rosso). Ma, — aggiunge l'abate Richard, da
cui tolgo questi particolari, — non ve ne sono che pochissimi che si obblighino a fare
le Carovane ed altri esercizi stabiliti, per giungere alle dignità ed ai benefizi dell'ordine.
Soppressi nel L809, tali canonicati militari vennero ristabiliti nel 1817, per sparire
definitivamente nel L859. All'archivio di Stato, una grandissima sala è destinata ai loro
scartafacci.
l ) Oggi nel convento ili San Francesco c'è il Museo di pittura.
PISA. - LA CITTÌ DEI MORTI. I!)
Innanzi alla Carovana s'innalza la .statua di Cosimo I, il fondatore dell'ordine: ar-
mato <la capo a piedi, ad eccezione della testa die è nuda, con un mantello gettato sopra
una spalla, il piede destro appoggiato sopra un delfino, il primo granduca di Toscana
ha un atteggiamento ancora piìi stentato del suo successore Ferdinando, india statua
del Lungarno ( vedi pag. 52).
Così, secondo noi. sarebbe fare troppo onore a tale opera pretenziosa attribuendone
il pensiero a Gianbologna; l'invenzione come pure l'esecuzione devono attribuirsi esclu-
sivamente al mediocre allievo Piero di Francavi Ila.
Sulla ''Piazza dei Cavalieri,,, nel punto in cui s'innalza oggi il bizzarro palazzo
11 palazzo della ■•Carovana...
dell'orologio, col suo centro rientrante come un V a rovescio, ed i suoi graffiti, si ergeva
per l' addietro la famosa "Torre della Fame,,, la Torre d'Ugolino. Tale orribile testi-
monianza della barbarie del Medio Evo è scomparsa nel 15G5, in occasione dei lavori
intrapresi, dietro ordine di Cosimo I, per l'installazione dei cavalieri di Santo Stefano. Non
ne resta altro ricordo che il commovente racconto di Dante. ])
n "Tu dei saper ch'io fui'l conti; Ugolino Che per l'effetto dei suoi ma' pensieri
E questi l'arcivescovo Ruggeri; Fidandomi di lui io fossi preso
Or ti dirò perdi' i son tal vicino. E poscia morto, dir non è mestieri.
Perà quel che non puoi aver inteso....,,
E passo oltre sul racconto del dramma orribile. Ma innanzi allo spettacolo delle rovine accumulate dalle lotte
fratricide, e giocoforza ripetere l'eloquente invettiva del poeta:
"Ah! Pisa, vituperio delle genti Del bel paese là, (love il sì suona, ecc.,,
Firenze e la Toscana. 7
50
FIRENZE E LA TOSCANA.
L'Università è situata in via San Frediano, in un edilìzio vasto, ma di poca appa-
renza. Si entra in un chiostro del Rinascimento, adorno, all'altezza del primo piano,
di una loggia aperta, le cui colonne vanno direttamente al tetto. Su tre delle pareti ,
lo "stemma,, dei Medici; .sulla quarta, un'iscrizione in onore di Vittorio Emanuele.
Osserviamo, a questo proposito, le iniziali S. P. Q. P. che Pisa ebbe l'audacia d'op-
porre al " Senatus Populusque Romanus „ della città eterna. Nel centro, la statua di Ga-
lileo, eretta nel 1839.
La biblioteca, ricca di centomila volumi, si trova al primo piano; essa occupa una
ventina di sale piuttosto modeste. La collezione Carrara, detta così dal nome del do-
mi tore, forma un fondo speciale, composto principalmente d'opere legali. Le riviste e i
giornali sono circa centoquaranta (tra i quali molti esteri), ciò die forma un bel numero
per una città italiana di secondo ordine. Osservo, in fretta, esposta in vetrina, una let-
tera di Galileo. Gli archivi dell'Università si trovano in una loggia aperta, senza comu-
nicazione col piano superiore: in questo si entra per mezzo d'un ponte che lo riunisce
ad una casa vicina.
Oltre alla biblioteca, l'Università offre agli studenti collezioni numerose ed impor-
tanti, un giardino botanico, il giardino dei "Semplici,,, celebre nel tempo in cui inte-
ressava la conoscenza dei semplici, un Museo di storia naturale, laboratori!.
L'Università, o " Sapienza „, oppure "Studio pubblico Pisano,,, è la principale isti-
tuzione di tal genere in Toscana (Firenze si contentò d'un Istituto di studi superiori).
Fondata nel XII secolo, riorganizzata nel 1343 da papa Clemente VI, ristabilita nel
1472 da Lorenzo il Magnifico, la "Sapienza,, doveva, secondo il pensiero del Medici
e dei suoi successori, rinnovare l'attività intellettuale dei Pisani, e dar loro la scienza
in cambio della libertà. Illustri professori vi hanno insegnato in epoche diverse :
nel XIV secolo essa annoverò il giureconsulto Bartolo (1313-1356); nel XV, Fran-
cesco Filelfo, uno dei principi dell' umanesimo ; nel XVI , Galileo, che occupò la cat-
tedra di matematica dal 1589 al 1592; nel XVIII, Tanucci il celebre ministro di Stato
dei re di Napoli: Angelo Fabroni , l'erudito biografo di Cosimo e di Lorenzo dei Me-
dici, e molti altri. In tal epoca la "Sapienza,, contava, secondo Lalande, quarantadue
professori , fra i quali molti ecclesiastici , con assegni varianti da ottocentoquaranta a
duemila ottocento lire; essa aveva circa novantamila lire di Francia di rendita, somma
considerevole, proveniente in massima parte dalla decima ecclesiastica.
Ai giorni nostri, più d'uno tra i professori occupa un posto eminente nella scienza.
Prima di tutto A. D'Ancona, lo storico erudito della letteratura italiana. Un altro nome
ni' ha colpito : quello di Enea Piccolomini, membro dell'illustre famiglia Senese, e degno
continuatole delle tradizioni di quell'Enea Silvio Piccolomini, che dopo aver reso ce-
lebre il suo nome tra gli umanisti, seppe circondare d'uno splendore ancora più vivo il
nome di Pio II, sotto il quale egli occupò dal 1458 al 14o'4 il trono pontificio. Dopo
aver fatto scrii studi in Germania insegnò nell'ateneo il greco. Pure a Pisa s'era sta-
bilito negli ultimi suoi anni di vita Michele Amari, il venerato decano degli orienta-
listi italiani.
Oggi l'insegnamento dell'Università ha un carattere eminentemente professionale: le
alte considerazioni filosofiche e scientifiche cedono forse alcun poco il passo alle esi-
genze amministrative ed industriali dei tempi moderni. A lato del corso sul notariato,
abbiamo dei corsi speciali per gli ingegneri, gli agronomi, i veterinari. Così gli allievi
(o uditori) di lettere e di filosofia non- erano nel 1881-1882 die in numero di ven-
tisette, sopra un totale di eiii(|iiecentonovantasei allievi e uditori (la giurisprudenza ne
PISA. - LA CITTÀ DEI MORTI. ó 1
contava duecentoventinove, la medicina centoquarantasette, le scienze novanta, l'agro-
nomia quarantadue, ecc. .
Questa gioventù poco ambiziosa e poco rumorosa sembra non aver conservato le
tradizioni pittoresche, e neppure forse lo spirito di corpo.
u L'Accademia delle belle arti,, fondata da Napoleone [, non ha punto un aspetto
più monumentale dell' Università. Anche qui delle sale piuttosto piccole con finestre
sempre chiuse. I quadri non sono numerati, e l'insieme della collezione prova, come al
Camposanto, l'indifferenza del Municipio Pisano per ciò che riguarda cose d'arte. 1 Non
monta: occupiamoci del solo contenuto. I quadri a fondo d'oro, "i campi dorati... ab-
bondano : Cristo in croce. Madonne, ecc., della scuola bizantina, della scuola di Cimabue
e della scuola di Giotto. I più importanti sono gli avanzi d'un dossale d'altare di Si-
mone di Martino (1320) e il San Domenico di Traini (1345).
Benozzo Gozzoli e Domenico Ghirlandajo sono rappresentati da alcuni quadri au-
tentici, ma d'un interesse secondario; quanto al disegno di Benozzo, che l'Accademia
pretende possedere, la Regina di Suini innanzi a Solomone (all'inchiostro, lavato) esso
non è. secondo il mio debole parere, che una copia del XVI secolo dagli affreschi del
Camposanto. Il Sodoma, cosi brillantemente rappresentato nel duomo col Sacrificio di
Isacco-, ha all'Accademia una Madonna con santi, che non m' ha colpito in modo par-
ticolare
Il custode, presso cui v'è un deposito d'antichità in vendita, pronuncia con enfasi
una serie d'altri nomi illustri. Ma in realtà la collezione è delle più mediocri. Qual
supplizio l'esser costretti ad osservare tanti oggetti di nessun merito per scoprirne uno
almeno di valore, e ciò in piena Toscana, in un paese in cui si ha tutto il diritto di
mostrarsi difficili !
Un Fiammingo del XV secolo s'è perduto tra gli Italiani; un trittico, abba-
stanza grande, ci mostra Santa Caterina ritta in piedi, colla, spada, e leggendo un
libro; alle sua ginocchia un personaggio barbuto, collo scettro in mano; nel fondo
una città sulle rive dell'Escaut o della Mosa. Le imposte d'una fattura più grosso-
lana contengono la Comparsa ili Santa Caterina innanzi all'imperatore, e Lo sposa-
lizio mistico; sulla predella, il Martirio di santa Caterina; nella parte superiore, Y An-
nunciazióne.
Le tappezzerie tese nelle sale del primo piano non valgono di più. Sono Caccie
all'orso, al coniglio, ecc., probabilmente tolte dai cartoni del pesante e volgare Stradali,
un fiammingo del XVI secolo, che avrebbe fatto molto meglio restando nella sua patria
anziché cercar fortuna sino a Firenze. La trama grossolana del tessuto non ha d'altronde
nulla da invidiare a quella del disegno.
Il pittore Lorenzo Pécheux, di Lione, con cui abbiamo già stretto conoscenza al
Duomo, è rappresentato all'Accademia da un Battesimo di Lamberti di piccole dimen-
sioni: ho il dispiacere di dover rilevare che l'opera è delle piìi mediocri, per non dire
delle infime.
Allorché visitai Pisa 1' ultima volta, i corsi dell'Accademia di belle arti erano so-
spesi, e sostituiti da scuole tecniche.
') M'affretto ad aggi linieri', chi; dopo il mio ultimo viaggio la galleria detta " Museo civico „ fu posta nell'antico
convento di San Francesco, ove occupa una quindicina di sali'. Il conservatore, signor Supino, ne pubblicò nel 1804 un
eccellente catalogo.
52
FIRENZE E LA TOSCANA.
La statua colossale di Ferdinando I, scolpita nel 1595, per la piazza di San Nic-
cola, non ci farebbe soffermare .se non si trattasse d'uno scultore di nostra conoscenza,
Pietro di Francavilla. Essa ci fa vedere tale .sovrano ritto in piedi, collo scettro ap-
poggiato contro la gamba leggermente piegata, e in atto di rialzare mia donna — la
città di Pisa — inginocchiata presso a lui con due bimbi. E il lavoro più convenzio-
nale clic si possa immaginare.
Non abbandoniamo la riva destra senza ricordare sul "Lungarno Reale,, il palazzo
Lanfreducci-Upezzinghi , e più lungi il palazzo Agostini. Il primo di tali monumenti,
detto comunemente il Palazzo di marmo, fu edificato da Cosimo Pagliani nel XVI se-
colo; il valore suo principale sta nella qualità dei
materiali — gli splendidi marmi di Limi, — anziché
nel merito dell' architetto. Però, malgrado la pesan-
tezza di qualche profilo, l' insieme ha un carattere
veramente monumentale; vi si trova quella certa gran-
dezza propria ai palazzi fiorentini di quell'epoca. L'oc-
chio poi non si sazia mai dello splendore di quei
massi di marmo che offrono un bellissimo contrasto
colle imposte tinte di verde!
L' iscrizione " alla giornata „ , tracciata sotto il
balcone, diede non poco filo da torcere ai dilettanti
d'enigmi. Non significherebbe per caso: giorno per
giorno? Orazio ci dà nelle sue opere tale consiglio
circa il modo di vivere: "carpe diem,,. Noterò an-
cora lo stemma incrostato sul palazzo — un leone:
nella monotonia infinita degli edifici pisani, cotesti
emblemi sono cosi rari, che bisogna dimostrare gra-
titudine a tutti coloro che ebbero cura di risve-
gliare la nostra curiosità, sia pure col più modesto
ornamento.
Il Palazzo Agostini forma un contrasto completo
col Palazzo di Marmo; qui punto marmi, ma terra cotta,
una disposizione opportunissima a Siena, ma che non
si riesce a comprendere nelle vicinanze di Carrara. Lo
stile è quello della fine del XV secolo.
Un altro edificio ben piìi modesto, e che non attira
l'attenzione dello straniero che pel solo merito di chi vi dimorò alcuni anni, è la casa
nativa di Galileo Galilei, presso la chiesa di Sant'Andrea in Fortezza, nel fondo d'un
cortile. Nel 1HG4, in occasione del terzo centenario della nascita del grand' uomo, fu posta
sulla, sua, casa una lapide commemorativa.
Vi-
statila di Ferdinando I.
La riva sinistra, molto meno popolata della destra, è eziandio più povera di monu-
menti e di memorie. Però è da questo lato che la città tende ad estendersi ; vi si conta
un certo numero di costruzioni recenti, senza dubbio destinate ai forestieri, sempre più
numerosi; nel secolo scorso erano i Russi, oggidì sono specialmente gli Inglesi, che
fedeli alle, loro altitudini, non hanno trascurato di erigere, presso hi via Solferino, la
loro cappella anglicana.
Il Ponte di Mezzo, su cui attraversiamo l'Arno, ha la sua storia,. 'Putto di marmo.
Le catelli' dell'antico porto e la statua di Giovanni da Pisa al Camposanto.
54
FIRENZE E LA TOSCANA.
fu ricostruito nel 1660 sotto il Granduca Ferdinando II. Ivi tutti gli anni, cosi dice
l'abate Richard, si dava una finta battaglia o una giostra tra i due quartieri della
città e loro dipendenze, che arrivava ciascuno sotto la propria bandiera, e con diverse
assise. "Tale combattimento (aggiunge il viaggiatore dello scorso secolo), che non
doveva essere che un piacere, riusciva spesso funesto a parecchi combattenti che troppo
s'ostinavano a difendere il terreno che stavano per perdere; essi non potevano avere
altra arme che una specie di spadone di legno leggiero, col quale era proibito colpire
dalla parte del fendente, e che non doveva servire che per respingere il nemico e non
per ferirsi reciprocamente. „
Il primo monumento che incontriamo seguendo il corso dell'acqua è il "Palazzo
Pubblico „, sul Lungarno Galilei, e con-
tenente gli unici del telegrafo, il tribu-
nale, ecc. Ciò che ha di più rimarche-
vole è un porticato colle armi dei po-
destà del XVI e XVII secolo.
Il " Palazzo del Comune,, sul Lun-
garno Gambacorti (nome d' una celebre
famiglia pisana del Medio Evo) contiene
il Municipio, e il Reale Archivio di Stato.
Al pianterreno un portico aperto, la
" Loggia dei Bandii; al piano superiore,
ove si trova una parte dell' antico Pa-
lazzo Gambacorti, gli archivi che occu-
pano una diecina di sale a vòlta, molto
eleganti nelle loro decorazioni di gusto an-
tico, ricche di stemmi. Il commendatore
Fanfani, sovrintendente di questo ricco
deposito, vuole farmene gli onori. La col-
lezione comprende diciassettemila perga-
mene e trentamila cartelle. La storia ,
non solo di Pisa, non solo d' Italia, ma
dell'intera Europa, durante i primi secoli
del Medio Evo, sta scritta in parte su
tali carte polverose, in fondo alle quali
si trovano i nomi di Riccardo Cuor di Leone, di Federico Barbarossa, e di moltis-
simi altri illustri sovrani.
Un po' pili avanti, seguendo il Lungarno, si trova il più grazioso dei monumenti
pisani, cioè la chiesa di Santa Maria della Spina, o Santa Maria del Pontenuovo,
una chiesa in miniatura, quasi una cappella, fabbricata tutta contro il parapetto del
fiume (anni or sono venne demolita pietra per pietra, per ricostruirla sopra il letto
dell'Arno). Tale gioiello, eretto verso il 1325, per accogliere una spina della corona
di Cristo, è dello stile gotico più puro; l'armonia delle proporzioni, la ricchezza
dei marmi bianchi e neri, dei pinacoli , delle statue, fanno quasi dimenticare la sua
esiguità. All'esterno dodici statue d'apostoli guardano verso la riva; internamente le
statue hanno pure un posto importante, quasi per affermare la loro intima unione col-
l'architettnra gotica.
In tale navata, o meglio in tale subì, coperta da una travatura visibile, e rischiarata
La casa di Galileo.
PISA. - LA CITTÀ DEI MOHTI.
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da finestrelle ovali che (lamio le une sulla riva, Le altre sul fiume; quattro statue — due
Madonne, San Giovanni Battista e San Pietro - - ci rivelano la mano un po' pesante e ru-
vida di Nino, figlio di Andrea da Pisa. l) (Ionie se tosse stato conscio delle deficienze del
suo talento di scultore. Nino è ricorso alla pittura per rialzare l'effetto: nella Vergine
che allatta il Bambino, i capelli, il bordo e la fodera del mantello sono dolati; anche
sulle altre statue sono visibilissime le traccio di colore. Ricordiamo a tale proposito clic
11 palazzo Lanfreducci-Upezzinghi.
la policromia è rimasta in onore più a lungo di quanto si creda ordinariamente: i più
grandi artisti del XV secolo, cominciando da Donatello, l'applicavano in ogni occasione.
Molto più interessanti sono i sei bassorilievi colla personificazione delle Virili Car-
dinali (la Speranza e la Fede sono riunite nello stesso compartimento). Eccetto i che-
O Agli appassionati desiderosi di conoscere più davvicino Nino Pisano, io indicherò l'eccellenti' monografia di
Supino nell'Archivio storico dell'Arte del 189f>.
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FIRENZE E LA TOSCANA.
rubini, abbastanza grossolani, clic formano il fregio, tali opere si distinguono per
una fattura larga c sicura, per panneggiamenti ricchi e ben disposti, e per una gran
purezza d'espressione. Così, secondo le ricerche del F anfani, che nel 1871 consacrò una
erudita monografia a Santa Maria della Spina, tali figure datano, non dal XV secolo,
come l'iscrizione potrebbe farlo supporre, ma dal XVI; esse sono dovute alla mano del
fiorentino Andrea, probabilmente Andrea Ferrucci da Fiesole, morto nel 1526.
Continuando a seguire il Lungarno, arriviamo innanzi ad un'imponente basilica che
sorge presso i bastioni, in una piazza ove l'erba cresce rigogliosa, senza l'aiuto dell'orti-
cultore municipale. È "San Paolo a Ripa d'Arno... La facciata presenta il solito stile
La chiesa di "Santa Maria della Spina...
pisano; ha una grandissima analogia con quella del Duomo. Perciò non ne farò la
minuta descrizione; mi limiterò ad indicare sulla porta principale due leoni a mezzo
corpo; più in alto, un basso rilievo, colla Vergine ancora tutta bizantina col capo
coperto dal manto e le mani alzate. Accanto ad essa, due colonnette riunite da quegli
ornamenti in forma di nodi che si scorgono pure a Lucca. L' interno alto e strettii
si compone di tre navate e d'una crociera: degli archi ogivali stanno fra le colonne.
Ovunque Striscie alternate di marmo nero e marmo bianco, colonne monoliti, teste
grottesche, scolpite sui capitelli. ( *osa piìi rara a Pisa è sopra un pilastro un affre-
sco del XIV secolo, clic rappresenta un apostolo in piedi, forse un resto delle pit-
ture di Buffalmacco 0 di Simone Martini, che in altri tempi ornarono la chiesa; sopra
un altare, a destra, sotto La crociata, un quadro a fondo d'oro, probabilmente della
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FIRENZE E LA TOSCANA.
stessa epoca, una Madonna in trono fra due
sn nti ; e finalmente sull'altare della navata
laterali 1 di sinistra, un'Annunciazione del
XVI secolo, un grazioso lavoro, forse ese-
guito da qualche Fiammingo di passaggio
in Italia.
Si dice, clie sia contro i muri di questa
basilica, secondo il Boccaccio, che Pier delle
Vigne, lo sventurato Cancelliere, a cui Fe-
derico II avea fatto cavare gli occhi, si sia
volontariamente sfracellato il cranio.
San Pd<d(t iC Ripa d'Arno è, probabil-
mente, la più antica delle chiese pisane; si
fa risalire la sua fondazione all'anno 805;
secondo alcuni cronisti, tale basilica avrebbe
servito quale cattedrale sino all'undecimo se-
colo. Ma è eerto che in seguito essa subì molte
alterazioni; l'ultimo dei restauri nel 1882,
sebbene più limitato, deve aver contribuito
non poco a toglierle qualche cosa del suo
carattere.
Con San Paolo a Pipa d'Arno, io prendo
congedo da Pisa, senza aver il coraggio di
visitarne i dintorni, la celebre fattoria ed il
bosco di San Rossore, popolati di dromedari
acclimati in Italia; e la basilica romanza,
Sun Pietro in Grado, eolle sue colonne an-
tiche, i suoi affreschi del XII e XIII secolo,
la sua fonte battesimale, attribuita a Giovanni
Pisano, i suoi ritratti di Papi, e la Certosa
ed i bagni. Stanco di tale incessante contrasto
tra Fattività, d'altri tempi ed il monotono si-
lenzio d'oggi; diviso tra la pietà che ispirano
tale lunga servitù, e tale profonda decadenza, e la gratitudine per tanti servigi resi alla
causa del progresso, in secoli in cui il resto dell'Europa era immerso nella piìi spa-
ventosa barbarie; oppresso sopra tutto dai ricordi del Camposanto, lo spirito anela a ri-
posarsi su qualche spettacolo meno grandioso, ma piìi sereno, e specialmente più vivo!
La Madonna, di Nino l'i sa no (San la Ilaria della Spina).
La tomba d'Ilaria del Gaietto di J. Della Quercia (Cattedrale di Lucca).
LUCCA
"L'ime des plus plesantes assiettes de ville.,,
(Michel, de Montaigne).
I
MONUMENTI ROMANI E MONUMENTI DIVERSI. — Il MERCATO DELLE ERBE
E LA BASILICA DI SAN FREDIANO.
Il tragitto da Pisa a Lucca non richiede che un'ora. Se non
offre le mille sorprese, le mille seduzioni della strada lungo
la riviera ligure, ha però esso pure il suo genere d'interesse e le
sue attrattive. La regione è di una rara fertilità; solcata da nume-
rosi corsi d'acqua, la sua vegetazione, come in Lombardia, è esu-
berante. Terreni e villaggi scompaiono sotto i vigneti e sotto gli
alberi carichi di frutta. Presso a San Giuliano alcune aride mon-
tagne fanno risaltare la ricchezza della campagna.
Lucca è una città di pianura, tutta unita, come le sue vicine
Pisa, Pistoia, Prato ed Empoli; però qualche suo lembo spicca su
di un ammirabile fondo azzurrognolo di montagna, il che la rende
pittoresca in sommo grado.
.Montaigne diceva clic " era una des plus plesantes assiettes de ville
ch'egli avesse mai visto, circondata da una bella pianura, bella per
eccellenza, ed anche da belle montagne e da colline,,." Le strade regolari, accurata-
*) Sotto la penna del faceto presidente di' Brosses, tale quadro ammaliante si muta in caricatura: egli ci mostra Lucca
totalmente circondata da un cerchio di montagne <■ situata al fondo, nel mezzo d'una piccola pianura, come in un barili..:
ina (pesta volta ehi ride ha torto. Il viaggiatore imparziale vedrà Lucca precisamente come la vide Michele de Montaigne.
Il t
ern acolo di Civita]]
(Cattedrale).
60
FIRENZE E LA TOSCANA.
mente selciate, illuminate a gas e d'una perfetta pulizia, s' intersecano per la maggior
parte ad angoli retti; le case anche le più semplici hanno un'aria ridente; i negozi ri-
gurgitano d'avventori; gli alberghi promettono le maggiori comodità alla loro clientela
cosmopolita; i caffè e le birrerie, come la birreria Pfanner, hanno tutte un aspetto mo-
numentale. Una lunga serie di Consolati (persino la Repubblica Argentina v'è rappre-
sentata) dimostrano l'importanza commerciale dell'antica città libera, 1' ultimo Stato Ita-
liano, con Venezia e San Marino, che abbia conservato fino alla fine del secolo XVIII
la forma di repubblica.
Allorché si tratta d' indicare la fìsonomia di tali città italiane, non bisogna limitarsi
a considerare solo le lince architettoniche, ma bisogna badare ad una quantità di mi-
nuti particolari che troppo spesso si trascurano : il colore della pietra, del mattone, delle
tegole, la qualità del suolo o del selciato, la disposizione dei negozi, delle imposte e
delle tende. Queste mille sfumature danno il carattere e l'individualità. A non voler con-
siderare che gli edifìzì pubblici, Lucca formerebbe il riscontro a Pisa, la silenziosa e
lugubre Pisa. Qui come là delle magnifiche basiliche di marmo, alternativamente bianco
e nero; qui pure numerose piazze, larghe vie, palazzi imponenti. E adunque in un
ordine inferiore di cose che dobbiamo cercare, perchè l'una accarezzi lo sguardo di-
straendolo, mentre l'altra non produce che noia. Ora ecco dove la correlazione tra la
vita d'una città e l'aspetto delle abitazioni appare in piena luce : l' intonacatura più
spesso rinnovata, le imposte dipinte a colori più gaj, le finestre semiaperte che sembra
sorridano ai viandanti, le tende disposte con abile mano, i negozi, — domando scusa —
dovrei dire i magazzini, protetti da una vetrina, mentre nella maggior parte delle altre
città della Toscana tutte le merci sono esposte all'aria libera: ecco quanto basta per
assicurare a Lucca la sua superiorità sulla sua secolare rivale.
Se poi volessimo penetrare nell' interno delle case, un tale schizzo s' arricchirebbe
certamente di nuove pennellate; ma in Italia, più che altrove, una muraglia, quasi in-
sormontabile, protegge la vita privata contro la curiosità del forestiero. Forse la sedu-
zione che esercita l'antica città toscana è dovuta pure in parte all'alternarsi del rac-
coglimento e dell' animazione, intendo dire al succedersi delle vie animate e delle innu-
merevoli piazze o piazzette che si trovano presso lille chiese o agli altri pubblici mo-
numenti, a cui esse fanno invidiabile cornice.
Tali monumenti reclamano sin da principio i nostri omaggi: essi sono innumerevoli
(secondo la guida Ridotti, soltanto le chiese raggiungono la rispettabile cifra di qua-
rantanove), e salvo una sensibilissima lacuna (dal periodo romanzo si passa quasi senza
transizione al Rinascimento), ci offrono delle serie davvero complete: venerabili basiliche
del XII secolo, palazzi imponenti dal XVI sino al XVIII. Non c'è vecchia via in cui
non si scopra, al piano supcriore, qualche loggia aperta, le cui colonne sostengono di-
rettamente il tetto, senza cornicione; ciò è eminentemente pittoresco, c si trova spessis-
simo in Toscana.
Delle origini di Lucca, non vi dirò nulla, e con ragione. La città è cosi antica clic
ignorasi la data della sua fondazione ; tre secoli prima dell' èra nostra essa occupava
già un posto considerevole ; nel 54-53 Giulio Cesare vi fece una lunga dimora, durante
la quale ricevette la visita di Pompeo e di Crasso, e vide alla sua porta sin duecento
senatori contemporaneamente. Sotto l'Impero l'importanza della città non fece che aumen-
tale: un antiteatro ridotto oggi a mercato ci prova la ricchezza degli edilizi.
Tale prosperità Lucca la, conservò per tutto il Medio Imo: la fabbrica delle ricche
62
FIRENZE E LA TOSCANA.
stoffe di seta ed oro, quella dell'olio d'oliva elie si reputa il migliore d'Italia, il com-
mercio e sopratutto la banca la resero celebre anche lontano ; i suoi banchieri sparsi
da un capo all'altro d'Europa, ma ordinariamente confusi tra le file dei Lombardi, pre-
levavano il loro tributo sulla Francia, la Germania, le Fiandre e l'Inghilterra. Per un
invidiabilissimo privilegio, la città, sebbene non avesse per se uè una posizione inespu-
gnabile, nò una popolazione particolarmente bellicosa, uscì incolume dalle lotte che di-
stinsero quei secoli turbolenti. Non fu che verso la fine delle guerre tra i Guelfi e i
Ghibellini, allorché il pericolo sembrava minore, ch'essa dovette subire la sua parte di
prove: esse furono crudeli. Uno dei suoi figli, il famoso condottiero Castracelo Castra-
cani, l'eroe di Macchiavelli, s'impadronì della città, nel 1814, coll'aiuto dei Pisani, e
dopo essersi alquanto eclissato innanzi ad Uguccione della Faggiuola, esercitò egli stesso
una dittatura severa ma intelligente. La vittoria da lui riportata nel 1325 ad Altopascìo
sui Fiorentini, la sua alleanza coli' imperatore Luigi il Bavaro, parvero assicurargli la
supremazia sulla Toscana, ma la morte lo sorprese nel 1328, e per più di qua-
rant' anni la sua antica capitale fu sbalestrata, fra le mani di avventurieri forestieri che
la comperavano quasi all' incanto, e quelle dei Pisani che facevano pesare su di essa un
giogo odioso.
Finalmente restituita a se stessa, nel 1369, Lucca non ebbe più che a badare alle
sue lotte intestine: ciò era, si può dire, un progresso. Governata, per una trentina
d'anni, da Paolo Guinigi, che al principio del secolo XV era calcolato il più ricco degli
Italiani, e che morì miseramente in prigione, essa si dette, dopo la sua caduta, un go-
verno democratico, poi nel secolo XVII un governo aristocratico, che durò sino alla
Involuzione. Fu un miracolo per questo Stato , turbato così sovente dalle fazioni, il
restare indipendente , nell' epoca in cui tutti i suoi vicini dovettero accettare il do-
minio dei Fiorentini : ci volle altrettanta energia che diplomazia. Così Lucca co-
minciò là ove gli altri finirono, e potè a buon dritto scrivere sulle sue porte a let-
tere d'oro la parola " Libertas „ , quella libertà che non si apprezza che dopo averla
perduta e poi riconquistata.
In mezzo a tutte queste avventure apparisce l'imagine d'un grande patriota e d'un
grand' uomo : il confaloniere Francesco Burlamacchi, che in piena apoteosi di Carlo V
sognò di rendere alla Toscana ed all'Italia la sua libertà d'altri tempi, e dovette scontare
sul patibolo il suo sogno generoso (1546).
Nel secolo XVII e XVIII i viaggiatori riconoscono unanimi che il governo, allora
nelle mani dell'aristocrazia, " procacciava a quel piccolo Stato una prosperità, una po-
polazione, un'abbondanza degne d'invidia,,.
Dopo più di quattro secoli d'indipendenza Lucca fu occupata nel 1799 dall'esercito
francese, che le lasciò però la sua autonomia. Nel 1805, essa divenne la capitale del
granducato, creato da Napoleone I in favore di sua sorella Elisa Bacioechi. Questa
principessa, come pure l'antica regina d'Etruria, Maria Luigia di Borbone, che le suc-
cesse nel 1815, s'assicurò la gratitudine dei Lucchesi con innumerevoli fondazioni. Lo
stesso fece Carlo Luigi di Borbone, il figlio di Maria Luigia, che regnò dal 1824 al 1847,
epoca in cui cedette Lucca al granduca di Toscana, per salire sul trono di Parma, e
clie morì a Nizza nel L883. Era un vero savio, nato pili per lo studio che per la po-
litica, egli soleva consolarsi della sua rinuncia, ripetendo che "se non era duca di Lucca,
rimaneva sempre però un gentiluomo di nascita abbastanza buona,,.
La società che visse per lunghe generazioni tranquilla, indolente, felice, godendosi
)c ricchezze accumulate nel Medio Evo, era altrettanto educata che colta. Montaigne *j
LUCCA. - CENNI STOGICI. 63
congratula coi Lucchesi pel loro culto per la musica: "ci sono pochi uomini e poche
donne che non la conoscano,,, osserva egli, "comunemente cantano tutti; eppure vi si
trovano pochissime buone voci,,. Il presidente de Brosses s'entusiasma per la folla che
riempie il teatro, ma non può a meno di tremare quando lanciano un fuoco d'artifizio
in piena sala, in mezzo ai tendaggi. 1 '
Dal punto di vista, piuttosto egoista, del viaggiatore, gli sforzi e le lotte del passato
si riassumono in due specie di creazioni: i libri — e questi non colpiscono lo sguardo,
— e i monumenti d'arte. A questi ultimi io qui mi dedicherò; essi offrono ampia ma-
teria allo studio ed all'ammirazione.
Amico lettore, siete ancora a tempo: se temete d'essere preso nell'ingranaggio delle
discussioni artistiche, sono pronto a fermarmi. Ma il vostro consenso al mio programma.
*) L'abate Richard, elio pubblicò noi 1766 la Descript imi de V Italie, proclama dal canto suo i Lucchesi " fini e sa-
gaci, di molto spirito naturalo e molta disposizione per le Belle Arti „. Egli aggiunge d'averne visti parecchi a Firenze,
a Roma ed in altre città, •' e che tutti erano gentili e molto colti „.
Malgrado le molteplici attitudini che i viaggiatori riconoscono nei Lucchesi, come artisti, questi non potrebbero
essere paragonati ai loro vicini di Pisa, di Siena odi Firenze: — lo scultore Matteo Civitali (1436-1500) è il solo mae-
stro di qualche merito ch'essi possano rivendicare per concittadino. Non parlo del pittore Pompeo Battoni, celebre nel
secolo scorso e dimenticato nel nostro. Il loro inerito sta nella loro chiaroveggenza: essi si sono rivolti in tempo utile
ai rappresentanti migliori delle scuole vicine. Ai Lombardi tolsero gli architetti dello loro basiliche. (Oiido da ('omo ed
i suoi collaboratori; ai Pisani, Nicola da Pisa, il rinnovatore della scultura italiana nel XIII secolo; ai Senesi conte-
sero un altro scultore non meno eminente. Jacopo della Quercia, l'emulo di < ! Liberti e di Donatello. Firenze venne posta
1 ultima a contribuzione; ma il suo credito è grandissimo: i pittori Filippino Lippi. Fra Bartolomeo, lo scultore (fianbo-
■Ognà, 1 architetto Ammanati, dotarono Lucca d'una serie di creazioni, a cui essa deve oggi ancora parte del suo splendore.
04
FIRENZE E LA TOSCANA.
non potrebbe far sorgere alcun dubbio ; per avermi seguito sin qui , bisogna che ab-
biate l'intenzione d'andare sino in fine; per aver letto il principio di questa mia nar-
razione , bisogna che voi foste rassegnato sin d' allora a sentir parlare d' architettura,
di scultura e pittura ; perchè dove si potrebbe discorrerne meglio che in Toscana, la pa-
tria del bello per eccellenza? Per quanto il vostro gusto per simile genere di studii
sia limitato, voi troverete a Lucca delle indicazioni che cerchereste invano nel resto
della Penisola.
Attenendosi nel suo itinerario all' ordine topografico, il viaggiatore guadagnerebbe
evidentemente del tempo; ma qui, sulla carta, egli avrà maggior vantaggio, seguendo
l'ordine cronologico, salvo poi a ritornare parecchie volte nello stesso quartiere e nella
stessa strada. Così soltanto sarà possibile dimostrare quale fonte di civiltà rappresenti
Lucca, e come sieno numerosi e varii i suoi titoli storici.
Ecco, come introduzione nell'argomento, un luogo volgare di nome e di scopo, il
mercato delle erbe: non ingannatevi, è un anfiteatro romano del II secolo, dicesi, dis-
simulato dietro le costruzioni moderne. Se il primitivo aspetto è scomparso, tranne in
alcune parti (dei blocchi enormi, alternantisi col mattone), per lo meno la disposizione
generale dell'edilìzio fu rispettata; le botteghe che vi sono corrispondono evidentemente
alle arcate antiche. 11 suolo, non c' è bisogno di dirlo, s' è considerevolmente rialzato,
come a Roma, come a Ravenna, come nella maggior parte delle città antiche: il monu-
mento perciò vi perdette del suo effetto. Ma non monta, ricostituendo colla fantasia le
54 arcate, che componevano l'anfiteatro, ed evocando i 10,000 spettatori che potevano
capirvi, ci faremo un'idea dell'importanza di Lucca, sotto l'Impero Romano.
Il periodo a cui appartengono gli altri principali monumenti, corrisponde al regno
della celebre contessa Matilde (morta nel 1115), e alle prime lotte tra Guelfi e Ghi-
bellini. Lo stile romanzo, tale è l'età dell'oro dell'architettura Lucchese : una lunga serie
di chiese, più o meno ispirate a quelle di Pisa, ci fanno conoscere la divozione e la
magnificenza proprie di quell' epoca. Per la loro leggerezza, per la chiarezza con cui
emergono i vari elementi della loro costruzione, tali basiliche, come d'altronde le loro
rivali di Pisa, stanno agli antipodi colle costruzioni dell'Alta Italia, — le cattedrali di
Modena, di Parma, di Piacenza, — così massiccie ed informi.
Qui c'è San Salvatore, il cui principale ornamento consiste in un bassorilievo del-
l' undecimo secolo, una scena d' agape, d' un'esecuzione addirittura barbara (alle due
estremità stanno seduti i convitati; nel centro muovonsi dei personaggi, recanti quali
dei pesci, quali dei vasi). Altrove Santa Maria fuori Porta, rimarchevole per le tre
file d' arcate della sua facciata, e pei suoi bassorilievi, rappresentanti un leone e dei
grifi. Poi San Cristoforo, la cui facciata ha per ornamento un rosone, San Giusto,
Sai/ Pietro Solmadi, e "tutti quanti,,.
Tre di questi santuari meritano più d'una semplice menzione. Sono, seguendo l'or-
dine delle date: San Frediano, San Michele e San Mai-lino.
La basilica di San Frediano, situata ad uno dei capi della città, perpetua il nome
d'uno dei primi vescovi di Lucca, morto nel 588, e ci inizia contemporaneamente
agli sforzi tentati durante il periodo più barbaro del Medio Evo. Ammirate la varietà e
la ricchezza della vita in queste piccole capitali italiane: vi si trovano le manifestazioni
pili diverse del pensiero e del sentimento; ciascuna vuole avere i propri Santi, le proprie
LUCCA. -
SAX FREDIANO.
reliquie. Se Firenze è superba per aver visto nascere, e per aver noverato tra i suoi
ospiti, san Miniato, san Zanobi, san Filippo Benizzi , sant'Andrea Corsini, sant'An-
tonino: se Siena si vanta per san Bernardo dei Tolomei, per santa Caterina, per san Ber-
nardino, Lucca oppone loro san Regolo, che le appartiene non foss'altro per le sue reli-
quie, san Frediano, poi il Volto Santo, cioè la statua di Cristo, secondo La leggenda, scol-
pita da Nicodemo, reliquia celebre, e che non si espone che quattro volte all'anno. A
ciascuno di tali nomi, o di tali memorie, corrisponde un'importante fondazione d'arte.
L'interno di San Frediano forma una basilica a cinque navate (le parti basse fu-
rono in parte convertite in cappelle) senza crociera; l'effetto ne è magnifico (essa mi-
La basilica di San Frediano.
sura piìi di 63 metri di lunghezza): delle colonne, per la maggior parte provenienti
da un edilìzio più antico, sostengono degli archi , sopra i quali si stende una parete
tutta nuda, senza intonacatura; un tetto a capriate fa le veci di vòlta.
Se ci atteniamo alle date, troveremo grandi difficoltà. Parecchie parti della deco-
razione sembrano anteriori all'anno 1000; tali sono la Crocifissione, dipinta a destra,
sopra il pulpito, e diverse scene per tre quarti rovinate, tra cui panni riconoscere una
Lapidazione di santo Stefano. Tali pitture spiccano sopra un fondo turchino, e ciò se-
condo me è indizio di grande antichità. Ma è questa un'impressione che sarebbe diffi-
cile corroborare con argomenti decisivi. 1 '
1 ì San Frediano forma la disperazione degli archeologi: la costruzione risale essa al tempo dei Longobardi, oppure
abbiamo noi qui un edifizio del principio del Xll secolo, costruito sul posto d'un Santuario, molto antico; di cui
Firenze e la Toseana. 9
66
FIRENZE E LA TOSCANA.
Il celebre fonte battesimale, colle sue sculture ancora tutte inspirate alle idee delle
catacombe, e che ricorda i sarcofaghi cristiani, non solleva minor numero di quistioni.
Ridolfì, T autore dell' eccellente Guida di Lucca, lo considera come posteriore al-
l'anno 1000; Schmarsow lo crede del XII secolo. In realtà queste figure a mezzo corpo
o in busto che si elevano sopra un fondo concavo non senza analogia con uno scudo
(da cui il loro nome "d'immagini clypeatse,,), Cristo che tende il volume classico ad
un Santo inginocchiato, quel buon pastore che porta la pecora sulle sue spalle, hanno
ancora qualche cosa dell'antichità cristiana, malgrado l'uso delle nicchie di. forma
(•girale; e così io non sarei punto sorpreso di sentire un giorno che un archeologo
abbia tentato nuovamente d'invecchiarle di qualche secolo.
Il pavimento del coro, un mosaico in opus alexandrinum, cioè ad incrostazioni imi-
tanti le tappezzerie d'Alessandria, offre delle grandi analogie coi pavimenti delle ba-
siliche romane; è composto di lastre di marmo bianco, di serpentino e di porfido che
formano ogni sorta d'ornamenti a guisa di stelle.
Lasciando da parte quelle decorazioni di San Frediano che hanno più attinenza col-
l' archeologia che coll'arte, noi troviamo in abbondanza in questo venerabile santuario le
produzioni d'epoche piìi sapienti e più vive. Ecco, senza cercare più oltre, sull'altare di
San Lorenzo delle statue e dei bassorilievi di stile gotico ; la Vergine col bambino
Gesù sotto un baldacchino; ai suoi lati quattro santi pure sotto baldacchini; disopra
altre quattro mezze figure. A prima vista si direbbe un lavoro tedesco del secolo XV.
In realtà si tratta d'un'opera di uno dei più grandi statuari del Rinascimento, Jacopo
della Quercia, da Siena (1422), che Michelangelo non sdegnò di porre più d'una volta a
contribuzione. Le teste molto belle, quasi troppo regolari e troppo rotonde per quel
tempo, hanno un'espressione affatto moderna mentre che la clamide annodata sulla spalla
destra dei personaggi, ricorda i modelli dell'antichità classica.
Pur non risalendo tanto addietro, le pitture murali, i dossali degli altari che ornano
San Frediano, non s'impongono meno alla nostra attenzione: eseguiti per la maggior
parte nel XVI secolo, essi c'iniziano agli sforzi della primitiva scuola di Bologna rap-
presentata dai Francia e da Amico Aspertini. Non è ancora lo stile accademico, messo
poi in moda dai Carracci e dai loro discepoli : è un miscuglio di sincerità, di fervore,
e di spirito; nulla di più animato, uè di più pittoresco delle scene della Vita di Cristo,
di Sant'Agostino, di San Frediano c del Beato Giovanni (che portò a Lucca il Volto
Sunto), dipinte da Aspertini. Si passerebbero volentieri delle ore intere ad analizzare
tutti questi ingenui episodi coi loro attori che sono altrettanti ritratti, e i loro costumi
che ci iniziano alle mode del 1530.
Alla Basilica di San Frediano fa seguito la Basilica di San Michele, essa pure eretta
sul posto d'un edifizio molto piìi antico, ed essa pure assegnata ora al secolo VIII,
ora al XII.
La facciata sorprende per la sua bizzarria non meno che per la sua ricchezza; 11
alcune parti sarebbero state coinvolte nella nuova costruzione? Le duo ipotesi contano dei partigiani : ma oggi ,'. l'ul-
tima elio trionfa! Altro problema cronologico: se la facciata è posteriore almeno d'un mezzo secolo alla cattedrali' di
Pisa (cominciata nel L063), come avviene che abbia tanta magrezza, e inanelli a tal punto di libertà? Invano vi si
cercherebbe l'ombra d'un rilievo: niente di più stentato delle porte; senza le sette colonne (forse tolte ad un edifizio
pagano), ebe si profilano, non si sa perchè, verso il centro della facciata, senza il musaico, d'altronde dei più barbari,
che orna la sommità, essa non evocherebbe che l'idea della povertà e dell'angoscia.
11 II Presidente de Brosses, che non aveva troppa simpatia pel .Medio Evo, dichiara che "la porta gotica di San
Martino (leggi San Michèle) è strana, tanto è cattiva,,.
LUCCA. - SAN FREDIANO.
l'architetto clic sviluppò gli elementi antichi con una gran libertà come i suoi colleghi
di Pisa, vi dette prova di originalità, se non sempre di buon gusto. S'egli commise un
«rrave errore sopralzando la facciata di. due piani e coronandola con muri alti sei od
otto metri, che non appoggiandosi contro parte alcuna dell' edificio e non rispondendo
per nulla alla disposizione interna, si rizzano nel vuoto isolati e quasi scoperti, almeno
la precauzione ch'egli ebbe di continuare sui lati il sistema d'arcate «Iella facciata, dà
dell' unità all'edilìzio.
In quanto alla decorazione, essa è veramente abbagliante: sono tutti marmi colo-
rati clie spiccano su un fondo bianco sfolgoreggiantc (tutto fu accuratamente raschiato
I fonti battesimali della basilica dì San Frediano.
alcuni anni or sono), che fanno risaltare delle colonnette rosa o incrostate di nero, va-
riate all'infinito (come quei gruppi di quattro colonnette riunite da un nodo), e ani-
mali fantastici (die si staccano chiari su di un fondo scuro. I terrori che pesavano su
•piote generazioni, divise tra la barbarie c la divozione, lottano qui col bisogno di
magnificenza: poche sono le immagini che non abbiano lo scopo di inquietare o di spa-
ventare: draghi, mostri orribili, leoni con qualche vittima innocente tra le zampe, ecc.
Nell'interno San Michele è una basilica grave e severa, con una crociera, un'abside
circolare, degli archi sopra colonne che sostengono le pareti. Queste, per eccezione, non
fanno capo ad un soffitto in legno, come in quasi tutte le basiliche, ma ad una vòlta.
Per non so quale occasione solenne avevano coperto pareti e colonne d'un da-
masco rosso: l'effetto ne era splendido: si può proprio chiamare il paese della policromia
La e li ii' sa di Sa a Michele (facciata).
70
FIRENZE E LA TOSCANA.
quello in cui si vestono non solo le statue, ma anche gli edifizii! A Lucca specialmente
le cerimonie del culto sembrano essere state sempre circondate da un apparato teatrale.
Montaigne ci descrive un certo altare molto alto, " costruito appositamente nella Catte-
drale, in legno ed in carta, cosparso d'immagini, di grandi candelabri e molti vasi d'argento,
disposti come sopra una credenza; nel mezzo un bacile e quattro piatti intorno,,. "Tutte
le volte che il vescovo diceva messa, come in quel giorno, aggiunge l'autore degli Essai*,
nell'istante in cui intonava il gloria in excelsis si dava fuoco ad un mucchio di stoppa,,.
La piazza su cui s'innalza San Michele serve prosaicamente al mercato del grano;
non vi si vedono che sacchi di frumento, di piselli, di fagiuoli, posti l'uno accanto al-
l'altro: poi, tanto per variare, dei fasci di ombrelli, dei mucchi di casseruole e oggetti
di chincaglieria. La folla che vi si agita intorno è composta in ispccie di contadine; col
La storia di San Martino di Tours. - I lavori dei mesi (cattedrale).
capo coperto dal tradizionale fazzoletto ed i piedi calzati di pianelle ; esse chiacchierano
e contrattano.
Ma ritorniamo alle opere d'arte: la Cattedrale, dedicata a San Martino di Tours,
segua un passo di piìi del San Michele e del San Frediano; l'architetto Guidetto Bi-
garelli, oriundo dei dintorni di Conio, che ne fece il progetto nei primi anni del se-
col»» XIII, pone un termine alla fredda solennità dello stile romanzo, e cerca delle com-
binazioni più ricche e una decorazione più brillante. 1]
La facciata composta di tre grandi arcate, al pianterreno, c di tre ordini (Varcate,
di cui mio, quello di mezzo, disegna un pentagono, è più regolare di quella di San Mi-
chele; per ornamento principale: le colonne e le colonnette d' un estrema varietà; ri-
torte, rigate, accoppiate, incrostate, del genere di quelle che abbiamo visto sulla chiesa
n La Cattedrale di Lucca l'u ometto di due eccellenti monografie, l'una dovuta al Ridolfi: VArie in Lucca studiata
nella sua Cattedrale (Lucca, 1K22): l'altra a Schmarsow: S. Martin von Lumi und die Anfiinge der Toshonischcn Skulytur
nn Wttelalter (Bresl&u, L890),
LUCCA. - LÀ CATTEDRALE. 71
di San Michele o che vedremo ad Are/zi» sulla chiesa della Pieve. Queste colonne for-
mano come degli scaglioni; le più brevi si trovano all'estremità del pentagono, le piti
alte nel centro. La stessa differenza nelle arcate: se le due prime a partire da sinistra
hanno la stessa altezza, la terza, quella che tocca il campanile, è molto più stretta.
Le colonne ricompaiono attorno alla porta centrale; ma qui sono istoriate; il loro ricco
fogliame fa pensare a quelle del battistero di Pisa. Quanto ai leoni, ai cinghiali, agli
La porta principale della Cattedrale di Lucca.
uccelli, alle sirene, prodigate dallo scultore, essi si collegano al mondo a metà reale, a
metà immaginario tolto al regno "dei mostri,,. Nel Medio Evo, tali strani mostri scolpiti
sulle colonne, o incrostati nelle pareti, doveano pesare come un incubo su quelle imma-
ginazióni così avide di terrore. Lo stesso dicasi del labirinto disegnato vicino a quelle.
Chi può orientarsi in simile dedalo!
Qui si svolge un intero capitolo della storia della scultura toscana, e uno storico
sapiente dell'arte germanica non ha esagerato punto l'importanza di tali innumerevoli
72
FIRENZE E LA TOSCANA.
fìHTiUI
statue o bassorilievi, loro consacrando una voluminosa monografia. Se confrontiamo
tra di loro i Lavori dei mesi, la Storia di san Regolo, la Storia di san Martino di
Tours, indi il gruppo magnifico rappresentante il Santo ed il mendico^ e infine la
Deposizione dalla croce, noi possiamo vedere come fossero umili le origini della Scuola
pisana-lucchese, e con quale rapidità abbia poi preso il suo slancio.
Due nomi dominano in tali sforzi :
quello di Guido Bigarelli di Como, di cui
si posson seguire le traccie dal 1204 sino
al 1246, e quello di Niccolò da Pisa che
visse sino al 1278. Al primo si collega
tutta una serie di sculture, talora ancora
informi, tra le quali fa capolino di quando
in quando qualche soggetto più libero o
più pittoresco. Tali sono alla base di una
colonna le figure d'Adamo e d'Eva; questa
si riconosce alla sua capigliatura ondeg-
giante. Segnaliamo inoltre una indicazione
stranissima di piani, e un tentativo di mo-
dellato riuscitissimo.
C è più scienza e più anima, ma ahimè!
anche maggior pesantezza nella Deposi-
zione dalla croce, scolpita da Niccolò Pi-
sano , verso il 1260, nel timpano d'una
delle porte, e nell' Adorazione dei Magi,
eh' io non esito ad attribuire allo stesso
autore. 2 '
Imitatore assiduo degli antichi , Nic-
colò s' è ispirato alla natura nel modello
del cadavere che s' abbandona e ricade.
Non c'è minor morbidezza, uè minor na-
turalezza nell'attitudine di san Nicodemo
che riceve il peso prezioso, mentre Maria
e l'amato discepolo afferrano, singhioz-
zando , il braccio del martire. Niccolò
da Pisa, l' antenato glorioso della scuola
toscana , questo precursore per eccel-
lenza, ha ben più — lo si vede — che
Torta della facciata della chiesa di San Giusto.
scienza archeologica
egli ha il sentimento
x ) Non è qui il caso di impegnare una discussioni'
ili date, ma come non pensare che tale gruppo si sia aggiunto dopo! Collocato su due mensole che non si trovami
nell'asse delle altre mensole vuote, esso esce dall'ordine generale. Dal canto mio, lo reputo d'ispirazione francese.
Nessuno ignora come su molte delle chiese gotiche in Francia, la. statua di san Martino faceva riscontro a lineila
di Costantino.
2 > In questo secondo bassorilievo, l'Adorazione dai Magi, i due giovani a destra, presso i cavalli, fanno pensare
alle statue dei DÌ08CUri del (/ninnale; il letto su cui riposa la Vergine somiglia ad una vasca antica. Quanto ai
tipi delle (lonne. essi sono esattamente quelli del pulpito del battistero di Fisa.: viso pieno, bell'ovale e mento alto. 11
personaggio barbuto nell'angolo di deitra ricorda ugualmente, con grande rassomiglianza, le analoghe figure del pul-
pito di Pisa e di Siena. Il complesso Sventuratamente è piuttosto sciupato, e la molteplicità (lei piani come pure la
ineguaglianza dulie figure, nuocciono alla bellezza della composizione.
LUCCA. - SANTA MARTA DELLA ROSA. 73
della vita c la potenza drammatica che Donatello c i Michelangelo porteranno così
a vanti.
Le sculture che adornano le navate e le cappelle fanno seguito a quelle del por-
tico e completano, dal punto di vista cronologico, quel vasto insieme che non abbraccia
meno di quattro secoli, dal principio della Scuola toscana fino al suo declinare, da
Guido da Como e Niccolò Pisano sino Gianbologna, il potente discepolo di Michelangelo.
Ecco prima di tutto il mausoleo di Ilaria del Carctto, la sposa di Paolo ( ì uinigi,
il tiranno di Lucca (morta nel 1400): questo capolavoro dello scultore senese Jacopo
della Quercia, d'uno stile grave e raccolto, inaugura i tempi moderni. ]) Dopo tre-
quarti di secolo, l'altare di san Regolo e le tombe di Pietro da Noceto e di Bertini,
— scolpite dal più eminente degli artisti
lucchesi, Matteo Civitali, l'autore di quella
bella figura della Fede, resa poscia popo-
lare per mezzo della fotografia e dei di-
segni, — personificano il miscuglio della
purezza e della freddezza, che è la firma
del maestro. Tali tendenze si scorgono
ugualmente nella piccola cappella ottagona
costrutta da Civitali per custodire la ce-
lebre reliquia, il crocifisso o Volto Santo,
scolpito, affermasi, da Nicodemo, e che,
per una strana aberrazione del gusto, i
Lucchesi vestono come un fantoccio. Fi-
nalmente nel Cristo risuscitato fra San Pie-
tro e San Paolo (1579), Gianbologna dà
libero corso alla sua foga.
La pittura e le arti decorative non
trionfano meno in questo santuario, com-
pendio eloquente della magnificenza e della
pietà dei Lucchesi : qui c' è una Vergine
gloriosa dipinta nel 1509 dall'illustre mae-
stro fiorentino fra Bartolomeo della Porta;
altrove delle pitture di Cosimo Rosselli,
del Tintoretto, dei Zuccheri; poi una ricca
collezione di libri corali, alluminati nel secolo XV da celebri miniaturisti, ed infine in-
tarsii, bronzi e lavori in ferro fuso.
Il periodo gotico ed il Primo Rinascimento lasciarono a Lucca ben pochi monu-
menti. A mala pena può citarsi la chiesa di Santa Maria della Rosa, che è del se-
colo XIV. e la porta o l'arco dell' Annunziata.
La più importante di queste costruzioni, tanto per la sua vastità, come per i ri-
cordi da essa evocati, è il palazzo doppio, edificato verso la fine del secolo XIV, o
*J Nel basamento ornato di genii nudi sostenenti dei testoni, si scorgono chiaramente le reminiscenze classiche:
.Iacopo della Quercia ebbe sicuramente sotto gli ocebi qualche marmo antico. 11 duomo possiede appunto un sarcofago ro-
mano ornato di festoni. Non sarebbe quello il modello copiato dall'artista del secolo XV? Verificata la cosa, l'ipotesi
di v essere abbandonata: i festoni del sarcofago si collegano, in effetto, non a genii nudi, ma a vittorie panneggiate.
Bisogna dunque fare altrove delle ricerche. Poco monta che si trovi o no; l'imitazione del classico non può negarsi.
Firenze e la Toscana. 10
74
FIRENZE E LA TOSCANA.
verso il principio del XV dai Guinigi , signori di Lucca , e in cui abitano ancora
oggi i loro discendenti. La Via Santi Andrea , in cui si trova , e tutto il quartiere
vicino sono animati e quasi riscaldati da quella gran mole di mattoni , la cui tìnta,
di un rosso magnifico, spicca sulle case adiacenti, quasi tutte uniformemente grigie. Per
ornamento principale, delle arcate sostenute da colonnette di marmo. La natura com-
pleta qui l'opera dell'uomo: una stupenda vite rampicante ricopre il muro del giar-
dino, mentre i lauri crescono rigogliosi sull'altissima torre che domina uno dei palazzi.
Il Rinascimento s'inaugura con un'elegantissima costruzione, il Palazzo pretorio,
cominciato nel 1492 e terminato fra il 1506 e il 1509, poi ingrandito nel 1588, da
Vincenzo Civitali, un discendente del celebre scultore ed architetto. Il portico a co-
lonne del piano terreno, le finestre trilobate del primo piano, il ricco cornicione, ram-
mentano i modelli di Bologna, anziché quelli di Firenze.
Il palazzo Cenami , trasformato oggi in succursale della Banca nazionale toscana ,
ed in Cassa di risparmio, ha maggior ampiezza; si distingue per una bella loggia
una volta aperta, oggi murata, e colonne monoliti d'una tinta nerastra, che spic-
cano sull'intonaco bianco, per i suoi pilastri, che negli angoli s'alternano colle colonne,
e finalmente per un cortile oblungo di bellissimo aspetto.
Il palazzo del governo, o palazzo ducale — in cui oggi hanno sede la prefettura, i
tribunali, la posta ed altri uffizii — indica la vitalità e la ricchezza di Lucca nell'e-
poca in cui il giogo dei Medici gravava sul resto della Toscana, nell'epoca in cui
Siena, dopo la più valorosa resistenza, dovette sottomettersi alla più odiata fra le sue
rivali. Il Magistrato lucchese dette, in quella circostanza, un nobile esempio d' impar-
zialità: fu ad un architetto fiorentino, Bartolomeo Ammanati, ]) ch'egli si rivolse per
erigere il santuario del potere civile. Il preventivo, secondo la testimonianza di Mon-
taigne, non era minore di trecento mila scudi , circa quindici milioni della nostra va-
luta. Cominciati nel 1578, i lavori continuarono sin sotto il governo dei Baciocchi e
dei Borboni: da ciò le disparità nella costruzione. Ma consideriamo soltanto l'opera
dell'Ammanati: esso ha diritto a tutta la nostra stima. Lo stesso nresidente de Brosses,
tanto facile al motteggio, riconosce che il palazzo della Repubblica "sarebbe molto
vasto e grandioso, se non fosse incompleto più che a metà. Ma — aggiunge — se lo
avessero finito, ci sarebbe stato dentro tutto lo Stato,,.
In quelle fortunate età era tanta l'esuberanza di vita , che un' arte sola raramente
bastava ad un artista; tutti sognavano di distinguersi in parecchi rami. Sventurata-
mente l'Ammanati veniva un po' tardi; l'equilibrio cominciava a mancare, e l'astro del
Rinascimento stava tramontando. Nessun dubbio ch'egli non sia stato più superbo pel
suo talento di scultore, che pel suo talento d'architetto; ma come il suo contempo-
raneo Vasari, che in fatto di pittura fu la mediocrità in persona, si fu nell'arte
la meno appropriata a lusingare la sua vanità, ch'egli si mostrò veramente superiore.
Il palazzo di cui arricchì Lucca, colpisce per la sua vastità c la grandezza dello stile;
ha veramente un aspetto imponente e si sviluppa con grande maestà — malgrado la
sobrietà dell'ordine — sulla piazza ornata di bellissimi platani che gli fa da cornice.
I materiali adoperati per la costruzione sono fra i più elementari; catene di pietre di
color grigio spiccano sopra un'intonacatura verdastra. E adunque nell'armonia delle pro-
11 Nato ne] 1.',] 1 e morto nel 1592.
LUCCA. - IL PALAZZO DUCALE.
75
porzioni che sta tutto l'effetto. Jl modello a cui l'Ammanati si è più o meno diretta-
mente ispirato, è il palazzo Farnese di U<»ma; la porta centrale e la loggia soprastante
ricordano specialmente questo capolavoro di Antonio da San Gallo.
C'è maggior varietà e maggior ricercatezza nell'interno. Il cortiletto è composto di
rustiche arcate, di cui una parte, quella dirimpetto alla piazza, è sormontata da una
loggia, aperta altre volte, oggi murata; le colonne vi si alternano con pilastri. Il grande
cortile rimasto incompleto, si distingue per un pianterreno formato d'altissime arcate,
per un primo piano, dello stesso ordine con pilastri ionici , ed un secondo piano, con
pilastri senza capitelli.
Una magnifica scala di marmo conduce alla Pinacoteca, composta di cinque ampie
sale, riccamente decorate, degne in una parola d'una città quale è Lucca.
Nulla di più imponente della galleria principale, rischiarata dall'alto e tappezzata
di raso rosso. Affrettiamoci ad aggiungere che fu una principessa di Borbone che diresse
l'impianto. Maria Aloysa Borbonnia, ex regina d'Etruria, si prese cura di perpetuare
il ricordo della sua magnificenza con una iscrizione accompagnata dalla formula S. P. Q. L.
(il Senato ed il popolo di Lucca).
I quadri appartengono parte al comune, parte all'Istituto di Belle Arti; pochi sono
quelli dei Primitivi, molti invece di pittori del secolo XVII e del secolo XVIII. Tanto
peggio ! Diffidiamo d'altronde delle indicazioni date dal catalogo incollato sui parafuoco.
(Non sarebbe stato più semplice farlo stampare e venderlo?) Più d'uno dei nomi illustri
eh' esso prodiga dovrebbe essere sostituito da un' attribuzione più modesta.
Un quadro di fondo molto oscuro, prestato alla galleria dalla contessa Maria Nobili,
porta il glorioso nome di Raffaello. E una mezza figura di Vergine, che tiene colla mano
sinistra un libro, il bambino Gesù vivo e spigliato sta ritto su una tavola o un parapetto,
le sue mani toccano quelle della madre. Il volto della Vergine riproduce il tipo della For-
narina del palazzo Barberini, un po' adattato. Quanto al bambino, egli ricorda in ma-
niera singolare quelli di Giulio Romano. Infatti è un' opera di scuola e non un originale
del maestro.
II vanto della Pinacoteca consiste nei quadri di Fra Bartolomeo della Porta, il pio
monaco domenicano, l'amico ed il collaboratore di Raffaello. Quello rappresentante santa
Maddalena e santa Caterina da Siena, rapite in estasi e benedette dal Padre eterno (1508-
1509 . colpisce e seduce per la potenza del colore. In quanto al secondo, la Madonna della
Misericordia (1515), esso riunisce le qualità ed i difetti propri a questo eminente mae-
stro. Se la composizione è perfetta, le teste peccano in parte per povertà e volgarità.
Un artista, che ha pure l'onore d'essere rappresentato al museo del Louvre con un
eccellente ritratto di musicista, Zaechia da Vezzano, ha in questa Pinacoteca un'J.s-
sunzione della Vergine, molto interessante. 1 ' In alto la regina dei cieli, al basso gli
apostoli che contemplano la tomba vuota. E un miscuglio di reminiscenza dei Primitivi,
di Michelangelo e di Raffaello. Zaechia si riavvicina ai primi per la chiarezza del co-
lore, ma non già per il modello delle teste che sono d'una gran povertà.
Colla Concezione del Vasari, piombiamo in piena decadenza; l'eroina, i diversi per-
y ) In questo antiche capitali toscane, l'arte non perde mai i suoi diritti, neppure quando entra in scena l'archeo-
logia. L'embrione di museo archeologico annesso alla Pinacoteca ci offre contemporaneamente delle statue di Vergini,
che spettano alla scuola di Pisa, un' Annunciazione in bassorilievo della scuola di Civitali, fredda ma pura; poi dei
dossali d'altare in legno o in inarmo dì una gran nobiltà di linee, dei crocefissi, degli ornamenti sacerdotali ricamati,
degli intarsii eleganti, provenienti dalla chiesa di Santa Giustina, e incrostati con disegni d'edifizii, dei seggi provenienti
dal Duomo e incrostati con fiori.
76
FIRENZE E LA TOSCANA.
sonaggi che l'accompagnano, la maggior parte impauriti, il serpente dalla testa umana,
tutto ciò manca di realtà e di vita, malgrado l'esagerazione del movimento; l'autore si
agita nel vuoto.
Al palazzo del Governo fanno corteo numerosi palazzi privati , costruiti per la
maggior parte, come quello, dietro i disegni dell'Ammanati: sono dimore ampie e como-
dissime, che personificano nella perfezione il misto d'opulenza e d'indolenza clic carat-
terizza l'ultimo periodo della storia dei Lucchesi. E tuttavia, malgrado l'aria di paren-
tela coi palazzi di Pisa, nessuna analogia fra loro : per quali impercettibili gradazioni
lo stato d'animo delle due città vicine, in apparenza tanto simili (eccetto che l'una era
Il Palazzo Pretorio.
soggetta e l'altra conservava la sua indipendenza), si è così manifestato nella pietra e
nel marmo?
Fra questi palazzi, il più notevole, non per la sua architettura, ma pel suo conte-
nuto è il palazzo Mansi che possiede una galleria con circa 1(><> quadri, distribuiti in nove
sale. Dei cataloghi incollati su cartelle portatili danno apprezzamenti molto discutibili.
Prima di tutto, al primo piano si trova una loggia, che conduce in una vasta sala
male illuminata e dipinta alla meglio, poi quattro sale adorne di mediocri tappezzerie
fiamminghe del XVIII secolo: la Storia di Z<in>l>/<t e d'Aureliano, con fascio di fiori,
di frutta, ecc. Sopra una di esse, il cui fondo è, tagliato, si scorge la firma (<. Pkkmans.
LUCCA. - IL PALAZZO MANSI.
77
Ora Wauters ei spiega, nello sue Tappezzerìe di Bruxelles, che Gerardo Peemans, che
si fece dare il privilegio dalla città di Bruxelles nel 1665, eseguì precisamente pa-
recchi esemplari di questa serie.
Una sala è specialmente dedieata ai mobili, alle porcellane, ed agli oggetti di curiosità.
Qui, come nella Pinacoteca, i Primitivi non sono clic debolmente rappresentati. Fra
loro non trovo da citare che un grazioso Francia, una Madonna a mezza figura, col
Bambino in piedi: è esposta nella quinta sala che serve da camera da letto e che si
fa osservare per un'alcova bizzarra, dalle cariatidi dorate ed un letto a baldacchino
d'un gusto originalissimo.
Il Palazzo Jlichek'tti u la chiesa di San Giovanni.
I pittori del nord invece abbondano, ma sono di valore disuguale; il Rubens mi
sembra essere Jordaens; e la Sacra Famiglia di van Dyck, una copia. L' idea è certa-
mente originale di voler formare una galleria di olandesi e di fiamminghi sotto questo
cielo splendido, presso questi marmorei edifizii e vicino a tanti capolavori dell'arte clas-
sica. In un tale centro, le figure di P.reughel e dei Teniers producono veramente l'effetto
dei fantocci chinesi, cosi energicamente respinti da Luigi XIV. Quello dei marchesi Mansi,
a « in venne questa bizzarra ispirazione, aveva il gusto orribilmente depravato, o s'an-
noiava ;i nanfe nel palazzo dei suoi antenati. La decorazione ed il mobiglio non ne
differiscono: c'è uno sfoggio di lusso pretenzioso, freddo e pesante. Per trattare lo
stile rococò, occorreva la leggerezza di mani francesi: in Italia come in Germania ed
in Austria esso diveniva fatalmente grottesco e barocco,
78
FIRENZE E LA TOSCANA.
Troppo facilmente ci persuadiamo che tali città italiane di terzo ordine rappresen-
tino il ristagno ed il marasmo. Nulla di più errato, massime per ciò che riguarda la
Toscana. Se talora c'è un po' di mollezza nell'azione, se in seguito alle condizioni eco-
nomiche speciali , 1' industria con molta fatica può riconquistare il posto occupato per
l'addietro, l'iniziativa e la buona volontà abbondano, ogni qual volta si tratti d'assicu-
rare la salubrità, la piacevolezza o la dignità della vita. In fatto d'edilizia o di viabi-
lità, la Toscana non teme alcun confronto. I Medici ed i loro successori, come pure i
granduehi di Lucca, Baciocchi o Borboni, hanno fabbricato, selciato, risanato con fre-
nesia, ad un tal punto che i loro detrattori furono ridotti ad accusare tali pretesi ti-
ranni di corrompere i loro sudditi coli' eccessivo benessere!
L'acquedotto di Lucca.
Le risorse intellettuali non sono meno abbondanti : due teatri , un' accademia , dei
licei, una scuola di belle arti, un conservatorio di musica, una biblioteca pubblica ricca
di più di sessantamila volumi, la biblioteca del Capitolo, cogli inestimabili manoscritti
dell'epoca carolingia, poi il giardino botanico, l'osservatorio meteorologico: abbastanza
insomma per soddisfare tutti i bisogni dello spirito.
Lucca possiede inoltre, sin dal 1876, delle stanze mortuarie d'osservazione, cioè uno
stabili mento ove si espongono i cadaveri per parecchi giorni, allo scopo d'esser ben
certi del loro decesso. Campanelli elettrici, sistema di ventilatori perfezionati, non vi
manca nessuno degli ultimi ritrovati della scienza.
Alle meraviglie dell'arte, ai trionfi della civiltà, fanno degno riscontro le bellezze della
natura. Se non mi fu dato spingermi sino ai famosi bagni di Lucca, descritti così bene
LUCCA. - I BALUARDI.
7!)
da Michele Montaigne clic vi dimorò a lungo, poi celebrati da Heine nei .suoi Reisebilder,
scelti finalmente quale ritiro da un artista dilettante eminente, il conte di Nieuwerkerke,
che lasciò dei ricordi cosi fecondi quale sovraintendente de'nostri musei: potei almeno in-
dovinare da lungi, dall'alto dei bastioni, tutta la leggiadria del luogo e contemplare il
fiero profilo delle montagne che si ergono al fondo, quasi senza interposi/ione di colline.
Sui baluardi impiantati dal 1T>44 al 1650, i ricordi storici si uniscono alle bellezze
pittoresche. L'astronomo Lalande, che visitò Lucca verso la fine del secolo scorso, v'am-
mirò "le piantagioni dei grandi alberi che formano delle amene passeggiate intorno
alla città e che si possono percorrere a piedi o in vettura come il boulevard di Pa-
rigi. Scorgendo da lungi la città, aggiunge Lalande, sembra vedere un bosco d'alti
alberi in mezzo a cui s'innalzi un campanile,,.
Sebbene composte con mattoni, queste fortificazioni, che da tanto tempo non hanno
più udito il rombo del cannone, si profilano con fierezza tanto sulla pianura, come sul
fondo delle montagne, e sulle arcate imponenti dell'acquedotto. Le loro spaziose strade
dì rmida (Baluardi di San Regolo), oggi sono trasformate in passeggiate ornate di pan-
che di marmo e di bellissimi alberi — castagni, acacie, platani, ecc. — Al fondo dal
lato della campagna, un magnifico parco. Dei soldati in giubba, calzoni e uose bian-
che fanno i loro esercizi comandati da un caporale, mentre un tenente dai guanti bianchi
li guarda, comodamente seduto sul pendìo, fumando la sigaretta. Nel fossato scorre un
po' d'acqua fangosa in cui dei monelli pescano colla rete. Presso la via Buiamonti, passa
sotto i bastioni un ruscello che fa andare un molino. Da questa parte le case sono più vec-
chie e povere; i tetti disuguali e guasti dalle intemperie. I giardini pure sono più incolti.
Innanzi alla Porta Santa Moria, si stende un piccolo sobborgo di meschina apparenza. Al-
trove l'occhio non scorge che delle praterie e delle terre coltivate che formano attorno ai
bastioni una fascia verdeggiante, cosicché l'aria è tutt' impregnata dai profumi dei campi.
Per andare lentamente da Porta San Pietro, posta presso al Duomo, sino a Porta
Sniita Maria, ci si mette un'ora. Il viaggiatore però non rimpiangerà il tempo impiegatovi.
Noi prendiamo congedo da Lucca riportandone un'ottima impressione: l'antica città to-
scani! c'insegna meglio di ciascuna delle sue rivali, come si possa conciliare il progresso col
rispetto al passato, unire i godimenti della natura e quelli dell'arte, vivere contemporanea-
mente una vita contemplativa ed una vita attiva, cioè "vedere e ovrare ,,, come dice Dante. 1 '
La Madonna di Jacopo della Quercia (chiesa di San Frediano).
*) Purgatorio, canto XXVII, verso 108.
Veduta di Empoli.
EMPOLI E CASTEL FIORENTINO.
" In un'oscura borgata della Toscana, si trovano
drammatici ricordi di Firenze. „
(Francis Wey.)
imi
^iamo d'autunno, nel mese di settembre; oggi è precisamente il
S 1!
giorno 20, la gran festa nazionale, l'anniversario dell' ingresso
delle truppe italiane a Roma. Mentre la popolazione di venti città o bor-
gate accorre nella capitale della Toscana, il momento è propizio per fare
l'opposto ; abbandonando Firenze, quando gli altri ci vengono, non sa-
remo disturbati dalla folla. Avviamoci adunque , il più presto possibile.
Se ciò vi aggrada, la nostra meta sarà Empoli.
Alla stazione c' è un gran movimento : il capo stazione col berretto
ornato di tre giri di gallone, sorveglia ogni cosa; i capi-treno che si ri-
conoscono per la loro fascia d'argento gridano: "Partenza! partenza!,,
un quarto d'ora prima che questa abbia luogo; oppure: "Pronti! pronti!,,
Impiegati subalterni dal gallone rosso ed i facchini si agitano e gesti-
colano. Tale estrema precisione, senza parlare del fumo del carbone lan-
ciato nell'azzurro del cielo italiano, non contrasta forse colla fama d'in-
dolenza, e d'inclinazione al dolce far niente, degli abitanti meridionali?
Questo paese, per essere apprezzato, ha bisogno di sole; andare in Italia d'inverno
è un controscnso. Così cammin facendo io mi diverto ad osservare il cielo, questo
ciclo classico , e domando al lettore il permesso di comunicargli le mie osservazioni,
metà metereologiche e metà pittoresche, collo stesso ordine con cui le raccolsi: nel
La Vergine
dell'Annunziazionc
di B. Rossellino.
Firenze e la Toscana.
11
82
FIRENZE E LA TOSCANA.
momento della partenza il cielo era splendido, il sole raggiante , e in un batter d' oc-
chio, mentre io sognavo una primavera eterna, le montagne di destra cominciarono a
velarsi, delle nubi grigiastre salirono sull' orizzonte. A sinistra pure spuntarono delle
nuvole. Febo lotta per disperderle, ma invano. Riprenderemo più tardi la narrazione
delle peripezie di questo dramma. Per ora il fischio della locomotiva in partenza attira
tutta la nostra attenzione.
Empoli! Empoli! quante volte questo nome risuona alle orecchie del viaggiatore
che percorre la Toscana ! Si passa da Empoli per andare a Pisa, per andare a Siena,
e per andare a Roma, per andare al nord, e per andare al sud; per andare al mare
e per andare alla montagna. Per ciò che mi riguarda, posso dire d'aver ivi preso in-
numerevoli lezioni di pazienza, aspettando i treni, tanto nel venire da Firenze, comé
nel ritornarvi.
La stazione divisa in due parti non ha nulla di monumentale , eccetto che non si
debba considerar tale per la fila di vetture che si stende innanzi alla sua facciata. I
camerieri del buffet vi corrono intorno gridando : " Vuole rost-beef? Vuole uva? Il cara-
biniere, col suo bicorno sormontato da un pennacchio bleu e rosso, passeggia con aria
d'importanza, guardandosi intorno.
Per ora Elio ha trionfato sulle nubi, e versa dei torrenti di luce. Ma ad un dato
momento le nubi insidiose ricompaiono dietro le montagne; questa volta si tratta di
masse più dense, bianche è vero, inameno vaporose, e più minacciose: " Caveau t con-
sules,,.
Quale scienza utile l'etimologia! Essa ci insegna che nel nome di Empoli che non
significa nulla, si cela quello d' " Emporium „. Ecco tutta una rivelazione! Infatti al
tempo dei Romani, la città era un celebre mercato; il mercato centrale della Toscana,
il granaio della Repubblica fiorentina, come la chiamò il Guicciardini.
Durante il medio evo, al nome d'Empoli si associa il ricordo d'un grande atto di
patriottismo. È quivi che Farinata degli Uberti, il capo dei Ghibellini fiorentini esi-
liato nel 1258 e vincitore dei suoi compatrioti due anni dopo alla battaglia di Mon-
teaperti, si oppose in un celebre congresso alla distruzione della sua città natale. 11
E pure intorno ad Empoli che 270 anni più tardi, nel 1529-1530, nell'epoca del
celebre assedio di Firenze , ebbero luogo delle battaglie che decisero della sorte di
questa Repubblica.
Francesco Ferrucci, comandante le truppe fiorentine e governatore d'Empoli, vi si
distinse con degli atti di valore, che disgraziatamente servirono a ritardare, non a scon-
giurare la catastrofe finale.
Oggi Empoli è città commerciale ed industriale di circa 6000 abitanti. 2 '
La sua specialità consiste nella fabbrica dei cappelli di paglia, di stoviglie, e parti-
colarmente d'immensi orci, destinati a contenere l'olio od il vino.
La città posta nel centro d'un fertilissimo territorio, a due passi dalla stazione,
ha l'aspetto il piti grazioso, colle sue vie provviste di marciapiede ed illuminate a pe-
1 ) Dante rose omaggio a Farinata noi ('auto X ielVInfemo.
2 ) ]jc statistiche ufficiali danno per il comune d'Empoli una popolazione di più di IfiOOO animi'. Ma in Italia un
comune comprende un territorio più considerevole che da noi. talora tutto un gruppo di città, sobborghi e villaggi.
EMPOLI E CASTEL FIORENTINO.
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trolio; colle sue case pulite, dipinte in giallo, verde, turchino e dai tetti che stra-
piombano come quelli di Firenze, mentre i campanili proiettano sulla dimora degli
umili la loro ombra tutelare. Delle terrazze ornate di affreschi , imitanti balaustre 0
simili ornamenti, rompono continuamente la monotonia. Tutto ciò, decorazione ed ab-
bellimenti, cornice e quadro, è alquanto leggiero e superficiale; pitture murali, sbiadite
dalle pioggie, fiori rapidamente appassiti, donne avvizzite prima del tempo, ore lunghe
e tristi della vecchiaia , che si succedono alla troppo breve aurora, della primavera :
ecco l'Italia! Ma a che vale inquietarci per ciò che sarà! Non fu forse un poeta del-
l'Italia antica che disse: ''Godete dell'oggi, senza pensare al domani!,,
Sia che si venga da Pisa o da Siena , si resta Colpiti dall' animazione che regna
nelle vie: lina folla enorme si agita, in tal giorno festivo, nella principale tra esse, hi
" via Ridolfi .. lunga, stretta e tortuosa. Ovunque magazzini ben provvisti. Le botteghe
dei parrucchieri sopra tutto, pullulano : mai, tranne a Bologna, non ne vidi altrettante
riunite in cosi piccolo spazio. Però devo dirlo ad onore degli abitanti d'Empoli —
neppure i librai vi mancano. Poi noto un bazar in cui tutti gli oggetti eostano 44 cen-
tesimi. Delle stamperie, dei depositi di ghiaccio e delle cartolerie. Altrove su di una
miserabile botteguccia, presso alle parole "Trippa e Zampa,, leggo in francese: Re-
staurant. Il fisco spietato preleva il suo tributo su tutto ed ovunque può: dalle insegne
dei negozi, sino alle fotografìe esposte, tutto porta un timbro mobile annullato, la
marca da bollo.
Dappertutto, .sulle facciate degli edifizii pubblici , o delle case private, delle iscri-
zioni tracciate col pennello, su cartoni intagliati, ci rivelano ad un tempo un tratto
ilei costumi italiani, e l'ardore delle lotte elettorali sempre vivissimo. Tali iscrizioni,
quasi indelebili, eternano meglio della carta, il ricordo delle vittorie e delle scon-
fitte: " eleggete Pelosini „ tale era la parola d'ordine che in quel momento spiccava su
tutti gli edifizii. Fortunatamente presso a tali testimonianze di vitalità, c'è pur posto
pel raccoglimento: il lembo di cielo raggiante, o il pittoresco sfondo delle montagne,
. In' apparisce in capo a molte vie, uniscono allo spettacolo dell'attività e del moto, le
sane impressioni della natura.
< 'li edili moderni non trascurarono nulla per dare ad Empoli un aspetto monu-
mentale : in questi siti le pietre ed i marmi non costano niente. Due fontane scol-
pite da Pampaloni, nel 1824 e nel 1831 d'una consistente in quattro leoni di marmo,
ed in un gruppo di donne, che sorregg-ono la vasca da cui esce l'acqua), ricordano l'im-
pulso impresso ai lavori d'abbellimento dagli ultimi granduchi. Inoltre certi stabilimenti
ordinariamente ricacciati nei punti meno in vista si mostrano trionfalmente, quasi per
dimostrare che anche nelle costruzioni d'ordine il più umile, l'antico "Emporium,, vuole
proclamare la sua opulenza.
In queste regioni, malg-rado le invasioni ed i vandalismi dell'industria moderna, l'arte
e la storia non perdono mai interamente i loro diritti. Ecco la piazza della Cattedrale:
-ebbene del tutto rinnovata (bisognò pur concedere qualche cosa all'igiene ed alle co-
modità conserva ancora il suo carattere, ed evoca molti ricordi. Una vecchia casa,
chiamata col nome del suo antico proprietario Giuseppe del Popa , medico insigne e
"nel patrio idioma purgatissimo „ , ha il vanto d'aver ospitato, al tempo di Dante, il
capo dei Ghibellini, Farinata degli liberti. Gli affreschi che ornano la facciata sono,
sventuratamente, posteriori di alcuni secoli; sono cioè del XVII.
Così, come disse Francis Wey, "in un'oscura borgata della Toscana si trovano i
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FIRENZE E LA TOSCANA.
più drammatici ricordi di Firenze ; in ima piccola piazza si scorgono i maestri del Ri-
nascimento, al suo sorgere; e Dante clic fu loro amico, descrive egli stesso nella sua
divina epopea i fatti e gli eroi clic oprarono su questa scena,,.
Qualche passo più in là, la cattedrale, o pieve, o collegiata, ci riconduce a quel Ivi
nascimento pisano-fiorentino dell'XI al XII secolo, sì vicino alla classica antichità per
la nobiltà delle proporzioni e 1' eleganza degli ornamenti : ovoli , pilastri , capitelli co-
rinzi, fregi, ecc. La facciata, schiacciata purtroppo tra due porticati grandi e pesanti,
ricorda tanto la basilica di Pisa, quanto quella di San Miniato al Monte, che domina
così pittorescamente Firenze, secondo l'iscrizione, data dal 1093.
Delle fascio di marmo bianco, alternato col marmo verde di Prato, vi danno un aspetto
leggiadro, e fanno spiccare la nobile semplicità dello stile: delle teste di leone scolpite,
concorrono ad aumentare l'effetto. Ma nell'interno quale disillusione! Tutto è rifatto:
la navata, molto larga, la crociera, le cappelle laterali! E tuttavia, anche qui, grazie
all'uso d'una bella pietra grigia, ed alla scelta di linee monumentali, si prova un'im-
pressione di ampiezza, quasi di maestà. I compensi, del resto, non mancano: nel batti-
stero c' è una Pietà, dipinta ad affresco da un Fiorentino al principio del secolo XV,
(secondo alcuni conoscitori, il grande Masaccio); poi un magnifico fonte battesimale,
imitato da qualche vaso antico , e colle anse ornate d' un piccolo genio nudo , molto
grazioso, ma un po' vuoto; sul davanti degli uovoli di grande dimensione, ma non
molto sporgenti. Questo splendido capo d' opera , che porta la data del 1447 , si at-
tribuisce naturalmente al rinnovatore della scultura italiana, l'illustre Donatello. Nel
coro, una vecchia aquila di bronzo spiega le ali per servire da leggìo.
Più importanti ancora sono le opere d'arte riunite in una cappella laterale trasfor-
mata in sala di museo. E una vera galleria di Primitivi, che potrebbe destare l'invidia
d' una città più grande, circa sessanta od ottanta numeri. (Mi si dice che in seguito
tale collezione fu trasportata al Palazzo municipale.)
Un catalogo manoscritto, fatto con cura, ma troppo ottimista, serve di guida; esso
prodiga i nomi celebri di Cimabuc , di Andrea del Sarto , d' Orcagna e di Giotto, di
Fra Bartolommeo, di Pesello e di Guido Reni. In generale gli allievi di Giotto, i così
detti Giotteschi, predominano. A loro si attribuisce una bella Madonna fra dei Santi,
probabilmente di Don Lorenzo Monaco, il pio frate camaldolese del secolo XV; un
dossale d'altare colle figure di sant'Andrea e di san Giovanni Battista, per l' ad-
dietro attribuito a Domenico Ghirlandaio, ed oggi a Francesco Botticini e a suo figlio
Raffaello.
Per lungo tempo si credette che il soave Botticelli fosse pure rappresentato in que-
sto santuario: degli angeli, con dei donatori, ed altri angeli dal tipo languido che fanno
musica insieme, si consideravano come opera del suo pennello; ma oggi il quasi omo-
nimo Botticini reclama per suo il primo di questi lavori, mentre l'altro è qualificato un
semplice studio: un'altra leggenda che svanisce!
Anche la scultura conta in questo piccolo museo qualche modello degno d' osser-
vazione. Ecco un gruppo importante, opera dei Della Robbia: un'Ascensione , con un
coro d'angioli danzanti nell'aria, soggetto grazioso, e spesso riprodotto nel XV secolo;
altrove, un medaglione della stessa scuola. Ma la gloria della Collegiata è il San Se-
bastiano, d'Antonio Rossellino: quésto capo d'opera occupa il centro d'una pala d'al-
tare, clic ha nella parte superiore due angioli in marmo, che ricordano quelli di Vcr-
rocchio a Pistoia. Quanto al Santo stesso, egli è molto puro e commovente; il corpo è
modellato con infinita distinzione, sebbene con un avanzo di timidezza.
EMPOLI E CASTEL FIORENTINO.
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Ricordiamo pure un bassorilievo di Mino, puro e freddo, clic ci mostra La Vergine
ed il bambini' Gesù, con fisonomia alquanto inebetita; il che equivale alla firma del
maestro.
In un' altra chiesa . quella di Sant'Agostino , i rista lira tori ed i ritoccatori si sono
sbizzarriti; V edilìzio perdette tutto il suo carattere, sebbene abbia conservato le sue
navate, le sue vaste arcate gotiche. Qui noi facciamo La conoscenza del pittore Jacopo
Chimenti d'Empoli, vissuto alla fine del secolo XVI ed al principio del XVII. La sua
Presentazione al Tempio è un buon lavoro di pittura, sebbene alquanto vuoto nelle teste.
La Piazza di Empoli.
La chiesa della Misericordia, piccola, ed oltre a ciò incastrata per tre quarti nella
chiesa vicina di Sant'Agostino (per entrarvi bisogna attraversare quest'ultima), ci offre
una pagina grandiosa, che spicca sul fondo monotono di opere più oneste che ispirate:
intendo parlare dell'ai nnunciazione del fiorentino Bernardo Rossellino, che fu grande
scultore e grande architetto. Le due statue in marmo dell' angiolo Gabriele e della
\ ergine, sono belle e commoventi, d'una purezza di linee e d'una grazia, a cui è im-
possibile sottrarsi. Il messaggero celeste incrocia le mani sul petto per dimostrare la
propria venerazione, mentre Maria, con una mano sul fianco per trattenere i suoi pan-
neggiamenti, e l'altra appoggiata al cuore , proclama la sua umiltà. Nel vedere quelle
espressioni modeste, quei movimenti timidi , si direbbe un Andrea da Pisa vissuto ne]
SCColo XV. (Vedi le incisioni al principio ed alla fino del presenti' capitolo.)
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FIRENZE E LA TOSCANA.
Un documento, comunicatomi per l'addietro dal mio venerato amico il barone di Li-
phart, erudito insigne, per cui la Toscana non aveva più misteri, ci spiega in quali
condizioni vide la luce questo capolavoro; le clausole del contratto sono edificantissime 1 :
esse ci dimostrano che in quei tempi, quanto l'arte era onorata, altrettanto gli artisti
venivano sacrificati.
Era il 1447: Eossellino, già celebre, dovette impegnarsi a scolpire le due figure
"quanto meglio potesse,, (ammirate questa ingenua clausola), ed a sottometterle poscia
all'approvazione d'un artista-perito, cioè Gliiberti, lo scultore del Battistero di Firenze.
Il gusto della policromia, così generalizzato nel medio evo, non era ancora sparito : la
prova n' è la clausola clic impone al nostro scultore 1' obbligo di dorare l'orlo delle
due statue. Queste possono proclamare tuttavia il talento con cui 1' artista esegui il
suo impegno. Il Gliiberti, sebbene non brillasse per soverchia indulgenza, fu costretto a
dichiararsi soddisfatto. Attestò che l'opera era "bella, ben fatta e di buone proporzioni,,.
La posterità ha confermato il suo giudizio.
Anche se Empoli non contasse che V Annunciazione del Rossellino, non potremmo
pentirci d'avervi dedicato un paio d'ore.
Presso alla chiesa di Sant'Agostino, e acl essa riunito, si trova il Municipio, edi-
fizio insignificante , il cui principale ornamento consiste nello stemma d' Italia, presso
allo stemma d'Empoli, coll'iscrizione : " Aut cito aut nunquam „ , ed in quelle d'un' Ac-
cademia dei "Gelosi impazienti,,, un leone che insegue un cervo. J)
Un avviso m'indica che nel Palazzo Municipale si trova una " Accademia empolese
di Scienze economiche teorico-pratiche,,, già illustrata (1857) dalle lezioni d'agrono-
mia del marchese Cosimo Ridolfi. Anche in questo momento vi si dà una conferenza
pubblica: è la vera occasione per me d'iniziarmi ai lavori di queste dotte assemblee.
Salgo senz'altro al primo piano, e scorgo nella biblioteca, altissima sala, ornata di
busti e col pavimento coperto da un tappeto lacero, una riunione piuttosto numerosa,
parte in piedi, parte seduti. Sulla cattedra, provvista della regolamentare bottiglia d'acqua,
stanno circa dieci persone gravi, serie, fra cui un ecclesiastico. L'oratore parla della
repubblica una ed indivisibile, della morte di Luigi XVI " per mano del carnefice „ e di
molti altri oggetti, estranei, sembra, alle scienze economiche. La sua tesi è la storia
della fine del secolo XVIII. L'uditorio, composto di borghesi e d'operai, ascolta con at-
tenzione e applaude alle allusioni, o alle declamazioni. 11 pubblico è ovunque sempre
lo stesso !
Prima di lasciare la biblioteca, do un'occhiata alle sale annesse: delle lunghe file
di libri ben rilegati stanno esposti nelle vetrine; tra questi noto YMistoire de l'Art, dì
Seroux d'Agincourt, la raccolta delle tavole della galleria Pitti, ecc. Ecco una nuova
testimonianza del culto degli Italiani per tutto quanto riguarda la letteratura, la scienza
o l'arte. Ciascuna di queste piccole città forma un mondo in miniatura, con una cultura
intellettuale sviluppata, se non un grande spirito d'iniziativa.
A ti ne passi dalla biblioteca e dal Palazzo municipale, un liceo, metà laico, metà
ecclesiastico (vi veggo gironzare delle suore di carità), con una serie di sale, dalle iscri-
zioni monumentali: II Ginnasiale, — ■ IV Ginnasiale, — II Tecnica.
l ) In seguito mi In dotti! — ma troppo tardi per profittarne — che il palazzi) comunale contiene due importanti
opere d'arte: una Madonna in terra rotta smaltata d'Andrea della Robbia, eseguita nel 14!t(i. e una pala d'altare colle
figure di San (iiovanni Battista e di Sant'Andrea.
EMPOLI E CASTEL FIORENTINO.
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Il giardino di cotesti» stabilimento è bellissimo; ricco di molte e varie piante.
Un po' più avanti, nella stessa strada, un ampio fabbricato, senza dubbio un antico
convento, serve di asilo ad una Società di 'l'irò a segno.
Qui appressi» 11 Y esattoria „ , che occulta un antico chiostro, ci fa pensare alle preoc-
cupazioni finanziarie dell'Italia moderna. Per fortuna le arcate del chiostro, le sue co-
lonne, il pozzo praticato nel centro, le finestre a metà murate, e i suoi muri rovinati,
le due orribili Madonnine di stucco colorato, e il vecchio lavabo di pietra, all'uso dei
monaci del secoli» XVI e XVII, fanno alquanta diversione alla tirannia delle cifre, su
cui impallidiscono l'esattore e i suoi impiegati.
Camminando cosi alla ventura, in cerca di qualche monumento degno di considera-
zione, scopro in una strada laterale, la Via dei Neri, la chiesetta di Santo Stefano.
Dell'interno non vi dico nulla, e con rag-ione; esso rigurgita di fedeli, e i contadini che
non hanno potuto varcarne la soglia, s'accontentano di starsene sulla porta, a capo sco-
perto, sotto un >nle cocente; tale "coda di gente,, che si prolunga per una diecina di
metri, così calma e rassegnata, non può a meno di fare una certa impressione. Limitia-
moci adunque ad osservare il campanile di mattone, costruito nel 1685, come ci in-
segna un'iscrizione che comincia colla forinola famosa dei Gesuiti A. M. D. G. (Ad
majorem Dei gioriam): esso è di giuste proporzioni e grazioso. Il mio compianto amico
Francesco Wey ha avuto torto d'evocare il ricordo del campanile del Palazzo Vecchio
di Firenze, e di rimproverare al suo architetto d'averne troppo marcati i rilievi "che
restano flosci, malgrado la loro forza „. A che serve turbare le proprie impressioni fa-
cendo simili confronti! Noi siamo ad Empoli: non pensiamo ai capolavori dell'arte fio-
rentina, dunque, e contentiamoci di quanto troviamo qui senza cercare più oltre.
Nelle altre chiese — e sono parecchie — ovunque statue, bassorilievi, affreschi a
quadri appartenenti al periodo migliore dell'arte toscana, compresa tra il XIV e il
XVI secolo. Da questa parte delle Alpi si passerebbero lunghe ore contemplando tante
pagine volta a volta forti o eleganti; la stessa abbondanza delle ricchezze qui invece
spinge all' indifferenza. D'altronde perchè dissimularlo? Se queste produzioni si distin-
guono per la scienza del disegno, la purezza dei contorni, per qualità serie e solide,
hanno pure un fondo di freddezza e di sterilità. A forza di scienza, gli artisti fio-
rentini finirono per dimenticare i diritti della poesia e dell'emozione; essi si preoccupavano
innanzi tutto di risolvere i bei problemi di prospettiva, di scorcio, d'anatomia, di mo-
strarsi disegnatori impeccabili. Troppo spesso la ragione soffoca in essi la fantasia o
la passione. Quale differenza dalla Scuola milanese, i cui menomi schizzi respirano una
attrattiva così penetrante o un così dolce languore!
Una volta stabilito un tal punto (e non temo divederlo contestato da qualcuno dei
miei colleghi . noi non corriamo più il pericolo d'annegare nell'esame d'una quantità di
opere di terzo o di quarto ordine. Apprezzabili per sè stesse, le pitture o le sculture
di Empoli non aggiungono nulla d'essenziale alla conoscenza d'una Scuola che studie-
remo meglio a Firenze; esse mancano d'accento e di originalità, che sono per noi la
cosa più importante nelle nostre ricerche rivolte alla scoperta del nuovo o dell'inedito.
Dopo i capolavori del Rinascimento siamo obbligati a tener conto dei tentativi, ta-
lora onorevoli, di ciò che in Italia chiamasi stile barocco. In una vasta piazza, se non
erro, piazza Vittorio Emanuele, s'innalza una chiesetta di mattoni, fiancheggiata da
un porticato a colonne e d'un campanile sormontato da una cupola esagonale; un mo-
dello di sobrietà e di distinzione, di grazia sicura di si' stessa. Ricordiamo il nome:
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FIRENZE E LA TOSCANA.
Sniìta Maria fuori citta; colui che costruì un tale santuario dev'esser stato un uomo di
buon gusto.
L'interno, molto esiguo, contrasta alquanto colla semplicità della facciata: degli
addobbi rossi, dorati o argentati, ricoprono le pareti; un'abbondante illuminazione
proietta su questi i suoi splendori volta a volta brillanti e misteriosi. Tali stoffe a
strisce, tali panneggiamenti pittoreschi, tali ceri, fiori artificiali, specchi, tale orpello,
in uno alle donne che si sventolano vivacemente e agli uomini ginocchioni, immersi nelle
loro meditazioni o nelle loro preghiere, tutto ciò insomma offre un miscuglio raro e se-
daceli tissimo di frivolezza e di divozione !
Alcuni passi più avanti, in piena luce, sotto un sole fulgido, appare l'Italia moderna,
l'Italia profana, agitata e colorata, senza la poesia che il passato conferisce ad ogni
cosa. Nell'immediata vicinanza della chiesa s'accampano i saltimbanchi, felici, contenti ;
essi hanno poste le loro casseruole sul basamento del porticato , e fanno asciugare la
loro biancheria su bastoni conficcati al suolo. Uno di essi zufola l'aria del Rigoletto:
"La donna è mobile,,, altri mangiano in una stessa scodella sulle ginocchia, o prepa-
rano la rappresentazione della sera. Infatti noi siamo sul limitare d' un vasto campo di
fiera tutto cosparso di tende o di carrozzoni ambulanti.
Pochi curiosi: non è giunta ancora l'ora dello spettacolo ; ma aspettate un po' e ve-
drete quale folla avida di divertimenti invaderà tal luogo di sollazzo. Io mi propongo di
prevenirla, e malgrado la mia poca simpatia per tale genere di spettacoli, mi dedico ad
una completa esplorazione di questo Eldorado empolese. Gli avvisi sono pieni di pro-
messe; essi ci fanno ricordare che l'Italia è sempre stata la terra classica delle epigrafi.
Qui si fa vedere " una gran vasca di palombari genovesi; più in là, il circo equestre Italo-
Anglo-Americano „ (quale cosmopolitismo!), in cui si ammirerà un salvatore di 7 anni,
" Guglielmino Zavotta, decorato con più medaglie d'argento pel suo coraggio e la sua
intrepidezza „.
Un'altra baracca ha per insegna il "Supplizio di prigionieri francesi in China,, du-
rante la guerra del 1884; la pittura rappresenta i soldati precipitati su falci infisse
nel muro, qualche cosa di simile al supplizio degli uncini, illustrato da Decamps. Più
lungi il re Umberto che visita i colerosi a Napoli. Poi una caccia ai leoni, l'incontro
di Garibaldi con Vittorio Emanuele, tutto orribilmente scarabocchiato.
Ma penetriamo nell'interno. L'ingresso costa due soldi. Attraverso i tradizionali stereo-
scopi, si vedono successivamente delle incisioni grossolanamente colorate : la " Spedizione
italiana in Affrica; il Giuoco del Ponte di Pisa del 12 maggio 1785 ; la Corsa del 15 agosto
di Siena; il cardinale Sanfelice che benedice i garibaldini della squadra livornese assistenti
i colerosi a Resina (il cardinale è vestito di viola) ; Garibaldi ferito ad Aspromonte „ ;
poi i panorami di Roma, di Trieste, di Londra.
Ecco l'arte popolare colle preoccupazioni del giorno, il colera e l'Affrica, i ricordi
di Garibaldi e di Vittorio Emanuele. Ma in quanto all'esecuzione, come siamo lontani
dai Primitivi, quali il Perugino, che si rivolgevano al popolo essi pure, o senza cercare
lontano, i due Rossellino ed i Della Robbia, che lasciarono ad Empoli stessa delle pa-
gine così commoventi !
Quésto trionfo della chiassosa volgarità fa spiccare viemeglio qualche grazioso quadro
discreto o distinto. A pochi passi dal campo della fiera, una casa attira gli sguardi per
la sua decorazione, per altro affatto moderna; dei grafiti spiccano in nero su fondo bianco:
gli stemmi, i rabeschi, i pilastri dominanti in questo concerto di soli due toni, rammentano
i modelli dell'epoca migliore. Appunto nell'istante in cui io sto ammirandoli, una giovane
Contadina toscana.
Firenze e In Toscana.
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FIRENZE E LA TOSCANA.
donna biancovestita suona alla porta, tre nomini mal vestiti l'accompagnano. Prima
d'aprire, la prudente fantesca spia dal finestrino, per assicurarsi intorno all'identità dei
visitatori, rivolgendo loro la tradizionale domanda: "Chi è?„
Dopo questa rapida corsa attraverso Empoli , sono costretto a ritornare in tutta
fretta alla stazione, dove la locomotiva fischia, e gl'impiegati stanno gridando: "Par-
tenza per Pisa, Livorno ! „ Mi rimane abbastanza tempo per visitare lo stesso giorno una
città vicina, Castel Fiorentino. Sarà così pigliare due piccioni con una fava.
Lasciando Empoli , il treno percorre nuovamente una splendida pianura , che gli
occhi non possono saziarsi mai d'ammirare; prima di tutto si scorgono dei gruppi di
case di campagna, tinte in giallo, con persiane verdi; poi boschi d'ulivi, vigneti, in
breve uno scherzo perpetuo. Il paesaggio uguaglia in ricchezza quello della Svizzera;
presenta gli stessi soggetti pittoreschi, sebbene meno grandiosi ; ma l'opera della mano
dell'uomo si unisce continuamente all'opera della natura: "Homo additus naturae,,. Sulla
cima delle montagne che incorniciano il quadro, dei cipressi sparsi qua e là, che si riz-
zano come cavalli ricalcitranti. Quanto piìi ci avanziamo, le colline si fanno sempre
più brulle. Dietro le alture, le nuvole, sinistramente aggruppate, minacciano un' immi-
nente bufera.
Castel Fiorentino, da non confondersi con Castiglione Fiorentino (neppur bisogna
confondere Città di Castello con Civita Castellana), sta sulla vetta d'una collina pi ut-
tosto dirupata. E un anfiteatro composto di case bianche, rosee, azzurre o verdi, tutte
d'una tinta freschissima e d'un effetto assai pittoresco.
Alla stazione si trovano delle vetture, tirate da cavalli con gualdrappe luccicanti,
campanelli al collo e penne di fagiano dietro 1' orecchio. La salita comincia quasi
subito. Una porta su cui è dipinto il giglio fiorentino dà accesso alla città. Le strade
selciate sono molto erte : nessun veicolo potrebbe salirvi. I loro nomi evocano ogni ge-
nere di gloriose memorie: noterò, come in molte altre città toscane, la "via Ferruccio,,:
omaggio reso al capitano caduto sul campo dell'onore, tentando di portar soccorso ai
Fiorentini durante l'assedio del 1529. Lungo le vie, case multicolori, come si è detto
(alcune sono dipinte in modo da imitare 1' aspetto rustico). Su ciascuna, lucide lastre
col numero ; a tal riguardo soltanto Castel Fiorentino non ha nulla da invidiare alle
più brillanti capitali. I tetti, generalmente lisci , ora disegnano un piano parallelo a
quello della facciata ed ora formano con questa un triangolo. Di quando in quando
qualche costruzione imponente o qualche magazzino di lusso: la Banca di Credito di
Castel Fiorentino, la Cassa di Risparmio, il Delegato sai giuochi, sopra tutte le estra-
zioni del Regno, V Asilo infantile, il negozio di Vittorio Fecori, orefice, o la farmacia
Fontanelli, all'insegna della Fenice.
I negozi sono per la maggior parte chiusi; solo i barbieri, e i cafte-bigliardo sfi-
dano la solennità del 20 settembre. Alle finestre è stesa molta biancheria a sciorinare;
vi si scorgono pure dei graziosi visetti, che si alternano con delle brutte vecchie, sden-
tate, gialle come cotogni. Per completare il quadro, ovunque, in abbondanza, delle mi-
croscopiche gabbie di vimini, con dentro degli uccelletti; ciò prova la mitezza d'animo
di tale popolazione. Questa però conosce pure l'entusiasmo, a giudicarne dagli applausi
frenetici, dal furibondo batter dei piedi, che fanno tremare la Locando del Moro, ove
si produce; una diva qualunque.
EMPOLI E CASTEL FIORENTINO.
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Castel Fiorentino è così montuoso clic si può in certa maniera salire indefinita-
mente senza raggiungere la cima: non sono clic strade e stradicciuole a rapidi pendii,
con immensi muri coperti d'edera. L'aspetto di tali quartieri eccentrici c dei piti mi-
serabili: ovunque fanciulli cenciosi co' piedi nudi, e persino ragazze grandicelle che
per lo meno d'estate ignorano l'uso della calzatura: dopo una penosa ascensione si
sbocca in una piazzetta che serve — proh pudori — di deposito alle immondezze.
Ma qual vista! Innanzi a noi sempre la montagna co' suoi cipressi; rivolgendoci ve-
diamo la pianura verdeggiante, le terre lavorate, simili ad un ben coltivato giardino!
Questa superiorità della campagna sulla città ha una chiara ragione: gli abitanti, da
veri contadini, hanno evidentemente maggior tenerezza per i loro campi che per le
loro case.
Il viaggiatore che piglia delle annotazioni desta sorpresa nella popolazione di (Jastel
Fiorentino; ma almeno vedendomi, gli indigeni non sputano a terra come i Turchi, e non
corro il rischio d'essere trattato da cane infedele! Ho sempre venti paia d'occhi fissi
su di me, i monelli mi si avvicinano per di dietro, per leggere le mie annotazioni (li srido
a penetrare i miei segreti, chissà se al mio ritorno in patria riuscirò io stesso a decifrarli!}
Il meglio è continuare la propria via, senza aver l' aria d' accorgersi della curiosità
provoeata. Certo è che non vorrei rifare la mia passeggiata sotto un tal fuoco incro-
ciato di sguardi, tanto più che in tali esplosioni di sentimenti nazionali, ed ai tempi
che corrono (il 20 settembre è l'anniversario della presa di Roma), bisogna stare in
guardia.
Alle porte delle chiese, la massa dei mendicanti "zoppi, gobbi, ciechi,,, una vera
riunione di miserie, rimane tanto attonita all'apparire d'un forestiero, da non pensare
neppure a chiedergli l'elemosina.
Tuttavia m'è duopo, mio malgrado, ricorrere alla cortesia dei miei ospiti. Una
donna a cui domando la strada, corre per procurarsi l' informazione richiesta ; i suoi
zoccoli dai talloni acuminati, risuonano sul selciato; le comari si riuniscono, si con-
sultano, si direbbe trattarsi d'un affare di Stato !
D'altronde queste brave persone sono d'una gentilezza perfetta. Voi li ringraziate
per un'informazione, ed esse vi rispondono: "Arrivederci!,, oppure: "Padrone!,,
E difficile ad un forestiero il rendersi conto, in un'escursione di qualche ora, dello
>r;ito intellettuale d'una popolazione, dei suoi gusti, delle sue attitudini, sia pure, trat-
tandosi d'una cittaduzza in miniatura qual è Castel Fiorentino. Sopra tutto in Italia,
dietro la massa del popolo ignorante, si nascondono sempre degli studiosi , famigliari
eoi progressi della civiltà, a qualunque latitudine questi si producano. Poiché io per
natura rifuggo dai giudizi precipitati, mi limiterò a notare, quali indizi psicologici, i
manifesti che annunciano una nuova edizione dei Misteri di Parigi di Eugenio Sue, e
di Notre-Dame di Parigi, di Vittor Hugo; poi, esposte dai cartolai, delle caricature
politiche, di cui una rappresenta il Ratto della Caroline, cioè Bismarck con un selvaggio
in ogni mano, e la Spagna clic protesta impotente!
Ridiscendendo, si vede una specie di fiuniicello asciutto; ma non fidatevene: nella
stagione delle pioggie, esso farà parlare di se. Là vicino due chiese: l'una, San Fran-
cesco , costrutta in mattoni, colla sua unica navata, il suo aitar maggiore, con
sopra una piccola cupola, le cortine rosse, chiuse, che producono un effetto di chiaro-
scuro abbastanza originale. L'altra, Santa Verdiana, ci offre soltanto una facciata di
stile rococò, ornata di sci statue in marmo, troppo declamatorie. Io odio nelle cose reli-
giose tali applicazioni di stile tanto profano, eppure tentate di sopprimerle, e l'Italia
FIRENZE E LA TOSCANA.
non sarà più l'Italia. La ragione si è che la storia è una catena di fatti normali ed
organici, che suppone la maggior tolleranza ; la nostra estetica al contrario non è che
una concezione artificiosa ed effimera.
Sebbene ci sia in tali luoghi materia d'osservazione sufficiente, io aspiro ad una
meta più elevata : ciò che m'attrasse a Castel Fiorentino furono certi affreschi dell'o-
ratorio di Santa Chiara, attribuiti a Benozzo Gozzoli, lo squisito pittore del Campo-
santo di Pisa. L'oratorio trovasi a qualche distanza dalla città. Si attraversa la ferro-
via, poi un ponte sull'Elsa e si raggiunge un piccolo sobborgo, le cui strade non sono
lastricate ma in compenso tutte cosparse di pezzetti di paglia. A destra si vede un
gruppo di fabbriche più o meno rustiche, su cui si erge un campanile, cioè la chiesa
ed il convento di San Benedetto. La prima, in istile rococò, non offre nulla d'inte-
ressante. Quanto al convento abitato da monache, un cancello ne proibisce l'ingresso
ai profani ed io non tenterò di forzare la consegna.
Dal lato opposto la cappella di Santa Chiara, il cui esterno di carattere indeciso
(false arcate a tinta gialla) ha un'apparenza del tutto moderna. Questa cappella appar-
teneva per l'addietro alle monache di San Benedetto ; oggi è secolarizzata (un'iscrizione
ricorda che nel 1872 il governo ne affidò la custodia al municipio di Castel Fioren-
tino) ; per cui le chiavi sono deposte al palazzo municipale. Un gentile giovanotto corre
a cercare il custode senza ch'io abbia neppur avuto il tempo di pregamelo. Intanto
esamino i fabbricati adiacenti occupati da una conceria di pellami; il cortile è ingombro
di granturco che alcuni piccioni vengono a sgranare; un cane brontola sentendo avvi-
cinarsi un forestiero. 11 sole dardeggia i suoi raggi cocenti; la via è polverosa; nessun
riparo nell' attesa della venuta del Cerbero. Ma eccolo che spunta finalmente col suo
berretto di servizio municipale. Sebbene penetrato della dignità della sua missione, egli
si dimostra d'una gentilezza perfetta (mi cede costantemente la destra); da quindici
giorni mi dice che nessun altro forestiero avea fatto quivi la sua comparsa; forse per
questo, in men che non si dica, vedo raggruppate a me dintorno una trentina di per-
sone, colla bocca aperta : dei contadini dalla tozza figura , rasi di fresco, dei monelli
scapigliati.
Non vedo il momento d'entrare nel santuario : al primo momento non v' è nulla di
seducente ; una semplice tinta ne ricopre le pareti affatto nude ; ma gli affreschi che
si vedono sulla parte superiore d'una specie di tabernacolo isolato da ogni lato, e di cui
ogni faccia forma un'arcata, pare sieno di un'epoca buona; inoltre molto ben conser-
vati. Sulla parete dirimpetto V Espulsione di san Gioacchino. Ahimè! tale composizione,
dalle espressioni fiacche, si risente della scuola, non del maestro. Quanto alla Vergine,
dipinta al disotto, eli' è completamente distrutta. I quattro evangelisti e dottori rappre-
sentati a sinistra, Cristo in mezzo ai Cherubini, che occupa il centro, e V Annun-
ciazione hanno pure alcunché di vago. Non e' è quasi più forma nei quattro evange-
listi e dottori rappresentati a destra nell' 'Apparizione dell'angelo a san Gioacchino ,
nell' Incontro di san Gioacchino con sant'Anna, dipinti al fondo con un disegno di
città in cui si scopre una cupola che rammenta quella della Cattedrale di Firenze.
Io non parlo della mangiatoia dipinta più in basso, non ne rimangono che delle
traccie.
La conclusione facile a dedurre si è che se il genere di questi affreschi ricorda
esattamente quello di Benozzo Gozzoli col suo colorito un po' crudo, non ci si trova
punto nò l'originalità nò lo spirito di tale artista di razza. Le teste indifferenti, im-
bronciate, non hanno nulla della vivacità particolare a lui. I movimenti sono rigidi
EMPOLI E CASTEL FIORENTINO.
!);;
e gracili le estremità. Quanto agli edifizi rappresentati nel fondo, essi lui imo ini po'
dello stile gotico e un po' del Rinascimento; è quasi un peccare per eccesso di spi-
rito di conciliazione. Ma dopo tutto, io non rimpiango d'essermi spinto sino a Santa
Chiara.
La sera, quando giungo a Firenze, il cielo ha una tinta rosso-porporina, domani
probabilmente pioverà. Ma che importa l'indomani? Per oggi le nubi furono sconfitte,
vinte da Febo Apollo.
L'Angelo
dell'Annunziazione, di B.
Rossellino.
M o n t e ] u p o.
SIENA.
"Questa rude cittaduzza, così piena di voluttà.,,
(Maurice Barrès.)
I.
Signa e Dante. — Montelupo. — Certaldo e Boccaccio. — La stazione
di Siena. — Occhiata retrospettiva. — Lotte con Firenze. — I
Francesi a Siena: Carlo VILI e Biagio di Montluc.
D
a Firenze la gita sino a Siena è ima picco-
lezza; chi è mattiniero può compierla in una
sola giornata. Si prende il treno delle 5.35 e si ar-
riva a Siena alle 8.47. La sera si ripiglia a Siena il
treno delle 7.23, e alle 10 e mezza si è già di ritorno
sulle rive dell'Arno. Ma Siena merita di più che una
visita rapida; io per conto mio vi passai delle setti-
mane, e non credo d'aver visto tutto. L'ospitalità che
vi si trova, per esempio, negli alberghi di Bussiti, nel-
V Hotel Beale, dell'Aquila Nera e delle Armi d'Inghil-
terra, ecc., rende il soggiorno facile ed aggradevole;
anche i Russi e gli Inglesi vi si trovano benissimo. Io sono persuaso che quelli tra i
miei compatrioti che seguiranno il mio consiglio, resteranno contenti di questo pellegri-
ne l'arte e la natura vanno a gara nel rendere attraente.
Nel mio scompartimento siede a me dirimpetto una marchesa dai capelli bianchi
La lupa sienese.
SIENA. - CENNI STORICI.
95
che s'immerge nella lettura dei giornali. Vedendo che gli studenti di medicina di Na-
poli aveano inviato una Commissione per curare i colerosi di Palermo, essa grida con
entusiasmo: "Bravi ragazzi!,, per non pensarci più un momento dopo. Questo è pro-
prio il paese delle iscrizioni, dei telegrammi, delle manifestazioni esteriori, delle for-
mule altisonanti.
Il treno si ferma anzitutto a San Donnino, ove un giorno ebbi a godermi un tre-
mendo temporale. Si passa poi innanzi ad un villaggio allegro e ben esposto, eolle case
tinte di giallo, che spuntano tra i boschi d'ulivi: è Signa stigmatizzata da Dante. 1 ' Noi
costeggiamo l'Arno, le cui rive sono qui sparse di rosai — un vero miracolo in tale
stagione! — e la cui corrente è solcata da qualche barca. Quasi improvvisamente si
ergono innanzi a noi delle roccie gigantesche c delle cave di pietra serena. Poi la
valle si restringe così che talora c'è a malapena lo spazio pel fiume e per la ferrovia.
Sulle colline vedi villaggi disposti ad anfiteatro , boschi di pini d' Italia. La strada è
ricca di sorprese , di rapidi e magici cambiamenti : ora è una striscia d' alberi sparsi
lungo la sinuosità della montagna, e che si disegnano sul cielo; ora una montagna
brulla coi fianchi dirupati si alterna con dei boschi. Qui un prato verdeggiante ospita
una mandra di pecore che formano una macchia biancastra sul fondo verde; là il vil-
laggio sorto nella pianura fa riscontro al villaggio rannicchiato sulla collina; più lungi
spunta qualche castello più o meno rovinato dal tempo. In questi terreni irregolari
ogni cosa acquista importanza e serve ad animare il paesaggio.
Montelupo, patria di celebri scultori, è costrutto sopra due monticelli, su ciascuno
dei quali s' erge una gran torre. Numerose case indicano 1' importanza del luogo. Un
ponte a due archi riunisce tra loro le due rive dell'Arno su cui regna grande anima-
zione. Il treno attraversa poscia un piccolo tunnel di pochi metri.
Innanzi a noi si stende l'intera pianura : ai nostri occhi si presenta una vasta esten-
sione di terreno verdeggiante, sparso d'innumerevoli case, e fiancheggiata a destra da
un contrafforte che spicca sul fondo delle montagne. La quantità dei vagoni fermi an-
nuncia la vicinanza dell'importante stazione d'Empoli che precede quella di Castel Fio-
rentino.
Una nuova stazione, Certaldo, si raccomanda subito per la sua posizione pittoresca
e per le sue rovine che non la cedono in bellezza ai castelli delle rive del Reno. Sulla
sommità della montagna, un rudero merlato circondato da torri; al basso, un villaggio
moderno: e tra questi due, dei campi ben coltivati. Il ricordo del Boccaccio, nato a
Certaldo, rende tanto più interessante questo borgo. L'autore del Dccamerone si èri-
cordato de' suoi concittadini in una delle sue novelle (VI. a giornata, novella X. a ), in cui li
dimostra d' un' eccessiva credulità, accettando essi quale Vangelo le chiacchiere d' un
frate questuante, (iià sin da quell'epoca Certaldo era molto decaduta; il novelliere la
rappresenta come un villaggio poco considerevole, ma abitato in antico da un gran nu-
mero di signori e di ricchi.
La stazione seguente, Poggibonsi, è ingombra di veicoli : sono i vetturini che aspet-
11 .Ma la cittadinanza, ch'or è mista. Oh! Quanto fora meglio esser vicine
Di Campi e di Certaldo e di Figghine^ Quelle genti ch'io dico, ed a Galluzzo
Pura vedeasi nell'ultimo artista. Ed a Trespiano aver vostro confine.
Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d'Aguglion, di quel da Signa
Che già per barattare ha l'occhio aguzzo!
(Paradiso, c. xvi).
90
FIRENZE E LA TOSCANA.
tano i viaggiatori diretti a San Gimignano. Questa ferrovia da Firenze a Siena deve
aver cagionato dei gran rompicapi agli ingegneri. In quanto a me , dopo tanti viaggi
non ne trovai ancora la spiegazione : si parte, si ritorna, si sale, si scende, ci si trova
in un abisso o sur un'altura, senza comprendere la ragione di tanti mutamenti. La lo-
comotiva è a sua volta attaccata ora davanti, ora di dietro. La mia debole ragione s'in-
china innanzi a tali calcoli profondi.
Finalmente il treno si ferma. Siamo a Siena.
La stazione, tinta in giallo, vi fa una meschina figura. Anche la circolazione non
ha alcuna importanza; non comprende che quattro treni al giorno per l'andata, ed al-
trettanti pel ritorno.
La sala d'aspetto di prima classe merita una speciale menzione; presso ad un ta-
volo e a specchi in legno dorato, preziosi avanzi del secolo XVIII, stanno delle orribili
panchine moderne coperte di pseudo-reps; sparsi qua e là dei vasi di ferro fuso, di-
pinti in color bronzo e contenenti dei mazzi di fiori artificiali.
Quale contrasto collo spettacolo che ci attende, coi ricordi che ci si affollano di-
nanzi! Facciamo un istante astrazione dal presente, immergiamoci nel passato, in cui
sta l' interesse di Siena, interesse di prim' ordine. Siena infatti non fu soltanto la ca-
pitale d'un piccolo Stato, ma uria vera nazione.
Circa venticinque anni or sono, il dottor Costantini rivelava — è la vera parola —
ai lettori del Giro del Mondo, le meraviglie di Siena, l'antica città toscana, la ne-
mica ereditaria, e la secolare rivale di Firenze. Da quell'epoca le idee progredirono : po-
chi sono al giorno d'oggi i viaggiatori che trascurano questa memorabile e pittoresca
città. Tentando, a mia volta, di dipingerla, dovrò adunque ravvivare i ricordi, anziché
dare delle informazioni inedite. Non importa, questa parte di cicerone retrospettivo può
avere la sua utilità, il suo interesse; ed io non arrossisco di compierla.
Siena conta attualmente circa 25 000 abitanti: essa adunque, per importanza, viene
dopo ad una quantità di città italiane di secondo ordine; aggiungerò che vi sono po-
che città che, con un'eguale popolazione, occupino uno spazio così ristretto ; il cruccio
della loro sicurezza, costrinse , durante interi secoli i Senesi a rinchiudersi dietro i
loro baluardi, o dietro a difese naturali veramente formidabili. Ma se noi consideriamo
i ricordi storici, o i monumenti d'arte, quanti e quanti interessanti particolari! Una ses-
santina di chiese, di cui parecchie brillano in prima fila, un ugual numero di palazzi,
statue, pitture, ornamenti a perdita d'occhio ; in breve, tutta una Scuola, ardirei dire tutta
una civiltà si concentrarono per lungo tempo in uno spazio minore di una lega quadrata
(la cinta attuale misura circa 7 chilometri).
Artisti e poeti s' innamorarono di tutti questi capi d'opera, e di questa incessante
visione del passato. Ma agli occhi degli storici , Siena ha un altro privilegio : quello
d'indicare, con una ricchezza ed una sicurezza d'informazioni che non si trova l'uguale
in alcun'altra città del medio evo, gli annali della storia religiosa, politica, amministra-
tiva, commerciale, artistica, letteraria, quasi anno per anno, giorno per giorno. Siena
è pure qualche cosa di diverso da un immenso musco: è un museo documentato, in cui
gli archivi illustrano di continuo i ricordi storici, e le opere d'arte. In nessun altro
luogo, si procede con una tale certezza! Figuratevi: noi conosciamo minutamente le
convenzioni firmate cogli artisti in pieno secolo XIII! Ciò che le iscrizioni sono nelle
antiche città, lo sono qui le pergamene: formano delle serie senza lacune. Altre città
vanno orgogliose per monumenti altrettanto antichi; ma nessuna di certo possiede per
98
FIRENZE E LA TOSCANA.
ciascuno di essi degli atti di stato civile, o dei diplomi di nobiltà (qualunque sia il ter-
mine che si voglia adottare) così completi.
L'origine di Siena — l'antica Sena Julia — si perde nella notte dei tempi. La
leggenda attribuisce la sua fondazione a Senio, figlio di Remo e nipote di Romolo;
donde la scelta della lupa, che figura sin da un' epoca remotissima negli stemmi della
città, e eli e in bronzo od in marmo sorge ancor oggi su molte delle sue piazze pubbliche.
Durante il medio evo, la storia di Siena rassomiglia a quella di tutte le città ita-
liane: guerre di dentro e guerre di fuori, guerre intestine e guerre coi vicini, soprattutto
coi Fiorentini. Uniti al loro concittadino papa Alessandro III ed ai Comuni lombardi, i
Senesi lottarono valorosamente contro l'imperatore Federico Barbarossa; respinsero vit-
toriosamente, nel 1186, l'assalto che il sovrano tedesco dette ai loro baluardi. I Ghi-
bellini però finirono col trionfare e conservarono a lungo il potere ; la vittoria di Mon-
taperti, riportata nel 12G0 dai Ghibellini senesi sui loro concittadini Guelfi, alleati ai
Fiorentini, consolidò per un istante la loro signoria. Ma i successi di Carlo d' Angiò,
le sue vittorie a Benevento ed a Tagliacozzo, e soprattutto la disfatta dei Ghibellini se-
nesi a Colle di Val d'Elsa, nel 1269, restituirono il potere ai partigiani del Papato
e della Francia.
L' ostilità fra questi due grandi partiti politici s' alternava con altre lotte , non
meno vive, fra i nobili (esclusi sin dal 127 7 dalle cariche pubbliche) ed i mercanti od
industriali, il "popolo grasso,,, che formavano il nocciolo della popolazione. Non sarebbe
opportuno l'occuparsi qui di queste rivoluzioni intestine, di questo continuo mutamento
del potere, ora a profitto degli uni, ora a profitto degli altri. Ma ciò che importa di
mettere in chiaro si è l'energia del carattere senese, le lotte contro l'imperatore Enrico
di Lussemburgo e contro 1' imperatore Carlo IV, che dovette vergognosamente fuggir-
sene a Lucca, dopo aver perduto 400 uomini d'armi, nelle vie di Siena (1360). La
fame del 1329, la peste del 1348, che rapi tre quarti della popolazione, le incur-
sioni delle grandi compagnie (1364 e anni successivi), non riuscirono a spezzare la
vitalità degli abitanti.
Quante pagine tetre o brillanti della storia del medio evo si svolsero in questa
città, allora una delle tappe principali conducenti a Roma, oggi, lontana dalle grandi
vie di comunicazione! Quanti sovrani pontefici, quanti imperatori, quanti principi e per-
sonaggi illustri vi ricevettero ospitalità e vi segnarono il loro passaggio !
Nei secoli XII, XIII e XIV, Siena rivaleggiava per potenza e per ricchezza con
Firenze, con questa differenza, che mentre una lavorava con ardore febbrile ad esten-
dersi, ad assorbire tutta la Toscana, l'altra concentravasi in se stessa. Il commercio,
la banca, l'industria contribuivano in parti uguali alla sua prosperità. Nel 1260, nel
momento della battaglia di Monteapcrti , la sua popolazione era, secondo gli uni , di
60,000 anime, secondo altri di 100,000.
Altre città annoverano le loro glorie fra i generali, i loro grandi uomini di Stato,
i loro poeti, i loro scienziati od artisti: Siena, a cui la sua divozione aveva procacciato
il nome di Citta della Madonna, le annovera fra i suoi santi o i suoi pontefici. Nel se-
colo XIV, essa si vanta d'aver dato i natali a san Bernardo Tolomei, il fondatore del-
l'ordine degli Olivetani, ed a santa Caterina (1347-1380), nel secolo XV a san Ber-
nardino (1380-1444), il riformatore dell'ordine di san Francesco e il fondatore dell'ordine
dell'Osservanza. Quanto ai sovrani pontefici nati a Siena, essi raggiungono la cifra ri-
SIENA. - CENNI STORICI. 99
spettabile di sei. non compreso Gregorio VII, il famoso Ildebrando, che nacque nei
dintorni, a Sunna: sono Alessandro LEI, Pio II, l'io III, Marcello II, Paolo V Borghese
e Alessandro VII Chigi. Quale riscontro a queste manifestazioni dell'ortodossia, bisogna
citare l'elaborazione dell'eresia, a cui due dei figliuoli di Siena, i Socini, hanno associato
il loro nome nel secolo XVI. Ortodossi ed eretici sono sempre, in complesso, credenti.
Un altro senese, Bernardino Ochino (1487-1564), convertito al protestantesimo, si distinse
per l'ardore della sua propaganda.
L'eccesso della religiosità, ecco ciò clic forma la differenza tra i Senesi ed i Fioren-
tini : s'essi si dimostrarono laboriosi quanto questi, restarono ben al disotto per vigore
e originalità. Prova ne sia la penuria di poeti, di pensatori, di scienziati. Durante
tutto il secolo XIII e XIV, cioè durante l'epoca in cui Dante, Petrarca e Boccaccio
e tanti altri portavano la gloria di Firenze sino ai confini del mondo incivilito, il moto
letterario di Siena riducevasi, o poco meno, alle poesie, orazioni e lettere di santa Ca-
terina, elic allettano per la purezza dello stile.
L'Università, fondata nel 1321, confermata nel 1357 dall'imperatore Carlo IV, non
uguagliò mai le sue rivali di Bologna, di Padova, e neppure quella di Pisa. Fra i suoi
professori prevalevano i giureconsulti: appena, di tanto in tanto, un letterato, come
Francesco Filelfo (1434). Oggi ancora tale istituzione non si distingue che negli studi
d'un carattere strettamente professionale. Nel ISTI essa contava una cattedra di teo-
logia, una dozzina di cattedre di diritto, cattedre di medicina, di chirurgia, di far-
macia. Affrettiamoci a dire che questo fu ognora il lato debole dei Senesi, (ili studi
sulla storia locale, sopra tutto gli studi sulla storia dell'arte, vi furono, a dir il vero,
brillantemente rappresentati in epoche diverse, ultimamente dai fratelli Milanesi, che
Firenze però non tardò a rapire alla sua rivale. Ma i lavori di sintesi non vi trova-
rono che scarsi cultori, Anche in questo campo della storia locale, Siena contempo-
ranea adempie essa a tutti i suoi doveri? Si occupa essa della pubblicazione dei pre-
ziosi manoscritti, quali la Cronaca di Tisio, che dormono negli scaffali della sua biblioteca?
Pubblica essa qualche raccolta periodica, qualche Archivio, simile a quelli che si pub-
blicano in altre città italiane d'un'importanza ben minore? 1 '
Ma ritorniamo al passato. Inferiori ai Fiorentini nel dominio letterario, i Senesi ga-
reggiarono validamente con essi nel campo dell'arte, e in ispecic della pittura. I pittori
senesi si distinsero per non so quale dolcezza e soavità sconosciute ai loro rivali; per
Dna fatale correlazione, essi primeggiarono nel colorito piuttosto che nella scienza del
disegno.
In tale epoca questo intenso focolare irradiava sulla Toscana, l'Umbria, gli Stati
Pontificii, il Penine di Napoli. Gli stessi Fiorentini dovettero ricorrere più d'una volta
ai piìi odiati tra i loro nemici: in pieno secolo XIII, nel 1285, i fabbricieri di Santa
Maria Novella ordinarono una pala d'altare a Duccio, il caposcuola senese.
All' incontro la scultura non contava per rappresentanti che dei volgari scalpellini.
Noi possediamo a questo riguardo una preziosa informazione: nel 1271-1272, tre scul-
tori fiorentini. Donato, Lapo e Caro ebbero il diritto di cittadinanza, perchè, secondo
la confessione delle autorità stesse, non c'era in tal epoca in tutta Siena un maestro
capace d'eseguire le sculture e gli altri lavori delicati, destinati al Duomo: " Cum non
sint magistri ydonei ad faciendum intallias et alia opera subtilia prò opere beata* Maria;
Virginis „. 2)
1 ) Solo dopo il 189:3 compare un periodico di tal genere: La Miscellanea storica senese.
2 ) Le tappe principali della storia delle arti a Siena, si possono riassumere, trattandosi del medio evo, come segue:
100
FIRENZE E LA TOSCANA.
Nel XIV secolo, Simon Memmi (Simone di Martino) sparge lontano — ari Assisi, a
Napoli, ad Avignone — la fama dei pittori senesi, mentre suo cognato Lippo Memmi,
i Lorenzetti, Berna, e moltissimi altri lavorano alla decorazione delle chiese o dei pa-
lazzi municipali della regione.
Durante tale periodo ancora, Siena forma come un vasto semenzaio, ove V Italia
intiera recluta i maestri, gli scultori, i pittori. Specialmente la città di Orvieto è sua
tributaria, sua vassalla : quasi tutti gli architetti della sua cattedrale hanno per patria
Siena. A Pistoia il senese Cellino di Nese, edifica nel 1339 il battistero ; a Massa Ma-
rittima, altri Senesi erigono nel 1348 la grande cappella della chiesa di San Pietro; a
Particolare di una delle storie di Spinello Aretino (Papa Alessandro III e l'Imperatore Barbarossa) (Palazzo pubblico).
Roma Paolo dirige, verso il 1340, i ristauri della basilica Vaticana, e Giovanni di Ste-
fano, nel 1 3 G9, quelli della basilica del Laterano; a Napoli Tino di Camaino (f 1339),
ad un tempo architetto e scultore, edifica, verso la stessa epoca, la celebre Certosa di
San Martino.,
La scultura senese figlia della Scuola di Pisa, s'afferma finalmente alla sua volta con
Tino di Camaino, le cui opere principali, il mausoleo dell'imperatore Enrico VII, quelli
1221. Pala d'altare di Guido. — Costruzione e decorazione del Duomo; tale lavoro assorbì per lunghe generazioni la
parte migliore delle forze vive della popolazione Eccone le dato principali: 1264. Compimento della cupola. 1268. Per-
gamo di Niccolò Pisano. 1284. Costruzione della facciata di Giovanni da Pisa. 1308-1310. Pala d'altare di Duccio.
1322. Ingrandimento del Duomo. — 1309. Il Palazzo Comunale è condotto a termine
SIENA. - CENNI STORICI.
101
del vescovo Antonio d'Orso, della regina Maria, del duca Carlo di Calabria e della sua
sposa, adornano il Camposanto di Pisa, la cattedrale di Firenze, le chiese Santa Maria
Donna Regina e Corpus Domini a Napoli. Altri due scultori senesi, Agostino di Gio-
vanni ed Agnolo di Ventura, eseguiscono nel duomo di Arezzo il mausoleo del vescovo
Tarlati.
Persino 1' oreficeria ebbe in Siena dei valenti artefici. L' architetto orefice Laudo
di Pietro (f 1340) eseguì la corona destinata all'incoronazione dell'imperatore Enrico VII.
[Un altro orefice, Michele di Memmo, lavorò nel 1348 al celebre altare d'argento di
Pistoia. Il fornitore dei papi d'Avignone, Giovanni di Bartolo, ebbe pure Siena per
patria.
Non è facile il far comprendere la molteplicità degli sforzi tentati dai Senesi: fu-
sione di metalli, sculture in avorio, intarsii, miniature, ricamo, pittura sul vetro (questa,
inaugurata sin dal XIII secolo, fu molto coltivata sino all'estremo limite del Rinasci-
la^ i-
La Piazza_del Campo.
mento dai Gesuiti, stabiliti nel convento di San Gerolamo): nessuna delle varie dira-
mazioni dell'arte sfuggiva loro. Nel 1408, uno dei corrispondenti del duca di Berry, di
questo ardente amatore di belle arti, sempre alla ricerca di nuove invenzioni, gii in-
dicava a Siena " un artefice di musaici e d' intarsii, belli e di diversi colori, bravo
quant'altro mai „.
Il Rinascimento doveva turbare e confondere Siena, città più che le altre avvinta
alle tradizioni del medio evo. Cosicché il XV secolo vi segna una specie di sosta nello
sviluppo intellettuale : mentre i Fiorentini si slanciavano a vele spiegate verso nuovi
orizzonti, i Senesi titubavano tra i ricordi del passato e le tentazioni che loro appari-
vano intinte di paganesimo.
Solo il grande scultore Jacopo della Quercia (137 1-1438), l'emulo del Ghiberti e di
Donatello, 1} ebbe genio tale da imporre il proprio stile, che forma quasi una via di
l ) Jacopo della Quercia fu tema d'una monografia. Questo lavoro dovuto a Comelius comparì nel 1696 a Halle.
102
FIRENZE E LA TOSCANA.
mezzo tra lo stile gotico ed il Rinascimento. Ma i suoi successori non giustificarono le
speranze fatte sorgere da questo artista superiore. Non già che una legione di abili
scultori, come gli Antonio Federighi, i Vecchietta, i Turini, i Neroccio Laudi, i Coz-
zarelli, i Francesco di Giorgio Martini, non popolasse la città di statue e di bassori-
lievi in marmo o in bronzo, per non parlare delle terrecotte : ma tutte queste produ-
zioni, in cui domina l'elemento gotico, mancano di partito preso; esse non hanno nò il
naturalismo fresco e generoso di Jacopo della Quercia, uè la classica nobiltà o la po-
tenza drammatica di Donatello. Supponete un' arte intermedia fra il medio evo ed il
Rinascimento, una specie di Ghiberti, ma senza la grazia squisita, senza l'alta distin-
zione dello scultore delle porte del Battistero, uno stile ibrido, dalle forme rimpicciolite
proprie agli artisti gotici, senza però la loro energia e il loro slancio: ecco la Scuola
senese del XV secolo.
L'eloquente e fanatico autore dell' Arte Cristiana, A. F. Rio, portò alle stelle la
pittura senese del XV secolo. Fedele ai suoi principi! , egli antepose la divozione al
talento, e certamente dal punto di vista dell' ortodossia dei sentimenti, nessun artista
italiano poteva misurarsi coi Sano di Pietro, i Matteo di Giovanni e gli altri. La loro
iconografia non è forse esente da ogni concessione fatta al paganesimo o al realismo!
Le loro Madonne non incarnano esse la purezza verginale o la tenerezza materna, senza
il minimo miscuglio d'elementi profani ! Ma tali Madonne, stereotipate come quelle del
monte Athos, sono mortalmente noiose, senz'aldina originalità. I loro autori, nella loro
mediocrità, non seppero porre in esse la poesia, l'emozione, la vita! Sono immagini di
divozione, ma non opere d'arte. !)
Gli inviti rivolti dai Senesi agli artisti fiorentini, sino allora rigorosamente esclusi
da ogni ordinazione, sono una prova dei tempi. Successivamente gli scultori Ghiberti,
Donatello, l'architetto Bernardo Rossellino, il miniaturista Litti Corbizi e molti altri
furono chiamati a dar prova del loro talento. 2)
Qualunque fosse l'antagonismo esistente tra i principi rappresentati da Siena ed
i principi del Rinascimento, fu tuttavia ad un campione di quest' ultimo, ad uno dei
luminari dell'umanesimo, che l'antica città toscana dovette in tal momento il colmo della
sua gloria e della sua prosperità. Fra tanti uomini illustri che si erano sforzati, cia-
scuno a modo proprio, di provare la loro gratitudine alla patria, nessuno l'amò in realtà
d'un amore più ardente del brillante scrittore, salito più tardi sul trono di san Pietro,
riguardo al quale questa sospettosa Repubblica, s'era dimostrata veramente matrigna :
intendo parlare di Enea Silvio Piccolomini, papa, sotto il nome di Pio II. Sebbene la
sua famiglia fosse stata bandita da Siena ed egli stesso fosse nato a Corsignano, pure
non cessò di considerare l'antica metropoli come sua culla e le prodigò innumerevoli
elogi, onori e favori. Fu il vero papa senese in tutta l'estensione del termine. ; >
l ) Rio stesso fu costretto di faro, relativamente ai pittori che lavorarono a Pienza, questa confessione applicabile a
tutta la Scuola senese: " Sembrano aver ignorato le recenti scoperte di cui era così superba la Scuola fiorentina, e di
cui il naturalismo avea saputo trarre tanto prolitto ! Nessun entusiasmo per la prospettiva lineare e le sue originali
applicazioni, nessun pensiero per gli accessori tolti al regno animale o vegetale; in qualcuno si nota un progresso nella
scienza del disegno e dei fortunati tentativi, ma senza perdere mai di vista, come troppo spesso accadeva a Firenze, il
soggetto principale da rappresentarsi. „
2 Ì Nelle dichiarazioni di beni della raccolta, di documenti di Gaetano Milanesi, si può vedere ciò che fosse nel
XV secolo l'esistenza di tali artisti senesi, esistenza modesta, borghese, raccolta.
'■'■) 1 Piccolomini divennero i padroni di Siena: grazie alla munificenza, stavo per dire al nepotismo di Pio II,
essi eclissarono rapidamente i loro concittadini. La loro potenza era così bene stabilita che uno d'essi, il cardinale
Francesco, fu Scelto per cingere, come suo zio, la triplice corona e venne proclamato papa sotto il nomi' di Pio 111.
Ala il suo pontificato ebbe breve durata: ventisette giorni soltanto. Però la vitalità ilei Piccolomini non si spense
SIENA. -
CFNNI STORICI.
Nel XV secolo, l'energia e l'attività clic avevano brillato nell'industria, nel com-
mercio c nelle arti, raggiunsero nella banca il loro punto culminante. Se, durante qualche
tempo, malgrado la loro attività ed il loro intuito, i Ghinucci, gli Spannocchi, i Tolo-
niei avevano alquanto faticato per gareggiare coi loro emuli di Firenze, specialmente
eoi Medici, il loro concittadino Agostino Chigi, 1' accomanditario d'Alessandro VI, di
Giulio II e di Leone X. non tardò a diventare il più opulento finanziere ed il piìi ge-
neroso dei Mecenati.
Tra le altre illustrazioni contemporanee si citano i tre giureconsulti, Mariano Sozzini.
la cui statua in bronzo fusa dal Vecchietta vedesi oggi nel Museo nazionale di Firenze,
Bartolomeo Sozzini e Mariano
Sozzini il giovane, inoltre il
medico filosofo Ugo Benzi.
La fine del XV secolo fu
contrassegnata dall'ingresso di
Carlo Vili, e del vittorioso
esercito francese , nel dicem-
bre 1494. n
Il 13 giugno seguente,
Carlo Vili di ritorno dalla sua
spedizione contro Napoli, rice-
vette gli stessi onori come la
prima volta ; le cronache van-
tano sopra tutto la magnifi-
cenza della festa che gli venne
data al Palazzo pubblico ed
alla quale, contrariamente alle
consuetudini della città, pre-
sero parte le cinquanta più no-
bili e più belle senesi. Le loro
danze colmarono d'ammirazio-
ne il re. Partendo, Carlo Vili,
dietro richiesta dei Senesi, la-
sciò loro una guarnigione fran-
cese, comandata dal signore di
con lui. Quanti uomini di Stato, scienziati, capitani non sorsero in questa famiglia ! Il poligrafo Alessandro (1508-1578),
il condottiero, o piuttosto il capo dei briganti, Alfonso (7 1591), il maresciallo Ottavio (1599-1656), uno dei più bril-
lanti generali nella guerra dei Trent'anni, il successore di Wallenstein ; poi per compensare tali ricordi più 0 meno
dolorosi, il virtuoso arcivescovo Ascanio, l'amico di Galileo. Ecco dei Pitcolomini molto grandi! Ancora oggi i Picco-
lomini sono una legione e brillano in diversi rami; uno, che si chiama Enea, è professore di greco all'Università di Pisa;
un altro Bandino Piccoloraini, archivista negli archivi di Siena, pubblicò una guida a cui più d'una volta dovrò attingere.
Per rendere maggior onore al giovane monarca, gli abitanti atterrarono i battenti della porta Camollia, e riz-
zarono due archi trionfali, ornati l'uno della lupa senese, l'altro della statua di Carlo Magno e dello stesso Carlo Vili.
Sulla porta un giovanetto, rappresentante la Vergine, sovrana della città, dette il benvenuto al re, ricordandogli la
pretesa fondazione di Siena da parte dei Galli Senoni. Carlo si recò dapprima al Duomo, a cui volle donare il bal-
dacchino, colle armi di Francia e di Brettagna, sotto cui egli aveva fatto il suo ingresso in Siena: poscia al pa-
lazzo episcopale ove doveva abitare. Ricusò gentilmente il dono destinatogli dai magistrati, e rinunciò volentieri
alle domande che i suoi inviati avevano fatto in suo nome. " — La vostra città appartiene alla Vergine, — disse, —
voglio adunque lasciarla intatta. Io non ci tengo nò al vostro denaro, nè alle vostre manifestazioni, sapendovi buoni
francesi. Voi mi troverete un buon Senese e sempre pronto ad aiutarvi „. La cessione di mille misure di grano contro
promessa di rimborso fu tutto ciò ch'egli chiese, ed i Senesi per gratitudine vi aggiunsero mille misure di più, gra-
tuitamente. (Delaborde, La spedizione di Carlo Vili in Italia).
Una battaglia navale. Particolare delle storie di Spinello Aretino
(Papa Alessandro e Federico Barbarossa) (Palazzo Pubblico).
104
FIRENZE E LA TOSCANA.
L'effigie di San Bernardino di Siena.
(Affresco del Palazzo Pubblico).
Ligny, per mantenere l'ordine; ma tale guarni-
gione non tardò ad essere espulsa dai partiti ehe
straziavano la città.
La spedizione di Carlo Vili coincideva presso
a poco colla rivoluzione avvenuta nel governo d
Siena.
Un certo Pandolfo Petrucci s' era impadronito
del potere, grazie ad una serie di delitti o di
combinazioni veramente maehiavelliclie (fece as-
sassinare il proprio suocero). Durante l'epoca tur-
bolenta per cui si distinse la fine del secolo XV
ed il principio del XVI, si mostrò ora l'alleato,
ed ora Y avversario di Cesare Borgia. Cosi, non
ostante 1' odio dei suoi concittadini, egli esercitò
un'autorità dispotica sino alla sua morte, avvenuta
nel 1512.
Il suo figliuolo primogenito Borghese raccolse
la sua eredità; un altro, Alfonso, creato cardi-
nale nel 1511, prese parte ad un complotto con-
tro Leone X, e fu strangolato nel 1517 per or-
dine di questo pontefice. Un nipote si rese immor-
tale, — triste privilegio, — per aver precipitato dal
balcone il cadavere dell' ammiraglio Coligny.
Il palazzo Petrucci, o " Palazzo del Magnifico „, di cui ci occuperemo in se-
guito, ci farà conoscere i gusti di Petrucci, il quale,
come tutti i suoi contemporanei , sapeva collegare
1' amore per le cose belle colla più rara elasticità di
coscienza.
f La signoria del Petrucci e dei suoi figli corrisponde
ad uno dei periodi più splendidi della storia letteraria
artistica di Siena. L'antica città della Vergine s' è fi-
nalmente collegata ai principi del Rinascimento, e gli
deve un'espansione magnifica in ogni senso: essa conta
dei pittori, quali il Sodoma, il Bcccafumi, il Pastorino;
dei decoratori, quali i Barili, il Marrina; nell'architet-
tura, la soave figura di Baldassarre Peruzzi, che seb-
bene nato a Volterra da famiglia fiorentina, fu senese
per la sua educazione, come pure per il suo soggiorno
prolungato in mezzo ai suoi concittadini dopo il sac-
cheggio di Roma.
Nello stesso tempo, filosofi, scienziati, letterati sor-
gono come per incanto. Si vanta Celso Cittadini, fisico,
matematico e poligrafo; Andrea Mattioli, uno dei fon-
datori della botanica; il giureconsulto Alessandro Tu-
ramini, ed una quantità di poeti, di storici, di scrittori
e di eruditi d'ogni genere.
fth
Bracciale del palazzo Petrucci.
106
FIRENZE E LA TOSCANA.
Nonostante la divozione che confinava talora coll'ascetismo, c'era nel fondo del carat-
tere senese qualche cosa di vibrante e di generoso, un elemento di vitalità e di allegria
sconosciuto per esempio alle ferventi e melanconiche popolazioni dell'Umbria. Non sor-
prendiamoci, se vediamo brillarvi lo spirito, talora persino l'humour. I successi dell'ac-
cademia dei Rozzi ne danno la prova: questa fu chiamata a Roma a diverse riprese
per darvi, durante il carnevale, delle rappresentazioni innanzi al papa Leone X.
Tale emancipazione definitiva degli spiriti, si a lungo oppressi, si manifestò come si
disse testé, persino nel campo religioso. La città ortodossa per eccellenza fu altrettanto
turbata che scandalizzata dall'eresia a cui si collega il nome di due suoi figli, Elio
Socino (1525-1562) e suo nipote Fausto Socino (1539-1604), della celebre famiglia dei
Sozzini. Il socinianismo consiste, come è noto, nella negazione della Trinità, del peccato
originale, della predestinazione e della grazia, nella libera-discussione delle Sacre Scrit-
ture , ecc. Se le eresie dei Socini non
trovarono che una scarsa eco nella loro
città natale, eh' essi abbandonarono molto
presto, per passare le Alpi, hanno all'in-
contro lasciato una traccia duratura nei
paesi di lingua slava o germanica; ancora
ai giorni nostri i Sociniani abbondano
in America.
Il trionfo dei Medici ch'erano rientrati
una prima volta quali vincitori a Firenze
nel 1511 e che nel 1530, dopo un as-
sedio memorabile, stabilirono definitiva-
mente la loro signoria su tutta la Toscana,
non poteva a meno di portare un colpo
fatale a Siena, dopo d'allora isolata nel
mezzo delle contrade sottomesse o ai Me-
dici stessi rappresentati dal papa Cle-
Testa d'angiolo di Agostino di Duccio mente VII e dal (luca Cosimo I, 0 al-
iasse deii opera del Duomo). l'alleato dei Medici, imperatore Carlo V.
Questo dopo aver fatto una solenne appa-
rizione nel 1536, organizzò una sapiente tirannia che trionfò successivamente delle ul-
time velleità d'indipendenza. Egli stabilì una balia, di cui l'organizzatore fu il suo
celebre cancelliere Granvelle : le lotte fra la Francia e l'Impero ebbero il risultato di
avvicinare i Senesi alla Francia, man mano che Francesco I ed Enrico II s'allontanavano
dai Medici, loro antichi alleati, divenuti fautori dei loro nemici. Allora si vide tale strano
risultato : cioè il corsaro Barbarossa impadronirsi, d'accordo colla flotta francese, dei
porti di Talamonc e d'Orbetello (1544).
Dopo la pace di Crespy, le violenze e le pretese degli spaglinoli che occupa-
vano Siena provocarono una rivolta , in cui una trentina di nobili vennero uccisi , e
che riuscì a far fuggire la guarnigione straniera. In tal epoca uno dei gonfalonieri
di Lucca, Francesco Burlamacchi , formò il progetto di riunire in un'alleanza co-
mune, contro lo straniero, gli antichi stati liberi, e l'Italia centrale; ma la sua cospi-
razione venne scoperta, ed egli perì miseramente. Così dopo il 1547 l'imperatore fece
rientrare le sue truppe nell'antica città ghibellina. Nel 1552, forti dell'appoggio della
SIENA. - CENNI STORICI.
107
Francia, gli emigrati senesi penetrarono nella città, cacciandone nuovamente gli
Spagnoli.
Dopo molte peripezie, Cosimo I, ehe si era a lungo destreggiato tra l'alleanza fran-
cese e 1' alleanza tedesca, gettò la maschera e volle dominare la città che da tanti se-
coli si distingueva pel suo odio contro Firenze. Egli riunii segretamente delle truppe,
ed il 27 gennaio 1554 uno dei suoi generali, Marignano, si impadronì per sorpresa del
bastione della Porta Camollia. Gli abitanti, rimessisi dalla loro emozione, opposero una
forte resistenza; secondati da Piero Strozzi, l'inviato del re di Francia, e comandati
da Montine, riportarono un certo numero di successi parziali sopra l'esercito ;issediante
composto di 24 000 fantaccini e 1000 cavalieri. La lotta assunse ben presto un carat-
tere di violenza e di ferocia straordinaria. Marignano faceva passare a fil di spada gli
abitanti dei villaggi che osavano resistergli, bruciava i raccolti, ecc.
Fra i comandanti in capo c'era però uno scambio di cortesie; la vigilia di Natale,
Marignano mandò a Montine, con uno dei suoi soldati, la metà d'un cervo, sei eapponi,
sei pernici, sei bottiglie d'eccellente vino e sei pani bianchi " per celebrare l'indomani
la festa... E vero tuttavia ehe la stessa notte egli diede la scalata alla cittadella e al
forte di Camollia ; ma l'assalto venne respinto.
L'assedio del 1504-1055, l'ultimo grande tentativo dell'antica Repubblica senese, fu
nel medesimo tempo il canto del cigno della libertà in Italia. Pel vigore dell'assalto e
per l'ostinata resistenza, per gli sforzi giganteschi, per la grandezza della catastrofe,
tale lotta suprema rasenta l'epopea. V'ebbe luogo persino una di quelle alleanze che
eran così frequenti a quei tempi: il Fiorentino Bindo Altoviti, nel suo odio contro il suo
sovrano, il duca Cosimo dei Medici, arruolò a sue spese un corpo di 3000 nomini e volò
alla sua testa, alla difesa di Siena. 1 '
Dopo un numero infinito di peripezie, e una resistenza di più di quindici mesi, i Se-
ne-i capitolarono nell'aprile 1555. Montine convenne che si sarebbe ritirato liberamente,
s"nza esser costretto a firmare la capitolazione, non volendo che il suo nome figurasse
mai in un documento di simile natura. La guarnigione francese fu seguita nella sua ritirata
da duecento cinquantadue famiglie nobili e quattrocento trentacinque famiglie del popolo.
Tante piove e tante disfatte non avevano esaurito l'energia dei Senesi: alcune centi-
naia di essi, abbandonando 1 1 loro città in mano al nemico, si stabilirono sulle alture di Mon-
tanino, e vi fondarono, simili ai compagni di Enea, un nuovo stato (uova regna resurgere
Trojce), che potè resistere quattro anni, dal 1555 al 1559, a tutti i tentativi di Cosimo I.
Una parola ancora: nel 1557 Filippo II cedette a Cosimo l'antica città e dopo
d'allora questa ebbe comune la sorte col resto della Toscana.
Il XVII secolo trascorse per Siena nel raccoglimento, in quella specie di torpore
che caratterizza l'Italia, dopo lo sforzo gigantesco del Rinascimento. E strano come
1 influenza della nostra letteratura sia penetrata allora sino alla città della Vergine. Ep-
pure il fatto è incontestabile: il senese Girolamo (nato nel 1GG0, morto mi 1722)
imitò il Tartufo di Molière e tradusse i Plaideurs di Racine.
L'assunzione al trono pontifìcio di due Senesi sì cospicui, quali Paolo V Borghese
O Una gran parto dolio Memorie o Commentari di Montine è consacrata alla storia dell'assedio di Siena; non
foglio privare i miei lettori del piacere di rileggere nell'originale tali testimonianze onorevoli sì pei Senesi che pel
governo francese. E impossibile però non riportare anche qui alcuni tratti d'eroismo commoventi in modo particolare!
Talora Montine fa vedere i cittadini "che non mangiano più che il nostro panino, e un po' di piselli con del lardo,
e delle pessime brode, e ciò una sola volta in tutta la giornata,., e "decisi a mangiare i loro figli stessi prima di ce-
dere,,; ora rende loro giustizia dicendo che "com'è vero Iddio non vi fu mai un sol uomo, vecchio o giovane, che se
ne rimanesse in casa anziché prendere le armi „.
108
FIRENZE E LA TOSCANA.
(1602-1605) e Alessandro VII Chigi (1655-1667), illuminò alquanto tale città condannata
ormai alle tenebre. Veri figli di Siena, essi illustrarono il loro pontificato con molti inco-
raggiamenti prodigati all'arte, con grandiose fondazioni, col completamento della basilica
del Vaticano, la decorazione della piazza che precede la basilica, e molte altre impresi'.
Fu una fortuna pei Senesi che l'attività di quei due grandi costruttori s'esercitasse
ben lungi. In una città come la loro Siena , stretta tra colline e baluardi , Paolo V e
Alessandro VII non avrebbero mancato di sostituire con fabbriche alla Bernini ed alla Bor-
romini, tanti venerabili edilìzi, che danno a Siena il suo carattere e ne formano la bellezza.
Trovandosi Siena sulla via tra Firenze eRoma,' ) non c'era viaggiatore rispettabile
La Piazza del Campo ed il Palazzo Pubblico.
che non vi soggiornasse. Fra gli altri il marchese di Scignelay, figlio del grande
Colbcrt, la visitò nel 1671.
Più ancora del XVII secolo, il XVIII fu un'epoca di ristagno intellettuale e di
torpore. Eccetto l'economista Sallustio Bandini (1677-1760) e 1' anatomico Paolo Ma-
scagni (1752-1815), Siena non può citare che qualche illustrazione puramente locale. La
curiosità diminuì; l'iniziativa divenne debole, mentre un'estrema frivolezza invadeva
persino gli ordini religiosi. Si voleva imitare Voltaire, ma nelle piccolezze soltanto.
Una rettorica pomposa e vana e dei puerili esercizi poetici sostituirono l'indipendente
discussione. Un autore italiano del tempo, i cui scritti abbondano di curiose osserva-
n Le principali tappe da Siena a Roma erano: Buonconvento. Forinieri. Radicofani, Acquapendente, Bolsena,
jVIontetiascone, Viterbo, Bonciglione, Bracciano; il tragitto si compieva comodamente in tre giorni.
SIENA. -
CKNM STOIMCI.
sioni, ma che la sua estrema licenza non permette di citare che di rado, si diffonde a di-
lungo sul talento dell'improvvisatrice Maria Fortuna, pastorella arcadica, altrettanto brutta
quanto intelligente. A tali finezze dell'aristocrazia facevano riscontro nel -popolo i pro-
sressi dell'ignoranza: l'istru-
sione divenne sempre più il pri-
vilegio delle classi dirigenti.
L'aspetto della città riflet-
teva lo stato delle menti. Un
viaffffiatorc francese, l'abate l\i-
ehard, la cui Detcriptioìi hysto-
rique et critique de V Italie com-
parve nel 1766, non accenna che
a qualche movimento nel cen-
tri' : il resto, dice egli, è triste,
deserto e meschino. Egli ag-
giunge che " malgrado la dolce
allegria degli abitanti , regna
su tutti i volti, anche su quelli
delle persone distinte (!) un'aria
di languore che non è punto
indizio di buona salute (!). A
tm to od a ragione si attribuisce
tale disposizione al soggiorno
che durante più di tre anni fe-
cero a Siena gli Spagnoli (!) „.
Solo di tanto in tanto la vi-
sita di qualche testa coronata
faceva diversione nella mono-
tonia di un'esistenza così ve-
getativa. E così che nel 1798
papa Pio VI passò tre mesi in
quest'arca santa della divozione.
IL
Siena nel xix secolo. La tradizione
ed il progresso.
All'epoca nostra, l'esistenza
dei Senesi è riscaldata e nobi-
litata dal culto del passato, c
vivificata nello stesso tempo dal-
l' iniziativa in ogni genere di
progresso. Ciò die forma l'originalità ed il pregio d'una civiltà come la loro, sono le
infiltrazioni moderne in un complesso in cui tutto ricorda memorie così lontane. Il con-
trasto è evidente: nella cornice antica, eh' è quasi rimasta intatta, penetrano un po' per
volta le conquiste dell'era novella.
Il Pontefice Pio II predica la crociata.
(Affresco del Pintwriccbio india libreria del Duomo)
110
FIRENZE E LA TOSCANA.
Difficilmente si troverebbero anche in Italia degli esempi d'una trasformazione così
normale e così sana. Prendiamo l'organizzazione delle risorse finanziarie : la principale
delle banche senesi, il celebre Monte dei Paschi, conta oggi più di due secoli e mezzo
di esistenza, e tuttavia non la cede per importanza ed attività a nessun stabilimento
straniero. Nel 1885, nel duecento e sessantesimo anno della sua esistenza (si vede a
qual punto in queste vecchie città italiane si perda la nozione del tempo), il Monte dei
raschi aveva un bilancio di più di 102 milioni, di cui più di sessanta garantiti da pre-
stiti ipotecarli.
Osserviamo un po' T 'assistenza pubblica : anche qui vi sono degli stabilimenti la cui
esistenza risale a cinque o sei secoli e che furono messi al corrente d'ogni genere di
progresso moderno. Io citerò a caso, tra le benefiche istituzioni di Siena, l'ospedale di
Santa Maria della Scala, sulla piazza del Duomo, la Confraternita della Misericordia,
il Ricovero di Mendicità, il Manicomio, la Casa di Ricovero per le Vedove, l'Asilo per gli
Orfani, l'Ospedale dei Trovatelli, l'Ospedale dei vecchi infermi, il Ricovero dei Convale-
scenti, gli Asili pei bambini, il Ricovero dei Sordomuti, ecc. Quante città francesi, in-
glesi o tedesche possono vantare un simile complesso di opere di beneficenza?
I piaceri dello spirito non sono meno tenuti in onore : l'antica Accademia dei Rozzi
istituì, nel suo palazzo dell'Indipendenza, delle sale di giuoco e di lettura, ed organizzò
delle rappresentazioni teatrali. U Accademia dei Fisiocritici, fondata nel 1691, s'occupa
di scienze morali e di scienze fisiche, e mette a disposizione del suoi membri un ga-
binetto zoologico e mineralogico, un gabinetto di numismatica e d'archeologia e un giar-
dino botanico. U Accademia dei Rinnuovati veglia sul Teatro Grande, che sta nel Pa-
lazzo Pubblico. Poi ci sono i circoli di tutti i generi, gli Uniti al Casino, una sezione
del Club Alpino Italiano, ecc.
Forse è dal lato dell'arte che si è maggiormente fatta sentire l) la rottura col passato.
Non è che manchino i mezzi d'istruzione: l'Istituto Provinciale delle Belle Arti conta
bravissimi professori. Ma uno slancio veramente fecondo non s'improvvisa. Però i Senesi
citano con orgoglio fra le illustrazioni dell'arte moderna il nome del loro concittadino,
lo scultore Giovanni Duprè (1817-1882), l'autore di tante statue celebri e d'un eloquente
volume intitolato "Pensieri artistici „. Essi ricordano ugualmente con stima la memoria
di Luigi Mussini, allievo di Ingres, e corrispondente della nostra Accademia di Belle
Arti. Tutti quelli che avvicinarono tale amabilissima persona, ne vantano l'elevatezza
dello spirito e la nobiltà del carattere. Lo scultore Tito Sarrocchi, allievo di Duprè, si
distinse per la sua restituzione della Fonte Gaja. In sfere più modeste gli artisti in-
dustriali — scultori in legno, operai d' intarsio e in ferro — ripresero con successo
la tradizione dei loro antenati del medio evo e del Rinascimento. Le loro opere, molto
apprezzate dagli stranieri, superano in finezza quelle dei loro confratelli di Firenze, e
raggiungono dei prezzi ben più elevati.'-'
0 " A) principio di questo secolo, dice Franchi, un vento di morte sembra siasi scatenato sull'eredità delle epoche
di gloria. Fu coinè una febbre di distruzione. Mi si è raccontato sovente di fuochi che si accendevano sulla Piazza
ilei Cam ita. e che ciascuno alimentava con vecchie pitture, con cornici, ed intarsii, coll'unico scopo di ritirare dalla ce-
nere il poco oro che sfuggiva alle fiamme. Dei gentiluomini di buon umore, davano preda ai fornelli della cucina, dei
piccoli drappeggi a fondo d'oro, per conferire, dicevano, dell'eleganza e del lusso alle vivande. „
2 ) Almeno l' industria dei falsificatori, così fiorente in alcune città vicine — ch'io non indicherò altrimenti —
sembra essere sparita da Siena. Io uso appositamente la parola sparita, perchè nel secolo scorso tale genere di traffico
era dei più fiorenti. L'abate Richard descrive "degli uomini male in arnese, la spada al fianco, sedicenti cavalieri ed
imparentati colle più grandi famiglie, che venivano ad offrire ai forestieri, a prezzi elevati, dei disegni eseguiti di recente
da scarabocchiatoli, riproducenti i quadri più noti, e li spacciavano poi quali originali di Beccafumi e d'altri pittori
senesi, oppure dei bronzi, delle vecchie medaglie, ecc. „ A sentirli, la sola necessità li obbligava a disfarsene, ed essi
SIENA. - PASSEGGIATA D* ORIENTAZIONE
Tentiamo ora. con elementi tolti alla statistica, d'analizzare il meccanismo d'un'or-
ganizzazione sociale, in una città italiana di secondo ordine, qual è Siena. Un'occhiata
sul libro degli indirizzi ci tornirà in proposito gli schiarimenti piìi categorici.
Nel 1882, secondo la guida di Bandini Piceolomini , si Contavano a Siena .'! I me-
dici e chirurghi, 3 dentisti. 20 levatrici e 20 farmacisti, 29 avvocati e procuratori,
ló notai. 15 ingegneri agronomi, 4 architetti, 7 maestri di musica, :> fabbricanti d'istro-
menti musicali, 2 d'armonium, .'5 accordatori di piano, 4 professori di lingue viventi,
3 calligrafi; molti orefici, 6 orologiai, 2 armaioli. Le tintorie, poste presso la fonte
Branda, occupavano circa 220 operai. Una società speciale, detta delle Terre bolari e
gialle del Monte Annata, s'occupava della terra di Siena che si ricava dalle Mozza-
relle, nel comune di Castel del Piano. Otto tipografie, 3 litografie e 3 fotografie prov-
vedevano alla diffusione della cultura.
Siena non possedeva tuttavia in quell'epoca alcun giornale quotidiano, ma in com-
penso una dozzina di periodici che apparivano una ed anche due volte al mese, ed altri
alla settimana.
Par di sognare, vedendo nell' annuario in discorso dei nomi quali quelli di Enea
Piceolomini, Bernardo Tolomei, Pandolfo Petrucci, Alessandro Saracini! I morti escono
dalle tombe per confondersi con noi;
Anime di cavalieri, ritornate voi ancora ?
Oppure trattasi semplicemente di pronipoti, che impongono ai loro figli viventi i nomi
di gloriosi antenati?
Insomma è a Siena che si ha diritto di ripetere i bei versi, ed il bel precetto di
Groethe: "Le cose più antiche pietosamente conservate; le più nuove accolte con gioia! ,,
III.
Passeggiata d'orientazione. Porte, piazze e strade.
Roma ha sette colli: Siena non ne ha che tre; ma questi, più vicini fra loro e
pili erti, 1 * le conferiscono un aspetto più pittoresco. E una successione non interrotta
di brusche discese, di salite difficili, di vie tortuose che circondano i fianchi dei colli
preferivano darli ad un prezzo mediocre ai forestieri, piuttosto che venderli ai loro concittadini, dai quali non vole-
vano fosse conosciuta la loro miseria.
Il traffico delle antichità continuò a rappresentare a lungo la sua parte nel commercio senese. Or son dieci anni,
si potevano avere, a prezzi moderati, degli affreschi o dei quadri dei Primitivi, dei cofanetti scolpiti, delle maioliche, dei
ricami. Fu specialmente dopo la soppressione delle corporazioni religiose, nel 1866, che infiniti ornamenti affluirono sul
mercato: si offrivano a prezzo vile delle stoffe sacre, o dei vasi di farmacia, oggi così ricercati; il termine " roba di
convento ,, divenne corrente nel linguaggio degli antiquari italiani. Oggidì la lotta è cessata, per mancanza di com-
battenti, voglio dire che il traffico s'è arrestato per mancanza di mercanzie; gli antiquari l'uno dopo l'altro chiudono
bottega. L'Italia è esaurita per questa lenta consunzione che dura già da mezzo secolo; si trova più facilmente ed
a miglior mercato il gingillo italiano a Parigi, anziché a Firenze o a Roma.
Però nutro ancora qualche speranza, e da un cicerone mi faccio condurre nell'appartamento d'un dilettante. Si sale
una stretta scala; arrivato su, scorgo pochi mobili, dei canapè bizzarri collo schienale ornato di pitture nello stile
etrusco, ed in ricambio la più strana collezione di gingilli, la Giovanna d'Arco della principessa Maria, dipinta color bronzo,
le Ballerine del Canova. Sia a Siena, come un po' dappertutto, non mancano dei credenti che prendono il piombo per
oro puro, e mescolano una nota comica al culto, sarebbe più esatto dire alla ricerca del passato.
J ) Il più alto raggiunge i 340 metri sul livello del mare. L'altezza media è di 316 metri.
112
FIRENZE E LA TOSCANA.
o si stendono diritte, con arditi pendii, sui bassifondi, quasi una freccia lanciata in un
abisso. 11 Nondimeno, come a Venezia uno può recarsi ovunque a piedi, impiegandovi un
po' di tempo, così anche a Siena, per quanto dirupate sembrino le vie, si può andare
dappertutto in vettura, facendo le svolte necessarie.
La natura, non meno della mano dell'uomo, dette a Siena una fisonomia diametral-
mente opposta a quella di Firenze. Una e situata nella pianura dell'Arno; ad eccezione
della collina che si stende da San Miniato al palazzo Pitti, vi si cercherebbe invano
qualche irregolarità nel terreno. L'altra invece, posta sopra un triplice colle, di cui essa
incorona la cima, c ricopre i fianchi, è tutta a salite e a discese; l'orizzonte cangia posto
incessantemente; ad ogni angolo di via, un nuovo quadro, altrettanto pittoresco quanto
inatteso, si stende innanzi allo sguardo; ora ci troviamo in un basso fondo, circondato
da tutti i lati da gigantesche costruzioni; ora dominiamo liberamente il dedalo di viuzze,
l'intreccio delle mura, che seguono le sinuosità dei sentieri, o le valli e le colline cir-
costanti. A Firenze, un rigoroso livellamento; a Siena, le più tortuose vie di comunica-
zione: a Firenze la bella pietra da taglio; a Siena, ovunque il mattone, — eccetto che
in una mezza dozzina di edilìzi pubblici ; — di dimensioni più piccole dei blocchi di
"pietra serena,, o di "pietra di macigno,,, il mattone offre il vantaggio di secondare,
in certo modo, più esattamente le mille e mille irregolarità del terreno. Grazie a tale
facilità, le strade si alternano con un' infinità di piazze.
L'arteria principale, la "via Cavour,,, che parte dalla stazione per giungere sino
a " Porta Romana „ dopo innumerevoli salite e discese, è lastricata, e come quasi in
tutta la Toscana, senza marciapiedi.
Questa via non è la sola il cui nome ricordi gli episodi della guerra dell'indipen-
denza. La " via Palestro, la via Magenta, la piazza Vittorio Emanuele, la piazza del-
l'Indipendenza, la via Garibaldi ,,, evocano ogni specie di ricordi, cari all'Italia moderna.
Delle pompose iscrizioni accentuano vie più tali manifestazioni di patriottismo. Sulla
casa d'un soldato, ucciso, non mi ricordo più in quale battaglia, fu posta una lapide
coll'elogio di quell'eroe (via Cavour presso all'Hotel di Siena) ; non è questo un esagerare
un po' troppo? Il dovere non comporta tante frasi, ed il promettere l'immortalità ad ogni
combattente significa guastare lo spirito militare.
La via Cavour è fiancheggiata da bei negozi, dalla piazza del " Monte dei Paschi „
sin quasi alla " Costerella dei Barbieri,,, ove abita il bravo fotografo Lombardi, che tanti
servigi rese alla popolarizzazione dei capi d'arte della sua città natale. Nelle vetrine si
veggono esposti ricchi mobili, novità di mode, articoli di Parigi, apparati d'ottica, mac-
chine da cucire, velocipedi, ecc. Una monumentale costruzione, "il Caffè Greco,,, si di-
stingue per le sue ampie sale, che mettono direttamente sulla strada, ed i cui specchi
protetti da veli, formano il principale ornamento.
Nelle vie laterali, i negozi hanno un aspetto molto più modesto : le osterie o i catte
rassomigliano talora a veri sotterranei, con volte osCurc e profonde. In certi quartieri
gli stemmi dei patrizi si alternano sulle facciate colle tabelle delle Compagnie d' as-
sicurazioni, quasi sempre straniere.
La circolazione delle vetture è limitatissima. Di tanto in tanto qualche pesante cqui-
n Montaigne, ohe visitò Siena qualche lustro dopo il famoso assedio del 1 r>;"4-irjf). r >, e ohe " la riconobbe special-
mente per il rispetto alle memorie,,, ne fa uno schizzo spiritoso: "E, disse, una citta disuguale, posta sul dorso di
una collina, su cui Irovansi la maggior parte delle vie: di queste alcune sono in salita, altre in discesa. Essa conta
fra le hello d'Italia, di primo ordine, della grandezza di Firenze; il suo aspetto la dimostra piuttosto antica. Essa ha
molte fontane, e dalla maggior parte di queste i privati tolgono delle vene pel loro servizio particolare. Hanno cantine
buone e freschissime. ,.
SIENA. -
PASSEGGIATA D'ORIENTAZIONE.
paggio, col domestico in livrea; poi ad un tratto un gran carro trascinato da due buoi
dalle rniiia potenti, e scortato da contadini.
I lavori dei campi, tanto considerati in Arezzo, ed in tutte le altre città della To-
scana, non contano qui che pochi addetti, abitanti in appositi quartieri. Per lungo tempo,
le occupazioni esclusive di tale popolo consistettero nell'industria e nel commercio.
Già da vent'anni, dacché io, a frequenti intervalli, visito Siena, rilevo ad ogni
nuovo viaggio grandi mutamenti, sopratutto una crescente prosperità. Per V addietro
potevasi girare per mezz'ora senza trovare una trattoria, oggi queste abbondano. 1 *
Una contrada di Siena.
Ma è tempo, dopo aver girato per strade e straduccic, di dedicarsi un po' ai mo-
numenti. Seguirò il seguente itinerario, che mi sembra il più pratico: I. Il Duomo e
le costruzioni adiacenti; 11. l'Accademia delle Pelle Arti; la chiesa di San Domenico,
l'Oratorio ili Santa Caterina; IH. la via Cavour, la piazza del Campo, il Palazzo pub-
blico, ed il palazzo Piccolómini; IV. le diverse chiese, ed il convento dei "Minori Os-
servanti ...
*) Il movimento dei forestieri è considerevole, almeno a giudicamo dalla quantità degli alberghi o dolio guide.
Osservo soltanto negli anni 1881-1885 cinque guide diverso: quelle di Brigidi (II edizione 1885) e diBandini Piccolo-
mini ( 1 HH-> ). quella redatta da "una società d'Amici., (1883), la Pianta-Guida (1881) e la guida inglese di Bevir
I Londra 188.').
Firenze e la Toscana. 15
114
FIRENZE E LA TOSCANA.
IV.
Il Battistero ed il fonte battesimale. — Il Duomo. — I suoi architetti ed i suoi istorioorafi. — Da Montaigne
a Tatne. — Gli scultori: da Niccolò Pisano a Michelangiolo. — La pittura: dal Pinturicchio a Beccafumi.
La nostra prima visita sarà, come è giusto, per il Duomo: situato sopra una delle
colline più alte, press'a poco verso il centro delle due insenature che Siena forma al
sud, esso domina la città, che si è capricciosamente sviluppata intorno a tale nocciolo
primitivo, e quasi sotto la sua egida.
Una via erta, " una salita „ come si dice a Roma, " una costarella „ come si dice
a Siena, conduce al Battistero, o chiesa di San Giovanni, che ò dominata, e direi quasi
schiacciata dalla cattedrale.
La facciata del Battistero, costrutta secondo il progetto di Giovanni di Mino del
Pelliciajo (1382), il cui disegno si conserva nel museo dell'Opera del Duomo, manca ve-
ramente di carattere, di decisione, di rilievo. Non ci sono che false arcate e false fine-
stre ; il finestrino ogivale, praticato al disopra della facciata, nella parte incompleta, non
dà che una scarsa luce.
Sull'alto della scala, vediamo un genere d'incrostazione particolare a Siena e di cui
voglio brevemente descrivervi la tecnica: le figure si compongono di lastre di marmo
bianco, tagliate a profili, ed incastrate nel marmo nero; i tratti del volto, le pieghe dei
vestiti e degli ornamenti sono indicati da punti o da lince, incavati nelle lastre bianche,
e ricolmi di mastice. Il corpo stesso dell'edilìzio è formato da tre arcate a volte ogi-
vali e composte da file di marmi bianchi e neri, alternati. Il fonte battesimale (a Siena
come a Firenze, tutti i battesimi si danno al Battistero, e non nelle chiese parroc-
chiali) s'impone alla nostra attenzione pei suoi bassorilievi, firmati coi nomi più celebri
di Siena e di Firenze: Jacopo della Quercia, Donatello, Ghiberti, Giovanni di Turino, ecc."
Il fondo dorato contiene sci bassorilievi in bronzo, separati gli uni dagli altri da angeli
di maggiori dimensioni ; è dominato da un'iscrizione, tracciata in smalto bleu ; al disopra
si erge una specie di ciborio, con nicchie ornate di figure, nello stile di Jacopo della
Quercia. Più in alto presso ai frontoni che sormontano ciascuno delle nicchie, stanno
sei angioli in bronzo dorato, e finalmente sopra una cornice di cattivo gusto, un san Gio-
vanni Battista colla Croce.
L'elemento moderno sorprende spiacevolmente nel Battistero: non vi sono clic altari
del XVII o del XVIII secolo, voti d' argento d'un'epoca più recente ancora, degli ar-
redi, come inginocchiatoi, pile dell'acqua santa, ecc., d'una volgarità, d'una meschinità
e bruttezza irritante.
A mala pena si sente il coraggio di prolungare la visita, per dare un'occhiata
agli affreschi della, vòlta, tra cui figurano hi composizioni d'uno dei maestri della pit-
tura senese nel XV secolo, il Vecchietta ; d'altronde la vicinanza della, cattedrale nuoce
al Battistero; il visitatore non avrà ne tempo abbastanza, uè sufficiente potenza ammi-
rativa per apprezzarne tutti i tesori.
n La (Inscrizioni' si trova uri I volumi! della mia llisloire de l'Ari pendant la Renaissance.
SIENA. - IL DUOMO.
115
Prima di descrivere questo santuario, a cui sci secoli e venti generazioni hanno dato
la parte migliore della loro magnificenza e del loro gusto, tentiamo di descrivere bre-
vemente la storia abbastanza complicata della costruzione.
1 lavori erano in eorso sin dal L229 ; nel 1264 la cupola era finita. Nel L317 si
prolungò il coro sino al disopra del Battistero. Nel 1322 si decise d'innalzare un san-
tuario piìi vasto e più ricco; ma molti anni trascorsero in deliberazioni, c non fu clic
nel 1339 che si cominciò a prolungare l'cdifizio dal lato della Piazza Manetti, in modo
clic la navata dell'antica cattedrale formasse la crociera della cattedrale nuova. La peste
del 1348, poi i difetti scoperti nel 1356, nella costruzione, fecero sospendere tale lavoro
gigantesco, die è rimasto allo stato di rovina. Quanto alla facciata, essa fu rifatta alla fine
di l secolo X1Y coll'aiuto d'elementi più antichi sotto la direzione, pare, di Giovanni di
Cecco. K forse da stupire se l'insieme
manca d'unità, se eerte parti dell'e-
sterno non rispondono alla ricchezza
dell'interno? E cosi che i lati peccano,
senza dubbio, per eccesso di semplicità,
a differenza di quelli della cattedrale
di Firenze, forse altrettanto poveri di
forma, ma che spariscono sotto un ma-
gnifico tappeto d'intarsii. E egli neces-
sario aggiungere per tutti coloro che
suiio famigliari coli" architettura gotica
d'Italia, che i contrafforti sono appena
apparenti e che gli archi d'appoggio
brillano per la loro assenza?
Nel campanile, l'eleganza della strut-
tura tiene il posto d' ornamentazione :
esso lia sci piani di finestre il cui n li-
niero cresce dalla base all'apice: nel
piano inferiore se ne conta una. due al
secondo piano e cosi di seguito sino al-
l'ultimo piano che ne conta sei.
La cupola ottagonale, a lanterna ed
a gallerie esterne, che circonda la cro-
ciera, è elegantissima. Notiamo che i
Senesi non ebbero bisogno di agitarsi tanto, come i loro vicini, i Fiorentini, per con-
durre a termine tale costruzione. Essi hanno potuto far senza Brunellesco, e senza tutto
quello schiamazzo.
Non ostante il partito preso della sobrietà per ciò che riguarda, i lati dell'edificio,
vi si scopre però una quantità di graziosi soggetti sparsi qua e là. Tale è sopra una
delle porte laterali il fregio che porta la data del 14<S ( J , ornato, nel centro, della
mezza figura della Vergine col Bambino tra le braccia, mentre due angeli dai lun-
ghi panneggiamenti l'adorano in ginocchio, e due genii svolazzano alle estremità. Un
tal
miscuglio di ricordi cristiani e pagani non ritrae forse benissimo quei tempi? D'altra
parte il lavoro è squisitissimo, tanto armonico nel suo stile, quanto grave e raccolto
nell espressione. La tinta gialla dei marmi aumenta l'effetto. Aia ciò che costringe ve-
ramente ali ammirazione sono gli avanzi della seconda cattedrale, formanti un angolo
L'Angelo parla a Zaccaria.
(Bassorilievo di Jacopo della Quercia nel Battistero).
116 FIRENZE E LA TOSCANA.
retto colla cattedrale presente , e rivelanti , oltre ai risultati ottenuti , lo sforzo gi-
gantesco.
La facciata, molto restaurata, comprende tre porte sormontate da frontoni triango-
Scala'che conduce dal Battistero al Duomo.
lari, poi un rosone fiancheggiato da due altri frontoni, infine un terzo frontone più im-
portante, e dei pinacoli che coronano il tutto. E, si capisce, il prospetto generale allot-
tato per la facciata della, cattedrale d'Orvieto, è pure opera di Senesi. L'insieme, colorito
e mosso offre in abbondanza dei tratti vigorosi che mancano troppo spesso nelle facciate
1 1 Duo ni ii
di Si e li a.
118
FIRENZE E LA TOSCANA.
italiane. Forse pecca persino per eccesso di lusso; le sculture, le incrostazioni in marmo
bianco, rosso e nero, non bastarono; si credette necessario, or son circa quindici anni,
d'aggiungervi dei musaici: la Nati r ita e l'Assunzione della Verdine, eseguite a Venezia
nel 1877 dalla casa Castellani, sui cartoni del pittore Lirici Mussini fiorentino stabi-
lito a Siena (p. 110 del testo), la Presentazione della Vergine al tempio, eseguita sui car-
toni d'Ai. Franchi.
Per quanto sia ricca la facciata, non è nulla in confronto dell'interno: le piìi son-
tuose nostre cattedrali romane e gotiche, non servono a dare neppur una pallida idea
del lusso che hanno spiegato qui i Senesi. Dopo il XV secolo il santuario senese sba-
lordiva e affascinava i visitatori. L'i storiografo della spedizione di Carlo Vili, Andrea de
la Vigne, osservatore ottuso, e verseggiatore comunissimo quant'altri mai, trova persino
lui, nel Vergier d'honneur, degli accenti commossi per celebrarne la magnificenza.
Montaigne, poco suscettibile alle impressioni d'arte, s'entusiasma per la profusione
dei marini : " Il Duomo, che non è inferiore affatto a quello di Firenze, è rivestito dentro
e fuori, quasi ovunque, di questo marmo: trattasi di pezzi quadrati, gli uni dello spessore
d'un piede, gli altri meno, con cui s'incrostano, come d'un fregio, queste fabbriche di
mattone, che è il materiale solito in questa nazione,,.
Tale meraviglia di stile gotico sbalordisce persino i frivoli viaggiatori del secolo
scorso: Lalande dichiara che l'edificio è della massima magnificenza sì da potersi con-
templare con piacere anche dopo San Pietro di Poma.
Nell'epoca nostra, la cattedrale di Siena ispirò a Taine una delle pagine più bril-
lanti del suo Voyage cu Italie, che ne conta sì gran numero. 15
Or son pochi anni, un telegramma riempì d'angoscia tutti gli amici dell'arte: la cat-
tedrale di Siena, dicevasi, era in fiamme; lo stesso edificio e tutti i tesori d'arte ivi
racchiusi, tutto era perduto. Per fortuna, accertato il fatto, si trovò che l'incendio s'era
limitato al soffitto della cupola e la riparazione dei guasti prodottisi non era che que-
stione di denaro.
La scultura e la pittura si dividono press' a poco in parti uguali la decorazione
del Duomo: la prima eonta nel suo attivo una lunga serie di altari, di pale d'altare,
di statue o di busti di pontefici e d'imperatori, di sepolcri, il pergamo, gli angeli che
servono da torciteli, le pile dell'acqua santa, ecc. ; la seconda è rappresentata dalle ve-
trate, dal pavimento, dagli affreschi, dai quadri d'altare, infine dagli intarsii in legno,
ornati essi pure di pittura. E tutto un succedersi di capolavori, ciascuno "tlei quali,
preso separatamente, basterebbe a render celebre un altro santuario, ma che qui si
completano gli uni cogli altri, e si fondono in un'unica armonia di rara intensità. Non
credo di esagerare affermando clic lo studio — per quanto poco profondo — di tutti
questi tesori, esigerebbe per lo meno una mezza dozzina di sedute.
La metropoli senese non è uno di quei monumenti che vede, da una certa epoca in poi,
sfilare generazioni e generazioni, senza, (die queste vi lascino traccia alcuna. I discen-
denti hanno pietosamente continuato l'opera intrapresa dai loro antenati. Forse la de-
corazione v'ha perduto alquanto di quell'unità cosi cara a certi architetti o archeologi
ì > " L'impressione, dice egli, è insuperabile: non ha a che fare con quella clic vi rimane dopo visto San Pietro ili
lìom.'i; una ricchezza e una sincerità d'invenzione meravigliosa: il più ammirabile fiore gotico, ma d'un gotico nuovo,
sbocciato in un clima migliore, e tra genìi culli; più sereno e più bello, religioso eppure sane, e ch'i', rispetto alle nostre
cattedrali, ciò che sono i poemi di l'ante e Petrarca in confronto alle canzoni dei nostri trovatori; un pavimento e
dei pilastri di marmo ove si alternano le file bianche alle (ile nere, una legione di statue viventi, un misto naturale
di torme gotiche e di t'orine romane: dei capitelli corinzi, che portano un labirinto di volte dorate e di volte adorne
d'azzurro e cosparse di stello. , :
SIENA. - IL DUOMO.
1 19
della scuola di Viollet-le-Duc, c ch'essi limino tentato di ri stalli li re con delle sacrileghe
mutilazioni, mentre tale unità non è che il contrassegno di editici morti, da cui s'è di-
stratto l'interesse o l'affetto del pubblico. Ma l'insieme, in seguito a continue prove di
pietà e di liberalità prodigate dai fedeli d'ogni secolo, riceve un calore ed un'eloquenza
indescrivibile. Ecco perchè non mi rincresce vedere persino Bernini chiamato a concor-
rere ad arricchire il santuario. Abbandonati alle loro proprie ispirazioni, i Senesi non
avrebbero pensato probabilmente a rivolgersi all'artista alla moda; per ispiegarsi l'or-
dinazione affidatagli, bisogna ricordare che uno dei principali protettori dell' architetto
scultore romano, il papa Alessandro VII, era un figliuolo di Siena.
Grazie a ricchi lasciti, l'opera del Duomo è in grado di continuar sempre i la-
vori di ristauro del santuario. Ne venne che s'è formata cosi una scuola d' abili scul-
tori, che hanno contribuito non poco nei tempi nostri alla prosperità della città.
Una luce dolce e armonica avvolge e riscalda tutte queste opere, apparentemente
cos'i disparate: l'aitar maggiore che sparisce sotto i bronzi, i sedili di legno cosi ricchi;
le pale d'altare in marmo cogli eleganti rabeschi. Tale illuminazione, sufficiente e
discreta ad un tempo stesso, si ottiene principalmente per mezzo delle finestre del
secondo piano.
La tendenza generale verso la policromia si svela nell' alternarsi delle file di marmo
bianco e di marmo nero (per cui alcuni scrittori del secolo scorso, osarono paragonare
il duomo ad un ampio catafalco). Il coro è l'unica parte in cui il bianco domini assolu-
tamente. Le volte sono tutte dipinte d'azzurro e sparse di stelle d'oro.
Dal lato dell'architettura, non si può dire che tutto sia irriprovevole: i pilastri go-
tici colla loro base che conservò l'impronta romana, sono un po' secchi, senza la morbi-
di zza ed il colore dei nostri pilastri francesi. Ma chi avrebbe il coraggio d'insistere su
tali imperfezioni innanzi ad uno spettacolo così abbagliante?
La serie delle opere d'arte comincia coll'interno della facciata. Prima di tutto il basso-
rilievo sulla porta centrale: vi si svolgono scene evangeliche con la purezza e la nobile
semplicità che si scorgono sui sarcofaghi antichi. Al disopra brilla una vetrata, un
rosone, la Cena Sacra, eseguita dall'abile lavoratore in cristalli, il senese Pastorino (1549),
secondo un modello di Pierino del Vaga.
Le colonne istoriate che sono poste ai lati della porta centrale e che, come stile,
ricordano quelle del battistero di Pisa, spariscono sotto gli ornamenti: non è che fo-
gliame con genii nudi, leoni uscenti dalla corolla di fiori, oppure in atto d'assalire un
nonio seminudo, la lupa che allatta Romolo e Remo, avoltoi che divorano un capriolo,
teste di divinità fluviali, aquile, genii col corno dell'abbondanza, e donne che giuocano o
lottano con dei satiri. L'ispirazione, si vede, è, del tutto pagana; si capisce che qualche
colonna antica dovette servire da prototipo. Per la libertà, l'ampiezza ed il movimento,
i bassorilievi si riavvicinano ugualmente ai migliori esempi dell'arte romana. 1 '
Le due pile dell'acqua santa, di marmo, sono una delle creazioni più intellettuali
dello scultore architetto senese Antonio Federighi (1462—1 L63). Quella a destra è arric-
chiti! da teste di cherubini, di delfini e di testuggini. Quattro statue nude, colle mani
legate dietro la schiena, sostengono la vasca; sul piede, terminato a gambe di leone,
>i svolgono dei bassorilievi rappresentanti dei genii nudi, l'amore, o qualche analoga
diviniti], -cdnta sopra un carro trascinato da due bimbi, una Nereide a cavallo sul dorso
Hi si afferma ohe tali colonne, di cui una porta la data del 148:$, furono eseguite in origine pel Palazzo municipale.
120
FIRENZE E LA TOSCANA.
d'un tritone, soggetto ripetuto (lue volte. Questo piede, m'affretto ad aggiungere, è un
avanzo prezioso dell'antichità; il suo stile puro e castigato, si stacca anche da quello
dello stesso corpo del monumento, di cui le quattro cariatidi, dalle mani legate dietro la
schiena, hanno qualche cosa di goffo e di rigido, con velleità realiste molto accentuate.
Nella navata, ciò che sorprende a prima vista sono i busti di pontefici e d'imperatori
scolpiti sotto la cornice che si stende sotto le finestre del secondo piano. Si contano in
tutto cento e sessantun sovrani pontefici, da san Pietro sino a Lucio III.
Fra essi vedovasi per l'addietro la pseudo-papessa Giovanna; ma questa venne tolta nel
1600, per ordine del granduca Ferdinando, in seguito ad istanze del papa Clemente Vili.
Quanto ai sei pontefici originarli di Siena, si fece a tutti l'onore d'una statua posta
o nell'ingresso, o nelle quattro cappelle della crociera.
Ai sovrani pontefici, i Senesi aggiunsero 32 busti dei capi del Sacro Impero germanico:
Le due metà di Dio,; il Papa e l'Imperatore.
Facciamo astrazione un istante dal luogo occupato dalle numerose sculture, statue o bas-
Bassorilievi provenienti da Fonie allo Spino, oggi nel Duomo di Siena.
sorilievi, esposti verso il centro del Duomo, e classifichiamoli nell'ordine cronologico. Otte-
remo cosi un prospetto dello sviluppo dell'arte in Toscana da Niccolò da Pisa sino a Dona-
tello e Jacopo della Quercia, dal Vecchietta e Francesco di Giorgio sino a Michelangiolo,
La scultura si risentì a lungo a Siena delle prevenzioni che contr'essa avevano i Bi-
zantini. Senza essere sacrificata, come presso costoro, essa non rappresentò che una
parte secondaria in confronto alla pittura.
Un bassorilievo proveniente dalla chiesa di Ponte allo Spino, e rappresentante YAn-
nunciazione, la Natività, Y Adorazione dei Magi, non ha da invidiar nulla, quanto a
grossolani ta, al pulpito della chiesa di San Bartolomeo di Pistoia, di cui appare contempo-
raneo. San Giuseppe seduto innanzi alla Vergine è per lo meno tre o quattro volte più
piccolo di questa. Notiamo tuttavia che se e' è povertà e miseria nel bassorilievo di
Pistoia, altrettanto nutrite sono le linee nel bassorilievo di Siena.
Ben diversamente ammirabile e il monumento che si scorge a sinistra, dopo esser
passati sotto alla cupola: il pergamo di Niccolò Pisano. 11
'i il contratto, col quale Niccolò Pisano s'impegnò, il 5 ottobre 1266, di eseguire il pergamo, esiste ancora negli ar-
chivi dell'Opera del Duomo. Tale pergamena indica che Niccolò avrebbe spedilo da Pisa le colonne, i capitelli, lo lastre
SIENA. - IL DUOMO. 121
La struttura del pergamo è altrettanto sapiente che razionale: una scala a semi-
cerchio, costrutta nel XVI secolo, secondo i disegni di Riccio, conduce ad una specie
di passaggio sonetto eia quattro colonne; tale passaggio a sua volta mette capo al
pergamo esagonale, sostenuto da otto colonne, di cui parecchie posano sul dorso di leoni.
]1 pulpito di Niccolò Pisano.
e di cui un'altra lia per base un gruppo di figure. Questi leoni e leonesse hanno un
aspetto calmo, maestoso, veramente decorativo. Dettaglio commovente: le leonesse allat-
di inarmo, ecc., necessarie alla costruzione del palpito, Cid fatto, egli verrebbe a stabilirsi a Siena coi suoi aiutanti,
lavorando continuamente sino ad opera compiuta. Non gli sarà permesso che quattro volte all'anno d'assentarsi per
andare a Pisa, ove potrebbe rimanere non più ili quindici giorni. Il suo onorario è fissato a otto soldi pisani, ogni giorno
di lavoro. Quello dei suoi aiutanti Arnolfo e Lapo di sii soldi, di suo figlio Giovanni di quattro soldi. Ned 12<>7 un
quarto aiutante, j] fiorentino Donato, fu aggiunto ai precedenti.
Firenze e la Toscana. 16
122
FIRENZE E LA TOSCANA.
tano i loro piccini. Il gruppo delle donne sedute ai piedi della colonna centrale (per-
sonificazioni delle Virtù?), è ugualmente bello, d'una libertà e grandezza perfetta.
I soggetti scelti per i bassorilievi che ornano il pergamo sono gli stessi, o poco
diversi da quelli del pulpito del battistero di Pisa. A prima vista neppure la disposi-
zione ne differisce; guardando più attentamente, però, non si tarda a scoprire delle
notevoli differenze, ch'io non esito ad attribuire alla collaborazione di Giovanni da Pisa,
il focoso e violento figlio di Niccolò. Nella Crocifissione, il san Giovanni piagnucoloso,
come nella Discesa dalla Croce del duomo di Lucca, e nel pulpito di Pistoia, potrebbe
benissimo rappresentare la firma di tale drammaturgo maestro.
In altre scene dominano tali effetti di torso, famigliari pure a Fra Guglielmo, il più
abile degli allievi di Niccolò, e che ci autorizzano a credere che tale artista abbia colla-
borato anche al pergamo di Siena.
Giacomo della Quercia, l'emulo del Donatello, passa quale autore del fonte battesi-
male della cappella San Giovanni, sebbene per la straordinaria ampiezza, e l'abuso
degli scorci, appaia piuttosto contemporaneo di Miehelangiolo. L' anomalia non è che
apparente: quante volte non ricorse Buonarroti al suo predecessore senese!
Questo monumento, essendo poco conosciuto, credo utile darvene qui un'esatta descri-
zione. I compartimenti principali rappresentano: la Creazione d'Adamo, la Creazione
d'Era, Adamo ed Eva innanzi all'albero del bene e del male, Era tende ad Adamo il
frutto proibito. Dio che interroga i colpevoli, Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso,
Sansone clic uccide il leone, Teseo die combatte il Minotauro. L'ornamentazione, molto
ricca, comprende pilastri, fogliami, mascheroni, bimbi sopra delfini, draghi guidati da
bimbi nudi, un leone in faccia ad un centauro , due figure nude distese, una simile
ad una divinità fluviale, l'altra ad una ninfa.
Donatello è rappresentato dalla lastra tombale in bronzo, di Pecci , vescovo di
Grosso (f nel 142G), e dalla statua pure in bronzo di san Giovanni Battista. L'effigie
di Pecci non è di primo ordine. Il defunto, rappresentato disteso, la testa rivolta da un
lato, manca di carattere, ed il rilievo è troppo poco accentuato. La lastra d'altronde è
consumata dai passi dei fedeli. 1 '
Quanto alla statua di san Giovanni Battista, ordinata nel 1457, essa appartiene agli
ultimi anni di vita del maestro (egli contava allora piìi di settantanni). Il grande scultore
fiorentino vi ha spinto all'eccesso la ricerca del carattere. All'infuori della gravità del-
l'espressione, il suo eroe si fa osservare, specialmente per la barba irta, e pel vestito
di pelo di cammello, che occupa forse un posto troppo preponderante. D'altronde il la-
voro è incompiuto.
Lo stile troppo compassato e troppo freddo del grande altare di marmo, che i Pic-
colomini ordinarono nel 1485 allo scultore milanese Andrea da Fusina, fa conoscere
quali inconvenienti offra l'imitazione dell'antico, allorché l'ispirazione non venga a rav-
vivare ed a rianimare degli insegnamenti, che senza di essa rimangono allo stato di
l«l fera morta. Malgrado la profusione dei pilastri, dei fregi, delle statue, dei bassori-
') Un calco di rara precisione, eseguito dal compianto pittore Doucet, fu portato a l'arici, grazie all'intelligente
iniziativa di un erudito amatore. Pierri- (iauthiez, lo storico dell'Aretino.
SIENA. - IL DUOMO.
lievi angeli con dei candelabri in mano, Vittorie con corone) ed ornamenti d'ogni genere
(cherubini, cornucopie, fogliame, ecc.), l'insieme è glaciale.
Preferisco , tutto sommato, i tentativi un po' goffi degli scultori senesi di quel tempo;
per lo meno, hanno per sè la sincerità. Inorgogliscono il Duomo per una serie di lavori.
Il mausoleo del vescovo Tommaso Piccolomini (f 1483), del Neroccio, si compone
(runa specie di nicchia quadrangolare, dai pilastri tozzi, e d'un fregio a testoni, sotto
cui è stesa la statua del defunto. 11 monumento non ha nulla dell' eleganza , che era
sin d'allora inseparabile da tal genere di mausolei, presso i Fiorentini, che il bravo Ne-
roccio ha nondimeno presi per modelli.
Ecco ora un tabernacolo del Vecchietta , opera a cui si può rimproverare la man-
canza di purezza e di decisione
nel profilo, ma che indica un
maestro perfettamente familia-
rizzato colla tecnica della fu-
sione. Gli angioli di Francesco
di Giorgio Martini, che gli fan-
no seguito, sono d'un pessimo
gusto, coi loro drappeggi sten-
tati, le loro gambe apparente-
mente rotte per sembrare più
agili e più modellate, e la loro
e -pressione poco naturale.
Nella sacrestia la pila del-
l'acqua santa smaltata, coli' an-
gelo in bronzo che le serve
d'appoggio, ci inizia ai tenta-
tivi di Turini e dei suoi per
sviluppare a Siena la pittura
in smalto.
Più lungi, su mensole fis-
sate ai pilastri, stanno otto sta-
tuette in bronzo, angeli colle
lampade accese: è un'opera del
Beccafumi, che talora abbando-
nava il pennello per lo scalpello.
Ad uno degli altari fondati dai Piccolomini si unisce il nome del grande sovrano della
moderna -cultura. Michelangiolo. Nel 1501, il cardinale Francesco firmava col giovane
scultore un contratto, per il quale questi s'impegnava a scolpire per la somma di 500
ducati in oro (la fornitura del marmo era a carico suo) ed in uno spazio di tre anni, quin-
dici statuette d'apostoli e di santi, destinati all'altare in discorso. Ma questo lavoro non
sorrise mai al maestro. Nel 1504 egli non aveva ancora eseguite che quattro figure:
san l'arilo, san Pietro, san Pio e san Gregorio. Ed è già molto se si riconosce la sua ma-
niera nelle tre ultime di queste statuette. Sebbene egli lavorasse senza aiuti, pure in que-
Bto caso è lecito il credere che egli sarà ricorso ad una mano estranea per eseguire un
compito elie gli pesava. Solo il San Paolo (a sinistra in alto) offre tutte le particolarità
dello stile michelangiolesco, e specialmente la grandezza unita alla mancanza d'armonia
i lo- caratterizza i suoi panneggiamenti. Le altre statue mancano di decisione e d'originalità.
La morte di Assalonne (Pavimento del Duomo).
124
FIRENZE E LA TOSCANA.
Se Michelangelo non adempiva sempre ai suoi impegni, egli però non li dimenticava:
un mezzo secolo più tardi, nel 1561, egli pensava ancora al modo di sdebitarsi verso
la famiglia Piccolomini; una delle sue lettere al nipote Leonardo dimostra i suoi scru-
poli ed i suoi rimpianti (n. 331).
Il soggiorno di Michelangelo a Siena non fu senz' influenza sul suo stile : egli s'ispirò
alla maniera di Jacopo della Quercia che aveva già avuto occasione di studiare a Bo-
logna nel 14 ( J4 : numerosi accenni, specialmente negli affreschi della cappella Sistina,
indicano l'ammirazione ispiratagli dal grande scultore senese.
Nel dominio della pittura, il primo posto ritornava teste alla pala d'altare di Duccio,
trasportata poscia al Museo dell'Opera del Duomo, ove tosto la troveremo.
Il pavimento della cattedrale , lavoro unico nel suo genere, contiene centinaia di
figure, e rappresenta gli sforzi di sei od otto generazioni dal XIV sino al XVI secolo,
senza parlare dei restauri intrapresi nel secolo XIX. L' introduzione di personaggi in
una composizione di tale natura si spiega e si giustifica colla mancanza di vetri dipinti,
di pitture murali e di analoghe composizioni ; infatti in un santuario ci vuole qual-
che altra cosa oltre a semplici ornamenti. Aggiungiamo che mai i inusaicisti di Siena
hanno cercato di rivaleggiare colla pittura propriamente detta, come fecero i loro suc-
cessori di Roma e di Venezia: tre o quattro tinte bastano loro per produrre degli
effetti splendidi. Nelle parti più antiche si contentarono di marmi bianchi o grigi, e
dei contorni più elementari ch'essi riempirono di mastice. Dobbiamo inoltre convincerei
che i restauri modificarono od alterarono in molti punti lo stile del pavimento; molte
figure, delle intere scene, vennero rifatte. ])
] ) Questo lavoro gigantesco che, come la stessa cattedrale, forma una croce, può dividersi in nove gruppi princi-
pali: I. Navata di destra: Cinque Sibille (1482). — II. Braccio destro della crociera: Le età dell'uomo, di Antonio
Federighi (1475); ristaurato nel 1870. Quattro figure allegoriche eseguiti' nel secolo XVIII. Scene e personaggi della
Bibbia. L'imperatore Sigismondo (1434). — III. Coro: Cinque figure allegoriche (la Temperanza, la. Giustizia, ecc.;
secoli XIV e XV). — IV. Braccio sinistro della crociera: Scene della Bibbia e del Vangelo (secolo XV). — V. Na-
vata sinistra: Cinque Sibille (148:i). — VI. Navata centrale: La Storia di Ermete Trismegisto. Gli Stemmi delle
città alleate di Siena. La Fortuna, ecc. (XIV e XVI secolo). — VII. Cupola: Scene della Bibbia, eseguite quasi tutte
dal Beccafumi dal 1517 al 1547. — Vili. Tra la cupola e il presbiterio: Storia di Mose del Beccafumi (1525-1 531 ),
e Storia di Davide, di Domenico del Coro (1423). — IX. Presbiterio e altar maggiore: Scene della Bibbia di Beccafumi.
Prima dell'ingresso del coro si trovano dei musaici antichissimi: a destra, Sansone che uccide i Filistei collama-
scella d'asino; Mose, Golia, colpito dalla pietra lanciatagli da Davide; poi in un medaglione: David rex : più lungi
Davide che scaglia la pietra, Giosuè che ferma il sole; finalmente un Combattimento con cinque re (?). Ognuna di queste
scene ha un contorno speciale, circondato da ricchissime cornici. Nessun indizio d'ombre, ma solo dei tratti per segnare
le pieghe dei drappeggi. Nel Combattimento, l'artista tentò di riprodurre il terreno, ma grosso modo; procedette nella stessa
guisa, coi fiori ch'egli tratta nello stile decorativo. Questi tentativi, si vede, non escono dai limiti permessi al musaico.
Nel braccio destro della crociera, l'effetto è magnifico. Le incrostazioni sono composte di marmo bianco, nero e rosso;
il nero ne forma il fondo; vi sono delle intrecciature, dei rabeschi, dei delfini, dei vasi e dei cervi, ogni cosa trat-
tata in uno stile essenzialmente decorativo; poi, in sei ottagoni, lo Età dell'uomo, secondo i modelli d'Antonio Federighi.
\j Infanzia, sul cavalluccio di legno, la Puerizia, V Adolescenza, la Gioventù, con un falco in mano, la Virilità, con un
libro sotto il braccio, la Senilità, con un rosario in mano. Un rombo distinto contiene la Decrepitezza, che si trascina
verso la tomba appoggiata alle gl'uccie. Tutte queste figure sono d'un disegno eccellente, di fattura semplice, con delle
linee nere, per indicare le pieghi;, o i tratti del viso: nessuna ricerca nò d'ombra nò di chiaroscuro. L'autore delle fì-
gure poste sul davanti di tali scomparti, Fede, Speranza e Carità (fatte o rifatte nel 1870), s'è invece occupato molto
della modellazione e della finezza del colorito.
In un'altra parti! della, crociera, le striscio sono ripiene di mastice, ma il disegno delle figure non offre minore
semplicità. I marmi adoperati sono: quello grigio, quello bianco e quello nero. Il fondo stesso delle figure è bianco, i
contorni sono grigi, il nero non ò adoperato che per dare un po' d'ombra qua e là: e' ò, come si vede, più finitezza che
nelle Sette Età delVuomo.
Nel Mosi che batte la roccia, l'artista volli; produrre la prospettiva culla gradazione delle tinte e del disegno, ma
senza riuscirvi; le teste dell'ultimo ripiano sembrano più piccole, ecco tutto. Nessuna via era più pericolosa di questa
SIENA. - IL DUOMO.
125
Gli stalli del coro appartengono, come il pavimento, all' ( poca migliore del Rina-
scimento e ci offrono un magnifico modello dell'arte dell'incrostazione in cui si distinse
tanto 1' Italia. Le spalliere delle due parti laterali provengono in parte dal convento
di M<»nte Oliveto Maggiore, ed hanno per autore Fra Giovanni da Verona (1503), di
cui Fra Raffaello di Brescia completò l'opera.
Fra Giovanni evitò con cura di rappresentare delle scene animate ed eziandio dei
personaggi: si contentò di riprodurre ornamenti del culto (mitrie, reliquie, ecc.), uccelli,
edifizii, avendo cura di porre ognuna di queste figure in una cornice architettonica, in
modo da accentuare il carattere decorativo dell'insieme. Del resto egli fece un passo di
più dei suoi predecessori ed ha usato, non solo legni chiari e legni scuri, ma legni a pa-
recchie tinte. Mi parve riconoscerne di quelli che erano in origine azzurri.
L" adorazione dei Magi nel pulpito di Niccolò Pisano.
Due figli di Siena, i Barile, occupano degnamente il loro posto a fianco di Fra Gio-
vanni da Verona e di Fra Raffaello di Brescia. Negli organi coi quali arricchirono il
imitazione della pittura. Del resto si osservano delle bellissime figure, per esempio quelle dei due giovani che bevono
alla sorgente miracolosamente aperta da Mose.
Nel coro, le scene della Storia dei nostri primi genitori sono modellate coll'aiuto di tratteggi riempiti di mastice:
delle lastre di marmo nero e grigio formano le ombre.
Nominerò ancora la strana allegoria ebe mostra, sopra una roccia, " Socrate ,,, vecchio dalla lunga barba, con un
turbante in capo; accanto una donna seduta con un libro ed una palma, verso cui il filosofo tende la mano: sopra di
essa sta l'iscrizione:
Huc properate viri, scalabrosum scandite montem:
" Pulchra laboris erunt pro-mia palma, quies. ..
Più lungi un uomo che vuota un paniere pieno di gioielli; sopra di esso sta scritto: " Crates „ (che fa riscontro
all'iscrizione " Socrates .. ). Più in basso, sopra un'altra roccia, che sporge sull'abisso, un gruppo d'uomini e di donne, sul
suolo serpenti, tartarughe, ecc. All'estremità sinistra, una donna nuda che tende un velo gonfialo dal vento: uno dei
suoi piedi posa sopra una palla, l'altro sopra una nave di cui non vedesi che la prora.
FIRENZE E LA TOSCANA.
Duomo (1511), le figure e gli ornamenti (la Vergine e l'Angelo dell'Annunciazione, in-
scritti ciascuno in un medaglione, una sirena dal corpo terminato in fogliame, tripodi,
candelabri, banderuole, ecc.) sono del più nobile stile.
Riservai per ultimo di questa lunga descrizione e quasi per lasciare il palato ad-
dolcito, la biblioteca, la Libreria, coi celebri affreschi del Pinturicchio, la Storia di Etica
Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II.
Una porta in marmo, d'una grande ricchezza, ornata da Lorenzo Manina con stemmi
dei Piccolomini, draghi, vasi, candelabri, in breve di tutto il corteo della decorazione
antica, precede la Libreria.
Gli affreschi del Pinturicchio godono d'una tale celebrità, che ad ogni istante, nel corso
dei miei studi sull'arte italiana, nel mio Raffaello, nella mia Storia del Rinascimento, fui
costretto ad apprezzarli ed a discuterli (Taine li qualifica come "letterali ed asciutti.,).
Forse fui trovato alquanto severo per questo grande ciclo, il più popolare, sicuramente, ncl-
La strage degli Innocenti (Pavimento del Duomo).
l'opera tanto considerevole del Pinturicchio. La ragione si è, che dovendo paragonarla alle
opere di Raffaello, che, come si sa, fornì al suo amico gli schizzi di parecchie sue compo-
sizioni, o più ancora dovendo fissare il suo posto nello sviluppo generale dell'arte italiana,
io mi vedevo costretto ad indicare la mancanza di grandiosità, la povertà del disegno, e
qualche cosa di comune nella invenzione. Oggi, grazie al cielo, m'è concesso di mutare la
mia parte di storiografo e di estetico in quella di semplice viaggiatore. Da questo punto
di vista, e facendo astrazione dalle esigenze della grande pittura storica, gii affreschi della
Libreria sono quanto è possibile pittoreschi e divertenti. Pinturicchio riuscì a fissare tutta
una parte della vita del suo tempo; egli creò una folla di figure simpatiche, di adolescenti,
nello stesso tempo altieri e graziosi, — a cui non si può rimproverare che un po' troppo
di gracilità, - di principesse riccamente vestite e di vecchi maestosi. La conservazione
degli affreschi della Libreria può ben esser detta miracolosa: si crederebbero dipinti j cri .
Ventinove "libri corali,, ornano le panche, scolpite nel 1496 da Antonio Barile:
rappresentano lo sviluppo della miniatura senese nella seconda metà del XV secolo. I
migliori furono però miniati da uno estraneo a Siena, Liberale da Verona,
SIENA. -
IL MUSEO DELL'OPERA DEL DUOMO.
127
V.
Il Museo dell " Opera del Duomo,., la pala d'altare di Duccio, l'Ospedale della Scala.
L -Opera del Duomo,,, in altri termini la fabbrica del duomo, occupa, alla destra
di questo edifizio, una casa ben costrutta, sugli avanzi della cattedrale abbandonata.
Al pianterreno stanno le sculture, tra cui spicca tosto il gruppo delle "Tre Grazie,,,
il superbo marmo greco, scoperto a Roma nel XV secolo, trasportato un po' più tardi
a Siena, esposto nella biblioteca del duomo sino al 1857, epoca in cui il papa Pio IX, in
un eccesso di pudore, diede l'ordine di togliere la pagina sì casta e
sì pura, che per lunghi secoli aveva ornato il santuario senza im-
paurire i fedeli. Questo gruppo si collega intimamente alla storia
dell'arte a Siena : Raffaello lo copiò, in un disegno che oggi tro-
vasi a Venezia, e lo imitò nel magnifico quadretto acquistato di re-
cente dal duca d*Aumale ; Barile lo riprodusse nei suoi pilastri del
palazzo Petrucci.
Gli avanzi della Fonte Gaja, di Giacomo della Quercia occu-
pano il posto d' onore presso l' antico gruppo. Sono spietatamente
mutilati, per lo più mancano le teste; ma ciò che rimane basta per
dimostrare il valore dell'artista. Egli tentò risolutamente il nudo,
rilevando i muscoli pettorali con energia pari a quella usata più
tardi da Michelangiolo.
Attraverso la scala moderna passano le colonne ed i capitelli
dell'antico Duomo; il che produce un effetto abbastanza strano.
Il terzo piano è consacrato alle pitture. La pala d'altare di
Duccio, divisa in una quantità di piccoli campi, vi occupa il primo
posto. Questo merita infatti più d'una semplice menzione. La Gadtà, di Jacopo della
r 11 Quercia (Museo dell Opera
Duccio di Buoninsegna, il cui genio doveva aleggiare per 150 del Duomo),
anni sui pittori della sua patria, è nello stesso tempo il più rag-
guardevole degli artisti senesi primitivi, e colui la cui opera fu la più nota. Questo
maestro entra in scena prima di Giotto, ma dopo Cimabue. La lunga discussione sui
titoli di Siena, e su quelli di Firenze, alla priorità del Rinascimento, nel dominio della
pittura, si trova oggi definitivamente decisa in favore di quest' ultimo.
Ignorasi la data della nascita di Duccio: il primo documento autentico in cui apparisca
il suo nome è del 1285, e ce lo mostra mentre comincia a dipingere una Madonna con
altre figure, per una cappella di Santa Maria Novella in Firenze. Dal 1308 al 1310 egli
eseguì la pala d'altare oggi conservata all'Opera del Duomo, per la quale ricevette la somma
enorme di .')000 fiorini in oro (forse 200 000 o 250 000 franchi della nostra moneta!;.
Il trasporto di tale pala d'altare dallo studio alla cattedrale diede occasione ad una
cerimonia non meno imponente di quella ch'ebbe luogo a Firenze per la pala del Ci-
mabue: tutti i negozi rimasero chiusi, il vescovo e le autorità s'avanzarono proces-
BÌonalmente alla testa del corteo; il popolo seguì con torcie accese, la città intera ri-
Buonò dei rintocchi delle campane, dello squillo delle trombe e del suono dei tim-
balli, specie di tamburi.
Nella composizione della Predella, che rappresenta la Morte della Vergine, le qua-
128
FIRENZE E LA TOSCANA.
lità ed i difetti dello stile di Duccio appaiono in piena luce. Il primo tratto che ci
colpisce è la mancanza d'individualità nelle teste; in una quindicina d'angioli che se ne
stanno in piedi dietro la moribonda, invano se ne cercherebbe un solo che rammen-
tasse un essere reale, un solo, in una parola, che derivasse da un ritratto; essi si
rassomigliano tutti al punto da confonderli, col loro naso leggermente schiacciato, coi
loro begli occhioni, con le labbra piene e fresche, i capelli rialzati alla moda antica,
ed il garbo del mento, d'un perfetto ovale.
La loro grazia, la loro nobiltà sarebbero fatte per sorprenderci, come pure per com-
muoverci , se sin dal primo istante non riconoscessimo le lezio ni di quegli artisti bi-
zantini in seguito così calunniati. Essi
soli poterono comunicare a Duccio que-
sto ammirabile ideale di bellezza fem-
minile; ma intendiamoci: voglio parlare
degli artisti bizantini della buona epoca,
dell' epoca che si stende dalle origini
sino al X e .all' XI secolo, e non degli
artisti degenerati del secolo XII e XIII.
Le figure di Duccio hanno la bel-
lezza e la grandezza. Che manca ad
esse per essere perfette? La scienza dei
movimenti; chè nel riposo esse possono
soddisfare alla critica piìi esigente. 1 '
Il fervore religioso dei Senesi, la.loro
tendenza al misticismo, non escludevano
lo spirito d'ordine. Il governo della loro
città, l'andamento dei servizi pubblici ,
i lavori d'edilizia, attestavano, come si
vide, una rara attività intellettuale. L'o-
spedale da essi cretto in faccia al Duomo
acquistò una rinomanza europea, grazie
alla sua estensione, come al suo ordi-
Le pio Donno al sepolcro del Redentore, nella pala di Duccio. UameiltO. Sili dal principio del SCCOlo W
(Museo dell'Opera del Duomo). l'imperatore di Germania pregava il mu-
nicipio di mandargliene il piano. 2 '
L'interno dell'ospedale, come è facile immaginarsi, fu terribilmente manomesso : però
0 Non si saprebbe clic aggiungere all'eloquente analisi fatta dal Taine di questo venerando primo documento della
pittura italiana, nel suo Voyage rn Italie: "il cielo è d'oro e le aureole d'oro avvolgono tutte le figurine. In questa
Iure, i personaggi, quasi neri, sembrano una lontana visione, ed allorché in addietro erano sull'altare, il popolo ingi-
nocchiato, che intr avvede va da lungi la loro solenne disposizione, doveva sentire il turbamento misterioso, la sublime
ansietà della fede cristiana, innanzi a tali ombre umane, profilate per moltitudini, sotto la luce del giorno eterno „.
1 n altro quadro attribuito a Duccio, Cristo fra i dottori, si fa osservare per i genii nudi posti nelle nicchie del porti-
cato, sotto cui sta seduto ('risto; tali genii peccano di goffaggine, ma presentano una distinta reminiscenza dell'antichità.
La Natività, attribuita ad un eminente pittore senese del secolo XVI, Lorenzetti, è piuttosto rigida ed imperso
naie. Inoltre nel Museo dell'Opera si osservano dei magnifici ricami (palliotti d'altare, piviali, ecc.), libri corali, ricche
miniature, reliquie d'oro e d'argento, il berretto del capo della Repubblica, il broccato rosso a fondo d'oro che tappezza
li' pareti, ecc. Una sala speciale contiene i modelli del pavimento del Duomo.
2 > Alla line di llo slesso secolo, Andrea de la Vigne, il poeta di corte di Carlo Vili, cantava nel suo Vergier d'HonneU}':
Kt vis avis, pouf passans esbanoir, Est l'hostel Dieu aussi le mieulx lente
Ou pour pou(v)res recovoir et requerre Qu'on saiche point imi la chrestienté.
Le nompareil qui soit. sur terre,
Firenze e la Toscana.
17
ino
FIRENZE E LA TOSCANA.
vi si trova «ancora una quantità di preziosi ricordi del passato : una Madonna e dei santi
di Duccio, degli affreschi di Domenico di Bartolo (1440-1444) rappresentanti ogni spe-
cie d'opere di carità, degli organi sorretti da mensole di rara bellezza, secondo i disegni
di B. Peruzzi, che i signori Burckhardt e Bode proclamano il più perfetto capo d'opera
di tal genere, gli stalli di Ventura di Giuliano, una statua in bronzo di Cristo, del
Vecchietta (14G6). La bara funebre, decorata nel 1500 dai pittori Benvenuto di Gio-
vanni e Girolamo di Benvenuto, è una prova della docilità con cui gli artisti del Rina-
scimento si adattavano a lavori in apparenza fra i più modesti.
Il Palazzo provinciale, costrutto nel XVI secolo sui disegni del fiorentino B. Buon-
talenti, edilizio senza gran carattere, com-
pleta la Piazza del Duomo.
VI.
La " Fonte Branda ., ed il servizio delle acque. —
L'accademia di Belle Arti. — San Domenico e il So-
doma. — Santa Caterina da Siena: la sua casa ed il
suo oratorio.
In una città di montagna quale Siena,
lontana da ogni corso d'acqua, la quistione
dell'approvvigionamento per mezzo di ac-
quedotti o di condotti sotterranei è impor-
tantissima. Così spiegasi perchè le fontane,
che altrove non sono molto spesso che or-
namenti, figurino qui, in prima fila, tra i
lavori edilizii. Un immenso reticolato sca-
vato nel tufo, lungo più di 24 chilometri
— dei 1 intti ni — alimenta le dodici fon-
tane pubbliche ed i treccntocinquanta-
cinque pozzi particolari.
Discendiamo il rapido pendio della col-
lina su cui trovasi il Duomo: nel fondo sta
la Fmitc, Branda, cantata da Dante {Inferno, canto in), coi suoi tre archi gotici; al di
sopra, escono dal muro dei leoni del XII o XIII secolo, a mezzo corpo, d'un aspetto
molto fiero. L'acqua è limpida ed abbondante. All'intorno numerose concerie, asciugatoi
con mucchi di concie, lavatoi.
Varcando la porta delle mura di cinta, eccoci tosto nella verde campagna; ma per
ora dobbiamo rientrare in città, il programma della giornata è faticosissimo: esso com-
prende la visita all'Accademia di Belle Arti, alla Biblioteca, alla chiesa di San Dome-
nico, ed all'oratorio di Santa Caterina. Non c'è dunque un minuto da perdere.
La galleria dell'Accademia di Belle Arti, ricca di più di 500 quadri od affreschi,
offre il più completo spettacolo dello sviluppo della Scuola senese dal XIII sino al
XVI secolo.
Una Madonna senese del XV secolo, di Sano di Piero.
(Accademia delle Belle Arti.)
SIENA. - L'ACCADEMIA DELLE BELLE ARTI. 1 .'5 1
Diamo uno sguardo, prima d'internarci in tale (ledalo, ad un bel sarcofago classico, espo-
sto in una delle sale dell'Accademia; i suoi bassorilievi, Nereidi sedute sul dorso d'un tri-
rune, servirono di prototipo ad una delle pile dell'acqua santa del Duomo (vedi sopra ,
Tra le pitture eeeo dapprima una Madonna di Duccio (n. 2.'>, antico numero 27),
quattro Santi e nel mezzo la Vergine col Bambino. Sono figure gravi e raccolte, elie
sembrano fatte di una materia diversa dalla nostra e vivere in un' altra atmosfera.
Tecnicamente, indicherò, come molto caratteristico per la Scuola primitiva di Siena, il
Santa Caterina che riceve le stimmate. Quadro del Beccafumi (Accademia delle Belle Arti).
caso schiacciato della Vergine, ed i disotto verdi delle carnagioni. Altrettante remini-
scenze bizantine.
Niccolò di Segna, di cui nella galleria esiste un Crocifìsso, in data del 1345, è, con
Duccio ed Ugolino, il rappresentante principale di questa Scuola primitiva.
11 campo in cui emergono tali maestri è quello delle scene calme ed imponenti, la
glorificazione della Vergine, i quadri maestosi. Essi preferiscono generalmente la pittura
a tempera all'affresco. Inferiori ai Fiorentini nella composizione delle grandi scene, essi
raggiungono un'intensità ed una elevatezza di sentimento da strappare l'ammirazione
dei loro stessi rivali. Di qui uno scambio d'influenze che dà luogo ai problemi psicolo-
gici piit interessanti.
132
FIRENZE E LA TOSCANA.
Noi facciamo qui conoscenza per la prima volta col rivale di Simone Martini, il più
eminente, con lui, dei pittori senesi del secolo XIV, Ambrogio Lorenzetti. La sua
Annunciazione, eseguita nel 1344, ci permette di studiarlo come pittore di cavalletto,
nello stesso tempo che le grandi composizioni murali del Palazzo pubblico ci permet-
teranno tosto di studiarlo come pittore d'affreschi. Ambrogio, non esito a dichiararlo,
vi si mostra inferiore a Simone Martini. Il pezzo migliore della composizione è la corona
d'alloro che porta 1' arcangelo. Ma il gesto di questo (sembra indichi col pollice un
personaggio posto dietro a lui), la sua attitudine , l' espressione del volto, come pure
Facciata dell'oratorio dì Santa Caterina.
l'espressione e l'attitudine della Vergine, dimostrano più ricerca che ispirazione. 1 due
attori appaiono pretenziosi, anziché commossi.
Un paragone della Scuola primitiva di Siena colla Scuola di Firenze contemporanea
farà comprendere meglio le particolarità dei Senesi. Mentre la Scuola fiorentina, sotto
gli auspizi di Giotto, si sforza, da un lato, di riavvicinarsi più ch'è possibile alla natura,
dall'altro d'esporre con chiarezza e vigore i grandi sentimenti o le grandi idee teolo-
giche e filosofiche che preoccupano il XIV secolo, la Scuola di Siena fa sentire in un
campo ben piìi limitato una nota lirica che non manca uè di originalità ne di seduzione.
Le pitture del Sodoma (1477-1549), di Beecafumi, di Girolamo del Pecchia, di Giro-
lamo Pacchiarotti, ci fanno assistere all'ultima e suprema evoluzione delia Scuola .senese.
Lo svenimento di Santa Caterina, affresco del Sodoma in San Domenico.
134
FIRENZE E LA TOSCANA.
Nato in Lombardia, a Vercelli, figlio d'un calzolaio, lui cotanto artista nella sua vita e
nelle sue opere, Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, avea ricevuto la prima spinta
dal gran fondatore della Scuola milanese, il sommo Leonardo da Vinci. Non è certo ch'egli
abbia avuto la fortuna d'avvicinare il maestro, simile in ciò a Bernardino Luini; ma
era difficile sottrarsi a quest'influenza fecondatrice; del pari che il Luini, il Sodoma svi-
luppò con un talento singolare uno degli aspetti del genio leonardesco : se il suo
emulo divenne per eccellenza il pittore del raccoglimento, delle emozioni dolci e se-
rene, egli fu l'interprete delle aspirazioni profane dell'arte (libera alfine dal giogo teo-
logico), delle eleganze mondane, che sotto l'influenza degli antichi modelli stavano per
succedere al lungo ascetismo del medio evo. Genio facile e brillante, fecondo e vario,
il Sodoma s' assimilò per istinto le qualità inerenti ai capolavori dell' antichità : sen-
timento della vita, soavità, nobiltà, distinzione sovrana. Mentre il suo rivale Raffaello
dovette risolversi a compitare penosamente tale linguaggio straniero, mentre dopo averlo
imparato con sforzi perseveranti egli andò troppo oltre nell'imitazione delle sculture gre-
che o romane e tentò di trasportare nel dominio della pittura degli effetti propri alla
scultura, — il Sodoma, dopo essersi sin dal principio occupato con una sorprendente di-
sinvoltura dell'imitazione delle forme antiche, seppe sempre preservarsi dalle esagerazioni
in cui caddero la Scuola romana e, dietro ad essa, le scuole pseudo-classiche. Si vor-
rebbe con questo porre il pittore lombardo , il discepolo di Leonardo, al disopra del
maestro d'Urbino, o per lo meno alla sua stessa altezza? No di certo: la distinzione,
la grazia, la grandezza del suo stile non devono farci scordare la frivolezza del suo
pensiero, la sua indifferenza, la sua trascuratezza. Egli rassomiglia a quelle cortigiane
da lui dipinte a Monte Oliveto, adorne di tutte le seduzioni, volta a volta briose e com-
mosse, sorridenti e lagrimose. E mai possibile esitare tra tali squisite e profane per-
sonificazioni del Rinascimento e le Vergini sì pure, sì nobili, sì veramente divine del
Sanzio ?
A due passi dall'Accademia di Belle Arti, sta la Biblioteca, diretta dal gentilissimo
e colto cav. Donati. Ma a fatica mi decido a varcarne la soglia: le troppe rarità mi
tratterrebbero troppo a lungo, e i momenti sono preziosi. Gettiamo così alla sfuggita
un'occhiata sulla magnifica copertina di manoscritto ricca di bellissimi smalti bizantini
del secolo X; indi sulle preziose raccolte di disegni d'architettura del XV e XVI secolo,
portanti la firma di Giuliano da San Gallo, di Francesco di Giorgio Martini, di Peruzzi.
I fianchi della collina che sostiene la chiesa di San Domenico sono formati da terreni
sabbiosi e giallastri, in parte privi di vegetazione, e la cui stabilità non m'ispira che
una mediocre fiducia. Noi prendiamo per la "Via Benincasa,, (nome di famiglia di santa
Caterina), poi per la "Via Ricasoli,,, ove si vede qualche palazzo, di cui uno porta sulla
facciata il busto del granduca Cosimo I, il conquistatore di Siena. Pochi negozi in
questi quartieri; in compenso attraverso il dedalo delle costruzioni si scoprono dei ma-
gnifici punti di vista. Sopra un rapido pendìo dei giovanotti s'esercitano a lanciare al
galoppo dei bei cavalli, certamente per prepararli alle corse della Piazza del Campo.
San Domenico s'innalza sopra una piazza vastissima, ornata di tigli, di cipressi e
di cespugli di rose. Dei velocipedisti (quale anacronismo in simile città!) si eserci-
tano sul praticello smaltato di trifoglio e di fiorellini gialli, ad una certa distanza da
un caffè detto "Succursale al Confortable,, (altro anacronismo!). Per fortuna un pano-
rama sorprendente fa diversivo a tali invasioni del secolo XIX: se la vista è da un lato
SIENA. - L'ORATORIO DI SANTA CATERINA.
135
limitata dalle fortificazioni, domina dall'altro le casi' disposte le une al disopra « I el 1 « -
altre, il Duomo, il Palazzo pubblico.
L'esterno di San Domenico è nudo e guasto; e l'ombra protonda elie l' edilizio
proietta sulla via e sulle piantagioni innondate di sole non concorre a migliorarlo cer-
tamente. Penetriamo ora nell'interno: nemmeno qui la prima impressione è più favorevole:
il santuario comprende una sola navata, molto ampia, senza cappelle laterali, c una
crociera, ancora più ampia, fiancheggiata da cappelle, il tutto della forma d'un T. Tutte
le finestre sono murate, eccetto due; il terreno e coperto d'un ammattonato dei più sem-
plici; ci mie tetto un'incavallatura a giorno ; un'intonacatura gialla a larghe striscie nere
fa le veci di preziose incrostazioni; di tanto in tanto, stemmi fissi nel muro e pesanti
altari del XVI e del XVIII secolo. Però ci si famigliarizza presto con tale semplicità.
La Madonna dipinta da Guido da Siena, nel 122 1 , cioè molto prima della comparsa
del Cimabue ( Vergine, di dimensioni colossali, le spalle coperte da un mantello azzurro),
ha meno rigidità di quelle di Cimabue. Si osserverà ch'essa tiene il bimbo lungi da se,
all'uso bizantino, in luogo di stringerselo al petto. La
cappella di Santa Caterina, in cui è conservato il capo
della Santa senese, deve la sua celebrità agli affreschi
del Sodoma. 1]
Dirimpetto a San Domenico, separata dalla chiesa
per mezzo d'un burrone, sta una gran piazza moderna,
con pesanti lampioni a cinque becchi, e banchine cogli
schienali ondulati, come quelli che ci sono nelle pas-
seggiate parigine. I suoi eucalipti dimostrano che a tali
piante è più propizio il cielo di Siena che quello di
Firenze. Su questa stessa piazza un caffè con tavolini
all'aria aperta, una tribuna per l'orchestra, ecc. In
fondo, la cittadella collo stemma dei Medici. Partico-
lare notevole: gli Inglesi, che s'acclimano ovunque
colla massima facilità, hanno edificato qui, nel isso,
una chiesa riformata, il cui classico porticato è sor-
retto da quattro colonne corinzie.
La casa e l'oratorio di Santa Caterina sono nel
quartiere che ha per emblema un'oca, la "Contrada dell'Oca,,, in mezzo al dedalo di
Btradicciuole che si svolge sul declivio opposto all'altura di San Domenico. Si ridisccnde
la "Via delle Belle Arti,,, si prende una strada trasversale e si giunge innanzi all'abi-
tazione della Santa, gelosamente protetta e conservata dalla divozione pubblica.
.Voi siamo in uno dei quartieri più popolati e più industriosi di Siena. Tutt' all' intorno
delle concie di pellami, dei mulini, dei telai di tessitori, di struttura primitiva, un labora-
torio in cui un mulo fa girare la macina colla regolarità particolare alla sua razza; tutte
queste umili manifestazioni dell'attività industriale concorrono a formare il fondo su cui
spicca la figlia del tintore Benincasa. Di nascita plebea, nutrita in questo focolare di virtù
domestiche e di fervente divozione, Santa Caterina non avrebbe potuto desiderare dopo la
sua morte un asilo più simpatico del cuore di tali persone, i così detti Trasteverini di Siena.
E troppo nota la biografia di questa Santa perchè ci sia bisogno di ricordarla. So-
'• 8« ne troverà la descrizione neWIUstinrr. de l'Ari penda»! la Rcnaismìice (t. III. p.
FIRENZE E LA TOSCANA.
pratutto mi guarderò bene dal parlare a lungo di questa tenera ed energica figura dopo
lo studio brillante dedicatole dal mio amico Emilio Gebhart. J) Basterà ricordare soltanto
come, possedendo insieme col misticismo, l'abilità d'un diplomatico, la Santa senese sia
giunta, con inauditi sforzi, a riconciliare i Fiorentini col papa Gregorio XI ed a ricon-
durlo da Avignone nuovamente a Roma. Essa morì nel 1380, nella città eterna, nell'età
di trentatrè anni appena. Parecchie città si spartirono le reliquie della giovane Santa. 2)
Nel 1464, cioè quasi cent'anni dopo la sua morte, e in seguito alla canonizzazione avve-
nuta per le istanze del papa Pio II, il governo di Siena decise di trasformare in santuario
la sua casa paterna ; fu decretato che ogni stanza, persino il laboratorio del padre, persino
la cucina, diverrebbero oratorii o cappelle. Nel 1473, fu terminato il lavoro d'adattamento.
Chiostro dell'oratorio di Santa Caterina, di Baldassare Peruzzi.
L'oratorio, una chiesa terminata da un frontone, si rizza in una via in pendio
presso a case di mattoni, provviste ognuna d'un doppio piano di loggie aperte.
La facciata dell'oratorio (rifatta nel 1877) in mattoni e pietre da taglio (la così
detta " pietra serena „ dei Fiorentini) ha per unico ornamento quattro pilastri, un fregio
a festone, e alcuni stemmi moderni. L'interno che corrisponde al laboratorio o alla
bottega del padre della Santa, non ha che una navata. E decorato d'innumerevoli stemmi
moderni, ricordi di famiglie che contribuiscono al mantenimento del santuario.
Vi si vedono inoltre degli affreschi del Pacchiarotti, pesanti e declamatori i, e mia
Santa Caterina sulla tomba di sant'Agnese <li Montepulciano , dipinta da Girolamo del
Papcs ci Moincs. È egli necessario ricordali' pure lei Puita de Sainte-Claire di Anatole France?
-i Molti ritratti, la cui lista Cu data da Luigi Courajod, ci mostrano questa fisonomia delicata e piena di ardore.
SIENA. - 1,'ORATORIO DI SANTA CATERINA.
137
Pacchia, nella maniera d'Andrea del Sarto. Al disopra dell'altare, un affresco del So-
doma: Santa Caterina in atto di ricevere le stimmate, inferiore però alla scena analoga,
Lo svenimento, dipinta a San Domenico.
Una delle particolarità dell' oratorio e un tratto dei costumi senesi sou dati dalle
bandiere sospese alle pareti. La loro origine è delle più profane; trattasi infatti dei
palii, vinti alle corse dei cavalli. Ogni vincitore offre alla sua parrocchia il premio
della vittoria: l'oratorio dell' 1 ' Oca,, ha dunque ricevuto trentasei palti dal XV111 se-
colo in poi. Mi si dice persino che il cavallo viene trionfalmente condotto iti chiesa.
Una scala, secondo la leggenda, portata dagli angeli conduce al primo piano, d'un
gusto squisitissimo. Un cortiletto in mattoni, con arcate a colonnette d'una rara eie-
li Palazzo Tolomei.
ganza, proclama il talento sovrano del grande architetto senese, Bald. Peruzzi. L'ora-
torio che qui si eleva, eclissa colla sua bellezza quello del pianterreno. Non vi manca
nulla, ne il terreno smaltato del secolo XVI (oggi molto consumato) coi suoi grot-
teschi e i suoi genii nudi, nò le pitture di Ventura Salimbeni (questo senese del se-
colo XVII fece ciò clic potè), nò il soffitto a cassettoni.
La camera da letto della Santa, piccola e buia, fu decorata da mani pie con oggetti
che le erano appartenuti. Lo stesso giardino fu convertito in una ricchissima cappella,
ma di pessimo gusto: non ci sono che colonne di nero antico, personaggi dipinti in
giallo sulla vòlta e la cupola, ornamenti dorati a perdita d'occhio. Il contrasto di questo
lusso colle rovine delle case vicine e di tutto il quartiere, dà molto nell'occhio; senza
dubbio avrebbe indisposto la semplice e modesta figlia del tintore Benincasa.
Firenze e la Toscana. 18
138
FIRENZE E LA TOSCANA.
VII.
I Palazzi di Via Cavoue. — Dante e la Pia bei Tolomei. — La Loggia dei Nobili.
Dalla piazza di San Domenico ritorniamo al centro della città, attraverso vie tor-
tuose e dirupate. Seguendo nuovamente la Via Cavour, per giungere sulla piazza
del Palazzo Pubblico, scorgiamo una quantità di palazzi storici, di cui voglio nomi-
nare almeno i principali. E lungo tale arteria, — che con nomi diversi, "Via Camollia.
Via Cavour, Via di Città, Via San Pietro, ecc.,,, e dopo innumerevoli giri attraversa
Siena nella sua massima estensione, da " Porta Camollia „ al nord, sino alla " Porta
Turi „ e alla " Porta San Marco,, al sud, che s'innalzano le dimore signorili, che danno alla
città la sua speciale fìsonomia: i palazzi Salimbeni, Spannocchi, Tolomei, la "Loggia
dei Nobili,,, i palazzi Nerucci, Saracini, ecc.
Questi palazzi presentano una grande unità, malgrado la diversità elei materiali adope-
rati (ora mattoni, ora, ma più di rado, pietre da taglio, abbastanza porose, non dis-
simili del tutto dal travertino usato a Roma; tali pietre provengono, mi si afferma,
dai dintorni di Rapolano). Il tratto caratteristico ne è la mancanza di sporgenze : ne
colonne, ne frontoni, uè balconi ; di rado anche dei semplici pilastri. Gli ornamenti di
terra cotta che adornano i palazzi dell'alta Italia, pure vi mancano. Per unico abbel-
limento, dei bugnati alla fiorentina, e dei portatorcie. E già molto se delle persiane tinte
in verde interrompono la monotonia delle facciate. Eppure quale maestà in queste linee
apparentemente così semplici !
La Piazza Salimbeni, la cui attuale disposizione data dal 1879, ha nel centro la
statua d'un personaggio vestito da ecclesiastico, Sallustio Bandini, l'autore del classico
Discorso sulla Maremma Senese (1737) ed uno dei fondatori della scienza economica.
Sugli altri tre lati si innalzano : il Monte dei Paschi, edilìzio pesante e senza carattere,
residenza della celebre banca di tale nome, un palazzo restaurato, dalle finestre gotiche,
pure appartenente a tale istituzione ; poi a destra l' antico palazzo Spannocchi, oggi
della Posta. Tale palazzo costrutto verso il 1470 da un architetto fiorentino, il cui nome è
sconosciuto, per conto dell'antico tesoriere del papa Pio II, è già pienamente del " Rina-
scimento,,: si fa osservare per le sue finestre a centina, cinque per piano, e per la
cornice a mensole gigantesche, d'un disegno poco felice. La trasformazione in palazzo
della Posta, dovuta ad un architetto senese contemporaneo, Partini, è ben riuscita e
degna d'una città moderna. Gli uffici danno sopra un grande cortile, ornato di graffiti
moderni, composti di candelabri, genii nudi e medaglioni. Tutto il complesso è como-
dissimo e quasi di lusso.
Il palazzo Tolomei, in cui dimorò nel 1310 il re Roberto di Napoli, data, dicesi,
dal 1205. Fra tutti i palazzi della "Via Cavour,, è il più originale ed il più superbo,
un campione purissimo e completo dello stile ogivale, ed il prototipo d'una serie d'altri
palazzi, Beringucci, Landi (mattoni rossi, con finestre gotiche a colonnette), Mariscotti-
Sergardi, Grottanelli, Tegliacci-Buonsignori, Saracini, che ne riproducono, con qualche
variante, la disposizione generale.
SIENA. - I PALAZZI DELLA VIA CAVOUR.
139
Il palazzo Tolomei si compone d'un pian terreno eccessivamente alto, con tre porte
e due finestre (moderne); il primo piano ha cinque finestre trilobate, e dà un valore
ed un effetto veramente grande a questo gigantesco basamento; una distanza piuttosto
rilevante separa questo primo piano dal secondo. Osservate, amici miei, l'uso o l'a-
buso di tali distanze, destinate a far spiccare le aperture; è quasi il segno di ricono-
scimento degli architetti toscani, tanto del medio evo, quanto del secolo XV. A corona-
mento, merli od imitazioni di merli, e feritoie.
Ecco l' ideale del palazzo del medio evo, fiero e superbo. A questo palazzo, se i
commentatori di Dante hanno indovinato giusto, si annette il ricordo di Pia dei To-
lomei. 11 suo sposo, Nello Della Pietra (f 1322), che voleva disfarsene per rimaritarsi,
la fece rinchiudere in un castello della Maremma, ove essa si spense in causa dei
miasmi pestilenziali (Purgatorio. Canto V). In questi termini ella si rivolge a Dante: "Deh,
quando tu sarai tornato al mondo e riposato della lunga via, ricorditi di me che son
la Pia: Siena mi fe', disfecemi Maremma; salsi colui, che inanellata pria, disposata
m'avea colla sua gemma!,,
La loggia di Via Cavour, o Loggia degli Ufficiali di Mercanzia, o ancora Loggia
dei Nobili, o Loggia degli Uniti, fu costrutta nel secolo XV, credesi, secondo i disegni
di Sano di Piero. Si compone di tre arcate di facciata, sopra un'arcata di profondità.
Diversa in ciò dalla maggior parte delle costruzioni simili, essa ha pure un primo
piano, in cui si trovano degli appartamenti.
Le arcate del piano terreno sono arricchite da una serie di sculture curiosissime. In
nicchie semigotiehe stanno delle statue più o meno stentate, dall'espressione pretenziosa
din santo guerriero, con degli stivali ricadenti, ecc.), scolpite le une da Antonio Fe-
derighi, le altre dal Vecchietta (1410-1480). Le panchine di marmo, poste nell'interno,
hanno nella parte sinistra, scolpita dal Marrina, dei vasi di fiori, e quattro donne co-
perte di drappeggi, con dei volumi : queste figure piuttosto pesanti spiccano sopra una
specie di conchiglia. Nella parte destra, scolpita nel 1464 da Federighi, gli alti ri-
lievi sono più spiccati. Dei guerrieri, in uno stile più libero e più ampio, tradiscono
l'imitazione dell'antico, sebbene dimostrino ancora una certa inesperienza, specialmente
nella calzatura, che è una via di mezzo tra il sandalo e lo stivaletto. Due fra essi
portano una corazza alla romana; una benda cinge la loro capigliatura. Al fondo d'uno
dei bassorilievi, due genii tengono un festone. I bracciali delle panchine sono formati
da una statua d' uomo e da una statua di donna, nude entrambe , dai pettorali molto
rilevati. Sventuratamente i pilastri, gli ovoli, i drappeggi, tutto rivela la preoccupa-
zione dei modelli antichi.
Presso al palazzo Saracini, a sinistra nella Via Cavour, si vede la torre, dall'alto
della quale un tamburo annunciava al popolo i risultati delle battaglie: le donne at-
tendevano nella via, ginocchioni, ansiose; se si proclamava una vittoria esse prorom-
pevano in applausi, in grida, e danzavano ebbre di gioia;* ma se i loro sposi, i loro
fratelli, i loro figli avevano dovuto battere in ritirata, erano singhiozzi, urli, tutte le
manifestazioni del dolore.
Più vicino alla cattedrale s'erge il palazzo Nerucci, o palazzo delle Papesse (così
<l<rto perchè fu costrutto ed abitato dalle sorelle del papa Pio II). Si compone d'un
pian terreno in opus rusticum e di due piani, ciascuno a sei finestre. L' insieme è
meno imponente del palazzo Piccolomini. Continuando incontriamo il palazzo del Ma-
140
FIRENZE E LA TOSCANA.
gnifico, cominciato verso il 1505, sui disegni di Giacomo Cozzarelli, terminato nel 1508.
Cozzarelli, che come tanti altri tra i suoi contemporanei univa la pratica della scultura
a quella dell'architettura, fuse per la facciata i magnifici anelli o bracciali, che ne sono
oggi il principale ornamento. Questi anelli, destinati, secondo gli uni a sostenere delle
torci e , secondo altri ad attaccarvi le redini dei cavalli, sono composti di due ser-
penti, fissati al muro con una zampa di leone, la cui parte superiore si risolve in un
rabesco ed una spirale. Pittori celebri, Signorelli, Pinturicchio, Gerolamo Genga, ar-
ricchirono il palazzo di pitture, Antonio Barile d'intarsii e di sculture in legno.
La sala principale larga 6 metri e 74 centim., in tutti i sensi, alta 5 metri e 14 centim.,
La Loggia dei Nobili.
era ornata d'una ricca serie di pilastri, sopra i quali si stendeva una vòlta a pendenza.
Fra i pilastri il Signorelli dipinse quattro affreschi, rappresentanti il Trionfo dell' Amore,
un Baccanale, il Castigo dell'Amore, e Coriolqno dinanzi a Roma. 1 )
J ) I (lue primi affreschi, per metà rovinati, furono sacrificati e ridipinta, circa mezzo secolo fa ; i due altri vennero
acquistati nel 1844 al prezzo di 800 scudi, contemporaneamente alla Penelope del Pinturicchio, da un francese, Joly
de Banneville, dalle cui mani passarono, cogli affreschi del Pinturicchio, nella Galleria Nazionale di Londra. Finalmente
dui' altri affreschi, per lungo tempo attribuiti al Signorelli, ma più probabilmente del suo allievo Girolamo Genga,
vennero accolti dall'Accademia di Siena. Uno di questi, " l'ritjioiiivri condotti innanzi ad un re „, rappresenta una scena
piuttosto complicata: Sopra un trono, un sovrano col turbante: attorno a lui, prigionieri, soldati, ecc. con una profusione
di torsi nudi ed un abuso di muscolatura che rivelano 1' influenza del Signorelli. se non il suo stesso intervento. Il
secondo, la Fui/a d'Knca. pecca pei- la volgarità del concetto: Creusa alza una gamba per fuggire, con un movimento
trivialissiino, la mano, pure alzata, esprime senza nobiltà il suo spavento.
SIENA. - I PALAZZI DELLA VIA CAVOUR.
141
Nello stesso tempo che faceva togliere irli affreschi dalle pareti, il proprietario facea
dividere la sala in parecchie stanze, disposizione più conforme ai bisogni d' un secolo
borghese, quale è il nostro. Si diede la calce a quella parte della volta, che copriva
una di tali stanze, e si coprì il resto con un soffitto posticcio; è «al disopra di questo
soffitto che A. Franchi scoperse, or son quindici anni, i resti della pittura della vòlta,
ch'egli attribuisce senza esitare a Pintu-
ricchio ed ai suoi allievi. Rappresentano
in mezzo agli ornamenti classici, di fa-
cile invenzione, delle Divinità sedute su
carri o su mostri marini , delle Muse
(Calliope, Tersicore, Erato), abbastanza
male delineate (Tersicore è stesa al
suolo e scrive invece di danzare), e scene
mitologiche od allegoriche diffìcili a de-
cifrarsi sullo schizzo del Franchi. Co-
teste pitture e le sculture del Barile
sono quanto conserva ancor oggi il pa-
lazzo Petrucci della sua decorazione in-
terna. Osserviamo sopra uno dei pila-
stri scolpiti dal Barile una copia del
gruppo antico delle Tre Grazie, che il
cardinale Piccolomini avea fatto tras-
portare a Siena pochi anni prima.
Un po' più lungi nella via del Ca-
pitano, che va dalla piazza del Duomo
alla via di Città, l'antico palazzo Pecci-
Grottanelli, costrutto in mattoni, e colle
finestre bifore, si raccomanda alla no-
stra attenzione pei ricordi che vi si col-
legano, come pure per le interessanti
collezioni che l'attuale proprietario, un
parente della famiglia Piccolomini, e un
vero gran signore, vi ha riunite. Nel
cortile, gli stemmi dei capitani di giu-
stizia. Una grandiosa scala conduce al
primo piano, ristaurato con molto gusto
nel 1864, e ammobigliato con un lusso
raro in Toscana. Esso contiene una fila
di magnifiche sale, colle porte in ferro
lavorato, o d'intarsio, copiate dai mo-
delli antichi, e che da sole rappresentano un grande valore; affreschi ornamentali
danno a tutti questi ambienti un aspetto singolare, e fanno risaltare le collezioni che
vi si trovano: monete, maioliche e rarità d'ogni genere. La sala d'armi, una stanza
vasta, con incrostazioni di marmo colorato, e a cui nulla si può rimproverare se
non L'abbondanza delle pitture, contiene, oltre il resto, gli stemmi delle corporazioni
della città.
11 Palazzo Saracini.
142
FIRENZE E LA TOSCANA.
Vili.
L.v Piazza del Campo. — La Foste Gaja. — Le corse dei cavalli. — Il Palazzo pubblico : Simone Martini,
LOEENZETTI E IL SODOMA.
La Piazza del Campo colla Fonte Gaia, e il Palazzo pubblico, fa riscontro al
Duomo e al gruppo d'edilìzi che formano il suo corteo.
La Piazza del Campo, oggi Piazza Vittorio Emanuele, ha la forma d' uno di quei
teatri antichi, i cui gradini, disposti su un piano semicircolare, discendevano sin verso
la scena che disegnava una linea diritta.
Una serie di case, o meglio di palazzi, domina co testa specie d'imbuto, in cui sboc-
cano undici vie ; gli uni portano sulla facciata le traccie della loro antichità, gli altri, e
sono i più importanti, furono costrutti o rinnovati nel XVII secolo , ma non stonano
troppo in quest'insieme sì venerando e sì altero: tra questi il palazzo Chigi (1724) e
il palazzo Sansedoni, costrutto nel secolo XIII, abbellito nel XIV e ritoccato nel 1778,
colpiscono per le loro dimensioni. D'un'imponenza grandissima è il palazzo gotico coro-
nato di merli e dominato da una torre, che si rizza verso il centro , rimpetto al Pa-
lazzo pubblico.
Tali facciate di mattoni, prive d'intonaco, vi parlano con una chiarezza innegabile
delle manomissioni, o meglio delle mutilazioni senza numero di cui ebbero a soffrire
nel corso dei secoli: finestre rettangolari sostituite alle ogivali al tempo del Rinasci-
mento; poi queste finestre rettangolari alla lor volta tagliate o turate dalle età seguenti,
da quelle intolleranti, quasi quasi si sarebbe tentati di dire, da quelle barbare età.
Pctrucci, il celebre tiranno di Siena, si proponeva di circondare la Piazza del Campo
d'uno splendido porticato, di cui ci conservò il ricordo un disegno del Peruzzi. 1 '
Nel medio evo e nel Rinascimento la Piazza del Campo servì frequentemente di tea-
tro a giostre ed a corse di tori. Nel 1599 si sostituirono a queste le corse di bufali montati
da giovanotti. Anche questi esercizi alla lor volta vennero soppressi nel 1650, e sur-
rogati nello stesso anno da corse di cavalli, il cui premio era una bandiera di damasco
cremisi con una frangia bianca , foderata di raso bianco e nero. Col succedersi del
tempo, il numero dei concorrenti, che in origine era di venti, fu ridotto a dicci. Ecco
qual era nel secolo scorso il programma di tali feste: per la prima tra di esse che avea
luogo il 2 luglio, si estraevano a sorte dieci contrade su diciassette, e dieci cavalli. Il
vincitore, dopo aver fatto tre volte il giro della piazza, otteneva un premio di 540 lire
di Toscana. Nella festa del 16 agosto, i cavalli correvano soli dalla porta Romana sino
al Duomo; il premio consisteva in una bandiera d'oro del valore di 910 lire di Toscana.
Fu forse in memoria di simili divertimenti e prodezze che i granduchi di Toscana
fondarono a Siena un'accademia d'equitazione, in cui si accoglievano a condizioni mi-
tissime i giovani gentiluomini senesi. L'abate Richard ci racconta d'avervi visto dei ma-
gnifici cavalli del paese, vigorosi e rapidissimi nella corsa; aggiunge che se ne ammae-
stravano molti a Siena per tale esercizio.
ì ) Tali palazzi, come pure il Palazzo pubblico, sono oggetto di sapienti monografie, dovute a G. Rohault di Fleurj,
la Toscane au mni/cn àge.
SIENA.
LA PIAZZA DEL CAMPO.
1 13
Oggidì le corse danno luogo, da un capo all'altro della città, ad un'agitazione che non
si sospetterebbe punto nel fondo di quelle nature in apparenza così calme. In certi quar-
tieri le donne, mettendo in serbo un soldo la settimana, riescono a raggranellare sin
a 4000 lire, somma colla quale si comperano una magnifica bandiera di velluto. Poi
viene la scelta del tantino, clie ogni contrada è chiamata ad indicare. La scelta dà
luogo a terribili rivalità, ad odii che ricordano quelli dei Montecchi e dei Caputeti.
Giunge il giorno della lotta: le comparse delle contrade fanno il loro ingresso solenne
sulla piazza del Campo in costume medioevale, accompagnate da fanfare; un carro trion-
fale, il Carroccio, chiude il corteo; è un ricordo della vittoria di Monteaperti. Passo oltre
sugli incidenti della lotta, limitandomi a far osservare che i frustini di cui si servono
i fantini, non sono più gli stessi de' tempi
addietro.
In quei tempi la ricompensa, o il palio,
consisteva in un piatto d'argento; il nostro
secolo prosaico ha sostituito l'opera d'arte
con una somma di 300 franchi, concessa dal
municipio.
Il vincitore è condotto in trionfo alla
chiesa della sua contrada, ove prende posto
il suo palio presso a quelli dei suoi pre-
decessori dello stesso quartiere. La religione
associata alle feste profane: ecco Siena, o
meglio, ecco l'Italia!
Dei banchetti epici, organizzati nella
via e che riuniscono sino a duecento convi-
tati, solennizzano la vittoria; il primo giorno
banchettano gli uomini, il secondo le donne.
D'altronde tutto non è color di rosa pel
vincitore: i suoi rivali non gli risparmiano
ne le canzoni satiriche, uè le iscrizioni in-
giuriose.
Se esaminiamo i ritratti di questi eroi
effimeri, troveremo a certi la faccia noncu-
rante o impertinente degli adolescenti del
Botticella
< 'ertamente le corse senesi appartengono all'ordine degli esercizi platonici che non
aggiungono nulla al patrimonio intellettuale d'una città, ma che hanno il vantaggio di
eccitare sopra un punto determinato l'attività e l'emulazione dei cittadini. L'utilitarismo
trionfa troppo facilmente nel nostro secolo; non esiste alcun borgo di recente fonda-
zione in America, e nemmeno in Australia, che non se ne preoccupi. Sappiamo adunque
onorare le città che fanno ancora qualche cosa per l'arte, sia pure l'arte dell'equitazione.
L'effervescenza dei Senesi, in quelle due giornate memorabili del 2 luglio e del 1 (! agosto,
li fece paragonare ai Napoletani, da uno dei loro concittadini stessi. "Nessun'altra popo-
lazione in Italia, afferma un rispettabile autore, Brigidi, eccetto forse i Napoletani, pos-
sedè uno spirito così svegliato, un carattere così brioso, e tanta arguta festività d'in-
gegno... .Ma io protesto : un entusiasmo che si manifesta periodicamente, due volte all'anno,
alle corse dei cavalli, è esso paragonabile al temperamento napoletano?
La scala del Palazzo Grottanelli.
144
FIRENZE E LA TOSCANA.
Si scoperse pure dell'analogia tra i Senesi e i Francesi: Dante indica la vanità
come tratto comune agli uni e agli altri. Si può andar molto in là nella via dei para-
goni! Non più tardi del 1891, un autore tedesco non ha forse menzionato in un'opera,
tosto divenuta classica, una serie di analogie tra Kembrandt e Gesù Cristo, Rembrandt
e Spinoza, Rembrandt e Wagner, ecc.?
Prendiamo piuttosto Dante, per ammirare, a proposito della Piazza del Campo, un
racconto, dovrei dire un quadro, la cui eloquenza non è uguagliata che dalla conci-
sione: l'episodio di Provcnzano Salvani, uno dei vincitori di Montaperti , che chiede
l'elemosina per riscattare uno dei suoi amici fatto prigioniero da Carlo d'Angiò.
La gloria della Piazza del Campo fu per secoli la fontana di marmo di cui l'a-
veva ornata, dal 1409 al 1419, il grande scultore Jacopo della Quercia.
Permettetemi prima di tutto alcune parole sulla vita di questo artista troppo poco
noto: Jacopo o Giacomo della Quercia nacque a Siena verso il 1371 e morì nel 1438. Egli
cominciò coll'oreficeria, ma si distinse prestissimo come scultore. Nel 1401 adunque, nel-
l'età di circa trent'anni, egli prese parte al concorso per le porte del Battistero di Firenze.
I Senesi, che apprezzavano secondo il suo valore il loro concittadino, seguivano ansio-
samente le sue gesta e i suoi menomi atti; essi continuamente temevano di vederselo
sfuggire. Perciò quante precauzioni perchè egli non disertasse la sua città! Un giorno
lo condannarono a 100 fiorini di multa per aver troppo prolungato il suo soggiorno al-
l'estero. Ma il della Quercia ottenne che la condanna fosse revocata e di ritorno nella
sua città natale s'ebbe il titolo di cavaliere!
Si è troppo proclivi a credere ai giorni nostri che il talento e l' ispirazione sieno
doni del cielo in certe epoche e per certe nazioni privilegiate. Conveniamo che una città
che attribuisce tant'importanza alla possessione d'un artista illustre, merita pure che il
cielo faccia qualche cosa per lei. J)
II carattere distintivo dello stile di Jacopo è la grandiosità, un certo che di epico,
di trascendente: l'espressione vale poco ai suoi occhi; egli ricerca anzitutto il movimento;
le fìsonomie hanno ordinariamente alcun che di accigliato o d'impassibile. In ciò fu imi-
tato da Michelangelo, che sovente imparò ed attinse da lui.
Il Palazzo comunale, o Palazzo pubblico, o Palazzo della Repubblica, è un edificio
di mattoni, che non ha di regolare che la facciata. Il primo e secondo piano contano
ciascuno una dozzina d'enormi aperture divise alla lor volta in tre da colonnette. Il
piano superiore più rientrato degli altri non contiene che due finestre. Delle false ar-
cate, degli stemmi, delle nervature, delle feritoie e dei merli danno a questa facciata
un aspetto fiero e pittoresco nel medesimo tempo. Un balcone pesante del XVI secolo
e uno scudo colle armi dei Medici ne guastano il centro, ricordando pure la caduta
dell'antica città libera.
I) La fontana della Piazza del Campo, ricostrutta ai nostri giorni, secondo i frammenti della fontana originale,
come pure secondo descrizioni e altri documenti, si componeva di un bacino aperto, circondato da tre lati da una balaustra,
nei cui fianchi delle nicchie ricoveravano statue. Sul davanti, ai due capi, due statue di donne, ciascuna con un bimbo
in braccio, e tendenti l'altra mano ad un altro bimbo ritto presso ad esse: secondo alcuni la Carità, secondo altri Rea
Silvia, la madre di Romolo e Remo (oggi nel Museo dell'Opera del Duomo). Le due altre statue eran scomparso già da
lungo tempo. Le nicchie in numero di tre su ciascuno dei due lati, e di setto al fondo, comprendevano statue ed
altorilievi. Nel centro il della Quercia avea scolpito la Vergine; attorno ad essa le sette Virtù cardinali, poi due bas-
sui'ilirvi rappresentanti scene del Vecchio Testamento: la Creazione dei nostri prò genitori, la Cacciata dal Paradiso.
Dei genii a cavallo sulle lupe (emblema di Siena) ed ogni sorta d'ornamenti completavano la decorazione.
146
FIRENZE E LA TOSCANA.
11 palazzo è dominato da un campanile d'altezza enorme, "la torre del Mangia,, (cosi
detta da una statua destinata a suonare le ore), costruita in mattoni al basso e di pietre
bianche in alto.
Delle porte moderne, guernite d'enormi chiavarde di ferro, danno accesso ai vesti-
boli, come pure a parecchi cortili, di cui uno contiene un affresco del XVI secolo, per
tre quarti rovinato, la Vergine tra due Santi. Anche i vestiboli sono ornati d'affreschi,
tra i quali un'Annunciazione dipinta nel 1390 da Bartolo di Fredi.
La Cappella del Campo, eretta davanti al palazzo, c' inizia alla lotta tra gli ele-
menti gotici e gli elementi classici (cominciata nel 1348, fu ornata nel 1460 d'un nuovo
fregio da Antonio Federighi). Così spiegansi le contraddizioni tra le diverse parti del-
l'edifìcio, e quel certo che di angoloso, di duro; da ciò pure ne viene che le nicchie
hanno ora la forma ogivale, ora a con-
chiglia. I grifi, scolpiti sul fregio e sepa-
rati da un vaso, ricordano quelli del tem-
pio di Antonino e di Faustina, a Roma.
Si osservano inoltre corone, festoni, cor-
nucopie, uovoli. A sinistra, al fondo, al-
cuni compartimenti di stile classico, con
fogliame, un' aquila colle ali spiegate, ecc.
Sei statue, di apostoli, della fine del se-
colo XVI, provano il ribasso della scul-
tura a Siena in quell'epoca. Sull'altare, le
vestigia d' un affresco del Sodoma.
E deplorevole che le Guide di Siena
non dieno neppure la pianta del Palazzo
pubblico. È facilissimo trovarsi imbaraz-
zati in quel dedalo di sale abbastanza
confusamente riunite le une alle altre.
La varietà dei nomi, sotto cui è indicata
ciascuna di esse , complica ancor più la
cosa. Per fortuna il mio diligente e colto
collega Paolo Joanne ha colmato siffatta
lacuna: l'edizione dell' Italie dit Ccntre pubblicata nel 1898 contiene una dettagliata de-
scrizione di cotcste sale.
Il fior fiore della Scuola senese ha lavorato alla decorazione del Palazzo pubblico :
Simone Menimi o Martini, i Lorenzetti, Bartolo di Fredi, Taddeo Bartoli, Sano di Piero,
il Vecchietta, il Sodoma, il Beccafumi.
Al pianterreno, la Sala del Tribunale di Bicherna contiene dei vecchi cofani, coi
quali stona un canapè moderno collo schienale adorno d'intarsi. Tra le pitture, un'In-
coronazione ddla Vergine, dipinta ad affresco nel 1445 da Sano di Piero, se dimostra
una certa ricerca di carattere nelle teste, rivela poca esperienza nella pratica del di-
segno. Il Cristo è biondo, ma non bello; i panneggiamenti conservano ancora la di-
sposizione gotica. Non vi si nota alcun progresso da Duccio in poi.
Allato si trova la Sala dei Matrimoni, tutta, rimessa a nuovo, tranne una Vergine
tra, san Galgano e sant' Ansano, dipinta dal Sodoma. E un lavoro abbastanza mediocre,
se pure non si voglia attribuire ai restauratori la grossezza eccessiva delle teste.
Il Buon Governo
(frammento dell'affresco ili Ambrogio Lorenzetti).
(Palazzo Pubblico).
SIENA. - IL PALAZZO PUBBLICO. 147
Pure al pianterreno, nella Sala del Sindaco, o Sala del Gonfaloniere , la Risurre-
zioni di Cristo, del Sodoma è una pagina magnifica, con panneggiamenti bellissimi, scorei
arditi (per esempio nei guardiani della tomba) e paesaggio armonico. L'artista v'ba ricer-
cato un effetto di chiaroscuro. Solo la testa di Cristo è un po' misera.
Noi montiamo al primo piano da una porta antica, mentre i corridoi e la scala sono
rinnovati.
Nella Sala delle Balestre, o Sala del Mappamondo, o Sala del Gran Consiglio, la
parete del fondo è occupata tutt'intiera dal grande affresco di Simone Martini.
Ciò ch'era stato Duccio per Cimabue, Simone Martini, l'amico del Petrarca, dovea
esserlo per Giotto. Simone Martini, falsamente chiamato Simone Menimi, nacque a Siena
verso il 1285 (dunque alcuni anni dopo Giotto); egli morì ad Avignone nel l.'!44.
Sin dal 1315, in età di soli trent'anni, egli venne incaricato di dipingere, nella Sala
del Consiglio, una di quelle pagine solenni, dette quadri di Maestà, cioè la Vergine
in trono in mezzo ai santi.
La forma data dall'artista alla sua composizione è altrettanto originale che pitto—
Guidoriccio Fogliarli di Simone Martini, affresco nel Palazzo Pubblico.
resca ed imponente. Sopra un trono rialzato di alcuni gradini è seduta Maria, parata dei
suoi piìi ricchi ornamenti, che tiene ritto in piedi sulle ginocchia, con un piede posato
sopra una delle sue mani, il divino Infante, che alza la destra per benedire. Osserviamo
qui che il bambino, com'è regola quasi assoluta ancor nel secolo XIV, è vestito e non
nudo. Attorno alla Vergine una numerosa accolta di angeli, di santi, di sante ; la prima
fila in ginocchio, le altre tre file in piedi. Gli uni sostengono il colossale baldacchino
clic protegge quell'eletta adunanza; gli altri manifestano la loro venerazione con gesti
esprimenti l'amore o l'umiltà loro. Tutte queste figure s'impongono alla nostra ammira-
zione per una bellezza ed una pienezza, che fanno facilmente scordare quanto può esservi
ancora d'arcaico nella fattura.
L'impressione dominante è la gravità, una gravità però temperata dalla tenerezza.
Soltanto negli angeli inginocchiati della prima fila, i quali tendono verso la loro so-
mma dei canestri ricolmi di fiori, traluce una nota più commossa. Quanto ai volti,
essi sono ancor debolmente individuati. L'artista ha veduto anzitutto rispettare i tipi tra-
dizionali; è per questo che san Pietro e san Paolo, in piedi alle due estremità, l'uno
'•olle chiavi, l'altro eolla spada, sono irreprensibili dal lato iconografico.
Ma un'altra considerazione pure ha impedito Simone d'introdurre nella composizione
148
FIRENZE E LA TOSCANA.
dei ritratti: egli temeva eioè di turbare con una nota troppo vivace l'armonia e la
serenità di tale pagina, ch'equivale ad un canto chiesastico tradotto in pittura. Quale
disgrazia che il bel dipinto non sia più ora che una rovina, e che i colori sien dive-
nuti tutti grigi !
Sul capolavoro del Martini spicca un busto moderno: quello del re Umberto.
I muri all'intorno sono coperti di pitture, rappresentanti i fatti d'armi principali dei
Senesi, la loro Vittoria sui Bretoni, e la compagnia del cappello (1363) di Luca di Tommè,
la Battaglia di Poggibonsi (143 ( J), di Giovanni di Cristoforo Girini e Francesco di An-
drea. La rappresentazione monumentale delle scene della storia contemporanea, così rara
nel medio evo, si svolge liberamente, come vedesi, nelle sale del Palazzo pubblico.
Rimpetto al quadro di " Maestà „ Simone dipinse, nel 1328, il ritratto d'un generale
al servizio dei Senesi, Guidoriccio di Fo-
gliani. Il personaggio, che sta sul cavallo
riccamente bardato , col bastone del co-
mando in mano, si dirige gravemente verso
una città che sta al sommo d'un monti-
cello. Sembra che venga da un campo
che appare a destra. Se non fosse per
l'interesse che desta una rappresentazione
storica di quest'epoca, il ritratto di Gui-
doriccio a mala pena desterebbe qualche
attenzione. Esso ci dimostra l'impotenza
dei Senesi ogni qualvolta tentano ripro-
durre scene della vita reale. Questo pla-
cido cavaliere manca assolutamente d'e-
spressione. Quanto al paesaggio, è d'una
goffaggine puerile.
La stessa sala venne arricchita dal
Sodoma di tre dei suoi capolavori : San
Vittore e Sant' Ansano (1529), San Ber-
nardo Tolomei (1534). Io ho tentato di
caratterizzarli nella mia Storia dell'Arte
durante il Rinascimento.
Continuando l'esame degli affreschi di
questa sala, vediamo il San Bernardino
da Siena di Sano di Pietro, e la Santa Caterina del Vecchietta. Non si può dire di questi
che una cosa sola, cioè che si trovano in troppa vicinanza agli splendidi capolavori
del Sodoma.
La Sala della Pace deve la sua fama agli affreschi d'Ambrogio Lorenzetti, l'emulo
di Simone Martini. Non si hanno che pochi dati sulla carriera di quest'eminente mae-
stro, che in pieno secolo XIV rinnovò la sua arte al contatto dei modelli antichi. Ciò
che v'ha di meglio stabilito nella sua biografia si è ch'egli lavorò tra il 1323 e il 1 345,
principalmente a Siena.
Gli affreschi della Sala della Pace (1337 sino al 1339) rappresentano il Buono e
il Cattivo (/overno <> reggimento.
II più noto tra essi rappresenta un vecchio di figura, gigantesca pieno di maestà
SIENA. - IL PALAZZO PUBBLICO.
I l!i
e «li grandezza (spesso si volle riconoscere in questo personaggio Carlomagno, il pili
popolare tra gli imperatori del medio evo), in mezzo alle virtù indispensabili ad un capo
dello Stato, la Giustizia, la Pace, la Concordia, la Prudenza, la Magnanimità, la Mode-
razione. Sopra lui si librano la Fede, la Speranza e la Carità. Ai suoi piedi è coricata
una lupa che allatta due bimbi nudi: Romolo e Remo.
Questa pagina monumentale, piena di grazia e di grandezza, si pensa che sia. ad
onta del suo stato di mutilazione, una delle più poetiche ereazioni del medio evo. La
Pace, sdraiata con indolenza sopra un di-
vano, parrebbe, se fosse possibile, ispirata
ad una delle più belle pitture antiche,
l'affresco di Pompei, conosciuto sotto il
nome di Pomona. Non è questo un incon-
tro fortuito. Ho già dimostrato, nei Pre-
cursori del Rinascimento, con quanta per-
severanza Lorenzetti avesse studiato, in
pieno seeolo XIV, i capolavori antichi.
Al basso, a sinistra, una lunga pro-
cessione di cittadini s'avanza pacificamente
verso il vecchio che simboleggia lo Stato :
sono i ventiquattro membri del governo,
riuniti da un cordone. A destra , alcuni
guerrieri conducono dei prigioni. Tale spe-
cie di processione o di corteo merita meno
elogi dell' affresco principale. La regola-
rità, l'aggruppamento formano il lato de-
bole dell'ingegno del Lorenzetti. Se nella
parte superiore, le figure allegoriche non
sono sufficientemente collegate le une alle
altre, non sono qui sufficientemente divise;
esse non formano dei gruppi abbastanza
chiari e distinti. 11 fregio, oggi mutilato,
conteneva la rappresentazione delle Quat-
tro Sta ([ioni, come pure della Grammatica
e della Dialettica.
Sebbene non esente da gravi danni ,
pure tale pagina, che si potrebbe deno-
minare il Trionfo della Sicurezza , offre 6:111 Bernardo dei Tolomei, del Sodoma (Palazzo Pubblico),
ancora dei tratti di rara bellezza. Prima
di tutto vediamo la Securitas, librantesi nell'aria con un cartello in una mano, nell'altra
una forca ;i cui è sospeso un delinquente. Il drappeggio che la ricopre lascia indovinare
delle forme nobilissime e purissime, almeno avuto riguardo a quel tempo.
Più lungi si scorge la Filosofia, simile ad un'antica sacerdotessa, poi la Geome-
trìa e V Astrologia.
I n secondo affresco rappresenta, secondo l'interpretazione di storici eminenti della
pittura italiana, Cavalcaseli e Crowe, i Benefizi d'un buon (rovento. L'artista ha im-
maginato una città piena di vita, colle sue botteghe ove si affollano i compratori, le
officine popolate di operai, co' suoi imponenti bastioni fortemente difesi.
150
FIRENZE E LA TOSCANA.
L'elemento naturalista domina in questa composizione, come nella precedente: le
città sono vere città del XVI secolo, senza la minima reminiscenza dei monumenti
dell'antichità ; il paesaggio eccessivamente mosso e variato non ha nulla di elassico.
Pure anche qui apparisce di tanto in tanto, e quasi attraverso un velo, un sog-
getto di rara bellezza. Nella fascia scorgesi un vecchio dalla barba bianca, dal torso
nudo, sapientemente modellato, che tiene nella mano sinistra dell'uva, e nella destra
un albero sradicato. Questo personaggio, in cui al primo momento s'è tentati di vedere
Saturno, non è altri che Tabcdcain, per conseguenza uno degli attori del Vecchio Testa-
mento. Un centauro di piccole dimensioni, e quasi perduto tra gli ornamenti, si distingue
per la giustezza e l'animazione del movimento.
Altrove noi evochiamo un'altra volta il ricordo dell'antichità, innanzi ad una donna
a mezza figura, coronata d'alloro e che tiene nella destra una falce, nella sinistra delle
spighe.
Da questo rapido schizzo si vede quanto sieno originali le concezioni d' Ambrogio
Lorenzetti, e di quante seduzioni egli seppe circondarle. Le allegorie fiorentine sono
più chiare, più precise, ma non arrivano che raramente a questa sublime poesia, a
questa superiorità di stile. 1} ,
Nel vestibolo, che precede la cappella del palazzo, Taddeo di Bartolo dipinse una
serie di personaggi mitologici o storici. Questi affreschi che datano dal 1414 dimo-
strano che la preoccupazione dell' antichità si mantenne a lungo dopo Ambrogio Lo-
renzetti, ma che ogni tradizione dell'iconografia classica, per non parlare della tradi-
zione stessa dello stile, era da lungo tempo sparita da Siena.
Il letterato che tracciò il programma delle composizioni ed indicò gli attributi, era
evidentemente in progresso sul pittore che dipinse le figure. 2 '
La cappella, disgraziatamente molto oscura, merita un istante d'attenzione da parte
degli archeologi e degli artisti ; oltre ad un quadro d'altare del Sodoma, una Vergine
col Bambino e dei Santi, quadro affumicato, d'una prospettiva difettosa, e che non conta
tra i capolavori del maestro, oltre un colossale san Cristoforo, contiene pure lavori
gotici in legno con begli intarsi; figure isolate con iscrizioni religiose in caratteri go-
tici: Credo in unum Deum, ecc. Il lavoro è dei più minuziosi: ogni testa si compone
Le figure allegoriche d' Ambrogio richiamano un paragone con quelle del Camposanto di Pisa, e con quelle
della cappella degli Spaglinoli, nella chiesa di Santa Maria Novella in Firenze. L'artista senese è ben superiore ai suoi
emuli, se non per la forza della caratteristica, almeno per la soavità e la superiorità dello stile. Libertà di fattura,
conoscenza perfetta delle leggi del colore, ampiezza, grazia, maestà, tutto trovasi riunito nel capolavoro del Palazzo Muni-
cipale di Siena.
2 ) Una veduta circolare di Roma, veduta delle più convenzionali, ma che offre dei dati preziosi per la topografia
della Città Eterna, forma come il centro di questa bizzarra evocazione del mondo antico. Più lungi, Marte, con un cap-
pello a punta, sta sopra un carro a quattro ruote, a' cui lati corrono due Pegasi di color rosso, sui quali egli agita
uno scudiscio a parecchie corregge. Esso ha per attributo la lupa romana. Giove, colla corona in capo, tiene in una
mano lo scettro, nell'altra la folgore. Delle fiamme gli fanno un'aureola. (Venne confuso con Apollo!) Presso a lui
un'aquila delle più misere. Al disotto del Dio degli Dei, sta Aristotile, in abito da medio evo, o di cui un'iscrizione
metrica rivela le qualità dell'ingegno :
■ Magnus Aristoteles ego sum..„ „
Dirimpetto, Giulio Cesare e l'ompeo, separati da un'arcata. Ambedue in abito del secolo XIV; Pompeo è vestito
d'una clamide, annodata sulla spalla destra e calzato di stivaloni. Osare ha giubba e calzoni attillati, le mani coperte
di guanti e un gigantesco elmo sul capo. Al disopra, figure allegoriche poco visibili. Più in là, nell'arco, Apollo co-
ronato di lauro, e calzato di scarpo turchine, a punta; suona il violino. Il pittore come attributo gli ha dato un
corvo. Bimpetto a lui sta Pallade con lancia e scudo colla testa di Medusa: quali attributi, una corona d'olivo e una ci-
vetta, chi' sembra un pipistrello. — Nel vestibolo vicino. " M. Tullio Cicerone, M. Porzio Catone, Catone l'Uticense,
Scipione Nasica, M. Curio Dentato, M. Furio Camillo, P. Scipione Africano,,, tutti in piedi sotto gli archi e in abiti
del secolo XIV. — Sopra un altro pilastro sta Giuda Macabeo.
SIENA. - II- PALAZZO PICCOLOMlNf.
151
d'una ventina di frammenti di legno riuniti con estrema abilità; il clic non toglie elio
l'insieme non sia ben decorativo. Tali lavori .si devono a Domenico di Niccolò, clic li ese-
guì nel 1428.
La Sala di Passaggio contiene parecchi quadri sacri, i ritratti dei papi e dei car-
dinali oriundi di Siena, quello del maresciallo Ottavio Piccolomini. Vi si vede inoltre
l'uniforme che Vittorio Emanuele portava alla battaglia di Solferino.
La Sala del Concistoro, a sinistra della sala di passaggio, è adorna d'affreschi, scene
della storia antica, di D. Beccafumi (1529-1534), il disegnatore brillante dei modelli del
pavimento della cattedrale, e l'autore di alcuni quadri da cavalletto ammirabili, quali Santa
Caterina '-In riceve le stigmate, all'Accademia di Belle
Arti \ . sopra . Inoltre la sala contiene otto busti in
marmo di celebrità moderne. La sua porta in marmo,
attribuita a Jacopo della Quercia, ha già l'impronta
dei principi] del Rinascimento.
La Sala di Balia, a destra della sala di passaggio,
ha per ornamento degli Episodi della Lega lombarda
e d<Jla vita di papa Alessandro III (nato, come già
>i è detto, a Siena). Spinello Aretino e i suoi figli
hanno eseguito tali pitture che si seguono tranquilla-
mente, -senz'animazione, ad uso di cronaca. Vi si vede
l'imperatore Barbarossa che conduce per la briglia il
eavallo su cui sta il suo avversario; un corteo di
cardinali e di signori cammina dietro il papa , ecc.
L' aspetto degli uomini e dei cavalli manca di forza
negli uni, di naturalezza negli altri.
B ' . . . . La Concordia,
Le epoche posteriori sono rappresentate, prmcipal- f rammen to dell'affresco di Ambrogio Lorenzetti
niente dai bellissimi arazzi provenienti dal mobiglio (Palazzo Pubblico),
reale di Firenze : gli uni eseguiti in Firenze stessa,
nei secoli XVI e XVII. gli altri di manifattura dei Gobelins. Questi ultimi, offerti da
Luigi XIV al granduca di Toscana, appartengono alla serie celebre degli Elementi, in-
cisi da Sebastiano Le Clero. Rappresentano la Terra, l'Aria, il Fuoco.
IX.
Il palazzo Piccolomini E oli Archivi. — A caso: Chiese, gomvekti, palazzi diversi.
Di tutti gli edifizi di Siena, il palazzo Piccolomini è il piìi vasto e il più impo-
nente. Esso occupa un posto intermedio tra i palazzi fiorentini dell'epoca prima, somi-
glianti ancor oggi a fortezze, e i palazzi più ridenti, più moderni, creati da Leon Bat-
tista Alberti, come il palazzo Rucellai. Quella massa enorme si compone di pietre
da taglio, ma senza il solito bugnato. Un pianterreno le cui arcate, oggi in parte murate,
vennero convertite in finestre, un ammezzato a finestre rettangolari, la cui altezza su-
pera quella di molti dei più sontuosi appartamenti delle capitali, e due piani con finestre
ad an o tondo, divise in due da colonnette, poi di sopra una cornice bellissima: ecco in due
152
•FIRENZE E LA TOSCANA.
parole l'aspetto esterno elie ha qualche cosa di maschio e di superbo. Quali ornamenti,
magnifici bracciali per torcie in ferro lavorato e le mezzalune dei Piccolómini. Peccato
che ai lati ci sieno delle botteghe che tolgono molto alla nobiltà dell' edifizio !
Si ignora quando e da chi sia stato cominciato il palazzo Piccolómini. Sappiamo
solo che non era ancor finito nel 1408, come risulta dal testamento di Giacomo Pic-
colómini , di cui presi copia
agli Archivi di Siena.
Sulla porta un' iscrizione
ricorda che nel 1G81 la fa-
miglia Piccolómini cedette il
palazzo al governo.
Varcandone la soglia , ci
troviamo in un cortile incom-
pleto, che non comprende che
tre arcate, e che si collega
ad un cortile aperto, privo di
carattere.
11 palazzo Piccolómini con-
tiene oggi l'ufficio delle ipo-
teche, la tesoreria provinciale,
gli archivi, ecc. La posta, che
per l'addietro si trovava pure
qui dentro, occupa ora un pa-
lazzo apposito.
Tra tutti questi uffici, solo
gli Archivi meritano una vi-
sita. Vi si accede per mezzo
d'una scala decente, ma abba-
stanza misera. Si sale sino al-
l' ultimo piano senza trovare
alcuno a cui rivolgersi. Tanto
più si rimane colpiti allorché
si giunge all'estremità di una
fila interminabile di sale, de-
corate col massimo gusto e in
cui si svolgono innanzi ai no-
stri occhi i registri delle de-
cisioni popolari dal 124X in
poi, la corrispondenza della
Repubblica, le dichiarazioni
dei beni (prototipi dell'imposta sulla rendita), già in vigore nel secolo XIV, gli atti del
capitano di giustizia, gli archivi di corporazioni religiose soppresse, quelli delle corpo-
razioni artigiane, dell'università, gli archivi giudiziari, gli atti dello stato civile dal 1463 !
Gli Archivi di Siena, non solo rinchiudono un'enorme quantità di documenti, ma
formano eziandio un vasto museo in cui il contenente è degno del contenuto. Le sale,
trentuna di numero, racchiudono la- serie non interrotta degli atti pubblici o privati d'epoche
simili alla nostra in fatto di scartafacci (l'Archivio diplomatico contiene da solo 5(1 000 per
La deposizione dalla erooe del Sodoma (Galleria dell'Accademia).
SIENA. - IL PALAZZO PICCOLOWINI.
1 53
gamene). Prima di tutto l'antica cappella del collegio dei Gesuiti, convertita oggidì in sala
d'esposizione; nelle vetrine sono visibili i venerandi diplomi imperiali, pergamene ingial-
lite coi suggelli dall'aquila bicipite. Inoltre in una cornice il testamento di Giovanni
Boccaccio, dato dal conte Scipione Borghese. Non meno curiosa è la sala della serie detta
della Biccherna, e composta di quadretti eseguiti dai pittori più celebri, per servire
Firenze e la Toscana. 20
154 FIRENZE E LA TOSCANA.
di copertina ai registri delle spese comunali. Tali quadri, la cui lista fu intrapresa nel 1882
dal compianto direttore della scuola francese in Roma, Augusto Geoffroy, tracciano gli
avvenimenti storici più rilevanti o svolgono delle allegorie patriottiche. Essi vanno dal-
l' anno 1257 all'anno 1689., comprendendo così un periodo di più di quattro secoli l ).
Ad alcuni passi dal palazzo Piccolomini c' è la loggia di Pio II, monumento d'una
eleganza già un po' facile. Essa si compone di tre arcate aperte contenenti lo scudo
pontificale del fondatole, sostenuto da angeli.
A poca distanza dalla Loggia del Papa, nella via Sallustio Bandini, vedesi il palazzo
o meglio la casa abitata nel secolo scorso dall'economista di tal nome. E una costruzione
del Rinascimento, in mattoni, semplice ed elegante. Il pianterreno non lia altro orna-
mento che una porta a pilastri sormontata da un fregio con delfini ed un frontone
triangolare, delle finestre basse ad inferriata e due occhi a destra ed a sinistra della
porta. Il primo piano comprende una fila di finestre sormontate da frontoni, dei quali
ciascuno ha una corona a banderuole. In alto un tetto prominente. E null'altro! Ma
quale rara armonia nell'insieme!
Nella sua Brere Relazione della città di Siena, stampata nel 1784, il Falliscili non
enumera meno di novanta chiese, oratorii, conventi o confraternite religiose, esistenti
in Siena al suo tempo. Oggidì, secondo la Guida artistica, della Citta e Contorni di
Siena, stampata nel 1873, il totale delle chiese, cappelle o conventi raggiunge ancora
la cifra rispettabile di settantacinque. 11 Cicerone di Burckhardt e Bode si occupa per
parte sua almeno di tre o quattrocento opere d'arte, divise in una sessantina di mo-
numenti.
Si rassicuri il lettore! Non è mia intenzione fargli sfilare innanzi tale numero d'edifizi,
quantunque non ve n'ha neppur uno che non contenga qualche interessante capolavoro:
trittici, o bassorilievi d'un trecentista o d'un quattrocentista, lavori d'intarsio, ecc. Bi-
sogna saper limitarsi, e quantunque la scelta sia talora diffìcile, sebbene mi sanguini il
cuore all'idea di dover sacrificare tanti capolavori, pure resisterò a tutte le tentazioni.
E mi mostrerò tosto inesorabile cogli artisti dei secoli XVII e XVIII. Essi raccolsero
da parte dei loro contemporanei tutti gli elogi a cui potevano aspirare, anzi ancor
di più: perciò posso senza troppo rimorso tacere sulle loro produzioni. I critici miei
predecessori credevano di non poter rivolgere ai Primitivi un'ingiuria più grave che
trattandoli di gotici; a nostra volta noi qualifichiamo parrucconi i pittori del secolo
scorso. Così va la gloria del mondo.
Tutto del resto è sorprendente in quelle chiese. Ora è una facciata che promette
molto, e un'interno che nulla mantiene; o una facciata poverissima, con pilastri, men-
sole, stucchi, in breve con tutta la vuota fantasmagoria del secolo scorso; dei cherubini
rannicchiati, uno Spirito Santo che affetta la forma di sapiente colomba, poi, varcata
che sia la soglia, un venerabile santuario con colonne a ganci, pale d'altare di Guido
o di Duccio. Qui c'è il "Palazzo dei Diavoli,, costrutto da Federighi, colla sua pala in
terra cotta, modellata da Francesco di Giorgio nello stile del Rinascimento; là è la
] ) Fra i più originali conviene citare-: II buon governo, d'Ambrogio Lorenzetti (1344); Y Incoronazione dell'Impe-
ratore. Sigismondo (1423); V Incoronazione di Papa Pio 7/(14(i0); Siena protetta dalla Madonna contro il terremoto (146<>),
pittura attribuita a Francesco di Giorgio Martini; i Senesi in lega contro il Papa, enti-ano armati nel Colle di vai
d'Elm (1479), Ingresso dell'ambasciata di Carlo Vili a Siena (1496), La vittoria navale riportata da Andrea Daria
sui turchi, presso Messina (1532), Le fortifìoazioni spaglinole distrutte dai Senesi (1532), ecc., ecc.
SIENA. -
CHIESE E PALAZZI DIVERSI.
chiesa di San Francesco, con una pala d' altare di Bartolo di Fredi, specie di com-
promesso tra Giotto e Simone Martini, rimarchevole pei suoi visi ieratici, dagli ocelli
a mandorla. È pure a San Francesco che si trovava per l'addietro la bella Deposizione
della Croce del Sodoma, oggi esposta all'Accademia di Belle Arti.
Particolarmente ricca di contrasti è la chiesa di Sant'Agostino. Costrutta nel 1258, fu
ritoccata nel 1755 (gli ordini claustrali aveano, si capisce, troppo denaro a quei tempi!]
dal celebre architetto napoletano Vanvitelli, il creatore del grandioso palazzo di Càserta.
Numerose pitture, tra le (inali qualcuna con firma celebre, provano l'antica magni-
ficenza di questo santuario. Il Cicerone
attribuisce a Simone Martini la figura di
sant'Agostino, e le scene della vita di
questo Santo, opera arcaica, poco inte-
ressante, che devesi piuttosto attribuire a
Lippo Menimi. L'autore d'un altro dipinto,
Matteo di Giovanni di Bartolo (1482),
afferma nella sua Strage degli innocenti,
la sua predilezione pel Rinascimento, ma
senza riuscire a impadronirsi dei principii
dello stile nuovo: le impressioni e i ge-
sti del resto sono ugualmente esagerati ;
rasentano la caricatura. Poi incontriamo
una delle ultime produzioni del Perugino :
una Crocifissione, dipinta nel 1510, opera
singolarmente tormentata e vuota. Il ca-
polavoro di Sant'Agostino è V Adorazione
dei Mogi del Sodoma. Tra le sculture un
Sant Agostino del Cozzarelli (1453-1515)
e un Pio II ài G. Duprè, l'eminente scul-
tore senese, meritano una menzione.
La confraternita di San Bernardino
deve la sua gloria alla Presentazione ai
Tempio, una delle pagine più brillanti del
Sodoma.
La chiesa di Santo Spirito sorge in
una piccola piazza; allato trovasi un con-
vento, poi dei giardini gli uni sugli altri. Nell'interno, all'estremità d'un corridoio del
chiostro, murato, s'ammira una grande Crocifissione, affresco che a prima vista pare
tradisca il pennello di Fra Bartolomeo, ma che in realtà appartiene al suo allievo Fra Pao-
lino di Pistoia; il colorito n' è chiaro e morbido.
Tanto Santo Spirito come San Bernardino devono al Sodoma i loro principali orna-
menti : San Giacomo il Maggiore che combatte gli Infedeli, e la Visitazione.
La chiesa di Fontegiusta otfre all' ammirazione degli artisti e dei dilettanti la sua
pala d'altare in marmo, il capolavoro del Marrina, terminato, come ne fa fede una mo-
numentale iscrizione, nel 1517, cioè in pieno Rinascimento. Così l'ornamentazione pro-
cede integralmente dall'antichità: non sono che Vittorie librantisi. grifi, genii, ovoli, ecc.
Sebbene carico, l'insieme non manca d'eleganza.
156
FIRENZE E LA TOSCANA.
Nessun archeologo, nessun artista ha il diritto di trascurare la visita al convento
dell'Osservanza, ove una vettura di piazza ci conduce facilmente in mezz'ora.
Voi uscite dalla porta della ferrovia; costeggiate i bastioni costrutti in mattone, poi
la strada ferrata che attraversate sopra un passaggio a livello, e non tarderete a sco-
prire il convento. Ma pazienza: siete ancora lontani dalla meta. Bisogna girare e girare
attorno ai bastioni, salire e discendere, e risalire tra siepi, varcare un acquedotto, e
allora solo vi si giunge. Come nei paesi di montagna tutto sembra vicino ed è lontano.
La strada ferrata continua a sbizzarrirsi a suo capriccio: la linea di Firenze e la linea
di Roma passano l'una sotto l'altra. Noi siamo ora ad un'altezza parallela a Siena, di
cui non si vede che un'estremità. Poi all'improvviso la città si stende innanzi «ai nostri
sguardi in tutto il suo splendore. Giunti ai piedi del convento, bisogna fare degli altri
giri per penetrarvi. E un assedio, sono circonvallazioni in piena regola. Il nostro vei-
colo costeggia un muro ; finalmente ci fermiamo innanzi un portico di mattoni di meschina
apparenza, con alcune pietre sepolcrali incastratevi; dall'interno ci giungono dei canti
religiosi: è l'Osservanza.
Questo convento, fondato nel 1423 da san Bernardino, fu ricostrutto nel 1485 da
Pandolfo Petrucci , il celebre tiranno di
Siena, sui disegni di Giacomo Cozzarelli.
La sagrestia, che si visita tosto, con-
tiene la tomba, tutta rovinata, di Pandolfo
Petrucci. Per ornamento ha dei lavori in
legno, semplicissimi, eseguiti nel 1497 a
spese di Pandolfo, e che si attribuiscono ai
Barili.
All'esterno, si vede ancora l'antico cor-
nicione della chiesa, e le finestre ovali nei
muri. Nell'interno, per sfortuna, il santuario
fu manomesso; degli stucchi bianchi del
secolo XVII lo deformano. Non importa,
facciamo un po' astrazione da questi ornamenti barocchi, ed atteniamoci al bel periodo
dell'arte: le sculture e le pitture del secolo XV e XVI abbondano. Presso ad una
statua di Sant'Antonio di Padova del Cozzarelli, e ad una Incoronazione della Yergvh,e }
con figure bianche su fondo azzurro, alla maniera dei della Robbia, e con medaglioni
in terra cotta, di Francesco di Giorgio, si scorgono delle pale d'altare, che si attribui-
scono a Sassetta, a Sano di Piero e ad altri pittori senesi del secolo XV, una Croci-
fissione del Riccio, in cui l'influenza di Raffello (sopra tutto nella figura di san Giovanni
Battista) la disputa a quella di Sodoma.
Rientrando in città dalla parte di San Francesco, incontriamo circa una trentina di
carretti, che si avanzano in fila, trascinati da buoi, dalle corna gigantesche, e (inali si
veggono nelle celebri fiere di Siena. Piìi lungi si scorge un'enorme massa merlata, il
" Monte dei Paschi,,.
Il quartiere da questo lato non è punto attraente , non si veggono che miserabili
casupole, sui cui balconi è stesa della biancheria ad asciugarsi. Di tanto in tanto dei
giardini pensili. Solo la " Fonte nuova „ attira gli sguardi sulle sue tre arcate ogivali
di mattone.
Schizzo di Raffaello.
SIENA. - L'OSSERVANZA.
157
Con ciò prendo congedo da Siena. Una parola ancora per riassumere: esistono
in Italia, in Francia ed in Germania eittà altrettanto ben eonservate elie Siena; non
è dunque nella visione del passato ehe consiste l' infinita attrazione, dell' antica città
toscana, bensì nella varietà e nella raffinatezza della sua civiltà, nel fecondo misti-
cismo, che per più di trecento anni penetrò ed animò tutte le torme dell' attività
intellettuale. Sola, fra le città della Toscana, Siena non può misurarsi con Firenze:
essa incarna i trionfi del medio evo coll'uguale splendore con cui la sua rivale incarna
lo spirito del Rinascimento, lo spirito dei tempi nuovi.
San Benedetto e lo scudiero di Totila, affresco di Luca Signorelli a Monte Uliveto.
MONTE OLIVETO, PIENZA
MONTEP ULCIANO.
" Un paese selvaggio, un caos di nude alture,
un gruppo di burroni, sparsi di cipressi. „
(Boorget).
Porta della biblioteca del convente.
Da Siena ad Asciano. — Il convento di Monte Ouiveto Ma^oiore:
Fea Giovanni da Verona, Luca SignoheIiLI kd il Sodoma.
ni (la Siena die usualmente si va al convento (li
Jjj "Monte Oliveto Maggiore,,, (listante trentaquattro
chilometri. I mezzi di trasporto sono vari e numerosi. Il
più semplice, se non il più attraente, consiste nel noleggio
d'una vettura; per una trentina di lire, qualunque albergo
senese mette a vostra disposizione una carrozza a due
cavalli. Però la maggior parte dei viaggiatori preferisce
arrivare ad Asciano, o alla stazione successiva, San Gio-
vanni d'Asso, colla ferrovia ; di là è facilissimo recarsi o
a piedi, o con un veieolo qualunque, alla celebre abbazia
benedettina; ci si impiega circa un paio d'ore.
Giungendo alla stazione d'Asciano, io vengo assalito
da una legione di vetturini, clic si disputano i miei ba-
gagli, e rivaleggiano in eloquenza per convincermi ciascuno
propria carrozza, E duopo scegliere il meno chiacchierone
DA SIENA A MONTE OLtVÉTO. 159
fra questi individui, il veicolo meno .sconquassato, il cavallo più vivace, e sopratutto
bisogna stabilire prima, chiaramente, il prezzo. 1 '
Eccomi in cammino per la città, posta ad una eerta disianza dalla stazione, ed alla
quale giungiamo in un quarto d'ora. Malgrado il breve tragitto, il mio cocchiere si ferma
innanzi ad un albergo, d'apparenza piuttosto meschina, e mi dichiara, imbarazzato, che
bisogna cambiare cavallo; per cui ripartiremo tra venti minuti. Io intuisco un tranello,
ma i nostri patti sono chiari; che c'è da temere? Approfittiamo di tale ozio forzato,
per gettare un'occhiata intorno a noi.
Asciano trovasi tra colline molto trarupate; è una cittaduzza, o meglio, una bor-
gata, di circa Tuoi) abitanti. Non presenta nulla di rimarchevole. Le sue chiese con-
tengono però un certo numero d'opere d'arte, che il eav. Lombardi, il fotografo senese,
ha posto in luce. A Sant'Agostino si osserva una Madonna dipinta nel 14.'>7 da Do-
menico di Bartolo. Al Duomo, un'Ascensione di Giovanni di Paolo, e la Nascita della
Vergine di Stefano di Giovanni, detto il Sassetta (1420-1480); a San Francesco, af-
frescbi della Passione attribuiti ad uno del paese, Giovanni d'Asciano, che lavorò nel
Xr\ secolo, a lato a Barna da Siena; poi un bassorilievo dei della Robbia; una Ma-
donna attribuita a Lippo Menimi; una pila dell'acqua santa, del Rinascimento. In una
piazza una fontana del Rinascimento, "un vaso gigantesco,,, che il Cicerone proclama
di grande effetto.
Ina tale varietà d'opere d'arti, in un remoto borgo, non ha nulla di straordinario :
non siamo forse in Toscana? Grazie ad un felice concorso di circostanze, la prospe-
rità materiale di queste regioni coincise collo slancio delle arti ; invece di venire ornati
nell'epoca della decadenza, come la maggior parte degli edifizi di Torino, di Napoli,
di Genova, e di tante altre città (senza uscire dalla Penisola), le chiese, i municipi e
persino i palazzi dei privati vengono da un capo all' altro della Toscana affidati a
<(iic>ti maestri, ingenui e fieri, teneri ed eloquenti, usciti o dalla scuola di Firenze, o
da quella di Siena. In altri tempi le provinole da noi or ora nominate poterono far
prova di tanto patriottismo, imporsi dei sacrifizi cosi grandi. Che importa? Troppo
tardi esse sono venute. Il genio che presiede allo sbocciare dei capolavori non ragiona,
non calcola: una volta trascorsa l'ora propizia, i tentativi, per quanto grandi, riman-
gono afflitti da un'incurabile sterilità. Ecco perchè l'oscuro borgo d'Asciano, coi suoi
affreschi ed i suoi bassorilievi primitivi, riporterà la vittoria, nello spirito dei ferventi
dell'arte, su molte capitali celebri, dalla decorazione brillante e vuota.
Tali erano le riflessioni a cui ero in preda, allorché il mio vetturino venne a di-
chiararmi, questa volta senza alcuna esitazione, ch'era impossibile tentare l'ascensione
del .Monte Oli veto colla vettura ad un sol eavallo. "Che strada, che strada! — esclama
egli, — non avete idea d'una strada simile!,, Io gli rispondo con la massima calma
ch'egli era libero d'attaccare due cavalli alla sua carrozza, ma che avendo stabilito il
prezzo a priori per tale spedizione, sarebbe stato ingiusto ch'io dovessi pagare ora il
doppio della somma convenuta. Tale argomento è perentorio : con tutto ciò il mio uomo
non si dà per vinto : egli va a reclutare dei compatrioti, che con molte esclamazioni
dichiarano che sarebbe una vera pazzia l'intraprendere un viaggio così pericoloso con
11 Al tempo in cui la descrizione di questa gita apparve nel Giro del Mondo (1H82), l'antica abbazia olivetana
non era stata ancora molto frequentata. In questi ultimi anni Monte Uliveto Maggiore divenne la meta del pellegri-
naggio di molti viaggiatori: la loro ammirazione venne consacrata in alcune pagine brillanti di Paolo Bourget, nelle
sue Senwtions d'Italie (1891, p. 54-66).
160
FIRENZE E LA TOSCANA.
un solo cavallo. L'ascensione del Monte Olivete è paragonata a quella del Vesuvio ; la
strada carrozzabile che vi mena diventa un sentiero costeggiato da spaventosi preci-
pizii ; non vi sono che i forestieri che vogliano tentare così il destino! La mia obbie-
zione costante :" perchè non mi avete prevenuto prima? „ trionfa infine di tale eroica
opposizione ; il vetturino con aria rassegnata mi dichiara che sarà giocoforza con-
tentarsi d'un sol cavallo, ma che il cocchio dovea essere sostituito da una carrozzella
a due ruote. Io non domando di più ; poiché tale ipotesi era già stata prevista. Per-
chè dovrei io pretendere di più di tanti altri che mi hanno preceduto?
Non si può immaginare nulla di più selvaggio e di più imponente, dello spettacolo
che si offre ad alcune centinaia di metri da Asciano, superata la prima salita: sono im-
mensi burroni, torrenti asciutti, collinette di sabbia o d'argilla, di bizzarro profilo, con
fianchi scoscesi; per lunghi tratti non si scorgono che coni che si ergono nell'aria
quasi a perdita d'occhio. La linea orizzontale è bandita da quel suolo, così profonda-
mente sconvolto: si direbbe un mare in burrasca, i cui flutti sollevati dalla tempesta
si sieno ad un tratto, come per incanto, fermati. La povertà della vegetazione accresce
l'orrido del quadro. Solo di tratto in tratto si scorge qualche olivo vecchio e nodoso;
nessuna traccia di villaggi; qua e là una fattoria di meschina apparenza: forse una
mezza dozzina in tutto. Il deserto scelto dai fondatori di Monte Olivete non ha nulla
da invidiare alla Tebaide.
Non vi descriverò i mutamenti della strada; la nostra carrozzella viene sbalestrata
dalla cima d'una collina, che si direbbe inaccessibile, sin giù in un profondo crepaccio.
Per fortuna il nostro cavalluccio sardo ha il piede sicuro, il garretto vigoroso. Egli
prende d'assalto al galoppo i pendii i più ripidi.
La sera s' avvicina; il sole al tramonto, invece di dorare le cime di quell'oceano
di montagne, ne fa più implacabilmente risaltare la desolante nudità; noi saliamo, sa-
liamo sempre. Ad un certo punto il mio conduttore , che è divenuto amabilissimo , mi
mostra un noce, che si vede, dice lui, da Siena. Finalmente scopriamo la meta del no-
stro viaggio ; ma sebbene situata soltanto a qualche tiro di schioppo, avremo bisogno
ancora di salire e di discendere per raggiungere Monte Olivete. Osservo passando, sul-
l'altura alla nostra sinistra, Chiusuri, un povero villaggio di 300 abitanti, e concentro
tutta la mia attenzione sul convento che ci sta dinanzi. Imaginate una specie di iso-
lotto che si rizza fra orribili precipizi, in comunicazione colla terraferma per mezzo d'un'u-
nica striscia di terra stretta e dirupata, ed avrete Monte Olivete Maggiore. I colli che lo
circondano discendono quasi a picco ad una prodigiosa profondità, poi il suolo si rialza,
in un erto pendìo, formando l'elevazione su cui trovasi il convento e le sue dipen-
denze. Tali precipizi formano intorno al santuario una specie di difesa naturale; per
viemeglio guarentire la loro sicurezza, i monaci non ebbero che da fortificare la via che
li unisce al resto dell' universo. Noi passiamo sotto una torre , col fossato colmo a
metà e il ponte levatoio in rovina; costeggiamo un viale di cipressi, il cui nero fo-
gliame spicca come un' oscura macchia sui terreni brulli , e giungiamo alla porta del
convento.
Il mio conduttore, la cui affabilità è sempre aumentata, mi ringrazia con effusione
per la mancia, che aggiungo al prezzo convenuto; egli insiste per tornare a pren-
dermi l' indomani o il dopo domani ; finalmente, per provarmi la sua riconoscenza, mi
dà una preziosa informazione : cioè clic la prossima volta egli mi avrebbe condotto
volentieri per la metà della somma chiestami oggi. Io faccio parte, alla mia volta, di
tale avvertimento a coloro che mi succederanno nel villaggio e che un inglese pietoso,
Firenze e Ut Toscana.
FIRENZE E LA TOSCANA.
in un'iscrizione tracciata sul banco di pietra da lui fatto innalzare a Fiesole pei viag-
giatori stanchi, chiama "i miei fratelli viaggiatori,,.
Il più importante è procurarsi un alloggio, perchè la notte s'avanza rapidamente.
Picchio forti colpi alla porta: nessuna risposta. Dei nuovi tentativi non riescono che
a provocare una risposta poco rassicurante (la parte dei molossi posti a custodire l'in-
terno. Che fare in questo paese deserto? Il governo italiano che non aveva lasciato a
Monte Oliveto che due o tre religiosi a titolo di custodi, avrebbe forse finito per to-
gliere, come dalla Certosa di Pavia, tali ultimi rappresentanti dell'antica congregazione?
Questi erano i dubbi che mi agitavano, allorché finalmente, dopo un'aspettativa di circa
mezz' ora, un ragazzino attratto dal rumore venne a dirmi che i Padri facevano la
loro passeggiata, e che non avrebbero tardato a rientrare. Ero salvo !
Nulla di più lugubre dei lunghi corridoi oscuri che mi si fecero attraversare per
condurmi nel salone destinato ai forestieri ; delle 300 celle che contiene il convento,
tre sole sono occupate; i passi vi si ripercuotono a lungo; le lampade a tre becchi
projettano la loro poca luce sui muri imbiancati a calce; certo nessuno dubiterebbe di
essere così vicino al chiostro abbellito dal pennello magico del Sodoma, il pittore per
eccellenza della grazia e della soavità, il precursore d'Andrea del Sarto e del Correggio.
Tutto mi ricorda il mio soggiorno d'Assisi nel 1874; il mio compagno, il sapiente
Cavalcaselle, l'istoriografo della pittura italiana, dirigeva in quell'epoca i lavori di ri-
stauro della basilica, c noi si restava sino a tarda ora a sorvegliare gli operai; al-
lorché poi verso mezzanotte traversavamo con torcie 1' immenso monastero fondato da
san Francesco (quindici anni addietro ancor più deserto di Monte Oliveto) non c' era
nessuno tra noi che non sentisse un brivido al ricordo delle grandi ombre, di cui sì
temerariamente turbavamo il riposo.
L'arrivo del superiore — il sapiente e venerando Padre Di Negro — muta il corso
delle mie idee: egli stesso vuole condurmi al mio appartamento: la parola non ha nulla
d'esagerato, poiché trattasi dell'abitazione, per l'addietro, assegnata all' abate al finire
delle funzioni, come lo prova l'iscrizione scolpita sulla porta: " Reverendus Pater abbas
praeteritus. „ Eccomi in possesso di quattro stanze a vòlta: un salotto, uno studio, una
camera da letto , ed uno spazioso gabinetto di toeletta, provvisto d'un balcone da cui
godesi d'una magnifica vista sopra una costa ricoperta d'ulivi. Il mobiglio è semplice,
ma molto pulito; nel salotto, tappezzato di stoffe persiane, sta appesa una incisione
della Madonna della Seggiola ed un ritratto di Pio IX. Presso al mio appartamento
situato al primo piano, in capo ad un immenso corridoio stanno otto celle coli' iscri-
zione: " Visitator primus, visitatili" secundns,,, ecc.; è lì che abitavano per l'addietro.
non già come si potrebbe credere i forestieri che venivano a visitare il convento, ma i
visitatori, cioè gli ispettori delle otto provincie della Congregazione.
Mentre prendo possesso del mio nuovo regno, si sta pensando alla cena; essa sarà
modesta perchè è venerdì, e la stessa prospettiva ho per l'indomani, poiché da un capo
all'altro d'Italia anche il sabato si mangia di magro. La regola degli Olivetani ha an-
cora rincarato su tali prescrizioni: questa settimana fanno quattro giorni di magro
sopra sette.
L'esistenza degli abitatori del convento (la popolazione componesi in temili normali
di due o tre fratelli in abito ecclesiastico e non monacale, d' un domestico, che fa da
cuoco e da, cocchiere, di alcuni operai incaricati della manutenzione dei fabbricati, e
della coltivazione del terreno) non ha del resto nulla d'invidiabile. Le provviste sono
difficili, tanto per la sterilità del terreno, quanto per il cattivo stato delle strade; è
monti: OLIVETTO.
proprio — tranne alcune modificazioni introdotte «lai costumi moderni — la vita di
privazioni raccomandata dal fondatore dell'ordine. Il governo non dà ai frati che l'al-
loggio, coli' obbligo di albergare e nutrire i visitatori stranieri per una modicissima
retribuzione (quattro lire al giorno per tre pasti: la mattina alle setti; il caffè, a mez-
zodì il pranzo, alle nove di sera la cena); è loro necessario industriarsi col deserto che
si stende intorno al convento. 11 superiore attuale, che abita Monte Oliveto già, da una
trentina d'anni, non ha trascurato nulla per cavar partito dagli incolti terreni di ar-
gilla grigiastra: le piante d'eucalipti, queste nuove ospiti d'Italia, ci parlano dei suoi
sferzi: serviranno a combattere le febbri che dominano in quei luoghi. Si coltivano pure
gelsi, olivi ed aloe.
Terminato il mio pasto frugale, prendo congedo dai mici ospiti, e mi ritiro nel-
l'appartamento elie vide sfilare tanti dignitari dell'ordine di Monte Uliveto.
La nette è magnifica; dal mio balcone scorgesi la via Lattea in tutto il suo splen-
dore: il silenzio imponente del deserto non è interrotto che dal canto monotono dei
ranocchi.
Per prepararmi ad esaminare utilmente l'indomani il convento ed i tesori d'arte
ch'esso racchiude, do un'occhiata al volume prestatomi dal superiore, intitolato ['Abbazia
ili Monti- Oliveto Maggiore, Saggio storia, ed artìstico, di don Gregorio R. Thomas,
benedettino della Congregazione di Monte Oliveto (Firenze, 1881). Non sarà superfluo
ilare qui un riassunto della storia dell'abbazia, secondo quel lavoro: è l'introduzione ob-
bligatoria all'esplorazione che noi vogliamo intraprendere.
Il monastero di Monte Oliveto Maggiore venne fondato nel 1313 dal beato Bernardo
Tolomei. Appartenente ad una delle più illustri famiglie di Siena, professore di diritto
all'Università della sua città natale, Bernardo durante una malattia fece voto di ri-
nunciare al mondo e di abbracciare una vita di penitenza. Egli riuscì a convertire alle
sue dottrine due dei suoi compatrioti, Ambrogio Piccolomini e Patrizio Patrizzi, e con
essi andò a stabilirsi in un deserto, clic dopo d' allora mutò il suo nome d'Accona in
quello di Monte Oliveto. il Monte degli Ulivi. I tre eremiti scavarono delle grotte nel-
I' argilla e costruirono sul declivio del precipizio, dal lato di ponente, un piccolo ora-
torio, ov'essi si riunivano per pregare in comune.
Dopo il 1319 il numero dei seguaci di Bernardo era aumentato abbastanza, per
dar ombra alla corte d'Avignone. Il papa Giovanni XXII fece chiamare due dei rap-
presentanti del nuovo ordine, fra cui lo stesso fondatore; soddisfatto delle loro spiega-
zioni, comandò a Guido Tarlati, vescovo d'Arezzo, di dare agli eremiti d'Accona una
delle regole approvate dalla Chiesa. Questa regola era quella del Patriarca dei frati
d occidente, san Benedetto. Tuttavia gli Olivetani si distinguono dai Benedettini nel
colore dell'abito che è bianco e non nero, come pure per un certo numero di pratiche
su cui sarebbe troppo lungo insistere. 11 carattere, dominante della disciplina è un ec-
cessivo rigore, un ascetismo clic sembra ispirarsi al luogo selvaggio, in cui il fonda-
toli- dell'Ordine cercò un rifugio contro le passioni e le vanità del mondo. Osservanza
'lei silenzio, innumerevoli digiuni, proibizione assoluta della carne e del vino, tali f li—
rono le prescrizioni in vigore per lungo tempo: la povertà dell'abito — una tonaca
sulla nuda carne, dei sandali — completava questa vita, tutta di privazioni.
Non ostante questa severità, o anzi per questa severità, la congregazione fece rapidi
progressi; ben presto essa contò delle colonie in tutte le città italiane importanti e
persino in Ungheria. Nel L568, il numero dei conventi alla dipendenza di Monte Oliveto,
164
FIRENZE E LA TOSCANA.
sommava a 76; nel 1650 a 91. Ogni tre anni, un capitolo generale riuniva i delegati,
venuti dalle diverse parti della penisola.
La Rivoluzione avea risparmiato il venerando abate benedettino. Il 15 ottobre 1810
un decreto di Napoleone I soppresse tutte le comunftà religiose della Toscana: non
venne lasciato a Monte Olivero che un vecchio frate converso; la stessa amministrazione
del convento e delle sue vaste dipendenze fu affidata ad una società di Montalcino che
segualo il suo passaggio con numerosi atti di vandalismo. Nel 1815, ristabilimento della
comunità, che potè sperare, in capo a qualche anno, di riconquistare se non lo splendore
d'altri tempi, almeno la calma unita ad una certa prosperità, " l'otium cum dignitate „.
1] chiostro del convento di Monte Uliveto.
La legge del 1866 tagliò corto a tutte queste speranze: meno ben trattati dei Be-
nedettini Neri di San Paolo fuori le mura, di Montecassiuo. della Cava e di Monreale,
i Benedettini Bianchi di Monte Oliveto furono nuovamente espulsi dalla loro antica
dimora; l'abbazia fu dichiarata monumento nazionale e affidata alle cure della Commis-
sione delle Belle Arti di Siena.
Data adunque La configurazione di Monte Oliveto, non è da aspettarsi di trovare
negli editi zi che compongono 1' abbazia ne L'unità di composizione, ne l'aspetto gran-
dioso di certi altri monasteri italiani, come La Certosa di Pavia, San [Francesco d'As-
sisi e Montecassiuo.
La chiesa non domina sufficientemente Le costruzioni alle quali è addossata, queste
MONTE OLIVETO.
165
alla Ini - volta formano una linea troppo irregolare, sebbene parecchie parti prese sepa-
ratamente e in special modo i chiostri, sieno di bell'apparenza; finalmente (Ielle costru-
zioni accessorie, d'un carattere poco monumentale, la tegolaia, le scuderie, concorrono
ad attenuare l'effetto dell'insieme.
Il primo monumento che si scorge avvicinandosi all'abbazia è la cittadella destinata
a proteggerla, come pure a servire d'infermeria e di foresteria. Questo edilizio di con-
La Vergine col Bambino, terracotta della scuola di Luca della Robbia.
Biderevoli dimensioni è di mattoni; cominciato nel 1393 , non fu terminato che nel
\\ I secolo. Una gran torre a feritoie ne occupa il centro: 1' edera invade la base
delle mura; mentre folte siepi crescono rigogliose nel fossato mezzo pieno che si passa
sopra un ponte prima d' entrare sotto la vòlta della cittadella. Due opere d' arte in-
teressanti colpiscono a prima vista: l'ima è un affresco, sventuratamente molto guasto,
elie orna una nicchia praticata nel muro e rappresentante San .Michele arcangelo; si at-
tribuisce tale pittura al maestro a cui tanto deve Monte Oliveto, il Sodoma; 1' altra
><>pia il ponte è una scultura in terra smaltata, la, Vergine con Gresil Bambino sulle
IGG
FIRENZE E LA TOSCANA.
ginocchia e due angeli che volando sostengono la sua eorona. Le figure sono piene di
grazia e d' un'espressione tenera e commovente. Però 1' uso delle tinte gialle,' intense,
dimostra ch'esse appartengono ad un'epoca in cui la nobile semplicità dell'iniziatore
di questa tecnica, il sommo Luca della Robbia, dette luogo ad una maggior ricerca
d'effetti pittoreschi. La statua della Vergine ha per riscontro, dall'altra parte della cit-
tadella, una statua pure in terra cotta smaltata, rappresentante san Benedetto seduto,
con 'un libro in mano. Queste due opere fanno onore alla scuola dei della Robbia.
Accanto alla cittadella è costrutta la farmacia, in cui i monaci vendevano per
l' addietro ai contadini dei dintorni, o delle semplici piante del loro giardino botanico,
o delle medicine saggiamente preparate. Nulla di più pittoresco e nello stesso tempo
di più triste di quest'officina che sembra esser stata chiusa repentinamente in piena
attività, come se, al pari di Pompei, fosse stata colpita da qualche catastrofe im-
prevista: le lunghe file di boccali di maiolica, colle loro iscrizioni dello scorso se-
colo, le immense storte di forma antica, i mortai polverosi, le bottiglie ancor per meta
ripiene nell'armadio dei veleni, tutto ciò ci trasporta come per incanto cent'anni in-
dietro; si dimenticano le miserie presenti, la soppressione del 1866, le bufere della ri-
voluzione, per non pensare che all'ardente curiosità che in quell'epoca trascinava tutti
gli spiriti verso lo studio della fisica e delle scienze naturali; la chimica stava na-
scendo e sin nel fondo dei conventi si cercava di tenersi al corrente dei metodi nuovi,
lo son persuaso che il converso, altre volte incaricato della direzione della farmacia,
faceva venire dall'estero i più perfetti utensili, i prodotti più rari ch'egli si sforzava di
indagare. Doveva esser così bello il lavorar qui, lungi dalle preoccupazioni e dai ru-
mori del mondo!
Per discendere al monastero che all' incontro di tanti altri simili fabbricati occupa
non la sommità della collina, ma la parte più bassa, si può seguire tanto la strada
carrozzabile, costeggiata da cipressi, quanto uno di quei viottoli selciati in mattoni a
cui si dà il nome di salite. A sinistra si scorge un vasto vivaio che in questa sta-
gione (settembre) è quasi secco , poi una vasta tegolaia da cui uscirono i materiali
impiegati alla costruzione di Monte Oliveto; a destra parecchie cappelle, tra le quali
quella di Santa Scolastica merita più d' ogni altra la nostra attenzione. Questo san-
tuario che sorge sul luogo della chiesa primitiva eretta dai fondatori dell' Ordine, con-
tiene ancora qualche parte appartenente al XV secolo; sventuratamente fu restau-
rato, ciò vuol dire sfigurato, nel 1792. Un bell'affresco della scuola Umbra, per lungo
tempo attribuito a Pinturicchio , occupa l'abside; esso rappresenta coi tratti poetici,
tanto cari al primo Rinascimento V Assunzione della Vergine, e malgrado i numerosi ri-
tocchi conserva una grazia, una soavità innanzi a cui è impossibile non rimanere com-
mossi; specialmente si ammirano gli angeli che danzano o suonano attorno alla loro
sovrana. Don Thomas è disposto a concedere l'onore di questa pittura ad un monaco
olivetano, che viveva al principio del secolo XVI; il frate Antonio. Gaetano Milanesi
invece l'attribuisce al pittore Mariano di Matteo di Roma, che lavorò a Monte Oli-
veto nel 1478 e 1474.
Ritornando sulla strada principale, non si tarda molto a giungere innanzi alla chiesa,
edificata presso al monastero e con esso comunicante. Cominciata alla fine del se-
colo XIV da due architetti senesi, Agostino e Agnolo, quest'edifizio fu singolarmente
ritoccato nel secolo scorso: ci vuole uno sforzo per indovinare le finestre ogivali dietro
alla quantità di volute, di mensole, di cartocci, di cui la dotarono i campioni dello
Stile grottesco, che hanno saputo farsi strada sino in questa solitudine. Però dicendo
MONTE OLIVETO.
I(i7
Fantesche d'osteria, episodio
chiesa io esagero; è piuttosto una cappella, Un oratorio destinato
agli abitanti del monastero e non alla massa dei fedeli ; prova ne
sia la disposizione degli stalli; invece d'ornare il coro, essi si
stendono lungo la navata, lasciando fra loro appena uno stretto
passaggio, ancor pih diminuito dall'immenso leggìo collocato nel
mezzo. Questi stalli, affrettiamoci a dirlo, formano il principale
ornamento d'un santuario, che il cattivo gusto del secolo scorso
ha spogliato d' ogni carattere religioso. Il loro costruttore è il
celebre monaco veronese Fra Giovanni, a cui il papa Giulio II
> 11 di min degli affreschi 'l' Luca
attidò l'importante missione d'ornare, sotto la direzione di Raffaello, Signorelli.
[a stanza della Segnatari! in Vaticano, 1 ' con porte ed intarsi.
Fra Giovanni da Verona, sebbene già, per certi riguardi, appartenga alla seconda
fase del Rinascimento, si ispira invece ai principi della prima. Nei suoi intarsi di Monte
Olivefc», trasportati quasi tutti nel 1813 nella cattedrale di Siena, mentre per un sin-
golare scambio gli stalli della chiesa di San Benedetto di Siena, pure eseguiti dal mo-
naco veronese, sono andati a sostituirli a Monte Oliveto, Fra Giovanni ha rappresentato
edifìzi. ornamenti sacri — calici, ostensorii, pile dell'acqua santa, uccelli, una lepre in
un paesaggio, un papa ed un santo.
• Mi intarsi di San Benedetto, cioè gl'intarsi che formano oggi gli stalli della chiesa
olivetana. ci offrono soggetti analoghi; noi vi ritroviamo strumenti musicali, mazzi di
fiori, uccelli, i ritratti di San Gregorio e di San Benedetto, calici, in fine e sopra tutto bel-
lissime vedute di città o di monumenti : la piazza pubblica di Siena, l'anfiteatro di Ve-
rona, il colosseo di Roma dal lato della breccia. La decorazione del leggìo triangolare,
eseguita nel 1520 da un allievo di Fra Giovanni, Fra Raffaello da Brescia, è concepita
con idee analoghe: vi si osserva un anfiteatro, ed un arco di trionfo, sotto cui sta gra-
vemente seduto un gatto.
Eleganza e sobrietà di disegno, armoniosa associazione dei colori del legno, che non
sono nè troppo chiassosi, nò troppo monotoni, ecco le qualità per cui l'opera di Gio-
vanni da Verona o di Raffaello da Brescia si conquistò un posto importante negli an-
nali d'un'arte per l'addietro sì fiorente.
Queste qualità si ritrovano nella porta scolpita del convento, e la nostra incisione
può darne una chiara idea.
Non mi tratterrò qui a descrivere il quadro che orna la sacrestia, una Madonna gigan-
tesca dipinta da uno spagnuolo, il frate Antonio Vasquez nel 1514 (in pieno Rinascimento)
secondo l'idea della scuola Bizantina ; nè una Vergine in marmo, in data del 1490, ed at-
l > Nel tempo in cui viveva Fra Giovanni, non si conosceva ancora la divisione dei generi d'arte, come la stabilì
un'estetica pedante: i più grandi architetti non sdegnavano, dopo aver diretta qualche costruzioni' monumentale, di com-
porre con delle lamelle di legno quei capi d'opera che sotto il nome d' intarsi occupano un sì gran posto nel Rina-
scimento italiano. Il Francione, Giuliano e Benedetto da Majano, Giuliano ed Antonio da San Gallo, Baccio Pontelli,
Baccio d'Agnolo e molti altri sommi nell'arte della costruzione, si son resi altrettanto celebri pel loro talento di
tenitori in legno e d'intarsiatori, come per le loro alte concezioni architettoniche. Fedeli alla loro prima educazione,
questi artisti si compiacquero sopratutto nel moltiplicare le vedute d'editìzii nei loro intarsi, formati ora da legno chiaro
che spicca sul fondo scuro, ora da legni coloriti artificialmente; nessun altro genere di rappresentazione si prestava
infatti meglio alle esigenze d'un'arte che deve specialmente procedere a linee regolari; è così che l'avevano com-
presa i promotori della tarsia, allorché incrostarono di ornamenti stelliformi, ad imitazione del musaico, gli stalli del
duomo d'Orvieto; è così pure che procedettero gli incrostatoli de] periodo seguente: in Urbino, a Pisa, a Firenze,
a Siena, a Perugia, ad Orvieto, rabeschi, vasi di fiori, strumenti musicali, ornamenti sacri fanno le spese principali
delle loro composizioni, trattate in uno stile eminentemente decorativo. Dal giorno in cui trascurando i limiti asse-
gnatigli, l'intarsio tenta la figura umana, o i paesaggi complicati da effetti della prospettiva aerea, in una parola, dal
giorno in cui tenta rivaleggiare colla pittura ad olio, non resta più alcuna originalità; non riuscirà più che a
produrre delle insipide illusioni.
168
FIRENZE E LA TOSCANA.
tribuita a Fra Giovanni da Verona; ne la chiesa sotterranea, da lungo tempo abban-
donata per l'umidità, e mezza rovinata ; nò le innumerevoli opere di terzo o quarto ordine
che ornano le diverse parti del monastero : il lettore né troverà la descrizione nel lavoro
di don Gregorio Thomas. Io ho fretta di giungere alle pitture che formano la gloria di
Monte" Oliveto; è su di esse che il viaggiatore dovrà concentrare la sua attenzione; il
posto di cui qui disponiamo è a mala pena sufficiente a dare un'idea de! magnifico in-
sieme, a cui si collegano i nomi
di Luca Signorelli da Cortona,
e del suo giovane emulo, Gio-
vanni Antonio Bazzi da Vercelli,
detto il Sodoma.
Il chiostro principale, desti-
nato a ricevere le composizioni
dei due maestri, è una delle parti
piìi antiche del convento; comin-
ciato alla fine del XIV secolo,
fu terminato un mezzo secolo
dopo, sotto il venerando Fran-
cesco Ringheri (1443-1447): ciò
significa eh' esso appartiene ad
un' epoca di transizione, e che
se non ha più la severità delle
opere del medio evo, non ha an-
cora l'eleganza, la distinzione di
quelle del Rinascimento; nume-
rosi ristauri che hanno special-
mente modificata la forma delle
finestre, e il collocamento nelle
arcate del pianterreno d'un' in-
vetriata destinata a proteggere
gli affreschi, hanno aggiunto al-
quanta pesantezza e dell'indeci-
sione all'architettura: 1' effetti»
generale non manca però d'una
certa grandiosità,
L' iniziativa della decora-
zione del chiostro spetta al frate
Domenico Airoldi : eletto aitate generale; egli vi dedicò le sue cure dal 1497 in poi.
Pareva ch'egli dovesse rivolgersi tosto alla scuola più vicina, quella di Siena; ma questa
non esisteva più che di nome; i suoi ultimi rappresentanti espiavano in mezzo all' in-
differenza generale la loro fedeltà a tradizioni già, da lungo tempo proscritte; gli abitanti
dcdle campagne soltanto potevano trovare ancora piacere nelle loro tardive produzioni; il
livello intellettuale del clero, regolare o secolare, era troppo elevato, sia pure in mezzo
ai dirupi di Monte Oliveto, per poter apprezzare tali tristi avanzi del bizantinismo. Ai-
roldi, uomo del progresso, dette la sua preferenza ad un maestro, di posizione intermedia,
tra la scinda Toscana e la scuola Umbra, un maestro, che senza aver abbandonato del
Giovanòtto che presenta un fiasco di vino a san Benedetto, affresco del Sodoma.
Firenze e tu Toscana.
170
FIRENZE E LA TOSCANA.
tutto le tendenze mistiche, studiava con ardore la natura vi-
vente, e si sforzava di schiudere all'arte nuove vie.
Luca Signorelli quando fu chiamato a Monte Uliveto
(secondo l'opinione generale nel 1497) contava circa 55 anni;
numerosi lavori avevano diffusa la sua riputazione in tutta
Italia; la sua città natale, Cortona, Arezzo, Città di Castello,
Perugia, Volterra, Urbino s'erano successivamente arricchite
delle sue composizioni; egli ebbe l'onore d'essere invitato a
partecipare ad un grande torneo artistico, indetto a Roma
dal papa Sisto IV nella cappella Sistina. Otto affreschi ese-
guiti in sei od otto mesi — circa un mese al massimo per
ogni composizione — ci mostrano con quale impegno l'ar-
tista compì la missione affidatagli dal superiore di Monte
Olivete Se io non insisto qui su questo ciclo così brillante, si è perchè altrove me ne
occupai minutamente. 1 )
L' artista scelto quale continuatore dell'opera del Signorelli non apparteneva più
di questo alla Scuola Senese, sebbene egli dimorasse sempre in tale città, che per un
mezzo secolo ornò de' suoi capolavori.
Airoldi, l'abate che fornì al Sodoma l'occasione di spiegare nel chiostro di Monte
Oliveto tutte le seduzioni del suo pennello, tanto morbido e soave, era uno dei suoi
compatrioti dell'alta Italia: egli riuscì a trattenere presso di sè, dal 1505 al 1506, un
maestro così capriccioso, e non lo lasciò partire che quando questi ebbe dato 1' ul-
timo tocco ai ventiquattro affreschi, consacrati, con quelli del Signorelli, all'illustrazione
della vita di san Benedetto. Il lettore mi permetterà di rinviarlo anche qui, per l'analisi
di così stupendo ciclo, tanto vario c tanto brillante, alla mia Hhtoirc de l'Art pendant
la Renaissance (t. Ili, p. 518-522).
Lo studio delle opere d' arte riunite a Monte Oliveto mi avea occupato tutto la
mattina; però anche in tal luogo di privazioni, anche innanzi a tante meraviglie, delle
preoccupazioni d' un ordine prosaico non mancano d' imporsi ; accolsi dunque a mez-
zodì con vera soddisfazione la notizia che il pranzo era pronto. L' amore della verità
mi obbliga a dichiarare che il menu dei buoni frati non era troppo variato, e la pre-
parazione di quelle vivande tanto semplice testimoniava una perfetta inesperienza ga-
stronomica da parte del giovane cuoco. Fui però felice di non essere costretto a subire il
digiuno regolarmeli tare del saba to ; per cui salutai con entusiasmo l'apparizione d' un
pollo — molto magro è vero — di cui mi fu servita una metà lessa, e l'altra metà
arrosto. Non mi ricordai, se non dopo averci fatto onore, d'una lezione che mi riempì di
imbarazzo: visitando Monte Oliveto nel 14G2, il gran papa senese Pio II (Enea Silvio
Piccolomini), la cui benefica memoria non ha ancor cessato, dopo quattro secoli, di aleg-
giare sulla sua provincia natale, ordinò a tutto il suo seguito d'osservare il magro per la
durata del suo soggiorno, non volendo urtare i sentimenti di quei religiosi. Ma era troppo
tardi; rimettendo ad un'altra volta l'imitazione di sì nobile esempio, terminai, non
senza rimorsi, di rosicchiare il miserabile pollo, cresciuto su quello sterile suolo.
Il cielo intanto s'era fatto minaccioso e sarebbe stato imprudente prolungare il mio
11 Vedi VHistoire de l'art pendant la "Renaissance, t. II. p, 701-704.
San Benedetto prende commiato
dai suoi genitori, parte di mi
affresco del Sodoma.
BUONCONVENTO.
171
soggiorno in un paese «love, alla menoma pioggia, le vie divengono impraticabili. II
priore, a cui comunico il mio desiderio di recarmi direttamente a Pienza, dove mi attira-
vano i magnifici monumenti del XV secolo, il palazzo Piccolomini, la cattedrale, il mu-
nicipio, con molta gentilezza mi offre la sua vettura ed il suo unico cavallo, un cavalluccio
di montagna che porta allegramente i suoi trent'anni. Mastro Giacomo, il cuoco, si
trastorma per la circostanza in mastro Giacomo, il cocchiere; io faccio voti perchè la
metamorfosi sia a suo vantaggio, poiché i suoi principii culinari non mi avevano ispirato che
una stima mediocre. Ma del resto bisogna saper adattarsi a tutto!
II.
Buonconvento. — San (fumico. - — Pio II e Pienza. — Il palazzo Piccolomini. — Il Duomo.
Eccoci in cammino alla volta di Buonconvento, ove mi si assicura sarà facilissimo
trovare una vettura per giungere la sera stessa a Pienza. La via, sebbene dirupata, non
è paragonabile a quella d'Asciano. Noi non tardiamo molto a perdere di vista il con-
vento: delle siepi di caprifoglio in fiore, e alcune fattorie abbastanza grandi ci convin-
cono della vicinanza di contrade un po' meno aride. In capo ad un'ora giungiamo a
Buonconvento. grosso borgo di tremila quattrocento abitanti, le cui mura d' un'apparenza
piuttosto imponente, ne ricordano l'antica importanza. (Buonconvento era per l'addietro
una delle soste principali del viaggio da Siena a Roma).
Una sorpresa ci attende, sorpresa di cui è felice il mio automedonte, ma che pro-
cura a me una gioia ben piti limitata: troviamo cioè le vie invase da una folla compatta
di cittadini e di contadini; dei saltimbanchi intronano l'aria d'una musica assordante;
lunghe file di buoi, dal pelo grigiastro, dalle corna gigantesche, si aprono gravemente
un passaggio tra la calca; è giorno di fiera. Rinunciando ad ammirare lo spettacolo
pittoresco, m'informo tosto del come poter giungere a Pienza; ma ricevo ovunque delle
risposte ]m>co incoraggianti; bisognerà aspettare la diligenza che giunge da Siena in cui
non sempre v' è posto disponibile, oppure rassegnarsi a passare la notte in mezzo allo
strepito: e peggio ancora, l'oste presso cui siamo scesi non sa dirmi se ci sarà una
stanza per me. Confesso che in tale confusione, non mi soffermai ad esaminare i mo-
numenti di Buonconvento, se pur ne possiede, e decisi di rimetterne l'esame a un mo-
mento più favorevole. Finalmente, dopo aver picchiato a molti usci, il mio cocchiere
scopre un industriale, che per una modicissima somma s'impegna a trasportarmi la sera
stessa a destinazione. La carrozzella è di misera apparenza; una molla è spezzata; si
pensa di accomodarla alla bell'e meglio con corde. Non ci bado, è tardi e mi preme troppo
raggiungere una meta pili tranquilla.
La strada da Buonconvento a Pienza. è larga, unita, ben tenuta; di tratto in tratto
dei cespugli verdi, delle maestose quercie, ravvivano con una nota piìi calda e più nu-
trita, questa specie di lungo nastro polveroso. I contadini che ritornano dalla fiera e
camminano a frotte, animano il paesaggio che non conserva pili nulla della selvaggia
grandezza di Monte Oliveto. Per piìi d'una lega incontriamo di continuo innumerevoli
contadini, vestiti di grigio senz'aleun'originalitìi pittoresca, e con cappelli molli sul capo:
172
FIRENZE E LA TOSCANA.
gli uni a piedi, gli altri a cavallo, clic si cacciano innanzi delle paia di buoi col cam-
panellino al collo, delle mandrc di maiali. Le donne, d'un tipo abbastanza regolare, si
distinguono pel loro cappellone di paglia guernito d' un bel nastro alto. Poca conver-
sazione, nessun canto. E un'altra leggenda che se ne va; sia che andiate al nord o al
centro, oppure al mezzodì della Penisola, non troverete altro paese in cui si faccia meno
musica. A misura che ci allontaniamo da Buoncon vento, i gruppi si fanno sempre più
11 Palazzo comunale di Pienza.
rari, il tintinnio dei sonagli diminuisce, le ombre della sera projettano delle tinte più
cupe sui verdi tappeti; la solitudine ricomincia.
Non è però il deserto che si vede nelle vicinanze di Monte Olivete: a destra sopra
un'alta montagna boschiva' scorgiamo la cittaduzza di Montalcino, ultimo rifugio della
libcrtii senese, più avanti attraversiamo La strada ferrata da Grosseto a Siena, presso
alla stazione di Torrinieri. Una nuova tappa ci conduce al borgo di San Quirico, appollaiato
sopra un'altura, in mezzo a boschi d'ulivi d'una straordinaria grossezza. Vi si osservano
Il Palazzo Pie colo mi ni.
174
FIRENZE E LA TOSCANA.
delle mura colle relative feritoie, una grossa torre, una chiesetta romanza, la cui porta è
sostenuta da colonne che poggiano su leoni, c da giganti (verso il 1298); il Cicerone non
esita ad attribuire coleste sculture a Giovanni da Pisa. Le vie sono meschine, sebbene una
s'intitoli dal glorioso nome di Dante. La gloria del grande poeta fiorentino è penetrata
sin qui, in questo lontano borgo, come quella dell'eroe cantato da Virgilio:
• ; Sunt hic ctiaui sua praemia laudi. ..
Dopo attraversato tutto il bel verde che rende San Quirico una vera oasi, pare
clic si debba dar un addio ad ogni civiltà ; ci ritroviamo in un vero deserto. Nemmeno
un albero lungo il cammino, niuna traccia di coltura; un venticello, che non ha nulla
da invidiare al maestrale , soffia in queste steppe italiane. Il sole c tramontato ; io
st<> tremando nel nostro veicolo che ci abbandona senz'alcun riparo alle carezze della
tramontana; ma il mio "cocchiere,,, un monello di quindici anni, vestito con mi-
seri calzoni di tela e una sdruscita giacca di cotone, e ancor più da compiangere di
me. Nelle salite discendiamo per riscaldarci un po' camminando. Più avanziamo c
piìi il paesaggio appare arido e selvaggio. Ci saremmo per caso smarriti? 11 dubbio
è possibile, poiché il mio vetturino in erba confessa ch'è la prima volta che va a Pienza.
Ma com' è possibile ehiedere qualche informazione circa la via da percorrere in simili
luoghi ove non s'incontra un solo viandante, ove non si scorge neppur un lume! Oc-
corre perciò proseguire fidandoci al caso. Di tratto in tratto mi sento assalito da un vero
accesso di scoraggiamento e maledico l'illustre Enea Silvio, il papa Pio II, che fon-
dando Pienza m'ha attirato in questa solitudine. Dopo lunghe ansie, scopriamo finalmente
dei cespugli; il nostro cavallo, non meno impaziente di noi, si mette al galoppo lungo la
collinetta boschiva che ci sta innanzi; un contadino in ritardo ci dice che siamo appena
ad un mezzo miglio da Pienza.
Infatti raggiungiamo prestissimo la meta del nostro viaggio, così ben nascosta dagli
alberi della collina, che non la scopriamo che sbucando innanzi alla prima casa. La
nostra carrozzella s'interna in una viuzza che attraversa di corsa: eccoci giunti all'estre-
mità opposta della città, senz'aver avuto il tempo di raccapezzarci; bisogna tornare in-
dietro e cercar 1' indicazione d'un albergo possibile; ma i monelli a cui ci rivolgiamo
non ci comprendono, e dobbiamo ricorrere a persone più saggio. Intanto si va formando
un po' di folla attorno a noi; finalmente, dopo molti consulti, ci si conduce innanzi ad una
locanda il cui nome è di buon augurio: la Letizia. — Noi avevamo impiegato tre ore
e sempre di buon passo per giungere a Pienza da Buon convento.
Io son portato a credere che ben pochi viaggiatori prima di me abbiano visitato
Pienza (queste linee sono state scritte nel 1882), eppure questa piccola borgata colla
sua spiccata fisonomia quattrocentista, i suoi ricordi storici, il suo bellissimo palazzo, le
opere d'arte ammucchiate nella chiesa, può rivaleggiare con più d'una città celebre.
Commosso dell'abbandono in cui si trovava la patria e la residenza favorita di Enea
Silvio, che durante il suo soggiorno in Germania avea fatto tanto per la causa del Rir
nascimento, uno scrittore tedesco, il barone di Rumolir, si sforzò di rimettere Pienza in
onore. Nelle sue Ricerche italiane, pubblicate nel 1*27, egli considera principalmente
L'arte con cui l'architetto ha stabilito la, proporzione relativa dei diversi monumenti, e
li ha collegati alle piazze e alle vie, sì da farne un insieme ricco ed armonico. La
perorazione di Rumolir non rimase senz'eco; una quarantina «l'anni fa, infatti, un in-
PIENZA E l'io II.
175
glese, (.-orto Newton, pensò di stabilirsi in questo borgo remoto; vi comperò un palazzo,
elie la sua famiglia abita ancora, e divenne una specie di re del paese. Senza spingere
tant'oltre il culto della storia, un certo numero d'artisti tedeschi intraprese il pellegri-
naggio di Picnza, pellegrinaggio ben meritorio, poiché nel 1858, come riferisce uno di
essi, l'architetto Nohl, il luogo non possedeva ancora un albergo, e bisognava ritornare
la sera stessa a Montepulciano o a Siena per av ere alloggio. Oggi la spedizione richiede
meno eroismo; oltre all'Albergo Letizia, c'è a Picnza un albergo presso la porta della
città, capace almeno d'offrire alloggio per una notte. Anche le comunicazioni sono piìi
facili: grazie all'ottima manutenzione delle strade si può giungere a Pienza in sette ore
da Siena, e in due ore soltanto da Montepulciano. Non terminerò questo capitolo senza
una parola per l'umile, ma ospitale albergo Letizia. Tutto è strano in queste borgate
italiane, i cui costumi sono così diversi da quelli delle grandi città della Penisola. Al
pianterreno una privativa di sale e tabacco; sulla scala una bandiera con un'iscrizione
latina, composta da qualche fabbricatore d'acrostici del paese, e le cui iniziali riunite
delle diverse parole formano il nome Vittorio (Emanuele): "Viri Integritate, Tanta
Tantus Ortus Rerum Italia* Ordo,,. La sala da pranzo, le cui finestre guardano sullo
splendido palazzo Piceolomini, di cui ci occuperemo tosto, è decorata da quattro ritratti
del secolo XVIII: un cardinale, un generale, un poeta o un artista e una signora. Queste
tele, che non sono capolavori, fanno dimenticare un po' la nudità dei muri coperti d'una
semplice tinta.
Aspettando la cena, per la quale mi si promise una bistecca di maiale, esamino la
tavola, il coperto. Potenza dell'industria moderna! il famoso piatto cliincsc, con figure
turchine sul fondo bianco, è riuscito a penetrare sino in quest'angolo remoto!... Vi
ritrovo a destra la pagoda ombreggiata dagli alberi dal convenzionale fogliame ; nel
centro i tre Chincsi che attraversano un ponte ; poi più in là la barca su cui stanno
i fuggitivi, e finalmente i due uccelli che si slanciano teneramente l'uno verso l'altro.
Pare che questa bizzarra composizione nasconda, a quanto mi fu detto, una commo-
vente storia d'amore: due amanti costretti a fuggirsene, ottengono dal cielo il favore
d'esser mutati in colombe. Ad ogni modo l'anonimo inventore può esser contento: i suoi
piatti hanno fatto il giro del mondo ; essi hanno assicurato l' immortalità ai fortunati
fabbricanti ch'ebbero la cura di apprendere ai posteri la parte da essi presa alla loro
esecuzione, coll'iscrizione: " F. Primavesi and Son. Cardiff and Swansec „. Nessun capo
d'opera, dai tempi più antichi, ha mai ottenuto un tal successo di popolarità !
L'indomani, dopo essermi riposato dalle mie fatiche in un morbido letto, ove avrebbe
potato comodamente stare un'intera famiglia, intraprendo tosto l'esplorazione di Pienza
antica e moderna.
M'affretto ad aggiungere che non ci vuole molto ad attraversare la città nella sua
lunghezza, neper farne il giro. Eppure la popolazione, secondo le statistiche, com-
prende 5 4 2 : i anime, evidentemente calcolando i comuni suburbani. Malgrado la meschi-
nità del luogo, e la modicità delle risorse, il municipio fa ogni sforzo per mantenere a
Pienza il suo carattere di capoluogo di diocesi, e per innalzarla al grado di città.
Ovunque si trovano delle prove della sua sollecitudine; ogni piazza, ogni via ha il suo
nome distinto, tracciato in grossi caratteri (come la via del Bacio), ed ogni casa porta
il numero. Allorché i numeri si seguono internamente per un gruppo di case — gli edili
hanno avuto cura d'indicarlo con un'iscrizione: "Segue la numerazione,,. Essi hanno
pure eternato con una lapide, posta presso allo stemma della città (un grifo coronato,
innanzi ad un arbusto sormontato da una mezzaluna) il ricordo del plebiscito del 1860
176
FIRENZE E LA TOSCANA.
e della premura con cui la Toscana accolse il nuove regime. Menzioniamo inoltre, ad
onore di questo municipio modello, l' illuminazione a petrolio delle vie principali.
Pienza, come ogni città italiana che si rispetti, possiede la sua via chiamata Corso ;
questa via lastricata, ma ben poco ampia, contiene i principali monumenti pubblici, e
i negozi migliori; essa mette capo, dal lato opposto a Buonconvento, alla Porta del Gi-
glio, fiancheggiata da due grosse torri, oggi rovinate. Ricorderò il Municipio moderno, la
Cassa di Risparmio, il Seminario con un chiostro fra il XVI e il XVII secolo, la chiesetta
di San Francesco, 1' ufficio della Posta, il Palazzo Piccolomini, il Duomo, il Palazzo
dei Canonici, il Vescovado, e finalmente il Tribunale (Palazzo Pretorio), l'antico Mu-
nicipio della città. Due farmacie — è noto che l'Italia ne possiede più d'ogni altra na-
zione — e un fabbricato che serve di caffè e di drogheria nello stesso tempo, comple-
tano la fìsonomia del Corso. Oggi, eh 'è domenica, alcuni negozianti di foraggi, e nume-
rosi contadini vi conferiscono un' animazione particolare. Si osservano specialmente i
gruppi che si formano attorno ai piatti omerici, esposti innanzi alle porte: dei maiali
interi trapassati dallo spiedo ed arrostiti al forno. Questo succolento spettacolo seduce i
bravi contadini ; se ne fanno dare delle immense porzioni, a cui danno l'assalto seduta stante.
Notiamo ancora un altro tratto dei costumi, appartenente ad un ordine d'idee più
elevato, ma non meno caratteristico.
Avvicinandomi al Duomo, scorgo presso alla porta principale un affisso manoscritto,
provvisto del bollo obbligatorio di cinque centesimi, e contenente un sonetto. Tale sfogo
poetico mi sorprende all'ingresso di un santuario; ma la mia sorpresa fu doppia allorché
scopersi che il sonetto era dedicato al nuovo vicecurato che celebrava quel giorno la
sua prima messa in quel Duomo, e ch'era scritto dallo stesso curato, desideroso di di-
mostrare in pubblico la sua simpatia pel suo coadiutore.
La composizione cominciava con queste parole: "Il prevosto parroco don.... al suo fu-
turo viceparroco don.... nella santissima occasione dalla sua prima messa novella 0. D. C.
un sonetto „ .
Far entrare la poesia, e specialmente una forma così profana come quella del sonetto
in una cerimonia di tanta solennità, sarebbe cosa sorprendente pel clero francese o te-
desco. In Italia, grazie al buon accordo che non cessò di regnare tra le lettere e la
religione, grazia all'influenza sempre viva del Rinascimento, le lettere sono associate a
tutti gli avvenimenti importanti della vita. Innumerevoli sono le pubblicazioni che com-
pariscono ogni anno in occasioni di nozze, di anniversari, di vestizioni, ecc. Per cia-
scuna di tali circostanze, non v'ha famiglia che non conti un amico tanto affezionato
da comporre o far comporre versi o dissertazioni le più varie, precedute da una dedica
più o meno lunga, che comincia d'ordinario colle parole: " Per le faustissime nozze,, —
oppure — " quando Maria.... d'anima e di corpo bellissima, giurava fede di sposa ad En-
rico....,, ecc., ecc.
Inutile aggiungere che il più sovente siffatte dissertazioni non si riferiscono punto agli
sposi ; accade anzi talora che qualcuno si limita a far ristampare una novella di qual-
che secolo passato, od altro brano di letteratura.
Finisco ove avrei dovuto cominciare, cioè dicendo che l'ispirazione del sonetto affisso
alla porta del Duomo di Pienza è essenzialmente religiosa, e che la poesia non con-
tiene ne un pensiero, uè un'immagine, che la più rigorosa ortodossia non possa approvare.
Se noi non abbiamo il diritto di chiuder gli occhi su la Pienza del secolo XIX. non
dobbiamo però dimenticare che non è già in suo onore che noi abbiamo intrapreso
PIENZA E IMO II.
177
(liiesto viaggio. Altri monumenti ed altre memorie, la memoria d' ima generazione più
forte e più artista a noi s'impongono. L'indifferenza di cui fanno prova innanzi a còsi
gloriosi legati i degenerati eredi, non servirà che a rafforzare il nostro amore, la nostra
venerazione per le reliquie del passato. Si è scandalizzati scoprendo che gli abitanti
di questa città, ehe non esiste che in grazia di Pio II, ignorino persino il nome, del
loro benefattore. Rimasi specialmente irritato di tale ignoranza, presso i rappresentanti
del clero di Pienza, per cui Pio II costruì la bella e spaziosa casa, clic ancora esiste,
ed a cui egli assegnò così ricche rendite. Avendo chiesto ad uno d'essi, che incontrai
per via, a quale epoca appartenesse un palazzo di cui non riuscivo a scoprire il nome,
La Loggia del Palazzo Piccolomini.
egli non seppe rispondermi altro, se non che si trattava di roba molto antica. Un altro
si scusò di non potermi dare alcuna informazione dicendomi, ch'egli abitava, è vero,
Pienza, ma che non vi era nato, — come se occorresse tutta un'esistenza per conoscere
la storia di alcuni monumenti !
Prima dei lavori intrapresi da Pio II (1458-14G4), celebre tra gli umanisti sotto il
nome d' Enea Silvio Piccolomini, Pienza si chiamava Corsignano, e non era che un me-
schino villaggio. In memoria del rifugio trovatovi dalla sua famiglia, originaria di Siena,
durante l'esilio (egli stesso vi era nato in quell'epoca), Pio II decise di trasformare quel
villaggio in una città, a cui avrebbe imposto il suo nome.
L'edificazione d'un duomo, d'un vescovado, d'un palazzo municipale, d'un palazzo
Firenze e la Toscana. 23
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FIRENZE E LA TOSCANA.
pontificale, favori e immunità innumerevoli, operarono la trasformazione nello spazio, rela-
tivamente breve, di quattro anni. Prendendo esempio dal loro maestro, i cardinali riva-
leggiarono d'ardore per completare la sua opera ; i palazzi costruiti da parecchi dei suoi
ministri o favoriti, fanno oggi ancora una bella figura. Alcuni edilizi anteriori a tali la-
vori, fra cui la chiesa di San Francesco, dimostrano tutta l'importanza del mutamento.
Non si saprebbe immaginare nulla di più umile di questa chiesa, colla sua unica porta
incorniciata da due colonnette, e sormontata da un agnello pasquale, d'un lavoro povero
e rozzo.
La fondazione principale del papa fu il gigantesco palazzo che conservò il nome e
rimase proprietà dei Piccolomini. Nei suoi Commentarli Pio li diede di questo monumento
una descrizione di cui giova fare un po' d'analisi ai miei lettori, prima di varcare la
soglia della dimora signorile.
Era il 14(32: il papa arrivò a Pienza nel cuor della notte; malgrado la sua impazienza
egli dovette rimettere all'indomani l'ispezione dei lavori del palazzo. Sempre in piedi,
sin dalla prima ora, egli ebbe la soddisfazione di vedere che le sue istruzioni erano
state fedelmente eseguite ; risulta infatti dai suoi Commentarli ch'egli aveva elaborato,
sin nei menomi dettagli, il progetto di cui affidò l' esecuzione ad un architetto e scul-
tore fiorentino celebre, Bernardo Rossellino. lj 11 palazzo, ci dice il papa, è quadrato;
ha novanta piedi d'altezza; i muri misurano ovunque almeno quattro piedi di spessore;
essi sono costrutti in pietre da taglio , accuratamente levigate . con una incanalatura
agli orli. Poi Pio II ci dimostra con quale sollecitudine egli si fosse occupato di pro-
curarsi tutte le comodità, ed il lusso. All'esterno, agli angoli fra le finestre brillava lo
stemma dei Piccolomini: d'argento, croce azzurra con cinque mezzelunc dorate; più in
basso, vedevansi anelli di ferro, destinati a sostenere le fiaccole e gli stendardi, e che
ancora esistono. I soffitti erano dipinti e dorati; ogni stanza aveva il suo caminetto, utile
precauzione in paese di montagna.
Più lungi, il fondatore del palazzo insiste sulla varietà e la bellezza della vista di
cui si gode da ogni parte: dal lato d'occidente lo sguardo si stende sino al di là di Siena,
essa non è limitata che dalle Alpi di Pistoia. Dal lato di settentrione, un seguito di
colline boscose forma il più ridente quadro, per la lunghezza di cinque miglia; con
un certo sforzo si scoprono gli Appennini, e Cortona, appollaiata sulla cima d'una mon-
tagna, presso al lago Trasimeno. Verso oriente la vista è meno estesa: si distingue
tuttavia Poliziano, e le montagne che separano la regione della China da quella d'Orda.
Al mezzodì, infine, dai tre piani della loggia esposta al sole, lo sguardo abbraccia il
Monte Amiata 1 notevole per la sua altezza e per le sue foreste; la Val d'Orcia, colle
sue verdeggianti praterie, le colline coperte di cereali e di vigneti , ville e castelli,
bagni detti d'Avignone, il monte Pesio più alto del monte Radico/ano, finalmente la neb-
biosa culla del sole.
11 palazzo Piccolomini si compone d'un pian terreno molto alto, e di due piani illu-
minati da sette finestre (di cui parecchie son oggi murate) sulla facciata, ed otto ai lati.
Le finestre del pian terreno sono rettangolari, e provviste di grosse inferriate; quelle dei
due piani superiori, sono bifore; questa disposizione, unitamente ai pilastri che sepa-
rano le finestre, ricorda vivamente il palazzo Rucellai di Firenze, costrutto dal maestro
di Rossellino, il sommo Leon Battista Alberti. Un gradino di pietra, simile a (niello del
palazzo Strozzi, destinato agli stanchi viandanti, o ai poveri, gira tutto all'intorno.
*) Si troverà nel mio lavoro "Ics Arts à la coni' (Ics Papes,, (t. I, p. 380 e seg.) il computo dei lavori eseguiti
dal Rossellino. Vedete pure " Eistoire de l'Art pendant la Renaissance,, (t. I, p. 432-436).
PIENZA E l'io II.
17!)
Ovunque brillano le mezzelune dei Piccolomini (quale emblema per Pio II, questo ine-
sorabile avversario «lei Turchi, morto in Ancona nel momento in cui organizzava una
uuova crociata!). Tre porte, una sulla facciata, due laterali danno accesso all'interno.
11 cuore si stringe nell'entrare in questo nobile palazzo, degno riscontro, ma in più
ampie proporzioni, al palazzo dei Medici in Firenze. La degradazione risultante dall'in-
curia dei proprietari non è uguagliata che dalle mutilazioni ispirate dalle più volgari
considerazioni; questo capo d'opera del Rinascimento rassomiglia ad un'immensa stallai
Il fattore del conte Piccolomini di Siena e due altre persone sono gl'unici abitanti d'una
dimora che potrebbe alloggiare mezza Pienza.
Ma cerchiamo di dimenticare un po' il presente per ricostituire lo splendido insieme
d'una dimora che si raccomanda, tanto per la memoria del suo fondatore, come per le sue
bellezze architettoniche di prim' ordine. Il cortile è quadrato; esso presenta nel centro
una leggiera depressione, destinata a facilitare lo scolo delle acque ; quattro colonne mo-
noliti dodici in tutto), di bellissime proporzioni, lo costeggiano per ogni lato. Al di sopra
di questo portico si stende un fregio, con uno stemma scolpito e dorato nel centro, come
pure delle ghirlande che riuniscono gli stemmi. Di queste ghirlande dipinte ad affresco
e che ricordano quelle recentemente scoperte nella corte del palazzo Riccardi a Firenze,
ne rimane soltanto la traccia ; gli uomini però qui non c'entrano, la sparizione è da attri-
buirsi soltanto alle ingiurie del tempo. Il primo ed il secondo piano sono rischiarati, oltre
che dalle finestre dell'esterno, anche da tre finestre che si aprono sulla corte ; queste
finestre sono però ora in gran parte murate.
Quando la decorazione del cortile era intatta, essa doveva abbagliare per la sua ric-
chezza, giacche oltre agli stemmi ed alle ghirlande teste menzionate, essa comprendeva
dei medaglioni e degli ornamenti d' archittetura d'un grande effetto. Gli appartamenti
del primo piano, a cui si giunge per mezzo d'una scala, la cui angustia contrasta col-
l' ampiezza delle altre parti del palazzo, non sono tali da migliorare l'impressione pro-
dotta dallo stato in cui trovasi il cortile; ovunque la stessa rovina!
Tutto ciò che aveva un valore d'arte è sparito ; degli usci a travi sostituirono quasi
ovunque le antiche porte scolpite ed intarsiate; i soffitti furono coperti da un'ignobile
intonacatura : si convertirono in granai le più sontuose sale. Là, ove per caso strano
le preoccupazioni del lusso moderno hanno tentato d'imporsi sull'opera del passato, esse
non riuscirono che a far spiccare vie meglio il contrasto tra l'antica ricchezza e la
meschinità dei nostri tempi! Quest'osservazione s'applica alla galleria dei ritratti storici
del secolo XVII, posta nel vestibolo del primo piano (non sono che tele volgarissime) ;
all'appartamento più che modestamente mobigliato che occupa il conte Piccolomini nelle
sue rare escursioni a Picnza; finalmente al teatro che si stabilì in una delle sale. La
mia guida mi narra che il fiore della società Pientina, spinta dal bisogno di distrazioni
mondane, fece accomodare qualche anno fa questo teatrino su cui i dilettanti della città
davano delle rappresentazioni. Ogni abbonato pagava al conte quaranta lire all'anno. Ma,
o fosse la quota troppo elevata, o sia che l'antica austerità riprendesse il sopravvento,
fatto sta che l'impresa non potè reggere; la scena, i palchi, le quinte ora non sono che
una rovina di più tra le altre!
In complesso, in questa grande successione di sale, che, sia (letto tra di noi, hanno
l'inconveniente di essere troppo dipendenti le une dalle altre, non trovo da segnalare
che un monumentale camino, ornato d'ovoli, di festoni, di stemmi dei Piccolomini, e d'un
leone, lavoro piuttosto grossolano del secolo XV. Osserviamo nella stessa stanza, sopra
una porta, degli affreschi appartenenti ad un'epoca posteriore, con dei grotteschi e un
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FIRENZE E LA TOSCANA.
ritratto (li Pio II in busto, accompagnato dall'iscrizione: ENAEAS (sic) PIVS SE-
NENS. PP. II.
Una loggia aperta a tre piani completa il palazzo Piccolomini. Essa è ancor più
rovinata, s'è possibile, del resto. Ma com'è splendida la vista clic vi si gode, e come si
capisce benissimo che il fondatore di Pienza abbia sfidato questo clima per venirvi
a saziarsi di tale grandioso spettacolo, e ritemprarsi in simili impressioni forti ed aspre
nel medesimo tempo ! Nel' fondo, rimpetto a noi, sta il celebre monte Andata^ la cui cima
è coperta dalle nubi; a destra sull'altura, Montaleino e più presso a noi San Quirico
d'Orcia ; il paesaggio è estremamente tormentato, ed immensi spazi di terreno appaiono
incolti; ma la mia guida mi spiega che ciò avviene piuttosto per mancanza di braccia
che per sterilità; se si può credere a quanto ei dice, si usufruisce soltanto un terzo
del terreno coltivabile.
Innanzi alla loggia stendesi un giardino le cui aiuole incolte, invase dalle male erbe,
non hanno nulla da invidiare al palazzo in rovina. Farò menzione d'un bel pozzo otta-
gonale del XV secolo, ornato di bassirilievi : gli stemmi di Pio II, festoni, rosette, vasi
di fiori in uno stile largo e decorativo.
Un'ultima osservazione prima di lasciare il palazzo Piccolomini : in questo monu-
mento, come in tutte le altre costruzioni di Pienza, Pio II si mostrò generoso ma non
magnifico. Il travertino ed una specie di tufo fanno si può dire da soli le spese delle
costruzioni. Non ci troviamo uè i marmi, uè le incrostazioni in pietre dure, uè i pre-
ziosi ornamenti in bronzo dorato, che i suoi contemporanei prodigano ovunque; si
nota specialmente la mancanza di quelle sculture fine ed eleganti colle quali il papa
s'era compiaciuto d'arricchire il palazzo del Vaticano e la basilica di San Pietro. Non
pare che egli abbia pensato di far venire a Pienza i maestri che tanto illustrarono la
sua corte pontificale : i Paolo Romano, gli Isaia di Pisa, ed i Mino di Fiesole.
Il Duomo, dedicato alla Beata Vergine, occupa il fondo della piazza municipale, è
una via di mezzo (non troppo felice) fra lo stile gotico e lo stile del Rinascimento. Pio II,
che si ricordava dell'esempio dato dal suo predecessore Niccolò V, costruttore emerito,
volle abbozzarne il progetto, ed impose all'architetto le sue idee. Egli narra che du-
rante il suo soggiorno in Austria fu colpito dalla bellezza d'una chiesa, le cui tre na-
vate avevano la stessa altezza, sebbene quella di mezzo fosse più larga; Rossellino fu
costretto ad adattarsi a tale modello.
La facciata della chiesa è più bizzarra che bella: tiitt'aH'ingiro spiccano gli stemmi
giganteschi dei Piccolomini; nel centro un rosone destinato a dar luce nell'interno; ai
lati, degli archi su colonne, e contenenti una nicchia. Tale disposizione ricorda viva-
mente il tempio di San Francesco di Rimini , il capolavoro di Leon Battista Alberti.
Nell'interno la disposizione generale è quella d'una chiesa gotica, sebbene domini l'arco
a tutta centina, le tre navate a vòlta posano su colonne accoppiate, simili ai pilastri di
stile ogivale; alcune finestre bifore aggiungono luce.
La lotta contro la tradizione del medio evo scoppia specialmente nell'ordine piut-
tosto complicato (architrave, fregio, cornicione), con cui l'architetto caricò i capitelli; in
breve, tutto concorre a rendere la costruzione un' opera ibrida. Nel fondo, una cripta
rischiarata da tre finestre è sostenuta da due sole colonne; essa contiene il fonte bat-
tesimale e parecchi dossali d'altare.
L'abside, le cui dimensioni sono troppo considerevoli, riguardo a (incile delle navate,
merita uno speciale esame; la tradizione gotica vi riacquista tutti i suoi diritti: pianta
poligonale, finestre a sesto acuto, con ornamenti luccicanti, contrafforti, nulla manca
PIENZA E PIO II.
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per far risaltare il contrasto fra questa e le altre parti dell' edilizio. La costruzione of-
friva le maggiori difficoltà, poiehè a quel punto il terreno s'incurva bruscamente, in modo
che fu necessario gettare le fondamenta dell' abside molto piìi in basso di quelle del
corpo della chiesa; i numerosi vuoti, che esistono da questa parte nelle roceie destinate
a astenere 1 edilizio, complicarono ancor piìi le difficoltà dell'architetto; egli si vide
obbligato a scavare ad una profondità di cento otto piedi, e ad innalzare volte sopra volte,
per dare alla sua costruzione una base solida. Malgrado ogni precauzione si manifesta-
rono delle fessure mentre ancor viveva Pio II; nel secolo seguente, nel 1570, esse resero
necessario un ristauro, di cui parecchie iscrizioni conservarono il ricordo, ma non fu che un
palliativo. Oggi l'abside è nuovamente screpolata in venti parti. Ma questi edilizi del Rina-
scimento hanno una vita duratura. Il Duomo di Pienza ha già sfidato l'assalto di quattro
secoli: speriamo ch'esso potrà ridersene ancora a lungo dei nostri timori.
Pio II ebbe cura nel contratto di fondazione di proteggere il suo Duomo contro
i capricci della moda. Egli colpisce d'anatema coloro che si permettessero di violare il
candore delle pareti o delle colonne, di far eseguire nuovi dipinti, di erigere nuovi al-
tari, di modificare, insomma, in modo qualsiasi la forma dell'edilìzio.
Tali rigorose prescrizioni vennero in complesso osservate. La decorazione del Duomo
di Pienza è rimasta quella d'una chiesa del secolo XV, eccetto qualche altare. Vi si
trovano gli stalli gotici scolpiti, con fascie ad intarsio, col trono pontificale nel centro;
un vecchio leggìo pure scolpito e adorno d'intarsi, finalmente delle numerose pale d'al-
tare, sparse nella crociera, nella sacristia, nella cripta.
Si rimane sorpresi di vedere Pio II, questo campione del Rinascimento in tutto ciò
che riguarda la scienza e la letteratura, obbedire alle suggestioni d'un patriottismo piut-
tosto ristretto, allorché trattasi di decorare la sua fondazione prediletta. Così, come egli
aveva imposto al suo architetto l'imitazione d'un edifìcio medioevale, nella stessa guisa
egli ricorse, per le pitture destinate agli altari, non già a dei novatori , quale Piero
della Francesca, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli, Mantegna, ma agli ultimi rappresen-
tanti della Scuola senese. La sua predilezione pei suoi compatrioti produsse del resto
un risultato interessante: nel loro desiderio di giustificare la scelta del sovrano pon-
tefice, quei maestri si fecero grande onore; senza romperla eoi tratti generali della
loro scuola. e>^i tentarono uno sforzo supremo per rinnovare un'arte che sembrava
esaurita.
La migliore delle pale d'altare esposte nel Duomo di Pienza è firmata: Opus Laurentii
J J < fri scultoris de Senis, firma che, nascosta da un candelabro, pare sia sfuggita ai si-
gnori Burckhardt e Bode e al signor Gsell-Fels. Il nome di Lorenzo di Piero non ri-
sveglia certo nella niente dei nostri lettori che una memoria piuttòsto vaga; non è cosi
di quello del Vecchietta, sotto cui ordinariamente è designato questo maestro. Lorenzo di
Pietro detto il Vecchietta (1412-1480) era ad un tempo pittore e scultore: la statua co-
ricata del giureconsulto Mario Socino, nel museo di Firenze, dimostra con quale abilità,
egli maneggiasse lo scalpello.
La sua pala d'altare di Pienza rappresenta nel centro la Vergine, ed il Cristo
diesi libra so vr' essa ; a sinistra sant'Agata, a destra santa Caterina da Siena, serene
e raccolte. Poi due Pontefici gravi e commossi; la parte superiore è occupata da sei .santi,
patriarchi 0 profeti, le cui figure severe concorrono ad aumentare la maestà della com :
posizione; finalmente la predella è ornata dello stemma di Pio 11. In quest'opera impor-
tante, .mi cui con grande mia meraviglia m'accorgo d'essere il primo a richiamare l'at-
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FIRENZE E LA TOSCANA.
tenzione, il Vecchietta unisce alla soavità della Scuola senese una fierezza di disegno,
ed una forza drammatica essenzialmente fiorentina.
La crociera ci presenta siili' altare di destra un' altra pala, contenente una Santa
Conversazione, colla firma : Opus Mathei Johannis de Senis. Nel eentro la Vergine se-
duta eoi Bambino, dietro a lei due angiolini, a sinistra san Matteo e santa Caterina,
a destra san Bartolomeo e santa Lucia; sopra, il Cristo fra due carnefiei. La predella
ci mostra nel eentro il Cristo a mezzo corpo, sostenuto da due angioli; a sinistra la
Vergine, pure a mezzo corpo; a destra san Giovanni Evangelista. Stemmi di Pio II.
Un buon quadro, ma elie non ha il valore elevato di quello del Vecchietta.
11 quadro che fa riscontro alla Santa Conversazione, nel braccio sinistro della cro-
ciera, è l'opera d'un artista ben noto, Sano di Pietro (morto nel 1481), che eonta pa-
recchi dipinti all'Accademia di Belle Arti di Siena; esso porta la firma del maestro. La
Vergine è seduta sopra un trono; dietro ad essa due angioli, che tengono l'uno dei gigli,»
l'altro delle rose bianche e rosse ; da ogni lato un santo ed una santa. Fondo d'oro. Il
frontone che sta sopra la pala mostra Cristo a mezzo corpo fra due angioli.
La predella contiene due medaglioni : nel centro il Cristo sempre a mezzo corpo, a
sinistra un angelo, a destra la Vergine. Stemmi di Pio II. Sebbene le figure sieno un
po' rotonde, l'opera riunisce le qualità inerenti alla Scuola senese del medio evo: la
maestà unita alla tenerezza!
Quanto mi rincresce di non poter dedicare maggior tempo allo studio del tesoro
della cattedrale; meravigliosa collezione d'oggetti d'oreficeria, di smalti, di tessuti, che
rappresenta un valore di parecchi milioni. Le opere che contiene non si distinguono
solo per un'indiscutibile autenticità, ma eziandio per la loro eccezionale conservazione.
Ma era difficile, essendo domenica, e di più festeggiandosi in quel giorno la consacrazione
d'un nuovo dignitario ecclesiastico, di poter esaminare con tutta la necessaria comodità
simili gioielli protetti da un triplice catenaccio.
Intravedo, quasi in sogno, una pace niellata; un turibolo in forma di campa-
nile; un magnifico pastorale coli' Annunciazione, una mitra adorna di perle e di smalti,
con le figure di san Pietro e di san Paolo da una parte, l'Annunciazione dall'altra;
un fermaglio colla figura del papa seduto, pure in smalto; il capo di sant'Andrea (il
santo di cui Pio II acquistò le reliquie per la città eterna), in argento a sbalzo; una
croce doppia in filigrana con perle, lavoro bizantino, un magnifico libro corale, miniato.
La maggior parte di tali lavori sono adorni dello stemma del donatore Pio II.
Il tesoro delle stoffe, conservato nell' antica casa dei Canonici, rimpetto al duomo,
per la sua ricchezza e la sua varietà, rivaleggia colla "cappella d'oro e d'argento,,
(era questo nel XV secolo il termine consacrato), (die noi abbiamo descritto. Vi si os-
servano numerosi arazzi fiamminghi del XV secolo, fra cui la Crocifissione, ed anche il
celebre piviale ricamato colle scene della Vita di Cristo, rubato una volta da un gen-
darme, poi quasi per miracolo ricuperato. Gli archeologi troveranno ampia materia di
dissertazione in questa grande collezione di oggetti rari e preziosi."
Sulla piazza del Duomo, osservasi, oltre ad un bellissimo pozzo, sul cui orlo sta
T iscrizione P1YS PP. II. MCCCCLX1I, il palazzo vescovile e la casa dei canonici.
I due edilizi subirono nel XVI secolo delle modificazioni, diremo meglio, delle niutila-
'> <lli oggetti interessanti vennero fotografati dal Lombardi di Siena (Vedete puro la Uevue de l'Art Chrétien^
de] 1887 e dei 1888, p. 179).
PIENZA E PIO II.
rioni parallele: alle finestre, le une ogivali, le altre a tutta centina, della facciata, si
sostituirono cent'anni dopo delle finestre rettangolari divise in quattro parti. La Cano-
nica oggi ha mutato destinazione. Quanto al palazzo vescovile, esso continua a ser-
vire di residenza a Monsignore di Pienza, la cui giurisdizione, senz'essere troppo estesa,
non conta meno di quattrocento anni di esercizio continuo.
Delle istruzioni pastorali, ristampate ogni anno, servono ad accertare i diritti del scg-
gio episcopale, che, come ogn'altra fondazione di Pienza, deve la sua origine a l'io IJ.
10 ho sotto gli occhi Y Orcio divini officii recitandi.... in civitate ac dia'cesi Piantina,
stampato nel 1880 a Savona dal Ricci.
Continuando ad avanzare nel Corso, dalla parte della porta del Griglio, si trova, a
sinistra il municipio, oggidì chiamato " Palazzo Pretorio „. I nostri lettori conoscono già
quest'interessante edifìcio, il cui campanile si disegna arditamente siili' orizzonte, come
quello del Palazzo Vecchio di Firenze. Penetrando nell' interno, leggo ovunque delle
iscrizioni proprie ad edificarmi circa la maestà del luogo: qui vedesi scritto usciere, sulla
porta d' un'anticamera; altrove leggo: sala d'udienza; più avanti sta la fiera epigrafe
pretore. — Essendo tutto chiuso, perchè giorno festivo, devo contentarmi di salire le
scale, e percorrere i corridoi senza poter stringere più intima conoscenza con quest'an-
tico asilo della libertà pientina. Scorgo tuttavia attraverso una finestra, nella sala d'udienza,
11 busto del Re Galantuomo. Come siamo lontani da Pio II e dal Rinascimento!
Se le fondazioni di Pio II danno a Pienza la sua fìsonomia caratteristica, e il suo reale
interesse, non devono farci dimenticare le altre parti della città, anteriori al papa, o da
lui indipendenti. V'ho già menzionato la chiesetta di San Francesco situata tra il palazzo
Piccolomini e il seminario; essa ci dimostra quale forza s'assicuri un artista attenendosi
ad uno stile stabilito: nulla di più semplice; nulla di meno pretenzioso di quest'edificio,
eppure nella sua povertà c'è tale un' armonia, tale una distinzione, che l'architetto non
avrebbe certo raggiunte, se non si fosse appoggiato sulla grande tradizione dello stile gotico.
Alcune case particolari, tra le altre quella che s'innalza nel Corso, rimpetto al palazzo
Piccolomini, mostrano pure le traccie dell'influenza gotica ; ma da questo non voglio de-
durre che sieno anteriori ai lavori di Pio II, poiché, come fu osservato più sopra, lo stile
ib i Rinascimento era ben lontano dall'aver trionfato in tal'epoca. Citiamo inoltre la Piazza di
Spagna, dietro al Palazzo Pretorio; vi si vedono alcune case in mattone piuttosto antiche.
Tale è Pienza storica, la Pienza degli artisti. Ma il viaggiatore che non si con-
tenta della sola estetica, vuol pur dare un'occhiata ai quartieri popolari presso il Corso
e la Piazza di Spagna; sono tutte viuzze meschinissimc, le cui casupole costrutte con
un miscuglio di pietre e di mattoni, danno la più triste idea dello stato dell'industria e
dell'agricoltura di simili paesi. In compenso però qual magnifica vista, allorché sbucando
dalle vie presso il muro di cinta, sostenuto da enormi massi rocciosi, si scopre il gran-
dioso paesaggio che domina nel fondo, la massa oscura del monte Amiata!
Per completare la descrizione di Pienza e i suoi dintorni, resterebbe ancora ad esa-
minare l'antica chiesa principale " la Pieve „ o San Vito e Modesto, posta ad una certa
distanza dai bastioni, e il monastero di Sant'Anna in Creta, lontano quattro chilometri,
e celebre per gli affreschi lasciativi dal Sodoma: la Moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Limitiamoci a contare che in quella composizione, clf è facile studiare coll'aiuto delle foto-
grafie del Lombardi di Siena, il giovane maestro (gli affreschi sono del 1503; egli non
aveva dunque che ventisei anni) ha dato prova d'un' eccessiva facilità. F vero ch'egli non
ne ricevette in compenso clic venti fiorini in oro ( un migliaio di lire); ma è precisamente trat-
tandosi di cose d'arte che bisogna proclamare il principio: il denaro non significa nulla.
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FIRENZE E LA TOSCANA.
ni.
Da Pienza a Montepulciano. — Montepulciano : le sue chiese, i suoi palazzi.
JLa strada da Pienza a Montepulciano forma un evidente contrasto colle regioni da
noi sin qui percorse : folte siepi di caprifoglio, numerosi alberi tra cui predomina il
gelso, campi di grano, foreste di quercie, e al fondo montagne verdeggianti, in una
parola un paesaggio altrettanto ridente che animato : eccovi il quadro che succede alle
La Canonica della Madonna di San Biagio vicino a Montepulciano.
grandiose ma tristi impressioni di Monte Oliveto, di San Quirico e di Pienza. Noi
ritroviamo l'Italia tradizionale.
Gli innumerevoli giri della strada ci riconducono di continuo dinanzi al Monte Amiata
(1766 in., la più elevata montagna del Subapennino). Finalmente scopriamo Montepul-
ciano, ove l'opera umana di bel nuovo s'impone alla nostra- attenzione, per quanto sia
splendido il panorama che ci sta dinanzi: nella nostra immediata vicinanza, sopra una
collinetta isolata, la bella chiesa della Madonna di san Biagio; più lungi, sopra un'altura,
spiccante nettamente sull'orizzonte, la città di Montepulciano ; a destra, un'estremità del
lago; più indietro, delle ridenti colline, delle montagne boscose a perdita d'occhio.
Passando innanzi a San Biagio, ove mi propongo di ritornare l'indomani, la nostra
vettura s'interna nel bel viale nuovo, che ha sostituito l'antica strada dirupata in quel punto,
Costeggiamo dei giardini inglesi molto ben tenuti; attraversiamo numerosi gruppi di pas-
seggiatori e di passeggiatrici che profittano della sera di domenica per prendersi il
fresco; annuirò, così alla sfuggita, i ricchi abbigliamenti indossati da vezzose persone,
dall'aspetto fiorente, simpatico; infine penetriamo nella città, ove il mio vetturino si ferma
MONTEPULCIANO.
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tosto sulla piazzetta del Marzocco (il leone fiorentino), ove e'è la colonna con sopra un
leone, innanzi all'albergo dello stesso nome, il solo, o quasi, che si trovi in questa città,
capoluogo di circondario, e di tredicimila abitanti circa.
L'albergo del Marzocco, ov'è pure l'ufficio delle diligenze, è, condotto da un vete-
rano, un reduce delle patrie battaglie; egli inni gode di troppo buona fama. 1/ archi-
li Palazzo Comunale di Montepulciano.
fcetto Nolil racconta che nel 1858 il conto presentato a lui e ai suoi compagni ammon-
tava a venticinque scudi feentoventicinque lire), per una cena modesta, alloggio e co-
lazione: ogni letto veniva calcolato in ragione di 20 paoli (una diecina di lire). Gsell-
Fells nella sua Guida di Roma e dell'Italia centrale (ed. del 1875) pone pure in guar-
dia contro le pretese dell'albergatore, e raccomanda di fissare prima i prezzi. L'amore
della verità, tuttavia, mi obbliga a riconoscere clic se l'albergo non è tra i più co-
modi. — esso occupa il piano superiore d'una casa (situazione abbastanza strana per un
Firenze e la Toscana. 24
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FIRENZE E LA TOSCANA.
albergo) — e s' e un po' troppo rumoroso, i prezzi mi sono apparsi ragionevolissimi.
All'incontro ho dovuto convincermi una volta di più dell'esattezza del proverbio, il quale
dice " che in mezzo ai vigneti più celebri si beve il vino più cattivo. „ Il Montepul-
ciano gode gran fama in tutt'Italia; un poeta giunse persino a proclamarlo il " re dei
vini,,; ma io non ebbi la ventura di comprovarlo: il liquido che mi fu servito in uno
dei soliti fiaschi, non si distingueva per nulla dagli altri vini della Toscana, e mi parve
molto inferiore al Chianti, che secondo me tra i vini toscani è il migliore.
Ma lasciamo coteste discussioni d'economia sociale e d'enologia, per ritornarcene a
questioni più degne d'occupare i miei lettori.
Sculture «Idia, tomba Aragazzi. di Michulozzo (Duomo di Montepulciano).
Montepulciano, come tante altre città italiane, non si compone che d'un Corso; è vero
che questo è interminabile, e che muta di nome parecchie volte; al basso si chiama
via Garibaldi, verso l'alto via Poliziano e via Cavour. Questa strada, selciata e puli-
tissima, sale, sale sempre, sino al momento in cui s'arresta bruscamente appiè di
un'altura erta ed incolta. Le irregolarità del terreno hanno reso necessarie delle sotto-
murature ; ecco ad esempio il palazzo Contucci, il cui pianterreno è al livello del
suolo sulla Piazza, Grande, ove trovasi la facciata, mentre nella via della Filarmonica,
su cui guardano le finestre di dietro, questo stesso pianterreno corrisponde all'altezza
del quarto piano.
11 Corso ò fiancheggiato d'alcuni magnifici palazzi; a destra, prima di tutti il
lazzo Un ed lì, la cui facciata è incrostata di bassorilievi etruschi abbastanza corrosi;
MONTEPULCIANO. 187
un'iscrizione latina ricorda che nel 17G1) il granduca di Toscana, Pietro Leopoldo,
degnò visitare le collezioni riunite in questa dimora. I tentativi da me fatti per essere
ammesso allo stesso favore, rimangono senza risultato; il proprietario, dicono, se ne portò
via la chiave, e bisognerebbe aspettare il suo ritorno per poter penetrare nella stanza
ove stanno le antichità e tr uscii e.
Continuando la nostra via, passiamo innanzi alla chiesa di Sant'Agostino, costru-
zione vasta, ma ibrida, dal XVII al XVIII secolo. Dirò altrettanto della chiesa di Santa
Lucia, situata un po' più in alto; la facciata porta la data del 1653; l'interno non offre
nulla di rimarchevole. Poi viene una casa con una lapide di marmo che ricorda come
Garibaldi v'abbia ricevuto ospitalità nel 1849. A partire da Sant'Agostino, il Corso di-
Scoltnre della tomba Aragazzi. di Michelozzo (Duomo di Montepulciano).
viene stretto ed erto; esso comunica con alcune altre vie ancor più montuose, ma nelle
quali invano si cercherebbero le brusche interruzioni, i punti di vista fuggevoli, che ren-
dono cosi pittoresche altre città di montagna, come Urbino, Siena, Perugia, Assisi. I
palazzi che fiancheggiano il lato sinistro del Corso sono più degni di studio. L'uno di
essi, il palazzo Cervini (ora palazzo Argiolotto), ha per autore un architetto fiorentino
celebre, a cui Montepulciano deve i suoi piìi bei monumenti: Antonio da San Gallo il
Vecchio (1455-1534).
Quest'edificio, le cui ali avanzano sul Corso, mentre il corpo principale è rientrato,
comprende un pianterreno in opus rusticum, e due piani colle finestre sormontate da fron-
toni alternatamente triangolari o semicircolari. Il palazzo Venturi, situato un po' più lon-
tano, ha pure un bellissimo aspetto.
188
FIRENZE E LA TOSCANA.
Più in alto, sopra una piccola piattaforma, d'onde si gode d'una vista deliziosa, s'in-
nalza la chiesa doppia della Misericordia. 1 '
La piazza Vittorio Emanuele, situata quasi alla cima della montagna su cui sta
Montepulciano, presenta un insieme di edilìzi abbastanza imponenti; a sinistra la Pre-
tura, il palazzo Contucci, il palazzo Tarugi; a destra il municipio; nel fondo il Duomo.
Il palazzo del Pretore contiene nella sala d'udienza un bassorilievo della scuola dei
della Robbia, clic Burkhard! e Bode, senz'entrare in altri dettagli, dichiarano eccellente.
Innanzi a simile elogio da parte di giudici sì competenti, certo non trascurerò d' esa-
minare tale opera, che pare sia 1' unico ornamento del palazzo Pretorio. La pala d'al-
tare, protetta da due imposte, di cui ha la chiave il cancelliere del tribunale, ci mostra
la Vergine seduta col Bambino, tra due Santi, l'uno con un coltello, l'altro con una
lancia; due angioli svolazzanti su di lei. stanno in atto di posarle sul capo una corona.
Un'iscrizione riproduce la formula già nota: Sub inaia praesidium confugimus 'scinda Dei
genitrix. Le figure bianche spiccano semplicemente sopra un fondo turchino; la fascia
o cornice (pilastri con frutti, bacche, uva, uscenti da un vaso posto in fondo) si distingue
per toni più nutriti in cui dominano il verde, il giallo e il violetto. Un fregio con teste
di cherubini completa quest'opera, certo interessantissima, però mancante di finezza.
Il palazzo Tarugi, costruito da Antonio da San Gallo il Vecchio, è un edificio pe-
sante più che imponente. Le arcate del fondo hanno delle proporzioni troppo grandi ; la
separazione dei piani non è ben indicata ; i profili mancano di finezza. La chiusura della
loggia (per l'addietro aperta) che sormontava il palazzo, ha reso ancor più visibili questi
difetti.
Il Duomo come monumento non ha nulla che meriti l'attenzione o la simpatia del
viaggiatore. Sebbene le chiese della Toscana pecchino quasi tutte per mancanza della
facciata, specialmente a Montepulciano è sensibile tale lacuna. Questo immenso muro in-
fatti è orribile nella sua nudità. L'interno, tre ampie navate, a vòlta, non ha di rimar-
chevole che uxì Assunzione di Taddeo di Bartolo (1401), la tomba e la statua coricata
di Franciscus de Piendibenis 1 nominato vescovo d'Arezzo dal papa Giovanni XXIII (1410-
1415), lavoro semplice e maestoso sebbene un po' rozzo, e finalmente le statue e i basso-
rilievi della tomba d'un dotto del XV secolo, Bartolomeo Aragazzi, di cui le nostre in-
cisioni riportano i principali frammenti. Per molte tempo si attribuì questo lavoro al
Donatello. Ma la critica è oggi unanime nel riconoscervi la mano di Michelozzo che la-
vorò sotto la direzione del suo maestro e collaboratore Donatello tra il 1427 e il 1429. 2)
In fatti in queste figure, d' un' eleganza troppo ricercata, non si ritrova la potenza che
caratterizza sin le menomo produzioni del capo immortale della Scuola fiorentina.
1 ) L'interno della chiesa superiore è rifatto. Vi si osservano alcune pitture della line del secolo XVI. Ma occorre-
rebbe aver molto tempo innanzi a sè per studiare in Italia le produzioni d'una sì triste decadenza. Riserviamoci per
più nobili godimenti. Una pala d'altare del Lorenzetti (7 1348), Y Incoronai ione della Vergine, esposta in un oratorio,
merita tutta la nostra attenzione a ben più giusto titolo. Vi si ammirerà sopratutto la varietà delle attitudini, la li-
bertà dei movimenti dei quattro angeli inginocchiati al basso, e visti da tergo. La Vergine è d'una grazia commovente :
il velo bianco che ricopre il suo collo e la parte inferiore del suo viso, fa risaltare la bellezza dei suoi tratti. Questa
pagina magistrale unisce la solennità del medio evo al sentimento della vita che annuncia un'arte novella.
La chiesa inferiore della Misericordia (l'entrata è dalla via del Poggiolo), fu restaurata nel 1846; non contiene
di rimarchevole che un bassorilievo della scuola dei della Robbia; nel centro, il Cristo a mezzo-corpo in mezzo ad un
coro di angoli; in basso, sulla predella, la Vergine e san Giuseppe in adorazione innanzi al Divino Infante, e VAd<h
raziona dei Magi; da un'altra parte, la Vergine in piedi: a destra, l'Angelo dell'Annunciazione. Pilastri con fogliame
e rabeschi. Le figuri! bianche spiccano sopra un fondo turchino, solo lo stelo del giglio che tiene l'angelo Gabriele è
verde. La composizione è, tutta anima e poesia.
' 2 i Schmarsow ha consacrato un'erudita monografia a queste sculture nell'Archivio storico dell'arte àe] 1893 (p. '241
e seguenti).
MONTEPULCIANO.
Ancora un po' di fatica e giungiamo al termine della nostra ascensione, alla fortezza
eretta sul punto culminante della città ; tra poco non ne rimarrà che la memoria, poiché
>i lavora alacremente per demolirla.
Da questo magnifico osservatorio lo spettatore scorge, direttamente sotto di lui sopra
una collinetta, la bella "Madonna di San Biagio,,. Ma inutile tentar d'abbreviare il cammino
prendendo pei campi; ad ogni istante si trovano siepi che formano quasi delle barriere
insormontabili. E meglio perciò cercare la via che con molti giri viziosi conduce alla chiesa.
Ma la via ombreggiata da cipressi è dirupata all'eccesso, per cui venne già da lungo
tempo abbandonata; quella sorta poi a sostituirla ebbe lo stesso destino. V'hanno adunque
oggi tre strade che partono dalla città per giungere con curve diverse allo stesso punto.
Lasciando in disparte, a sinistra, il Camposanto, ove delle lapidi sul muro di cinta
sostituiscono i monumenti funebri, si giunge sulla piattaforma, isolata da ogni parte, salvo
dalla parte della città, su cui sta la chiesa di San Biagio. Di qui godesi d'una vista
incantevole. La chiesa, il capolavoro di Antonio da San Gallo il Vecchio, è edificata
in blocchi di travertino d'un bellissimo giallo. Il presbiterio, situato ad alcuni passi dalla
chiesa, fu come questa cominciato nel 1518; è esso pure indubbiamente opera di An-
tonio da San Gallo. E un elegante edifìcio, colle arcate separate da pilastri, e la log-
gia aperta.
Non si dubiterebbe, venendo da Pienza, che Montepulciano, che sta a cinquecento-
quaranta metri sul livello del mare, e che cosi raramente riceve visite di forestieri, sia
una stazione di ferrovia (linea Chiusi-Siena-Empoli). E vero che bisogna esser dotati
d'un udito molto fine per distinguere il fischio della locomotiva, in mezzo a queste mon-
tagne, poiché la stazione è assai lontana dalla città (la diligenza impiega quasi un'ora
a varcarne la distanza, sebbene la strada sia in discesa). ■ — Prendendo il treno delle
3.36 pomeridiane (15-36) si giunge la sera stessa a Siena ed a Firenze.
Insomma, bastano quattro giorni partendo da Firenze, tre giorni e mezzo, partendo
ila Siena, per compiere l'escursione che v'ho descritta, e che, voglio sperare, tenterà più
d'uno tra i miei lettori.
La chiesa della Madonna di San Iiiayin.
Veduta di Firenze -(Ponto Vecchio'
FIRENZE.
" Firenzi', dopo Atene, è la città che più fece
per lo spirito umano.... Firenze, la madre, uni-
tamente ad Atene, d'ogni verità e di bellezza. ,.
(Renan).
[.
Un po' di stoeia. — Marte e san Zanobi.
Dante, Petrarca e Giotto.
Il Rinascimento.
Accingendomi alla descrizione di Firenze, non posso
il a meno di provare uh po' d'ansia; un mondo
intero si stende a me dinanzi, con una civiltà che rap-
presenta quattro secoli di ardenti sforzi e di splendide
conquiste, ed una storia complicata, qualche volta ine-
stricabile per i grandi incidenti; centinaia di capi d'opera
eccitano la nostra ammirazione! Come noi) dimenticare
qualche pagina importante? L'impresa, lo contesso, sa-
rebbe chimerica. Per lo meno, non riuscendo a far ri-
vivere lo spirito, che ispirò tante meraviglie, tenterò di
comunicare ai miei lettori il mio ardore ed il mio en-
tusiasmo.
Le produzioni così precise, unite ai miei connncn-
tarii. mi danno da questo lato qualche sicurezza; esse parleranno per me. Per celti
miracoli dell'arte, avviene la stessa cosa coinè per certi prodigi della natura ; come Frali-
Maschera di Dante (Uffizii).
FIRENZE. - CKXXT STORICI.
101
Cesco I lo proclamava innanzi alla tomba di Lama del Pe-
trarca, il silenzio è l'omaggio pia splendido che ad essi render
si possa: " Chi ti potrà lodare altro (die tacendo! Poiché La
parola è sempre repressa, quando il soggetto è superiore ad
ogni parola!..
Il presente lavoro non è una guida e meno ancora un ca-
talogo. La mia ambizione consiste nel rendermi gradito quale
cicerone, ma un cicerone indipendente, e qualche volta capric-
cioso. Il mio programma consiste nel fermarmi delle ore in-
nanzi ad un capolavoro, e ritornarci l'indomani e tutti i giorni
successivi, se ce ne sarà bisogno ; e viceversa, io non esiterò
a u distruggere „ anche delle opere celebri, se esse non mi appariranno di primo ordine.
Se adunque, date queste condizioni, i miei servigi non ti spiacciono, seguimi pure, amico
lettore: forse non vedrai proprio tutto, ma puoi essere sicuro di non aver perduto total-
mente il tempo.
Sui mappamondi, l'angolo di terra ch'io voglio far conoscere non occupa che un
piccolissimo spazio, 1 ' ma se ci atteniamo alla sua importanza dal punto di vista della
civiltà generale, della filosofìa, delle scienze, delle lettere, delle arti, poche capitali hanno
tanto brillato. "Qui — lo proclamò Renan al congresso degli orientalisti tenuto a Fi-
renze una ventina d'anni fa, — si seppe il greco cent'anni prima che nelle altre parti
del mondo, ed allora sapere il greco era tutto. Si trattava di veder l'antichità da vicino,
di sostituire all'Aristotile barbaro, al Platone sofistico della scolastica, l'Aristotile ed
il Platone veri....,, Ed altrove l'illustre pensatore aggiungeva: "la Grecia creò tutto:
l'arte, la scienza, la filosofia; tutto ciò che rende bella e cara la vita. La gloria d'Italia
è ben poco inferiore alla sua; poiché se la Grecia ha creato ogni cosa, l'Italia fece tutto
rinascere.,,
Il paragone con Atene non deve inquietar punto una città che si vanta d'aver data
la vita a Dante, a Petrarca, al più grande dei poeti del medio evo, ed al primo degli
umanisti, al primo uomo moderno, a Giotto e ad Qrcagna, a Poggio ed a Leon-Battista
Alberti, a Brunellesco, a Donatello, a Ghiberti, a Masaccio, ai della Robbia, ai due rin-
novatori della poesia italiana, Lorenzo il Magnifico C Poliziano, a Marsilio Ficino, il
propagatore della filosofia platonica, e a Macchiavelli, a Leonardo da Vinci a Miche-
langiolo, per non citare che i nomi più celebri. E a Firenze che Galileo, originario
di Pisa, fece i suoi più importanti esperimenti. Il naturalista Viviani (1622-1703) ed il
musicista Lulli (1633-1687) vi ebbero i loro natali, come pure il Filicaja (1642-1707),
l'autore del più bel sonetto di cui si onori la lingua italiana, e non dico altro!
Dobbiamo convincerci che non solo siamo in quest' interessante città, ma eziandio
Del centro d'una civiltà assolutamente completa, altrettanto nutrita che omogenea. Tutto,
persino la religione, vi assume un aspetto speciale ; in nessun altro luogo del resto tro-
rasi un culto cosi intenso per san Giovanni Battista, come pure per una pleiade di
Santi, d'un carattere essenzialmente locale: Miniato, Zanobi, Filippo Benizzi, Andrea Cor-
J J Nel 1494, Firenze contava circa 90 000 abitanti, sui quali soli 3200 esercitavano i diritti di cittadini (Villari,
Storia di Niccolò Macchiavelli, t. I, p. 5). Nei secoli XVI, XVII, XVIII, la popolazione diminuì (nel 1551 era di 60 773 abi-
tanti, nel 1 74" di 73 517), per aumentare ai nostri giorni: nel 1838 essa raggiunse i 99 678 abitanti. Le più recenti
statistiche ne danno 180 000, tenendo conto dei sobborgbi.
192
FIRENZE E LA TOSCANA.
Il Giglio di Firenze.
siili, Antonino. 1 ' Una .serie d'ordini monastici, i Serviti, i Gesuiti,
gii Scoloppi, - ebbero origine a Firenze, ed è nel suo Duomo elle
il grande riformatore Savonarola predicò le sue profetiche rampo-
gne. A varie riprese questo santuario di convinzioni altrettanto più
forti quanto più ragionate, ha servito d' asilo alle solenni sedute
della cristianità: Vittore II vi tenne il concilio del 1069, Pasquale II
quello del 1105, Eugenio IV il concilio ecumenico del 1439. 2)
Delle origini etnische o romane di Firenze non dirò- qui nulla:
tale materia fu già molto trattata. Marte, il feroce Marte, tale fu
la divinità che presiedette alla fondazione di questa città, chiamata
a brillare unicamente nelle arti della pace. La sua statua ornò
a lungo il Battistero, protetta dalla superstizione pubblica, che collegava colla sua con-
servazione la stessa esistenza della città.
Lunghe furono le lotte tra l'idolo pagano ed i primi pastori di Firenze. Il ricordo
se ne perpetuò sino a Dante, clic le cantò nel suo Inferno (Canto XIII, versi 143-150).
Col primo vescovo san Zanobi (412) l'autonomia della città comincia ad affermarsi.
Le mille e mille peripezie della lotta per resistenza non interessano la posterità:
per imporsi alla sua attenzione è necessario che una nazione abbia fatto uno sforzo, allo
scopo di collocarsi aldi sopra di tali meschine considerazioni; oppure ch'essa abbia tro-
vato il tempo ed il raccoglimento di spirito necessari a concepire un' opera che sia di
dominio della pura intelligenza: altrimenti, in un solo istante, il vento dell'opinione la
disperderebbe, senza lasciarne sussistere più la traccia.
Ora, secondo me, non vi ha nulla di meno interessante della storia intima di Fi-
renze: quest'organizzazione, sapiente, raffinata, complicata, che aveva per meta di com-
battere ogni ambizione, e nello stesso tempo di paralizzare ogni iniziativa, costituiva un
parlamentarismo democratico, spinto all'estremo. Quali interminabili discussioni per la
menoma innovazione! quali infiniti andirivieni per la menoma spedizione militare! Il let-
tore mi perdonerà adunque s'io sorvolo su questa parte degli annali fiorentini; già altri
si dedicarono a studiarli sin nei loro piìi minuti particolari, altri vi hanno consacrato nu-
merosi volumi.
Così pure, la vita di città essenzialmente democratiche, più che d' azioni splen-
dide, si compone d' una successione di sforzi, in cui ogni cittadino spiega la propria
energia; la loro grandezza deriva dalla molteplicità dei lottatori, piuttosto che dal me-
rito particolare d'alcuni corifei. In luogo d'un unico motore, vi si ritrovano almeno venti
corporazioni, tutte potentissime e fiorenti, poiché s'alimentano nella comunanza degli
interessi.
Limitiamoci adunque a ricordare le lotte coi nobili dei dintorni, le lotte colle città
vicine (sin dal XII secolo la guerra era scoppiata con Arezzo e Siena; l'anno 1220 segna
] i Tuttavia pochi papi uscirono da tale città troppo agitata. Mentre Siena ne conta una mezza dozzina, Firenze
non può rivendicare che Leone X, Clemente VII e Urhano Vili Barberini (1623-1644). Quanto a Clemente Vili Aldo-
brandini, Leone XI dei Medici e Clemente XII Corsini (17:30-1 740), essi appartenevano a famiglie fiorentine, ma non
erano Fiorentini di nascita.
2 ) Quanti sovrani, oltre ai papi, — imperatori d'Occidente e d'Oriente, re di Francia, re di Napoli, di Danimarca,
di Boemia, duchi ili Milano — ricevuti in trionfo, o inesorabilmente cacciati, da Carlo Magno in poi. dagl'imperatori
Enrico III (1039), Enrico V (Ilio). Federico Barbarossa (1IS4), Baldoino di Fiandra (127:?), Giovanni Paleologo (1439),
Federico 111 (1462), sino a Francesco Ti e Maria Teresa (1739), Giuseppe II ( 17<i(i-177."-178:M7H4), Leopoldo II (1791).
senza dimenticare il futuro Napoleone I (1796)1
Firenzi:. - cenni storici. 193
il principio dello lunghe ostilità conilo Pisa), e sopratutto le lotte intestine, periodicamente
segnalate dall' apparire di qualche potente personaggio: l'imperatore Federico Barba-
rossa, il re Carlo d'Angiò, nel 1289. Nel 1300, come se non fossero state sufficienti le
divisioni tra Guelfi e Ghibellini, i Guelfi si suddividono in due partiti nemici; i Bianchi
Firenze. Veduta da San Miniato.
e i Neri; da un lato le accuse segrete e gii omicidii giuridici, il saccheggio e gli incendi;
dall'altro la lotta a mano armata contro le città vicine, contro i Visconti e contro gli
imperatori di Germania. Quale spettacolo quello di tutte le facoltà sovreccitate, di tutte
le forze portate al loro supremo grado d'intensità. Le risorse e la vitalità sono ugualmente
vertiginose; la prosperità materiale non è uguagliata che dal coraggio e dallo spirito di
sacrificio. Malgrado innumerevoli disfatte e disastri, la Repubblica fiorentina esce vitto-
Firenze e la Toscana. 25
194
FIRENZE E LA TOSCANA.
riosa da ogni prova ; essa acquista (poiché il denaro ha pure nella sua espansione altret-
tanta parte che le armi) o meglio, conquista gran tratto della Toscana: Arezzo, Pistoia,
Prato, Bibbiena, Volterra, San Miniato al Monte.
Allora la forza e la gloria della città stavano nelle sue belle famiglie patrizie, fami-
glie così odiate dal popolo, ma ugualmente zelanti nel servire la patria nella diploma-
zia, a sviluppare col loro esempio l'industria e il commercio, a prodigare le prove della
loro pietà del loro gusto. Meno bellicose dell'aristocrazia veneziana — la diffidenza dei
loro concittadini chiudeva in certo qual modo ad esse la carriera delle armi — esse si
dedicavano anzitutto alle arti della pace: di qui una foga che finì per assicurar loro un
vero monopolio! E noto che nel 1300, ciascuno dei dodici sovrani che presentarono i
loro omaggi a Bonifacio Vili, nell'occasione del giubileo, era rappresentato da un amba-
sciatore fiorentino! Da ciò l'epiteto di quinto elemento dato da questo papa a Firenze. 1}
L'agricoltura stessa trovava dei seguaci nella nobiltà fiorentina, ed oggi ancora
qualche tratto di quei costumi ricorda quale posto gli interessi agricoli tenessero nella
sua esistenza. I fittavoli continuano a pagare in natura una quantità di livelli, invece
di pagarli in contanti come presso di noi : da ciò il fatto che i proprietari sono talora
costretti a spacciare nelle loro case di città il vino, l'olio e le altre provviste ch'essi
stessi non possono consumare. Non c'è antico palazzo fiorentino che non abbia presso
alla porta principale un piccolo abbaino quadrato o a tutta centina, chiuso da una per-
siana, e che serviva a tale smercio. Io vidi pure, circa quindici anni or sono, delle per-
sone sgattaiolare la sera verso le storiche dimore, dissimulando sotto il mantello il vaso
destinato al vino od all'olio. Erano vecchi clienti, abituati a fornirsi presso le famiglie
patrizie. Tale spettacolo mi rammentò le lettere d'Alessandra Strozzi, la madre del costrut-
tore del palazzo, quelle lettere in cui i particolari sul governo della casa e sulla colti-
vazione del giardino rappresentano una parte così grande, oltre alle preoccupazioni di
un ordine più elevato: si vede per esempio Alessandra intenta a far disseccare i fichi
ricevuti dalla campagna, nello stesso tempo che si occupa della ricerca dei mezzi per
la grandezza della sua casa.
In quel tempo nulla di più severamente e di più fortemente organizzato della vita
di famiglia. I genitori sapevano comprimere gli slanci del loro cuore innanzi ai propri
figli, e mostrar loro una fronte serena, in mezzo alle più grandi angoscic. Assai dirado
nelle lettere delle madri prorompono dei gridi di tenerezza come per esempio : " dolce
Bernardo, caro mio figliuolo „. 2)
Non c'è dubbio che ognuno non mettesse in pratica, nella scelta della propria compagna,
i consigli dati da Michelangelo a suo nipote, in una lettera di cui riferirò qui un brano :
"Non preoccuparti troppo della bellezza, visto che tu non sei il più bel giovane di Fi
renze; basta ch'essa non sia uè zoppa, nè ripugnante. Non esser esigente che per l'ec-
cellenza della famiglia, la salute e la bontà. Non ti crucciare nemmeno se è povera;
Da tempo immemorabile Firenze, la città dei fiori, aveva adottato per emblema un giglio; ma mentre il giglio
di Francia è chiuso, quello di Firenze è aperto. Tale differenza sfuggì a più d'un autore e produsse molte confusioni.
E perciò che Montaigne, che non era nè artista nè archeologo, avendo visto un giglio sugli edifizi pubblici di Prato,
immaginò che tale città fosse altre volte della Francia. Gioacchino di Bellay invece, meglio informato, canta l'unione
dei due gigli, personificata in Caterina dei Medici:
" Pour assuror l'Italie et la France
Contre l'effort de l'aigle ravissant
Lo ciel unit d'un lien blanchissant
Le lis francois au bon lis de Florence. „
-) Peerato. Lettere inedite (li donne illustri Uditane dei seeoìi XV-XYI, p. 1:5. Padova. 1870.
FIRENZE. - CENNI STORICI. 105
essa non arrossirà di sorvegliare la casa e ti laseierà in pace, mentre una giovanetta
ricca ti trascinerà alle feste, alle nozze, ai banchetti, in tutte le follie di questo genere
e ti renderà schiavo. Inoltre lo sposare una giovane povera è una maniera di fare ele-
mosina. ..
E in tali virtù domestiche che le famiglie fiorentine attinsero la loro rara vitalità,
ed il segreto di mantenersi sino ai nostri giorni. E in grazia di esse (die molte fecero
all' estero una brillante fortuna. Quanti rappresentanti di Firenze non troviamo noi
anche in Francia! I Medici e gli Strozzi, nei secoli XVI e XVII, i Peruzzi, di cui
il ramo francese, i marchesi de Perussis, si perpetuò nel contado Venaissin; gli Alberti,
L;i società fiorentina nel secolo XIV ( frammento di uno degli affreschi del Cappellone degli Spaglinoli a Santa Maria Novella).
di cui un rappresentante, il celebre conestabile, vincitore d' un altro Fiorentino, il
maresciallo d'Ancre, fondò la dinastia degli Albret, duchi di Limes, di Chevreuse e di
Chaulnes; i Gondi, antenati del cardinale di Retz; gli Arighetti, ceppo dei Mira-
beau e dei Oaraman !
Se in tale successione vertiginosa di gran genii, di splendide azioni e di capi d'opera,
io dovessi indicarne il più glorioso periodo, è certo che mi pronuncerei pel XIV secolo.
Sicuramente, causa i tempi, e non causa gli uomini, le arti non raggiungono ancora la
grandezza, (die daranno loro Bfunellesco, Donatello, Leonardo da Vinci e Michelangelo,
— sebbene il nome di Giotto possa competere con qualunque dei suoi successori. Ma
l'attività è pili completa in quest'epoca, in ogni senso, che in qualsiasi altra; potenza
196
FIRENZE E LA TOSCANA.
politica, industria, commercio, scienze, lettere, pittura, scultura, ogni genere di progresso.
E quali alte aspirazioni, quante idee generose !
Ricapitoliamo i principali avvenimenti d'un secolo sì pieno, sì glorioso, e durante il
quale i Fiorentini avrebbero potuto divenire i padroni d'Italia, se avessero acconsentito
un solo istante a por fine alle discordie civili: 1301. Carlo di Valois, a Firenze. — 1302.
Esilio di Dante. — 1304. Il feroce priore di San Pietro Scheraggio incendia Or San Mi-
chele; più di millesettecento palazzi e case divengono preda delle fiamme. — 1312.
L'imperatore Enrico VII assedia Firenze. — 1315. Battaglia di Montecatini, perduta
dai Guelfi esiliati, capitanati da Ugoccione della Fagiuola; 2000 cavalieri o fantaccini
fiorentini o alleati uccisi, 1500 prigionieri. — 1313-1322. La signoria affidata al re Ro-
berto di Napoli. — 1320-1328. Lotte con Castruccio-Castrucci, il dittatore di Lucca,
e coll'imperatorc Luigi il Bavaro. — 1330. Il re Giovanni di Boemia saccheggia i din-
torni di Firenze. — 1342. Gauthier de Brienne, duca d'Atene, nominato signore in per-
petuo; cacciato nel 1343. — 1351. Guerra coi Visconti, duchi di Milano. — 1353-1359.
Lotte colle Grandi Compagnie. — 1378. 11 tumulto dei Ciompi. — 1385. Uno degli Ac-
ciajuoli di Firenze s'impadronisce di Atene, e vi fonda un ducato che dura fino alla
conquista turca.
Aggiungete innumerevoli calamità d'ogni genere, la terribile inondazione del 1333,
la peste del 1340, la fame del 1347, la peste del 1374, che dal marzo all'ottobre fece
7000 vittime, la peste del 1399; aggiungetevi il fallimento dei Bardi e dei Peruzzi
(1346), che avevano prestato al re Edoardo d' Inghilterra un 1 365 000 fiorini d'oro,
equivalenti a circa 150 o 200 milioni di franchi, J) ed avrete idea dell'energia che i Fio-
rentini dovettero spiegare, non solo per accrescere il loro territorio od arricchire la loro
città, ma per sussistere e mantenersi. Ad ogni istante le finanze parevano esaurite
(in diciannove mesi il duca di Calabria, figlio del re Roberto, fece spendere ai Fioren-
tini in armamenti, più di 900 000 fiorini, equivalenti al giorno d'oggi a 80 o 100 mi-
lioni), e ad ogni istante il patriottismo sogna nuovi abbellimenti per la città. I cittadini,
che si suppongono maggiormente assorti nella politica, trovano il tempo di dedi-
carsi ai lavori disinteressati dello spirito. Giammai febbre non durò più a lungo, e
giammai generò una più profonda emulazione.
L'importanza d'altri Stati consiste nella loro missione politica: essi calcolano le loro
splendide azioni dal numero delle battaglie vinte. Firenze deve tutto alla sua superio-
rità intellettuale. Certamente dopo la presa di Pistoia nel 1353, sino a quella di Siena
nel 1555, essa non cessa di guerreggiare per arrotondare il suo territorio; ma nelle
grandi lotte della Penisola essa fu piuttosto un' appendice o un contrappeso, anziché
un fattore attivo. Quanto alle sue lotte interne, trattasi d'un lavoro minuto d'un'inquieta
borghesia, senz'aspirazioni elevate, e fors'anco senza l'importanza che ci si compiace
a conferir loro.
Questi discendenti dai vecchi Etruschi avevano inoltre una mente altrettanto aperta
quant'era ottusa quella dei loro antenati ; alle infinite superstizioni, alla pesantezza delle
concezioni, essi opponevano una meravigliosa agilità; senza dar prova di scetticismo,
essi volentieri esercitavano la loro critica su ogni genere di problemi più o meno de-
licati.
l ) K nolo che ['Inghilterra non negò mai, ma non pagò neppuv mai tale debito, ohe cogli interessi ammonta oggi
;id un bel numero di miliardi, è noto pure che di quando in quando, gli eredi dei prestatori fanno ancor valere i loro
diritti. — La storia dei banchieri fiorentini del medio evo renne scritta da un Peruzzi india Storia del Commercio e dei
Banchieri di Firenze.... dal 1800 al IH4~> (Firenze, 18(jH),
FIRENZE. - CENNI STORICI.
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Avuto riguardo alla letteratura, tale secolo conta nel suo attivo una serie d'avve-
nimenti di primo ordine: i capolavori di Dante e del Petrarea; la redazione delle Cro-
nache del Villani; la fondazione dell'Università di Pisa (1309) e quella dell'Università
di Firenze (1320); la composizione del Dittamondo di Fazio degli Uberti Ci .'540), e del
Deeamerone del Boccaccio (1353); la nomina del Greco Emanuele Cri sdora alla cat-
tedra di greco nell'Università fiorentina (139G); i dotti colloqui riuniti sotto il titolo di
Paradiso degli Alberti.
Da quest'epoca Firenze possedeva tutti gli elementi per assicurarsi la supremazia nel
campo delle lettere: non le mancava più che la presenza dell'uomo di genio (die mor-
morò iter tutta la sua vita contro la sua ingrata patria (soltanto nel 1351, questa gli rese
i suoi beni e i suoi diritti). Se il Petrarca, invece di andar e venire tra Padova ed
Uno sposalizio a Firenze nel quattrocento (da un cassone della Galleria dell'Accademia).
Avignone, avesse stabilito il suo soggiorno sulle rive dell'Arno, il fatto del Rinascimento
in Toscana si sarebbe compiuto quasi un secolo prima.
Per l'arte, il secolo XIV non è meno animato, ne meno fecondo. 1 ) Ciò che gli dà un
sapore sì vivo, è il suo incessante ritemprarsi nelle lotte della vita pubblica, ed eziandio
nelle preoccupazióni della vita domestica; senza rinunciare alle alte creazioni idealiste,
esso ricava un certo clie di piccante dal suo contatto coll'attualità. Ora la Repubblica
decreta che si ponga nel duomo, in onore di Pietro P'arnese (morto nel 1361) un sar-
*) Se ne può giudicare da alcune date: Continuazione dei lavori del Duomo, di Santa Croce, di Santa Maria
Novella. — Porta di bronzo nel Battistero, di Andrea Pisano (1330). — Il campanile di Giotto (13:34). — Chiesa di
San Bartolomeo a Monteoliveto. — Ricostruzione d'Or San Michele (1336). — Certosa di vai d'Em.i (1341). — Fonda-
zione della corporazione dei pittori di San Luca (1350). — Loggia del Bigallo (1352-1358). — Loggia del Palazzo dei
Priori (ì'd'A). — Tabernacolo d'Or San Michele (1359). — Loggia dei Lanzi (cominciata nel 1374). — Decreto che
ordina d'innalzare nel duomo dei monumenti ad Accursio, a Dante, a Petrarca, a Boccaccio e a Zanobi della Strada
(1396); disgraziatamente un tal decreto non ebbe seguito.
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FIRENZE E LA TOSCANA.
cofano in legno, sii cui il capitano venga rappresentato sopra un mulo, essendogli stato
ucciso il cavallo durante la battaglia; ed ora ricusa ai Q miratesi l'autorizzazione di or-
nare coi loro stemmi la facciata della chiesa di Santa Croce, ch'essi contribuirono ad
edificare. Poi sono le ignominiose ettigic dei traditori dipinte sui monumenti pubblici, o
la cacciata del duca d'Atene (1343), rappresentata sotto forma di caricatura. La stessa
arte religiosa ha a che fare coi crucci dell'epoca: la frequenza delle immagini di san Se-
bastiano si collega periodicamente all'apparire della peste.
L'industria non avea nulla da invidiare alle lettere e alle arti. L'ordine degli Umi-
liati, fondato in Lombardia nell'XI secolo e introdotto a Firenze nel 1239, diede un im-
pulso così vivo alla fabbrica delle stoffe di lana, che nel 133G-1338 si contavan più di
201) opifici, che fabbricavano da 70 a 80 000 pezze, d'un valore di 1 200 000 fio-
rini d'oro, e impiegando più di 30 000 persone. Nella stessa epoca la fabbrica di stoffe
di seta occupava ben 83 opifici.
Completiamo la nostra statistica con alcune cifre: in questo stesso anno 1338, su
circa 90 000 abitanti, Firenze ne contava 25 000 esercitati nel mestiere delle armi. 11
prodotto della gabella s'elevava a più di .'500 000 fiorini d'oro; l'eccedente delle spese
veniva coperto col mezzo d'imposizioni straordinarie. La Moneta (la Zecca) coniava sin
400 000 fiorini d'oro all'anno. Finalmente il numero delle chiese era di 110, e quello degli
spedali saliva a 30. ^
Il secolo XV è reso celebre da un fatto rimpetto al quale ogni altro impallidisce: il
governo dei Medici e la concentrazione in tali abili mani d'ogni forza vitale della na-
zione. 2) Quale meteora fu mai la vita di Lorenzo il Magnifico, il primo diplomatico ed
il primo poeta del suo tempo ! La sua morte non fu soltanto un lutto per le lettere e
le arti, ma con questa cominciarono per Firenze tutte le calamità, ch'egli solo avrebbe
saputo scongiurare.
Dopo ciò non dobbiamo più ricercare, dal lato della storia politica, le manifestazioni
dell'attività fiorentina, ma unicamente dal lato delle cose intellettuali. Malgrado il vivo
splendore del secolo XIV, questo viene, s'è possibile, eclissato dal XV; Firenze, pre-
parata e avviata magnificamente, si mette alla testa del nuovo indirizzo degli studj. Co-
simo, il padre della patria, suo figlio Pietro, suo nipote Lorenzo il Magnifico, riuniscono
attorno a se quanto ha di più grande l'Italia tra i filosofi, i letterati e gli scrittori
eminenti; essi assicurano il trionfo degli studi classici e della filosofia platonica, men-
tre con raro esempio di tolleranza rimettono contemporaneamente in onore la poesia
italiana troppo a lungo sacrificata al latino.
Finalmente in quest'epoca, in grazia degli sforzi di Cohiccio Salutati, di Leonardo
Bruni, di Carlo Marsuppini, di Niccolò Niccoli, a cui s' aggiunsero il Poggio, Ambrogio
il Camaldolese, e molti altri, Firenze trionfa nel campo dell'umanesimo, cioè nella lette-
ratura latina e nei diversi rami dell'erudizione classica. I bibliofili, i librai, i copisti fio-
rentini consolidano tale preponderanza, che non lascia più dubbio ad alcuno. Non si può
dire clic per questo gli ellenisti stranieri non trovassero un'accoglienza benevola. Leonzio
y ) Reimont. Tavole cronologiche, p. 14-15.
2 ) La storia dei primi Medici occupò seriamente in questi ultimi anni un erudito francese, Gian Giacomo Armin-
gaud (1841-1889), col quale mi compiaccio d'aver passato a Firenze molti mesi, e la cui memoria mi sarà sempre ca-
rissima, tanto pel suo buon umore come per la sua rara coltura ed erudizione. La messe dei documenti raccolti da Ar-
mingaud era già abbondantissima, allorché la morte lo colse, nell'età ancor fresca di quarantotti' anni. 11 suo lavoro
incompiuto, diflii'ilini'iite troverà un editore, appunto per la sua mole. 11 totale delle copie e dei documenti da lui riu-
niti, soltanto su Cosimo il Vecchio, ascendeva a circa sooot) pagine!
FIRFXZF. -
CENNI STORICI.
Pilato. Crisolora, Francesco Filelfo, Lascari
ne fainn» testimonianza. Ma la colonia toscana
non tarda ad acquistare una tale superiorità,
da poter far a meno di qualsiasi ingerenza,
od importazione. I nomi dei rappresentanti la
nuova generazione, L. B. Alberti, Manetti,
Poliziano. Marsilio Ficino, Pulci, Landino,
Pico della Mirandola, fiorentino d'adozione,
personificano tale espansione incontestata.
Sotto l'impero dei modelli dell'antichità,
il sentimento della superiorità dei contempo-
ranei non si fa più strada che raramente.
P)cncdetto Accolti (1315-14GG) discute se-
riamente simile questione, tanto dal punto di
vista militare, come dal punto di vista reli-
gioso e letterario. Il suo interlocutore afferma
clic gli antichi erano superiori nell'arte della
guerra ; egli rimprovera ai suoi contempo-
ranei delle pratiche religiose in contraddizione
colla loro condotta: secondo lui essi onorano
Iddio soltanto colle labbra, ecc., ecc. Accolti non oppone a simili accuse che dei debo-
lissimi argomenti. l)
Del resto questi umanisti non edificano certo i loro contemporanei colla dolcezza del
carattere, e l'urbanità dei modi. Le querele di Poggio con Filelfo, con Valla, con
Giorgio di Trebisonda, e Alberto di Sarteano, quelle di Niccolò Niccoli con Leonardo
Bruni, di Valla con Fazio, e tanti altri non vennero oltrepassate in violenza negli an-
nali della polemica letteraria. Divisi tra loro, i Latinisti facevano ordinariamente causa
comune contro i Grecisti, che alla lor volta dividendosi in due campi, cioè in aristote-
lici e in platonici, essi davano l'esempio d'un' eccessiva grossolanità.
Nelle arti la stessa esuberanza di forze e gli stessi trionfi, se non la stessa agi-
tazione.
L'architettura rinnovasi sotto l'impulso potente del Brunellesco ; quest'artista di
genio improvvisa uno stile nuovo, a seconda dello stile classico; solo, senza precursori,
come senz'ausiliarii, egli risuscita il vasto complesso delle regole dell'arte
dell'edificare, quali l'avevano costituite i Romani.
A sua volta la scultura prende il suo slancio con Donatello, l'amico
di Brunellesco. Qui il problema è più arduo ; mentre Brunellesco aveva,
quasi con un sol tratto di penna, soppressa l'architettura gotica, gli scultori
del suo tempo si trovavano di continuo costretti ad aver rapporti coi loro
Giuliano delledici immediati predecessori, che aveano concesso tanto spazio al realismo. Lo
museo di Berlino), stile da essi creato si fondava nel suo complesso sullo studio dei modelli
antichi e su quello della natura. Ma ho già tentato a diverse riprese
d'indicarvi quale fosse tale magnifica fioritura senza pari; il lettore mi scuserà se mi
limito qui a ricordare soltanto dei nomi, i quali però da soli sono abbastanza eloquenti.
') Gaietti. Philippi Villani Lib<r de Civifatis Florentioe famosis civìbus. Firenze, 1S47, p. 104-12S.
Il Petrarca (da una miniatura del 400).
200
FIRENZE E LA TOSCANA.
Allo slancio intellettuale corrisponde la prosperità industriale e commerciale. Le
banche fiorentine si stendono da Bruges sin al Cairo; le sete fiorentine si esportano
ovunque può approdare un vascello. La scoperta del segreto della tintura per mezzo
dell' oricello, d'onde prese il nome la famiglia che lo diffuse — cioè gli Oricellari o
Ruccellai — concorre non poco alla prosperità degli opifici fiorentini.
Non intendo con ciò sostenere che lo spirito del Rinascimento abbia avuto parte
in tale propaganda: l'esempio delle Fiandre e dell'Inghilterra sì a lungo estranee alla
cultura classica, mi darebbe una solenne smentita. Ma poniamo per un po' il problema
sotto un'altra forma: il Rinascimento, come non ho cessato di proclamare, comprende
due fattori, l'uno l'iniziativa sotto tutte le sue forme, l'altro
il rigore dei metodi e la sicurezza del gusto, sviluppati al
contatto dell'antichità: ora è uno di questi fattori che ha as-
sicurato a Firenze i suoi numerosi successi nel campo degli
affari , come l' altro le ha assicurato la sua supremazia nel
campo intellettuale.
^8
Col secolo XV l'astro fiorentino raggiunge il suo zenit,
per declinare poi quasi subito. I nomi di Leonardo da Vinci,
di Michelangelo, di Macchiavelli, per non citare che i più glo-
riosi tra i celebri , riassumono , portandolo al suo apogeo , il
lungo sforzo delle generazioni anteriori. Nel campo politico ,
questo secolo di concentrazione e di riorganizzazione conta pure
molte pagine splendide o patetiche: l'elevazione di tre Medici
al trono pontificio, il matrimonio d' un' altra Medici coli' erede
della corona di Francia, l'assedio del 1529-1530, l'as-
sassinio del duca Alessandro , il suicidio di Filippo
Strozzi, la presa di Siena, la nemica ereditaria, la morte
tragica del duca Francesco e di Bianca Capello e
tanti altri drammi o trionfi. Anche la prosperità
materiale si mantiene ancora per qualche tempo : i
h banchieri, i commercianti e gli industriali fioren-
v';} tini continuano, sin verso la fine del secolo, a figu-
rare sul mercato europeo. E se consideriamo la
letteratura o l'arte, quali dolci spettacoli vi riscon-
treremo! Dei principi magnifici che chieggono ad
un poeta o ad un artista l'immortalità, e degli amatori senz'altra ambizione che quella
di vivere oscuramente presso un uomo, come Taddeo Taddei e Lorenzo Nasi che amavano
con tanta tenerezza il giovane Raffaello !
Non si vide nei costumi fiorentini di quell' epoca che la violenza delle passioni ,
le tragedie domestiche della casa dei Medici, e gli attentati d'un Benvenuto Cel-
imi.^ Se penetriamo nell'intimità delle famiglie patrizie o borghesi, lo spettacolo cambia:
4th V
Calice con ceselli e smalti di Andrea Arditi
(secolo XIV. Antica raccolta Spitzer).
*) Molte circostanze favorirono gli attentati contro le persone: da un lato l'abitudine ognor più diffusa di portare
le armi, abitudine sconosciuta ai pacifici borghesi del XV secolo, o d'altra parte l'impunità assicurata agli assassini
colla molteplicità degli Stati, e la mancanza di trattati d'estradizione. Si può ammetterò che in principio fosso proibito
ai privati d'uscire armati, ma che innumerevoli eccezioni rendessero illusorie tali cautele. Dalle memorie del CeHint,
apprendiamo che nel 1535 si poteva circolare liberamente per Firenze con una spada, a patto però che fosse legata.
Nel e ir>G.>, nella stessa città, il Cellini fu autorizzato a portare delle armi. A Roma, analoga autorizzazione accor-
FIRENZE. - CENNI STORICI.
201
noi vi troviamo cioè ima divozione fervente, imita ai sentimenti della più attiva carità. Le
memorie d'un rappresentante dell'antica aristocrazia fiorentina, Fil. Rinuccini (1502), ab-
bondano di simili testimonianze ( " To gli In» perdonato, e piaccia così a Dio perdonare
a me i miei peccati. — Dio resiste agli orgogliosi e concede la sua grazia agli umili „);
come pure le lettere o le poesie di Michelangiolo. Tale era la divozione, clic nella ri-
voluzione del 1527 la città proclamò Gesù Cristo re del popolo fiorentino.
Ancor oggi, la più popolare festa di Firenze, l'incendio del Carro della Colomba, il
sabato santo, ha la sua origine in un'abitudine di divozione. All'epoca della prima crociata,
avendo un membro della famiglia dei Pazzi riportato da Gerusalemme un frammento
I Medici travestiti da Re Magi, affresco di Benozzo Gozzoli nel Palazzo Riccardi.
del Santo Sepolcro, il clero fiorentino ideò di servirsi ogni anno di questa reliquia, per
ricavarne, con uno zolfanello, la scintilla destinata a riaccendere il fuoco sacro la vi-
gilia di Pasqua. Allorché la messa è al Gloria in excelsis , e le campane della città
suonano a distesa, 1} si appicca il fuoco ad un piccolo razzo a forma di colomba, che
partendo dall'altare percorre sopra una corda la grande navata del Duomo, esce sulla
piazza, ed a sua volta comunica il fuoco ad un immenso carro, provvisto di razzi e
data nel 1558 ad uno dei servitori degli ambasciatori di Francia. {Archivio di Gori, t. IV, p. 101.) A Venezia autoriz-
zazione uguale, sollecitata nel 1562 dal figlio del Tiziano, per difendersi contro i tranelli di Leone Leoni. (Plon, Leone
Leoni, pag. 149.) l'oi questo apparato guerresco sembra sia andato in disuso. Montaigne dice che al tempo del suo pas-
saggio per Padova (1">80-I">81j nessuno portava più armi. (Viai/gio, pag. 138).
1 ) Tolgo questa notizia dalla Guida-Souvenir di Firenze, pubblicata dal Marcotti.
Firenze e la Toscana. 26
202
FIRENZE E LA TOSCANA.
d'altri fuochi d'artifizio. Un altro fuoco d'artifizio è bruciato in-
nanzi al palazzo dei Pazzi , che ancor oggi hanno il diritto di
fornire i buoi destinati al carro. I contadini dei dintorni di Firenze
| accorrono a migliaia, traendo ogni specie di pronostici da questo
| spettacolo; se il fuoco d'artifizio riesce, l'annata sarà buona, se
fallisce, i raccolti saranno cattivi. Gli ospiti più illustri si fanno
un dovere d'assistere alla festa: pochi anni or sono, essa fu onorata
dalla presenza della regina d'Inghilterra e della regina di Serbia.
Il granduca Ferdinando II
de' Medici. Firenze, patria del Rinascimento scientifico, letterario ed ar-
tistico, avea attinto in questo gran moto la ragione della sua
esistenza ; 1} essa perde la sua supremazia allorché nuovi principi tentano farsi strada.
Sino al XIII secolo era stata eclissata dalla sua rivale e vicina Pisa, a partire del XVI
essa diviene tributaria delle nazioni estere, più giovani e più ardenti.
I Medici del XVII secolo continuarono del resto l'opera dei loro antenati del XV.
Persuasi che il principio del loro dominio, la giustificazione della loro usurpazione non
era il diritto del più forte, ma i servigi resi alla civiltà ed il culto delle cose in-
tellettuali, essi si dimostrarono infaticabili nella creazione d'istituzioni destinate all'in-
segnamento, nello stabilire nuove vie di comunicazione, nel prosciugamento delle paludi.
Disgraziatamente il genio fiorentino s'era esaurito per lo stesso eccesso della sua fe-
condità ; l' indolenza , il ristagno erano succeduti all' attività febbrile che distingueva
per 1' addietro la capitale della Toscana. La corrente che anima e riscalda le opere
dello spirito, simile al Gulf Stream, s'era stornata dall'Italia : se l'applicazione rimase,
vi mancò l'ispirazione. La sonnolenza non fu interrotta un momento che dalle celebri
scoperte di Galileo, dall'apparire del Lulli e del Filicaja.
In quest'epoca (o per esser esatti nel 1G88-1G89), Firenze, secondo Misson, nel suo
Nouveau Voyage en Italie, conteneva nelle sue mura 8 800 case, 22 ospedali, 89 con-
venti, 84 confraternite, 152 chiese, 18 gallerie dei mercanti, 72 camere di giustizia,
G colonne, 2 piramidi, 4 ponti, 7 fontane, 17 piazze e 160 statue pubbliche.
Ad onta di tante rarità, non pare che il soggiorno di Firenze passasse in quell'epoca
per un soggiorno piacevolissimo. Lo stesso Misson ci dipinge la città come " molto
malinconica, per le persone abituate a gustare le dolcezze della società. Il cavaliere D.,
aggiunge egli, " che vi abita già da anni , non sa darsi pace dei modi imbarazzati e
troppo cerimoniosi dei Fiorentini, come pure dell'invisibilità delle donne. Bisogna esser
nati in mezzo a tali costumi per non trovarli affatto strani. „
Una gentilezza ossequiosa aggiungeva artifizio ai modi di quella società. Verso
la fine del secolo scorso, secondo ciò che dice Sismondi, non si scriveva al proprio
calzolaio senza premettervi il molto illustre, come pure qualsiasi nobiluccio, o qua-
lunque ufficiale dell'esercito si sarebbe mortalmente offeso, sentendosi chiamare chiaris-
simo od eccellentissimo, mentre pretendevano tutti V illustrissimo.
Nelle Révolutions oV Italie, Edgardo Quinct ha tracciato un quadro poco lieto di quel
periodo della storia italiana : " Berteggiata dalle riforme innocenti de' Firmian, de' Ta-
nucci, a metà stordita dai veleni lenti, ma sicuri, della Società di Gesù, divertita, ap-
Il lettore troverà altrove [Storia dell'arte durante il Rinascimento) il quadro dell'attività che regnava allora a
Firenze in tutti i rami delle arti, dalla scultura e la pittura monumentale sino all'oreficeria, sino al musaico in pietre
duri' ed alla ceramica.
FIRENZE. - CENNI STORICI. 203
pena solleticata, dalle satire melodiose del Parini, l'Italia (dichiara egli) nel secolo XVII
e nel secolo XVIII non soffriva affatto di alcun male, poiché non esisteva ; senza de-
sideri, senza rimpianti, senza vedere, senza sentire, senza parlare ; era uno stato le-
targico profondo il suo. La rivoluzione francese, colla sua voce terribile, risveglia un
tal mondo addormentato. Ma risvegliarlo equivale a fargli sentire i propri dolori „
Certamente la tirata è eloquente. Ma la situazione dell'Italia e della Toscana non
potevasi paragonare a quella della Francia. Quest'ultima soffriva orribilmente in quel-
l'epoca; le imposte schiacciavano il popolo ; l'arbitrio teneva ovunque luogo di legge.
All'incontro, per ciò che riguarda la Toscana, i viaggiatori sono tutti d'accordo nel lo-
dare la dolcezza del governo granducale, 1} la beneficenza e l'affabilità dei sovrani, il
loro liberalismo, la facilità della vita. ' 2>
Napoleone I, abituato a disporre a suo
talento delle nazioni , tolse la Toscana ai
principi della casa lorenese d'Austria, di-
venuta estranea alla Francia , per conce-
derla ai principi del ramo spagnuolo dei
Borboni, alla Francia non meno estranei.
E noto come, ristabiliti nel 1815, gli
ultimi granduchi sieno stati definitivamente
sbalzati dal trono nel 1850.
Dal 18(35 al 1870 l'antica metropoli
della Toscana servì di capitale all'Italia
finalmente unita. Per rendersi degna di
quest'onore, la popolazione s'impose sacrifizi
tali da compromettere gravemente le finanze
municipali. Furono intrapresi immensi la-
vori edilizii ; sorsero nuovi quartieri; la
splendida passeggiata del Viale dei Colli
cinse tutto il perimetro meridionale della
città con una triplice fila di cipressi e di
verdi quercie.
Un nome s'associa per sempre al ricordo
della trasformazione di Firenze moderna, e
sarà pronunciato con gratitudine sin nelle più
remote generazioni: il nome cioè di Ubal-
dino Peruzzi, ministro dei lavori pubblici nel regno d'Italia dal 18G1 al 18G2 e sindaco di
Firenze dal 1808 al 1878. Questo sommo concittadino fu l'anima di tanti giganteschi lavori.
Si deve pure alla sua ardente iniziativa la riuscita delle feste di Michelangelo (1875),
del centenario di Donatello e del completamento della facciata del Duomo (1887), che attras-
sero tutta l'Europa artistica alla culla venerabile dell'arte moderna. Soddisfo inoltre come
privato ad un debito di riconoscenza rendendo omaggio alla memoria di U. Peruzzi, che rap-
presenta per me il tipo dell'ospitalità più cordiale, e della conversazione più istruttiva. 3)
ì ) L'esercito non ora meno felice. I 6000 uomini che lo componevano ricevevano quotidianamente 21 denari, una
libbra e mezza di pane, legna e lume; ogni due anni si concedeva loro un paio di calzoni ed una giubba, ogni cinque
anni una tunica (Volkman, t. I, p. 662).
2 ) Alla fine del secolo XVIII, Firenze servì di residenza alla contessa d'Albany, vedova del pretendente, ed al suo
amico del cuore, l'Alfieri ; poi ad Ugo Foscolo.
3 > Nel mese di maggio del 1895, i capolavori di cui Firenze va a buon dritto superba, furono per un istante in
Ritratto di Bianca Cappello (Uffizi).
204
FIRENZE E LA TOSCANA.
IL
Passeggiata d'orientamento. — Firenze antica e Firenze moderna. — I quartieri vecchi. — Il Mercato Vecchio
e il Ghetto. — Il Ponte Vecchio.
La cornice in cui sta Firenze è degna del quadro. Non v'ha nulla che eguagli la
bellezza e la varietà del sito ; è un misto insuperabile di nerezza e di grazia, un con-
trasto de' più pittoreschi tra la pianura e la montagna, tra il marmo bianco di Carrara
e la pietra turchina particolare alle cave di Fiesole. : > Ovunque, sulle rive dell'Arno,
La via dei Cerretani.
come sulle alture , delle ridenti ville dipinte di giallo , con persiane verdi o grigie ;
talora anche un monastero o un castello animano il paesaggio. Nelle belle sere d'estate,
l'aria è d'una trasparenza che lascia indovinare sin le minime ondulazioni del terreno.
Fra la Porta alla Croce e Campiobbi, la pianura, sia all'alba, sia al tramonto, disegna
un vasto giardino, un vero paradiso terrestre. Più lontano, dal lato d'Arezzo, il velo
d'acqua formato dall'Arno (che si divide qui in due braccia), la riva e le colline che lo
coronano possono gareggiare coi punti più pittoreschi del lago di Zurigo.
pericolo, causa un terremoto. Per fortuna nessun monumento importante ebbe a soffrirne ; i guasti si limitarono, salvo
eccezioni, alle ville dei dintorni. (Vedi nel Temps, del 24 maggio 181*5 e nella Chronique des Arts. dello stesso anno,
p. 243-244, gli articoli di Gerspach.)
Chiamasi pietra ili macigno, una specie d'ardesia che comporta due specie: la pietra bigia, di un grigio gial-
lastro, e la pietra serena, o colombina, o turchina, d'un grigio azzurrastro. Quanto al mattone, non brilla qui che per
la sua assenza.
L' i n t er n o di Ponte Vecchio
206
FIRENZE E LA TOSCANA.
Però il viaggiatore rimane deluso non appena metterà piede a terra : la stazione di
Firenze non ha nulla di monumentale , essa appartiene ad un ordine che si potrebbe
chiamare " disperso „ ; nessuna idea dominante riunisce le costruzioni che la com-
pongono.
La galleria, che serve di sala d' aspetto, contiene il buffet condotto dai famosi
Doney e nipoti. Nel centro sta il busto di Vittorio Emanuele, sostenuto da un'aquila;
più lontano i busti di Michelangelo, del Boccaccio, del Tasso, poi le eterne Danzatrici
del Canova. (Non sarebbe opportuno aprire una sottoscrizione internazionale per riscat-
tare e far sparire per sempre tutti questi esemplari di mostruosità provocanti ?) La fiso-
nomia più caratteristica della stazione era rappresentata per l'addietro dalla vecchia fioraia
col colossale cappellone di paglia, che ha
accompagnato tante generazioni di viaggia-
tori, ed ha augurato tanti " buoni viaggi „ ;
F ultima volta che la vidi camminava colle
gruccie. Poi è partita anch' essa , ma per
un viaggio senza ritorno.
E necessaria una passeggiata d'orien-
tamento prima di varcare la soglia di tante
chiese, o di tanti celebri palazzi.
Firenze forma un poligono che l'Arno
taglia in due parti disuguali. Sulla riva
destra, la parte antica, sulla riva sinistra
una specie di sobborgo, ma un sobborgo
che conta monumenti quali il palazzo Pitti,
le chiese di Santo Spirito e Santa Maria
del Carmine. Le strade,, anche le più an-
tiche, colpiscono per la loro estrema re-
golarità: egli è che in queste città italiane
l' edilizia , compenetrata dei veri metodi
scientifici , s' era molto presto dedicata a
rendere le comunicazioni facili quant' era
possibile. Eppoi , non dimentichiamolo ,
siamo in pianura ; nessuna irregolarità di
terreno avrebbe giustificato i giri ed i dedali tanto soliti nel medio evo e nelle città
di montagna.
Per fortuna, anche restando sulla riva destra soltanto, una quantità di strade offre
magnifiche viste sulle alture di Fiesole, che, non ostante la distanza, concorrono non
poco alla bellezza di Firenze.
L'arteria principale, che divide Firenze in due metà quasi eguali, parte dalla Porta
San Gallo, per metter capo alla piazza della Signoria, ed è la via Cavour, 1' antica
via Larga, che dopo la piazza del Duomo prende il nome di via Calzajoli. Dei viali
si stendono sul posto dell'antica cinta e disegnano a perdita d'occhio le loro larghe ed
elegantissime curve. Sulle due rive dell'Arno si stendono degli ampi Lungarni; questi
non vengono interrotti sulla riva destra che dal lato del palazzo degli Uffizi, ove sono
sostituiti da una via parallela ;il fiume, e sulht riva sinistra tra il Ponte Vecchio e il
Mercato Vecchio, or demolito.
FIRENZE. - IL MERCATO VECCHIO.
207
Ponte Santa Trinità. Una mezza dozzina di ponti, dei quali quattro di pietra, due di
ferro, congiungono le due rive.
Ciò che manca a Firenze, come alla maggior parte delle città d'Italia, b un fiume
degno di essa, un fiume cioè di limpide aeque, d' un eorso maestoso. In estate l'Arno
trascina più ghiaia che non contenga aequa, e quando parlo d' acqua intendo non un corso
regolare ma delle pozzanghere di fango liquido, della vera melma. Poi tutt'ad un tratto
questo fiume ineschino, sprezzabile, impotente nove mesi su dodici, si trasforma in un
impetuoso torrente, spumeggiante, iroso che travolge tutto quanto sta sul suo passaggio.
Firenze è anzi tutto città moderna, piena di luce e di comodità, e il forestiero, or-
Mercato Vecchio prima della sua demolizione.
dinariamente frettoloso e perciò molto spesso superficiale nelle sue osservazioni, può
persino ritenerla una città eminentemente internazionale, il che è quanto dire volgare;
ma s'egli volesse darsi la pena d'investigare, di approfondire meglio le cose, quante
rispettabili tradizioni, quanti pietosi costumi non vi incontrerebbe !
Egli è che Firenze ha risolto il problema dell'architettura moderna : s'è attenuta cioè
alle tradizioni locali, adattandola ai nuovi bisogni. Le sue eostruzioni sono leggiere,
fiere e graziose ad un tempo ; le costruzioni più moderne hanno conservato lo stile
antico, tranne che nella Banca Toscana, a Poggio Imperiale, e in qualche altro edifizio,
in modo che 1' armonia generale non n' è distrutta. Nulla di pesante ne di massiccio,
ovunque un'idea chiara e arrendevole. Percorrete un po' i quartieri nuovi che trovansi dal
lato del corso Vittorio Emanuele, o dal lato del viale Principe Amedeo; essi sono stu-
208
FIRENZE E LA TOSCANA.
pendi, quali nessun' altra città moderna possiede gli uguali ; in mezzo ai giardini stanno
dei monumentali palazzi di pietra grigia o gialla con sobria e ben intesa decorazione.
Per evitare le ripetizioni, definirò, una volta per sempre, il sistema delle strade
fiorentine: cioè quelle vie rettilinee, uniformi, lastricate invece che selciate, coi loro
stretti marciapiedi, colle case giallognole a persiane verdi. I materiali di costruzione
sono magnifici ; nulla di più decorativo di questa bella pietra d'un grigio ferro, che si
usa anche per le colonne, per gli stipiti delle porte e le cornici delle finestre. Le decora-
zioni interne, cominciando dal vestibolo, sono meno felici ; v'abbondano i verdi acqua, i
turchini grigiastri, mentre il rosso pompeiano vi manca assolutamente : il che deriva
dall'essere gli appartamenti in genere poco
rischiarati, e perciò dal bisogno di ricor-
rere per maggior luce ai fondi chiari.
Il passato non s' impone che in due
luoghi : il Mercato Vecchio , col Ghetto e
il Ponte Vecchio. Intraprendiamo un'escur-
sione in queste venerabili regioni di cui
una, mentre scrivo, non è già più che una
memoria. 1}
Il Mercato Vecchio si stende (o meglio
si stendeva) nel cuore stesso di Firenze,
a due passi dal Battistero e dalla piazza
della Signoria. Dietro ad un tal movimento
tutto moderno, dietro a tali preoccupazioni
d'ordine il meno elevato ed essenzialmente
d'attualità, dietro ad un simile paravento
di materialismo, si nascondono i ricordi
storici che formano la gloria della città.
Se non si considerano che i poponi ed i
finocchi, potete credervi nell'Italia contem-
poranea ; ma scavate un po' il terreno e
vi ritroverete le rovine del Campidoglio e
del Foro.
Più tardi il Mercato Vecchio servì di
asilo agli Ebrei 2) e formò un Ghetto ana-
logo a quelli di Venezia e di Roma. L'associazione israelitica che ne prese possesso riunì
le une alle altre tutte le parti del quartiere, per mezzo di corridoi interni, in modo
che in caso d'assalto gli abitanti potessero rifugiarsi da un punto all'altro, all' insa-
puta degli assalitori. In seguito, molti ladri profittarono di tale disposizione per sot-
trarsi alle ricerche della polizia.
La sera il mercato è fantastico e spaventoso ; quelle vie strette, dai lumi scarsi e
fumosi, con taverne profonde, formano uno spettacolo impressionante. Però rassicura -
1 > Per la storia del Mercato Vecchio, consultate il volume pubblicato nel 1884 da Guido Carocci.
2 ) (ili Ebrei avevano ottenuto nel 1430 il permesso di stabilirsi a Firenze, ed esercitarvi l'usura coli' interesse
massimo di 4 denari per ogni lira. Essi non tardarono ad arricchirsi. Si afferma che allorché furono espulsi, nel 141»"),
avessero guadagnato in circa mezzo siculo un 50 milioni di fiorini (Reumont, Tavole Cronologiche, 1430). Ci dev' es-
sere però dell'esagerazione. Richiamata la colonia, in capo ad alcuni mesi, non raggiunse più l'antica grandezza ; nel LG22
non contava chi' 49ó membri ; nel 17(i7, Che differenza dalla colonia israelita di Livorno!
Altra veduta del Mercato Vecchio.
FIRENZE. - U, GHETTO.
209
fcevi : ognuno può aggirarvisi a qualunque ora del giorno e della notte senza nessun
timore e pericoli» di venir disturbato.
Il Ghetto e il Mercato Vecchio " furono „; da dieci anni se ne intraprese la demo-
lizione per causa di insalubrità. Fu nuovo quartiere ne ha preso il posto !
Dal Mercato Vecchio giungiamo in qualche secondo al Mercato Nuovo, un porticato
elegante costruito nel secolo XVI da G. B. del 'Passo. Soffermiamoci un istante nella via
ili " Por San Maria ... Se la sua chiesa Santa Malia sopra Porta. la cui campana an-
nunciava le spedizioni militari, è scomparsa nell'incendio del 1304, più d'una delle sue
L'antico Ghetto.
ease fu testimonio d' un tatto celebre negli annali fiorentini ; l'assassinio di Buondel-
ì HMite (1215), t he diede origine alle fazioni guelfe e ghibelline.
Di quando in quando vediamo ancora qualche torre del medio evo, che, già in nu-
mero di centocinquanta, furono rase nel 1250 all'altezza di cinquanta braccia, poi nel
corso dei secoli demolite per lasciar posto a dimore meno feroci.
La via l'or San Maria sbocca direttamente sul l'onte Vecchio, altro ricordo vi-
vente della Firenze d'altri tempi. Fiancheggiato da negozi come per l'addietro il Ponte
Nuovo di Parigi, il Ponte Vecchio è il Palais-Royal di Firenze, intendo dire la sede dei
chincaglieri, gioiellieri e negozianti di musaici. Ma la rassomiglianza si limita a que-
st'anormale riunione, in uno spazio sì limitato, di tanti commercianti rivali tra loro. Le
mostre fiorentine non hanno nulla della grandezza di quelle parigine; sono fatte spe-
Firenze e la Toscana. 27
210
FIRENZE E LA TOSCANA.
cialmente per le classi medie, e pel popolo. Se non m'ingannai, il "doublé,, v'occupa un
posto piìi importante dell'oro purissimo; le pietre false sono in numero maggiore dei bril-
lanti; ciò non toglie però che tutto quest'orpello e questo vetrame non abbiano anch'essi
la loro seduzione infinita. 1 '
in.
Il Battistero e il Rinascimento del XII secolo. — Le Porte di bronzo : Andrea da Pisa e Giiiberti. — I Musaici
bizantini. — La Tomba di un ex-papa.
In questa rivista di ricchezze fiorentine, un gruppo di monumenti s'impone a noi tanto
per la sua antichità, come per la sua importanza nella storia dell'arte; questo gruppo
situato nel cuore dalla città si compone, come a Pisa, del Duomo , del campanile
e del Battistero ; non ci manca che il Camposanto per completare tale straordinaria riu-
] ) Bisogna aver visitato l'Italia per darsi un'idea delle infinite risorse che i marmi di colore offrono alla decora-
zione, e dei godimenti ch'essi procurano alla vista. I musaici esposti nelle vetrine del Ponte Vecchio c'iniziano ai trionfi
effettuati da quest'arte nelle cose piccole; gli armadi, le mensole e i tavolini, gelosamente conservati in tanti palazzi
reali, ci dimostrano la loro applicazione in lavori monumentali. Grazie all'abbondanza ed alla varietà dei suoi marmi,
l'Italia è la patria predestinata dei musaici. Essa ha sempre preferito un tal genere di lavoro in tutti i suoi rami,
dall'infinita varietà degli intarsi in pietra sino al musaico in vetro, non parlando poi del musaico in stucco. Poi, esten-
dendosi, ha inventato l'intarsio in legno, che conta vere meraviglie dalle Alpi all'Etna. Il solo intarsio in metallo e in
tartaruga le rimase sconosciuto.
Com'è noto, il musaico fiorentino si compone di pietre di colore, mentre il musaico romano e il musaico veneziano
hanno per base le paste di vetro.
Quest'industria, ancor oggi così fiorente, risale ai principi del Rinascimento. L'arte d'incidere e di scolpire le
materie più resistenti, l'arte della glittica, per chiamarla col suo vero nome, era infatti molto diffusa a Firenze
dopo il secolo XV. Fra gli altri, Donatello ritrovò, a quanto affermasi, il segreto di lavorare nel porfido. Al principio
del secolo seguente, una pleiade di maestri celebri, quali Giovanni delle Corninole, i Pier Maria di Poscia, indi i Valerio
Vicentino ed altri, eseguirono pei Medici una splendida serie di carnei o d'intagli di vasi in cristallo di rocca, ecc.
Ma non fu che più tardi, pare, che s'affermò l'arte di "commettere,, (d'onde il nome di commesso) i marmi in modo
da formare con questi i disegni più variati. Tale procedimento derivava del resto esso pure dall'antichità classica: era
Vopus sedile dei Romani, di cui ci fanno conoscere la perfezione estrema alcuni frammenti scoperti a Roma, al Pala-
tino e nella Basilica Siciniana.
Una manifattura pubblica servì per tempo di scuola all' industria del musaico fiorentino. Questa manifattura
(Regio stabilimento di Pietre durcl ha una storia antichissima e veramente brillante. Fondata nel secolo XVI, non
cessò mai di creare i più ricchi mobili. Una delle sue prime imprese fu la decorazione della celebre cappella dei Prin-
cipi, detta delle Pietre dure, nella chiesa di San Lorenzo.
Nel secolo seguente, l'industria del musaico occupava numerosi operai. Il marchese di Seignelai, che visitò Fi-
renze nel 1671, contò trentatrè negozi, e ammirò delle tavole lavorate pel corso di dieci o dodici anni, come pure delle
statuette di diaspro che non si potevano eseguire che in setto od otto anni di lavoro. Parecchie di queste tavole ve-
nivano stimate 1D00 scudi (forse 30 o 40,000 franchi!)
Notiamo la parte presa, sin dal principio, dagli artisti francesi, nei lavori della manifattura fiorentina. Tra
il 1574 e il 1609, lo stabilimento granducale occupava due francesi Guglielmo di Martre, e Daniele Murvallc. In se-
guito divenne, per più d'un secolo, quasi il feudo d'una dinastia francese: i Siriòs, oriundi di Figeac (Lot.). Luigi
Siriès ne fu nominato direttore ne] 1749; ebbe por successore suo figlio Cosimo nel 1759, che a sua volta fu seguito
nel 17H!) da suo figlio Luigi il giovane: l'ultimo rampollo della famiglia, Carlo, presiedette ai destini della manifattura
dal 1K12 al 1854. Avrei mancato ad un dovere sacrosanto per ine non rendendo omaggio, almeno alla sfuggita, a que-
sti maestri che rappresentarono con intelligenza, sulle rive dell'Arno, la tradizione della scuola francese, e hanno lavo-
rato per parte loro all'anione delle due grandi nazioni.
Nei musaici fabbricati dall'industria privata, ordinariamente lo stesso motivo si ripete all'infinito, ma essendo sem-
plice e grazioso non stanca; si tratta d'una rosa sola, o unita ad un mughetto, o ad un miosotide, poi dei fiori più
ricchi, il fiordaliso (in lapislazzuli), delle magnifiche fucsie rosse. Fiori e mazzetti sono eseguiti con un'arte perfetta;
le gradazioni sono assortite con una scienza delicata. Talora ai mazzolini si alterna un frutto e un uccello, senza
guastare l'estetica. Ma qui s'arresta il limite estremo delle nostre concessioni ; allorché i musaicisti fiorentini tentano
FIRENZE. - IL BATTISTERO. 211
nione di capolavori. Ma se Pisa, la città raccolta c sonnolenta dei morti, ha la specialità
di risvegliare delle impressioni funebri, a Firenze, ove tutto è vita e movimento, lo spet-
tacolo dell'eterno riposo sarebbe una stonatura. "Lasciate i morti sotterrare i loro morti. „
Il Battistero è la pietra angolare del vasto e splendido complesso d'arte, che innalza-
rono qnattro secoli di lavoro infaticabile e d'elevata ispirazione. Esso appartiene al lima-
li Battistero.
scimento inaugurato dalla Scuola pisana, un Rinascimento talora così presso all'anti-
chità, come quello a cui si connette il nome di Brunelleseo.
la natura morta e in ispecie la figura umana, in una parola allorché vogliono rivaleggiare colla pittura propriamente
detta, la loro arte diventa odiosa.
Tali musaici aggiungono realmente qualche cosa al dominio dell'arte. Non esiste alcun altro mezzo che ci per-
metta di produrre dei bellissimi fermacarte, i bei cofanetti, i tavolini, dai colori smaglianti, inalterabili, eterni. (V. Zobi,
Notizie storiche dell'origine e progressi dei Lavori di commesso in Pietre dure che si eseijìnscono dall'I, e B. Stabilimento
di Firenze, 2. a edjz., Firenze, 1853),
212
FIRENZE E LA TOSCANA.
La tradizione vuole che il Battistero attuale non sia altro
elie l'antico tempio di Marte. È fuor di dubbio che a partire
dal secolo VI e VII, in questo posto s' innalzava il primitivo
Duomo fiorentino. Ma ciò che è inammissibile si è che l' edilìzio
attuale sia identico all' antico Duomo e non si capisce
come nell'anno di grazia 1884, uno degli ecclesiastici ad-
detto a questo santuario, e l'erudito sovrintendente
degli Archivi della Toscana, Cesare Guasti, ab-
biano potuto sostenere una tesi cosi inverosimile. 1;
11 Battistero nelle sue parti principali data
dal XII secolo e non dal III o dal IV; per lo
meno fu completamente rinnovato nel medio evo.
Del resto la forma è veramente d'un battistero
e non d'un tempio pagano.
In materia di costruzione il Battistero si di-
stingue per la sua semplicità; esso disegna
un ottogano le cui pareti sostengono una cu-
pola. Sopra ogni lato, tre arcate divise in due
La Temperanza di Andrea Pisano.
(Porta del Battistero).
piani :
sull'alto tre finestre, o rettangolari, o
circolari, di sopra un attico adorno di pila-
stri. I pilastri del tondo e le colonne che
circondano le porte sono in verde di Prato. Per ornamenti, i disegni geometrici piìi
elementari.
Ma nella disposizione delle diverse parti dell'edificio, sopra tutto nelle loro propor-
zioni, gli architetti dettero prova d'una sicurezza di gusto speciale, come pure d'un
grande rispetto per l'ordine primitivo. E cosi che Arnolfo, allorché liberò la parte in-
feriore dai casolari che l'ostruivano, ha continuato rigorosamente il sistema di rivesti-
mento adottato dai suoi predecessori. L'ultimo per data, fra gli storici dell'arte, Mar-
cotti, ha giustamente fatto osservare la bellezza ditali decorazioni: la distribuzione lo-
gica dei ricci e delle cornici — verde scuro sul bianco, - - la proporzione dei detta-
gli plastici e delle cornici a ghirlande nei tre piani; al primo, pilastri quadrangolari, al
secondo, ottagonali, al terzo, pilastri scanalati.
Coll'unità della decorazione architettonica contrasta la varietà dei bassorilievi e
delle statue che ornano l'esterno; essi spiegano innanzi a noi le essenziali conquiste
della scultura toscana, dal principio del XIV secolo sino alla fine del XVI, da Andrea
Pisano sino a Ghiberti, da Andrea Sansovino sino a Rustici c Vinc. Danti.
Si vedono ordinariamente gli scultori dettar legge ai pittori. Le occasioni in cui
costoro si sien prese la loro rivincita sono troppo limitate perchè non ci affrettiamo
a farle osservare, allorché ci si parano dinanzi. È così che Ingres ebbe per allievo Si-
mart; Raffaello, Lorenzetti; Ghirlandaio, Michelangiolo, che però non l'ha troppo imi-
tato; Giotto, Andrea da Pisa.
Andrea (nato verso il 1270, morto nel 1348 o 1349) fece le sue prime armi sotto
gli ordini di Giovanni da Pisa; egli si stabilì poi a Firenze, ove con gioia seguì le
') Befani, Memorie storiche dell'antichissima Basilica di 8. Giovanni Battista dì Firenze. Firenze, 1884.
FIRENZE. - IL BATTISTERO.
2 1 3
La Forza di Andrea Pisano.
(Porta del Battistero).
dottrine di Giotto. E allo studio delle opere di quest'ultimo,
come pure allo studio dell'antico, ch'egli dovette l'emozione
contenuta, il sentimento delicato del ritmo e dell'armonia,
la purezza di stile che lo distinguono, qualità sì opposte
a quelle dell'ardente e scorretto Giovanni da Pisa.
11 soggetto trattato da Andrea pei bassorilievi
della prima porta è la Storia di san Giovanni Bat-
tista, il santo titolare del Battistero e il patrono di
Firenze. Non c'è dubbio che qualcuno non sia stato
incaricato d'elaborare il programma completo delle
rappresentazioni e d'indicare ogni cosa sino ai me-
nomi episodi, destinati ad occultare i venti com-
partimenti principali di cui si compone la porta.
Tale scelta, bisogna aggiungere, non fu t'elice;
la vita del precursore non offre scene abbastanza
interessanti, imponenti, die comportino un nu-
mero sufficiente d'attori per riempire uno spazio
tanto considerevole. E così che la parte sinistra
contiene da sola cinque compartimenti succes-
si, in cui san Giovanni è rappresentato nel
deserto (raffigurato da uno degli quegli orrendi paesaggi sassosi del medio evo); vi si
vede >an Giovanni in procinto di partire pel deserto, san Giovanni che predica nel de-
serto, san Giovanni che visita Cristo, san Giovanni che battezza, il Battesimo di Cristo.
Si può dare un motivo meno pittoresco? Ciò che aumenta l' uniformità è la totale man-
canza di preoccupazione, da parte dell'autore, di dare uno sfondo alle sue composizioni.
Per lo piìi egli stacca semplicemente le sue figure sulla superficie tutta liscia della
porta: più di rado egli inquadra la scena in un piccolo dettaglio d'architettura d'una
estrema sobrietà.
L'ornamentazione non dimostra minore riserva, si potrebbe aggiungere, minore timi-
dezza di quel talento spesso più preoccupato per ciò che si deve tacere, che per ciò
clic bisogna dire. Essa si compone di teste di leoni, di rosette e di tetraedri. Uno
scultore dell'antichità non avrebbe affettata una maggiore semplicità.
Occupiamoci, di qualche scena caratteristica.
Nel Banchetto di Erode, il suonatore di violino rammenta quello che Giotto, il mae-
stro d'Andrea Pisano, rappresentò a Firenze nella chiesa di Santa Croce ed a Padova,
nella ••.Madonna dell'Arena,,. Salome che gli sta dirimpetto ha una grazia incantevole;
è la sola occasione in cui il maestro si sia staccato dalla sua gravità abituale. Del
restro tutta la scena è mirabilmente composta; la calma di Erode e dei suoi due
commensali, collocati nel fondo, forma il più vivo contrasto eoli' animazione (relativa)
della ballerina e del suonatore. Applicando il metodo di Giotto, Andrea ripètè quasi
testualmente tale composizione nel compartimento posto di sotto, la Presentazione ad Erode
della testa di San Giovanni, colla differenza che qui il suonatore è sostituito da una
donna (Erodiade) e che Salome, invece di danzare, s'inginocchia per presentare al padre
la testa del martire.
Nella Decollazione di San Giovanni Battista, l'emozione, concentrata agisce tanto
piii potentemente. Il Santo inginocchiato, colla testa china, le mani giunte, attende con
rassegnazione il colpo fatale; il carnefice — una figura dalle membra vigorose, — bran-
214
FIRENZE E LA TOSCANA.
(lisce il ferro, con un movimento d'un ritmo e d'un'energia mirabile; due soldati romani in-
dietreggiano leggermente, per evitare lo spruzzo di sangue che li minaccia. Questo dramma,
malgrado le sue ristrette proporzioni, è d'un' animazione e d'un' eloquenza infinita. Non c'è
minor grandezza nelle Virtù Cardinali che occupano la parte inferiore della porta.
Sessantacinque anni erano trascorsi dal compimento della prima porta quando, nel 1401,
la fabbrica o l'opera del Battistero, o più esattamente la ricca corporazione dei fab-
bricanti di seta, che aveva un diritto di patrocinio sul santuario, decise d'aprire un
concorso per l'esecuzione d'una seconda porta.
La storia di questa lotta epica, cortese del pari che ardente, fu troppo spesso raccon-
tata, perch'io mi trattenga a ripeterla. E noto che sci concorrenti, tra cui figuravano
maestri del valore di Jacopo della Quercia, e di Niccolò di Piero Lamberti d'Arezzo,
furono ammessi alla prova preliminare, e che il giurì composto di trentaquattro pittori,
scultori, orefici, letterati, diede la palma a Brunellesco ed a Ghiberti; è noto pure che, per
il rifiuto di Brunellesco, Ghiberti fu il solo incaricato dell'esecuzione di questa grande
pagina, che doveva produrre una spesa di 22,000 fiorini d'oro, circa 2 milioni di
franchi all'epoca nostra.
Nei suoi Com mi litari, il Ghiberti, di cui la modestia e l'abnegazione non erano le prin-
cipali qualità, non parla del successo ottenuto da Brunellesco, e neppure della generosa
risoluzione del suo competitore; ma se io rilevo tale omissione, non vi insisto; ri-
guardo agli artisti, bisogna sempre saper distinguere il carattere dal talento.
Il concorso, come si vide, trattava d'un bassorilievo, rappresentante il Sacrifizio
cV Àbramo. Però questa scena non doveva esser collocata sulla porta : i ventotto scom-
partimenti sono tutti consacrati, non già al Vecchio Testamento, bensì al Nuovo.
I giudici del concorso furono bene ispirati, pretendendo dai concorrenti un basso-
rilievo in bronzo, e non soltanto un abbozzo in terra o in cera. Grazie a tale precau-
zione la posterità può discutere indefinitamente sui meriti rispettivi della composizione
del Ghiberti e di quella del Brunellesco. Mi affretto ad aggiungere, che innanzi ai due
bassorilievi, esposti l'uno accanto all'altro al Museo Nazionale di Firenze, qualunque
conoscitore darebbe la palma al Ghiberti.
Dopo la prova preliminare, il Ghiberti si mostrò perfettamente edotto delle risorse
della statuaria classica, come ne fa fede il torso, magistralmente modellato, d' Isacco,
che tende il petto al ferro paterno. Sin d'allora (non dimentichiamolo, siamo nel 1401,
cioè in un momento in cui l'interpretazione del nudo era ancora un mistero per tutti
gli altri scultori) il Ghiberti sapeva rappresentare il corpo umano, spoglio d'ogni vesti-
mento, con grande precisione e sicurezza. Ma non è questo il solo merito del suo bas-
sorilievo: quale nobiltà nell'atteggiamento, qual coraggio e quale rassegnazione nell'espres-
sione dell'adolescente! È l'uomo moderno, l'uomo libero, colla piena coscienza dei pro-
prii atti, e che si offre volontariamente ai decreti del destino, in luogo di subirli col-
l'impassibilità d'un Orientale.
La prima porta del Ghiberti non mantenne tutte le promesse fatte concepire dal Sacri-
fizio d' Abramo: ad ogni istante l'artista ricade sotto il giogo dei modelli gotici. Egli
evita i nudi (tranne che nel Battesimo di Cristo, la Flagellazione e la CroceJissione) : e si
compiace invece di rivestire i suoi personaggi con lunghi paludamenti, disposti secondo le
regole della statuaria gotica, e secondo le tradizioni del suo predecessore Andrea da
Pisa. Spessissimo le sue composizioni non comprendono che un sol piano, ed hanno
per fondo ora un motivo d'architettura, ora una superficie tutta unita.
FIRENZE. - IL BATTISTERO.
Questa prima porta, non mi stanco di ripeterlo, è gotica
di inspirazione e di esecuzione. Tipi, atteggiamenti, fogge di
vestire, tutto è tolto dal medio evo. Le reminiscenze antiche,
che dominano nella seconda porta, si scorgono qui a mala
pena in qualche accessorio; tali sono la disposizione della ca-
pigliatura, e la fascia che cinge il capo d'uno dei personaggi
nella Risurrezione di Cristo; tali sono ancora i fondi d'archi-
tettura, colle loro arcate a tutta centina e colle loro ghirlande
che si stendono sul cornicione. Su questi punti, del resto,
il Grhiberti si conforma alle traccie strettamente convenzionali
dei suoi immediati predecessori; un capo d'arcata, una fila
di colonne fanno le veci, ai suoi occhi, della rappresentazione
normale e completa d'un tempio o d'un palazzo; offre un sim-
bolo, una formula, non una vista inspirata dalla realtà.
La forma degli scompartimenti — una di quelle forme rigorosamente architetto-
niche come le concepiva il medio evo , così sollecito a subordinare tutte le arti al-
l' architettura. — imponeva al Ghiberti un'estrema sobrietà : egli doveva contare con
quattro contorni curvilinei, e quattro altri triangolari. Impossibile in tali condizioni svi-
luppare regolarmente le composizioni; perciò si è limitato, in parecchie scene, a due o
tre figure. Egli ridusse pure il paesaggio — e bisogna congratularsene — alla mas-
sima semplicità. Malgrado tante cause d'insuccesso, malgrado la mancanza d'aria, cau-
sata da tutti questi angoli rientranti e sporgenti, i bassorilievi hanno una vivacità, una
grazia, un'eloquenza indescrivibile.
Sui ventotto scompartimenti della prima porta, venti contengono scene della sto-
ria di Cristo. Gli ultimi otto sono occupati dalle figure dei quattro Evangelisti e dei
quattro Dottori della Chiesa. Questi, colle loro gambe incrociate ed i lunghi palu-
damenti, hanno qualche cosa di stentato e di poco spontaneo. Una cinquantina d'anni
<h»po. Donatello, vecchio ed esaurito, si compiacque egli pure di quelle forme smisura-
tamente allungate e un po' vuote. Ma ciò che si spiega nell'ottuagenario, non si com-
prende tanto facilmente nel suo giovane emulo. In altre simili figure il Ghiberti urtò contro
una grande difficoltà : volle rappresentarle sedute, viste di prospetto, ciò che ammetteva
una scienza degli scorci, che in quel momento ancora gli mancava.
Una serie di busti, in alto rilievo si staccano sugli scompartimenti e servono ad ac-
centuarli, a dar loro del movimento. Essi pure rivelano un'imitazione dello stile gotico,
che vale a dimostrare quali lotte gli scultori italiani ebbero a sostenere prima di libe-
rarsene definitivamente.
Nei suoi Commentari il Ghiberti passa oltre " sulle cornici ornate con foglie d'edera
e sui regoli ornati con altro fogliame „, che compongono la fascia della prima porta.
Questa parte della sua opera merita tuttavia un'analisi profonda e degli elogi senza
alcuna riserva. L'incorniciatura ch'egli compose per le sue due porte, come pure per la
porta d'Andrea Pisano, abbonda di disegni pieni di grazia e di freschezza, e di inimi-
tabili modelli di gusto. Lo stile ne è franco, puro e preciso; ogni fiore, ogni frutto vi
è decomposto nei suoi elementi che lo costituiscono, con una perfetta perizia, poi, alla
lor volta, questi elementi sono aggruppati in guisa da formare un insieme armonico e
grazioso. Che superiorità sulle ghirlande — pur tanto belle — create dai della Robbia !
Nulla uguaglia la ricchezza, dovrei dire l'eloquenza, di quel manipolo di grano, a cui
delle banderuole danno in certa maniera movimento, o di quell'uccello che vola, ad
2 1 5
Testa di un profeta, particolare
della prima porta del Ghiberti.
21G
FIRENZE E LA TOSCANA.
Particolare della fascia delle porte
del Battistero, del Ghibcrti.
ali spiegate, in mezzo ai gigli dai petali semiaperti, alle
campanule ancora umide della rugiada del mattino. Per
poter inventare e ereare in guisa così potente, bisogna
aver respirato l'aura vivificante e imbalsamata dell'aurora,
aver salutato con gioia il levar del sole, ed udito il canto
dell'usignolo.
Ncll'incornieiatura aggiunta alla porta d'Andrea da Pisa,
l'intervento dei collaboratori, e specialmente il figlio del Gio-
berti, Vittorio, si tradisce per un'esagerata ricerca del rilievo.
Nel 142"), il Ghiberti fu incaricato d'eseguire una seconda
porta; quella a cui la parola di Michelangiolo e l'ammira-
zione della posterità hanno procacciato il soprannome di
porta del Paradiso. Esso ci trattiene nei suoi Commentari
di questa grandiosa pagina, che gli occupò la parte migliore
della sua vita ; ventisette anni ! A sentir lui, egli avrebbe
avuto l'ordinazione della seconda porta coli' autorizzazione
di renderla piìi bella e più ricca d'ornamenti possibile, r>
e a seconda del suo gusto.
Il mio rimpianto maestro Carlo Blanc mi diceva, di ritorno
dal suo ultimo viaggio a Firenze : " Ho finalmente scoperto
dove Raffaello prese la prima idea dell'inimitabile ordinazione
della Scuola d'Atene: la prese nelle porte del Ghibcrti.,,
Infatti, se paragoniamo l'affresco del Vaticano alla Regina di Saha innanzi a Salo-
mone, noi vi troviamo delle analogie sorprendenti : quelle figure cosi animate al primo
piano, così calme al secondo, quelle altre clic seguono ed accentuano le lince dell'edi-
lìzio imponente che le ospita! Non è ch'io pretenda diminuire il merito del primo capo-
lavoro fra i capolavori; fra la Scuola d'Atene e la Regina di Saba
innanzi a Salomone c'è tutto un mondo, ma c'è pure fra essi, non
dimentichiamolo, una distanza di circa un secolo.
Di temperamento femminino, più inclinato alla grazia che alla
forza, il Ghiberti si distingue sopratutto per le sue figure di donna.
Egli popolò le porte del Battistero di eroine o di santi, idealmente
belli e commoventi: Giuditta, personificante il fervore e lo slancio,
ed un'altra, che col capo appoggiato alla mano dà l'idea del pen-
siero vagante.
" Dichiarando la porta del Battistero degna di figurare all'in-
gresso del paradiso, Michelangiolo affermava il vero, dice il barone
di Rumohr. Quei battenti infatti sono unici e rimasero inimitabili,
tanto per l'idea dei soggetti biblici, l'atteggiamento ingenuo e
chiaramente caratterizzato dei gruppi, quanto per lo stile e 1' esecuzione dell'insieme.
Nella scultura plastica, l'anima del pittore s'è svelata in modo squisito; ma lo scultore
') Qui la memoria del Ghiberti ha mia lacuna; egli non godette punto d'una libertà così illimitata, come vuol farlo
credere; egli dimentica di dirci che il cancelliere della Repubblica fiorentina, Leonardo Bruni d'Arezzo, fu incaricato
d'indicargli i soggetti delle composizioni, cioè delle scene dell'Antico Testamento. Bruni scelse — sono sue parole —
dapprima i soggetti illustri, in seguito quelli significativi, cioè che potevano sedurrò l'occhio, per la varietà del disegno
e quelli che per la loro importanza intrinseca potevano imprimersi nella memoria. Tali scene essendo in numero su-
periori' ai dieci compartimenti, fu giocoforza all'artista aggruppare persino quattro o cinque sceno nella stessa cornice,
Ritratto del Bartol uccio.
(Porta del Battistero).
FIRENZE.
II. BATTISTERO.
217
Particolare della fascia delle porte
del Battistero, del Ghiberti.
è scomparso. Questi bassorilievi sono una serie di quadri,
ed è come tali che bisogna considerarli, se si vuol apprez-
zarne le diverse bellezze. Se, senza preoccuparsi delle esi-
genze plastiche, si considera al mattino, allorché i raggi
del sole li rischiarano obliquamente, si vedrà che precisa-
mente questa fu l'idea dell'artista, e ch'egli ha raggiunta la
meta, subordinando di deliberato proposito la. forma plastica
agli effetti pittorici e facendo deviare linee e contorni. „
Allorché ci si trova innanzi al Battistero, le porte sem-
brano di media dimensione : in realtà sono gigantesche, come
ognuno se ne convince studiandole in una modellatura iso-
lata. Mi sono per la prima volta persuaso di tale differenza,
vedendo, al ritorno da un viaggio a Firenze, la modellatura
conservata alla Scuola di Belle Arti: era addirittura un mo-
numento che mi si ergeva dinanzi.
Dei gruppi d' un carattere monumentale sormontano le
porte del Battistero, e portano le traccie delle ulteriori vi-
cissitudini della scultura fiorentina. Prima di tutto seguendo
l'ordine cronologico, il Battesimo di Cristo, cominciato nel 1500
da uno (lei maestri che meglio personificano la transazione
dal primo Rinascimento al Rinascimento completo, Andrea
Sansovino 1460-1529). Questo gruppo, d'una grande soavità
di linee, non fu tuttavia finito che molto più tardi da Vincenzo Danti (anzi l'angelo è
posteriore). La Predicazione di san Giovanni Battista (1506-1511) di Giovanni Francesco
Rustici (1544-1554), l'eminente allievo di Leonardo da Vinci, seguì da vicino il Battesimo
dì Cristo; essa si distingue per la ricerca del carattere, e l'in-
fluenza di Michelangelo vi lotta con quella del Donatello, il cui
Zuccone, posto in faccia al Battistero, in una delle nicchie del
campanile, ha visibilmente ispirato il Rustici.
Un terzo gruppo, la Decollazione di san Giovanni Battista, ci
riconduce a Vinc. Danti (1530-1576). Sebbene allievo di Miche-
langelo, questo artista s'avvicinò qui al Sansovino, del quale
aveva cosi felicemente completato il Battesimo di Cristo.
Prima di penetrare nell'interno del santuario, vogliamo no-
minare ancora le due magnifiche colonne antiche di porfido, che
sorgono accanto alla porta del Paradiso: hanno la loro istoria,
molto simile ad una leggenda. Nel 1117, i Pisani, per ricom-
pensare i loro vicini della loro neutralità durante una delle loro
spedizioni marittime, offrirono loro due porte in bronzo provenienti dal bottino, o due
colonne di poi-fido; i Fiorentini scelsero le colonne da cui il proverbio: " Ciechi i Fio-
violando cosi ogni unità di tempo, di luogo e d'azione. Per trionfare di questa difficoltà, il (ìhiberti, cedendo però alle sue pre-
dilezioni, usò ed abusò della prospettiva lineale, scienza creata allora dal Brunellesco. Fu il primo tra gli scultori, che fece
la più ampia applicazione delle scoperte del suo antico rivale, meritandosi con ciò il titolo di pittore scultore. Infatti il suc-
cesso della seconda porta è dovuto, bisogna pur dirlo, all'abilità con cui il Ghiberti dispose 1 i suoi quadri, opponendo al
tradizionale bassorilievo, si sobrio e sì grave, li' sue accumulazioni di personaggi tanto vive 0 pittoresche, clic si profilano le
une dietro !<• aloe, a parecchi piani, a perdita d'occhio. Qua! meraviglia che più d'un pittore si sia inspirato ai suoi modelli !
Ritratto del Ghiberti.
(Porta del Battistero).
Firenze e la Toscana.
i!S
2 1 8
FIRENZE E LA TOSCANA.
rentini, traditori i Pisani „. Secondo un'altra versione, queste colonne avrebbero avuto
in origine il privilegio di mostrare ad ogni persona derubata l'imagine del ladro, ma i
Pisani, al momento di consegnarle ai loro vicini, avrebbero privati tali talismani della
loro virtù.
Nell'interno, ogni lato dell'ottagono è sostenuto al basso da due pilastri scanalati
e due colonne, fra le quali si trova una porta od un altare ; tali colonne , le une sca-
nalate, le altre liscie, sono composte di magnifici monoliti, terminati da un capitello do-
rato (non è impossibile clic provengano da un tempio antico). Sopra il primo piano si
stende un fregio in musaico, a cui succede una galleria bilobata, con finestre a vetri
bianchi, ed incrostata essa pure in musaico, appunto come la cupola.
Un lucernario, ebe non lascia penetrare nel santuario clic una luce molto scarsa, ac-
La decollazione di San Giovanni Battista di Vincenzo Danti (Battistero).
cresce la solennità dell'ambiente. Osserviamo che non vi fu stabilito che nel 1550; sino
allora, come nel Pantheon di Roma, l'apertura circolare praticata nella cupola era aperta.
Sebbene la ragione d'essere di Firenze consista nella luce e nella logica, sprofon-
diamoci per un istante nei misteri del medio evo; interniamoci in quei secoli foschi ed
oscuri, la cui parte non fu assolutamente negativa, poiché è da questo sforzo lungo e
doloroso, da questi confusi avvicinamenti, da questi incrociamenti di razze e di civiltà,
clic ebbe origine la nostra moderna società.
Nessun monumento di Firenze personifica meglio tuie mescolanza quanto i musaici
clic ricoprono la tribuna, le gallerie e la cupola del Battistero e che rappresentano il
Giudizio universale, la Genesi, dalla creazione dell' uomo sino al diluvio, In Storia di
Giuseppe, di Cristo e di San Giovanni Battista. Cominciata nel 1235 da un certo fra
Jacopo, da non confondersi con Jacopo da Toniti), che lavorò tre quarti di secolo piti
tardi ;i Roma, continuata da Apollonio, Andrea Tafi, dai Gaddi e da molti nitri artisti,
FIRENZE. - IL BATTISTERO.
di cui si troveranno i nomi nelle Chiese fiorentine, del
P. Richa, ristaurata nel L483 da Alessio Baldovinetti, tale
vasta composizione offre tutta la ricchezza e tutta la gran-
diosità dello stile bizantino, ma eziandio la sua insormon-
tabile monotonia. E un'arte ridotta a forinole di scuola,
senza originalità, senza sforzo, senza vita. I lavoratori di
musaico abusarono di eerti bianchi, come pure oltre mi-
sura moltiplicarono le scene; l'arte della composizione è
ad essi ignota. Il Cristo, dai piedi mostruosi di gorilla,
ha il viso lungo e stretto senza espressione. Negli episodi
della Risurrezione si osservano dei particolari comici: uo-
mini nudi, che sollevano il coperchio del loro sarcofago, 11 Redentore, musaico del Battistero,
s'alternano con figure cinquanta volte più grandi. — Ai
musaici della cupola fanno riscontro quelli del pavimento. Questo lavoro, di cui certe
parti risalgono all'anno 1209, disegna delle stelle ed altre figure geometriche, come pure
animali fantastici, che tradiscono un'influenza orientale. Si ammirerà la bellezza del gran
medaglione coi segni dello zodiaco, che fu collocato nel 1351 presso la porta principale.
Le sculture che ornano l'interno del Battistero, dal sarcofago antico, con figure di
donne e di genii. che accolse nel 1230 le ossa del vescovo Giovanni di Velletri, sino
ai fonti battesimali, scolpiti da un artista della Scinda di Pisa, oppure il San Giovanni
che sale al cielo, scolpito nel 1732 dal Ticciati, coi tratti dello stile barocco, potranno,
senza nessun detrimento per la storia dell'arte, venir definiti con una sola frase.
All'incontro il mausoleo dell'ex-papa Giovanni XXIII (Baldassare Coscia di Napoli,
eletto nel 1410. dimesso nel 1415, morto nel 1419) ci mette per la prima volta, nel
corso di tali esplorazioni, innanzi a quel glorioso innovatore che si chiama Donatello.
Mentre Grhiberti concentrò tutti i suoi sforzi sulle due porte che poi gli procacciarono l'im-
mortalità, Donatello prodigò i suoi in venti parti, quasi desideroso che nessuno dei monu-
menti della sua città natale rimanesse privo
del suo concorso. Nell'attesa di ritrovarlo
nel campanile del Duomo e nel Duomo
stesso, nel palazzo dei Medici e nella chiesa
San Lorenzo, a Or San Michele e nella
Loggia dell' Orcagna, a Santa Croce e al
Museo nazionale, ricordiamo qui , per non
doverli più ripetere, i periodi principali di
quest'esistenza d'una straordinaria fecondità.
Considerata nel suo complesso, la vita
artistica del Donatello (1386-1466) può di-
vidersi in tre periodi distinti : il primo, in
cui la vince il naturalismo, si stende sino
al 1425 circa, il secondo, durante il quale
il naturalismo lotta coll'imitazione dei mo-
delli antichi, sino a circa il 1445. 11 terzo, durante il quale i ricordi classici trionfano
sul naturalismo, sino alla morte dell'artista.
E al secondo periodo, distinto dall'associazione di Donatello coli' abile architetto
scultore Michelozzo, che appartiene il mausoleo di Giovanni XXIII.
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frammento del pavimento del Battistero.
220
FIRENZE E LA TOSCANA.
Un'altra scultura, la statua in legno di santa Maria Maddalena,
ci mostra Donatello che tenta il campo dell' ascetismo verso cui si
sentiva sì sovente trascinato: la Santa, magra, scapigliata, forma il
degno riscontro a san Giovanni Battista che digiuna nel deserto, o
a san Gerolamo che prega nella sua cella. Se la foga che trasporta
e riscalda le sue minime opere ci impedisce di classificare Donatello
fra i realisti di professione, viceversa è più che certo che il potente
artista fiorentino ricercava con avidità tutte le occasioni di rappre-
sentare delle figure di carattere: faccio magre, o maschere inebe-
tite, barbe incolte e torsi ischeletriti.
Il mio dispiacere di abbandonare il Battistero, senza aver ter-
minata renumerazione dei suoi tesori, viene molto mitigato dalla. cir-
costanza che un siffatto lavoro fu cominciato e condotto a buon fine
da uno storico d'arte delicato e competente, Anatolio Gruycr. 1}
Statua di scuola Pisana.
(Loggia del Bigallo).
Titubante ed indeciso nell'architettura religiosa, lo stile che ha
preceduto in Italia il Rinascimento ci procacciò, nell'architettura civile, una quantità di
stupendi edilìzi, meraviglie d'eleganza e di ricchezza. La fantasia vi ha libero campo; se
non hanno il grandioso aspetto monumentale, essi attraggono per la grazia dei particolari.
La graziosa costruzione posta dirimpetto al Bat-
tistero, la " Loggia del Bigallo ,, , dimostra con
quale libertà, quale fantasia, i rappresentanti del
periodo di transizione trattino lo stile gotico; l'arco
ogivale non vi è più che un accessorio, un orna-
mento ; si alterna con colonnette, con pilastri, nic-
chie d'una leggerezza e d'un'eleganza suprema.
La Loggia del Bigallo fu costrutta da una pia
confraternita, " l'Arciconfraternita di Santa Maria
della Misericordia „, i cui membri avevano la mis-
sione di soccorrere gli indigenti, raccogliere i fan-
ciulli abbandonati, liberare i prigionieri e seppellire
convenientemente i morti. Cominciata nel 1352, a
quanto pare, tale costruzione fu finita nel 1358.
I dipinti della Loggia del Bigallo sono opera
di Kossello e di Ventura di Moro; rappresentano
san Pietro martire che predica contro i Paterini.
Questo ciclo segna la transizione fra lo stile di
Giotto e le tendenze realiste del XV secolo; que-
ste si traducono nelle vesti e nelle acconciature.
In quanto alle statue di Santi che ornano l'edifizio,
esse mancano d'ogni franchezza e d'ogni purezza.
Dei cancelli d'una rara eleganza completano la
decorazione di questa meraviglia dell' architettura
toscana.
M , , , ,, ,i. f > Sin d'ora, iter non aver piìi bisogno di ritornare
Malia Maddalena del Donatello (Battistero)- ' 1 1
1 > Opere <l'<trlc del "Rinascimento italiano nel tempio di San Giovanni.
campanili' di (Jiotto e la facciata moderna di Santa .Maria del'Fiore.
222
FIRENZE E LA TOSCANA.
su tale argomento, osserverò che poche città contano tanti stabilimenti di beneficenza
e tanti pii istituti come Firenze. Mi si conceda d'insistere su questo punto: esso mi
fornisce una prova da aggiungere a tante altre che proclamano i benefizi dell' influenza
classica. Certamente anche altrove la carità fece pure miracoli dal medio evo in poi.
Ma l'assistenza pubblica, metodicamente organizzata, sulle orme dell'Impero Romano,
colla sua quantità di ospedali, di asili per i bimbi e per i vecchi, di case di salute,
di Monti di Pietà, sembrami abbia avuto in Italia la sua prima forma scientifica e de-
finitiva. 1 '
IV.
Il Campanile di Giotto. — Santa Maria del Fiore (il Duomo). — Arnolfo e Brunellesco. — Tentativi e risultati.
I PRECURSORI DI DONATELLO. — Il MUSEO DELL' OpERA DEL DuOMO.
La storia del campanile, dell'altezza di 82 metri, che si erge dirimpetto al Bat-
tistero, dall'altro lato della via Calzaioli, e che è celebre- sotto il nome di Campanile
di Giotto, 2) è delle più oscure. Ma prima di tentare il mistero delle sue origini segna-
liamo un tratto particolare ai monumenti religiosi d'Italia: in luogo di collocare il
campanile sulla facciata del santuario, o sulla crociera, in luogo di fonderlo nell'insieme
architettonico, gli Italiani si compiacciono a staccamelo, ad isolarlo, come se si trattasse
d'un elemento parassita. Tale è la disposizione che si manifesta sin dal VI secolo a
Ravenna; tale è quella che domina nel XII secolo a Pisa; tale e ancora quella che
prevale, in un'epoca più vicina a noi, in una quantità di costruzioni della Toscana o
dell'Italia centrale. Non si direbbe che gli Italiani temano di scuotere gli edifizi col
suono delle campane? Altrimenti come spiegare ch'essi abbiano allontanato per un ca-
priccio un membro d'architettura che dovrebbe esserne parte integrale?
Dalle più recenti ricerche, riassunte dal Marcotti nella sua Guida Souvenir di Fi-
renze, l'antico Campanile, essendo stato distrutto nel 1333 da un incendio, l'Opera del
Duomo, incaricò Giotto, che secondo l'uso di tanti artisti del XIV, XV e XVI secolo,
univa la pratica dell'architettura con quella delle arti, di comporre il piano d'un nuovo
edifizio più splendido. L'anno dopo gli operai si accinsero a gettarne le fondamenta.
Dopo la morte di Giotto i lavori continuarono dal 1337 al 1349, sotto la direzione
del suo allievo Andrea Pisano, lo scultore delle porte del Battistero, che li condusse sino
alla cornice scolpita sopra le nicchie.
Francesco Talenti, che a sua volta sostituì Andrea Pisano, ebbe l'onore di com-
pletare la costruzione; ma egli vi introdusse delle sensibili modificazioni, che, se in-
') Noi volume di Luigi Passerini, Storia degli Stabilì inculi di Beneficenza e d'Istruzione elementare gratuita della
lillà ili Firenze (Firenze, 1853), non si notano meno di una sessantina d'istituzioni, e fra queste più d'una che risale
al XIII secolo; tale è, oltre il Bigallo, l'Arcispedale di Santa Maria Nuova.
2 ) 11 Campanile non cessò di contare degli ammiratori anello in pieno secolo di Luigi XIV. Il tiglio del grandi'
Colbert, il marchese di Seignelai, che visitò Firenze nel L 671, lo dichiara un "bellissimo lavoro del disegno di Giotto:
è una torre quadrata, altissima, elio non ha che fare colla chiosa; ossa è costrutta in marmo nero, bianco e rosso;
tutte le pietre sono così ben collocate, e le aperture di lai campanile, là ove sono lo campano, si ben lavorato, da farlo
stimare quale una delie principali rarità d'Italia,..
FIRENZE
- IL CAMPANILE
terruppero in parecchi punti Io svolgersi delle lince tracciate da Giotto, arricchirono
tuttavia l'edifizio delle sue magnifiche finestre bifore e trifore.
Da questi dati si vede a qual punto si sieno ingannati gli storici d'arte, come
Renouvier, i quali affermano chetai u gioiello in marmo, perfetto sotto ogni riguardo, fu
costrutto tutto di getto, con uno stile ogivale, italiano senza dubbio, ma puro, elegante
e d'una ricchezza inaudita... Non v'ha ormai artista, e nemmeno un dilettante, il
La Loggia del Bigallo.
quale non riconosca che quanto la parte inferiore del Campanile pecca per povertà,
per mancanza di rilievo, e per la timidezza delle sue nicchie, altrettanto vigore abbiano
i profili in alto, e garbo e ricchezza le finestre.
La missione dell'architetto non era finita (la ultime finestre vennero completate nel
1351, il tetto soltanto nel 1387) che già cominciava quella degl'artisti d'intaglio e
degli scultori.
Meglio ancora dei bassorilievi e delle statue del Battistero, quelli del Campanile
224
FIRENZE E LA TOSCANA.
svolgono innanzi a noi gl'annali della scultura fiorentina, da Andrea da Pisa sino a Do-
natello e Della Robbia. 1 '
Buon numero di autori antichi, tra cui Ghiberti ancora abbastanza vicino a tali
fatti perchè la sua testimonianza meriti d'esser presa in considerazione, affermano
che Giotto forni ad Andrea da Pisa gli schizzi, forse anche i bozzetti dei bassorilievi
del Campanile. Osserviamo tosto che anche tra gli esagoni parecchie composizioni sono
indegne del suo scalpello, specialmente quelle che simboleggiano la pastorizia e l'edifica-
zione delle città. Quanto alle altre, vi troviamo la semplicità dei mezzi, l'elevazione di
stile e di pensiero che caratterizzano lo scultore della porta del Battistero. Citiamo la
Creazione dell' nomo, la Creazione della donna, Adamo colla vanga, ed Eva che fila, Ta-
balcain, V Ebbrezza di Noe, Caino (coi tratti d'Ercole), armato di mazza, curiosa remi-
niscenza dell'arte antica; il Lavoro, il Commercio , la Geo-
metria.
Quanta vivacità e quanta concisione in questi frammenti
d'una semplicità affatto antica; che bei quadri di genere! E
impossibile trattare con maggior sobrietà, o maggior gusto, i
costumi del tempo; nulla contrasta di più colle stoffe pesanti,
e le scene complicate, care agli scultori gotici.
Non si potrebbero fare gli stessi elogi dei bassorilievi che
occupano gli scompartimenti a rombo, incrostati sopra gli scom-
partimenti esagoni. E certo che noi neppur qui ritroviamo gli
allievi diretti di Andrea Pisano : la grossolanità, la trivialità
stessa del lavoro s' oppongono ad una tale attribuzione, che
sarebbe un' ingiuria per questo talento grave e puro. Sola la
Speranza ricorda la sua maniera, le altre, cominciando dal-
l' estrema unzione, offrono lo stile più arcadico e più povero.
Sopra i due cicli ora descritti, ci sono delle nicchie conte-
nenti ciascuna una statua di profeta, d'apostolo, di patriarca o
di santo, eseguite le une nel secolo XIV, le altre nel XV.
Le statue del secolo XIV peccano quasi tutte di pesantezza
e di mancanza d'espressione: esse ci dimostrano come la scultura
fiorentina declini dopo Andrea Pisano. Soltanto un piccolo nu-
mero, tra cui la Sibilla Tiburtina e la Sibilla Eritrea si .stac-
cano da tali produzioni talora informi : la loro ampiezza e la
loro nobiltà le collegano, secondo gli autori del Cicerone, alla scuola deH'Orcagna. Per
quanto onorevole, tale attribuzione non mi pare del tutto fondata: le due Sibille hanno
qualche cosa di più impersonale e di più sfumato delle figure dell' Or cagna.
La gloria del Campanile sta nelle statue del Donatello: Davide (il Zuccone), Geremia e
san Giovanni Battista, che si trovano dal lato ovest, dirimpetto al Battistero. Àbramo ed
Abacnc sul lato est.
Tali pagine maestre, in cui risplendono le qualità e i difetti del Donatello, la
sua anima, il suo slancio, ed anche la sua brutalità, erano di natura tale da colpire
La Sibilla tiburtina (Campanile).
>> Cronologicamente considerati, tali lavori si dividono con una perfetta chiarezza in sei sezioni: I. Al basso gli
esagoni, contenenti le composizioni allegoriche di Andrea da risa e della sua scuola. — II. 1 Rombi con dei soggetti
analoghi. III. Più allo ancora nelle nicchie del primo piano, le statue della Scuola di l'isa. — IV. Quelle di Nic-
colò d'Arezzo. V. Quelle di Donatello e suoi allievi. VI. Finalmente i bassorilievi di Luca della Robbia, che l'anno
seguito agli esagoni del basso.
Fi, 'enze e la Toscana.
29
226
FIRENZE E LA TOSCANA.
i suoi concittadini; troppo differivano dalle statue anteriori e dalla loro stessa cornice,
intendo dire dall'architettura che le accoglieva, per non richiamare l'attenzione della
folla. Prestissimo si riconobbero nel David i tratti d'un Fiorentino celebre per la .sua
bruttezza, il Zuccone, resi con un' inesorabile esattezza. Bravate simili contribuiscono
alla popolarità d'un artista, più d'ogni prodigio d'esecuzione.
Emulo di Donatello fu Luca della Robbia, ch'ebbe l'onore di porre l' ultima mano
alla decorazione del Campanile; egli ornò dal 1437 al 1440 (secondo Marcotti, dal 1435
al 1438) il lato nord con cinque bassorilievi, rappresentanti: Donato che insegna la
grammatica, Platone ed Aristotile per la filosofia, uno sconosciuto per la musica, Eu-
clide e Tolomeo per le scienze matematiche, un vecchio che batte sopra un'incudine con
due martelli, come simbolo dell'armonia universale. Tranne la filosofia o la dialettica,
tali composizioni , che contano tra le più antiche del maestro, mancano di vivacità e
persino di chiarezza. Il pensiero si sviluppa con fatica da un involucro ancor troppo
spesso.
La fondazione della cattedrale fiorentina (detta pure Santa Reparata o Santa Maria
del Fiore), risale alla fine del XIII secolo. 11 In quest'epoca una febbre di costruzione
aveva invaso l'Italia : il progresso dello stile gotico coincidendo collo slancio dei due
potenti ordini monastici fondati da san Francesco e san Domenico, un semenzaio di mo-
numenti dai profili tormentati, incoronati da una foresta di freccio, coprì non solo la
Toscana, ma gli Stati pontificii, l'Emilia e la Lombardia. Tutte le grandi cattedrali ita-
liane, eccetto quella di Milano (1386) e di Bologna (1390), furono cominciate nel se-
colo XIII.
Anzitutto occupiamoci del primo architetto della cattedrale fiorentina. Arnolfo di Cam-
bio (1232-1301), erroneamente chiamato Arnolfo di Lapo, era l'allievo ed era stato
il collaboratore di Niccolò Pisano, del quale non tardò ad eclissare la riputazione. Il
suo ricordo è collegato non solo a Santa Maria del Fiore, ma eziandio a due altri monu-
menti celebri di Firenze, Santa Croce, la chiesa dei Francescani (1294), ed il Palazzo
Vecchio (1295).
Arnolfo non potè dirigere clic il principio della costruzione: morì nel 1301, cinque
anni soltanto dopo aver posta la prima pietra. Sospesi in seguito a torbidi politici, i
lavori non furono ripresi che verso la metà del XIV secolo, sotto la direzione di
Giotto dapprima e poi di Andrea Pisano (f 1349), a cui successe Francesco Talenti,
che segnò il principio d'importanti innovazioni; è così che nel 1366-1367 una com-
missione, diretta da lui, decise di stabilire sulla crociera un tamburo sostenente una
cupola ottagonale. Tale progetto divenne legge ; entrando in funzione, ogni nuovo ar-
chitetto doveva giurare di rispettarla religiosamente.
I lavori progredivano lentamente. Al principio del XV secolo, un errore di calcolo,
commesso da uno degli architetti incaricato di eostrurre i contrafforti delle tribune del
coro, obbligò gli amministratori a nominare una commissione speciale per sciogliere un
) Non sarà inutile dare qui la lista dei principali fra
Basilica di San Francesco in Assisi cominciata nel 1228
Duomo di Siena, prima metà del XIII secolo.
Basilica di Sant'Antonio a Padova 12"(>
Chiesa di Santa Anastasia a Verona I2<>1
Duomo d'Arezzo 1277
Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze .... 1278
Chiesa di San Sisto a Roma 1280
questi monumenti eolla data della loro fondazione:
Chiesa dei Frari a Venezia 1280
Duomo d'Orvieto 1290
Chiesa di Santa Croce a Firenze 1294
Duomo di Firenze 1 290
Duomo di Napoli 129!»
Chiesa di San Domenico a Perugia 1801
FIRENZE. - IL DUOMO.
227
problema che diveniva ognor più complicato, quanto più lo si studiava da micino. In
quest'occasione — nel 1404 — Brunellesco è menzionato per la prima volta.
Prima d'inoltrarci di pia, riassumiamo qui i punti principali di questo illustre mae-
stro, il rinnovatore dell'architettura, anzi il fondatore del Rinascimento.
Filippo Brunellesco o dei Brunelleschi nacque a Firenze nel 1377. Egli apparte-
neva ad una rispettabile famiglia (suo padre era notaio) ed intelligente, la quale scor-
gendo la grande inclinazione del ragazzo la lasciò sviluppare liberamente, senza al-
cuna opposizione. Del resto in una città commerciale ed industriale come Firenze , la
professione d'artista era considerata come una professione liberale fra tutte, e non già,
come in altre città più aristocratiche, quale una professione manuale. Solo Michelan-
giolo ebbe a lottare, un secolo dopo Brunellesco, colla resistenza di suo padre, il quale,
imbevuto di idee nobiliari, non ammetteva per suo figlio altra carriera che quella delle
armi, della diplomazia o dell'amministrazione.
Statue di Donatello e della sua scuola (Campanile di Giotto).
Senza pretendere al titolo di sapiente di professione (egli non aveva fatto studi re-
golari, avendo abbandonato la scuola primaria, in cui si insegnava la lettura, la scrit-
tura e le quattro operazioni d'aritmetica, per cingere il grembiule di cuoio dell'appren-
dista orefice), questo giovane illetterato aveva una curiosità non paragonabile che
alla sua grande facilità d' assimilazione. Apprese per pratica, senza badare ad inu-
tili formole, tanto le scienze positive, quanto la storia sacra e la filosofìa. Scrittori
ed eruditi trovavano piacere a discutere con lui intorno alle più ardue quistioni, ed
i suoi amici, rapiti dalla forza della sua dialettica, lo chiamavano il nuovo San Paolo.
Famigliare ad un tempo colla pratica dell'oreficeria, dell'architettura e della scultura,
il giovane Brunellesco potè dopo il 1401 — cioè sin dall'età di ventiquattro anni — en-
trare in lizza col Gioberti, e disputargli la direzione delle porte del Battistero. Egli non
tardò tuttavia a rinunciare alla scultura; stabilitosi a Roma verso il 1403, s'immerse negli
studi d'architettura, più conformi al suo genio, portato alla ragione e non al sentimento
o all'immaginazione. Le auguste rovine, in mezzo alle quali visse per una quindicina
d'anni (sin verso il 141 7), tranne frequenti escursioni nella sua città natale, lo conqui-
FIRENZE E LA TOSCANA.
staremo irrevocabilmente al culto dell' antichità classica.
Non si può descrivere l' ardore con cui egli studiò i mo-
delli clic la città eterna offriva allora, in numero ancor
maggiore d' oggi. Probabilmente, durante questo periodo
di concentrazione, egli intraprese le sue ricerche sulla pro-
spettiva, scienza che rinnovò da cima a fondo, come pure
creò completamente lo stile architettonico che noi indi-
chiamo col nome di stile del lìinascimento e che meri-
terebbe di portare il nome suo. Insistiamo su questo
punto. Brunellesco può rivendicare per lui solo l'onore
della rivoluzione che trasformò l'arte del medio evo; essa
usci dal suo cervello armata di tutto punto, come Minerva
dal cervello di Giove. Il suo aiutante Donatello invece
ebbe dei precursori, con cui deve dividere l'onore di pa-
recchie innovazioni.
Nel frattempo i lavori della cupola di Santa Maria del Fiore erano stati spinti sino
alle finestre circolari destinate ad illuminare il tamburo e sino alla galleria che si stende
sopra le medesime. Fu al momento di porre su questo basamento la massa colossale
della cupola, che l' amministrazione della cattedrale, inquieta, ricorse ai lumi non solo
di Brunellesco, ma di tutti gli uomini del mestiere che godevano qualche autorità (1418).
Ciò eh' essa chiedeva loro non era già (ciò risulta evidente dalle recenti ricerche di
Fabriczy) un nuovo progetto di cupola, bensì dei consigli pratici, tanto per la costru-
zione, quanto per l'erezione d' un'impalcatura. Brunellesco, il cui ardire uguagliava la
scienza, propose una cupola ovoidale a doppia parete. Egli manifestò le sue idee in
un memoriale, conservato, e di cui si può trovare il testo nell'opera del Vasari. Di-
ciamo a suo scarico, che ciò che può restare di magrezza o di rigidezza nella cupola
attuale, deriva dal tracciato imposto dagli architetti primitivi, tracciato che non poteva
più essere modificato nel XV secolo.
I concorsi del Rinascimento offrivano una particolarità, caduta da lungo tempo in
disuso ; gli architetti non si limitavano, come oggi, a sottomettere ai giudici dei disegni,
— progetto, spaccato ed elevazione, — essi eseguivano dei veri modelli in legno, che for-
mavano una vera riduzione dell'edilìzio progettato. Nel concorso istituito nel 1419, Bru-
nellesco presentò pure un modello di fabbrica in muratura. Questo sistema, ch'era an-
cora in onore al tempo di Michelangiolo, poneva in luce, molto meglio di un disegno,
in cui il talento del disegnatore può ingannare sul valore reale dell' architetto, i pregi
ed i difetti d'una costruzione.
Nulla di più drammatico del racconto delle tribolazioni di Brunellesco, qua! si
trova nella biografia composta dal suo contemporaneo Manetti, 11 come in quella fatta
nel secolo successivo dal Vasari. Oggi, per una reazione facile a prevedersi, la critica
italiana e tedesca tenta demolire tale storia, in cui certamente l'immaginazione meri-
dionale tenne un certo posto. Ma gli eruditi contemporanei, Nardini Mospignotti,
De Fabriczy, ultimo per ordine cronologico, e il più completo dei biografi del grande
architetto fiorentino, non hanno essi alla lor volta oltrepassato la misura tentando di ria-
bilitare a spese di Brunellesco il suo competitore Grhiberti, la cui collaborazione inop-
portuna ed impacciosa gli fu imposta dai suoi troppo poco fiduciosi concittadini.
n In un recente lavoro (1896) un erudito napoletano, Chiappelli, contestò i diritti di Manetti sulla composizione
di questa biografia.
La Scultura, di Andrea Pisano.
(Campanile).
FIRENZE. - II. DUOMI».
229
La Dialettica, di Luca della Robbi;
(Campanile).
La verità è che se il Grhiberti, come artista, aveva
tutte le delicatezze immaginabili, come uomo non bril-
lava troppo per 1' amenità del carattere. Sacrificava
ogni cosa all'ambizione, alla vanità, all'invidia. Le sue
memorie . e le testimonianze «lei suoi contemporanei
s" accordano nel dimostrare nel grande scultore ogni
genere di piccolezze umane. Ora s'affanna a procla-
mare die non si era innalzato all'epoca sua a Firenze
un sol monumento importante cui egli non avesse po-
sto umili», come se la città che possedeva Brunellèsco,
Donatello, Masaccio non avesse potuto, in fin dei conti,
far a meno di lui. Ora, dopo essersi imposto a Bru-
nellèsco quale suo collaboratore, egli ne contraria i
progetti per lunghi anni. Per quanto riguarda le sue
qualità d'architetto, basteranno poche parole per ab-
battere la teoria dei miei contradditori: dieci edifizi
di primo ordine, che ritroveremo nel corso delle nostre
gite, proclamano a Firenze il genio del Brunellèsco; è invece impossibile segnalare,
toltane la partecipazione più o meno ipotetica ai lavori della cattedrale, una sola costru-
zione di qualche importanza da inserire nell' attivo del Ghiberti.
Una volta adottato il progetto di Brunellèsco — ed a prezzo di quali lotte! — i
lavori procedettero regolarmente, ma senza celerità: cominciata il 7 agosto 1420, la cu-
pola venne terminata il 30 agosto 148G, dunque in capo a sedici anni, mentre la cu-
pola di San Pietro di Roma fu condotta a termine in meno di due anni. E vero però
che gli architetti della basilica romana profittarono delle esperienze fatte un secolo e
mezzo prima dal Brunellèsco. 1 '
Terminata la cupola, restava da costrurre la lanterna destinata ad assicurare col suo
peso la stabilità di quella vòlta immensa. All'epoca del concorso (sempre la solita sfiducia
fiorentina! indetto nel 143G perla costruzione di tale appendice, clic da se sola costi-
tnisce un monumento, fu naturalmente Brunellèsco ch'ebbe la vittoria sui suoi rivali;
non fu tuttavia che nel 144f> che ebbe luogo il collocamento della prima pietra. L'anno
seguente, il 15 aprile 1440', moriva il grande architetto fiorentino, il più grande degli
architetti moderni. Egli non ebbe la gioia d'assistere al completamento della sua opera
la lanterna non fu terminata che nel 14G1); ina sapeva per lo meno che il trionfo
delle sue idee era oramai assicurato, ed egli poteva rallegrarsi, secondo la bell'espres-
sione del suo illustre emulo e discepolo Leon Battista Alberti, "d'aver eretto nei cieli
un edilìzio abbastanza grande e abbastanza ampio da coprire colla sua ombra tutti i
popoli della Toscana „. 2)
'■> Si rimane sorpresi vedendo come dei problemi, che non offrivano alcuna difficoltà pei bizantini, abbiano così
crudelmente tormentato il povero Brunellèsco, e si evoca il ricordo di Bernardo Palissy die tenta nel secolo XVI di
ritrovare i secreti famigliari dal secolo precedente ai della Robbia. " Certo, dichiarava Alfredro Darce], questa cupola
è posta ad una grandi- altezza sopra un vuoto di 45 metri di diametro: il tamburo su cui essa è innalzata, le confe-
risce una forma più elegante e meno schiacciata che in quelle dell'antichità romana e delle chiese di Ravenna e di
Venezia che la precedettero in Italia. Ma era duopo che l'arte della costruzione fosse caduta in Italia molto in basso
anche al principio del secolo XV perchè si siano inventate tante favole più o meno ridicole intorno ai progetti imma-
ginati per condurre a buon fine questa vasta impresa. ..
2 ) Io non intrapresi l'ascensione della cupola e feci male, lo riconosco. Invece della mia descrizione offrirò al let-
tole quella di Michel di .Montaigne, che. com'è noto, visitò Firenze nel 1580-158] : " L'indomani il signor di Montaigne
sali pel primo sulla cima del Duomo, dove si vede una palla dorata che dal basso appare una pallottola, ma che da
230
FIRENZE E LA TOSCANA.
Il Duomo di Firenze gode d'una tale celebrità che non ho potuto far a meno di
parlare minutamente di tutte le peripezie attraverso le quali dovette passare durante
la sua costruzione. Ma la parte della storia una volta esaurita, la critica ha il dovere
di entrare in scena, e di chiedere se i risultati sono in relazione con questo immenso
sforzo che durò quasi sei secoli. Si potrebbe comporre una piccola biblioteca coi volumi
e gli opuscoli che gli eruditi ed artisti fiorentini o stranieri hanno consacrato alla sto-
ria della costruzione di Santa Maria del Fiore, Poco mancò, e per parte mia rimpiango
tale lacuna, che non si pubblicassero in extenso i conti delle spese dal XIII al XIX se-
colo, come si fece per il Duomo di Milano, i cui annali riempiono circa dicci volumi in
quarto di fitta stampa. Le più perspicaci critiche si son accanite sul problema; ma ne
vale poi la spesa? Parlateci pure a vostro beneplacito della cattedrale d'Orvieto, di quelle
di Pisa e di Siena o della Basilica di San Marco in Venezia; niente di meglio. Ma
far tanto onore a quest'ibrido edificio, mal combinato sin da principio, colla sua fac-
ciata artificiale, edificio che non si salva che pel lusso dell'ornamentazione, ciò passa
ogni misura. Ai miei occhi Santa Maria del Fiore non ha che una qualità negativa :
essa dimostra eloquentemente a qual punto lo stile gotico, come l'avevano elaborato
e sviluppato gli architetti francesi, ripugnava al temperamento degli Italiani; questi non
vi seppero vedere mai altro che un pretesto a tutte le fantasie dell'ornamentazione ; essi
non indovinarono qual rigore di deduzione e nello stesso tempo quali risorse impreve-
dute implicava questo stile così sapientemente ragionato.
Non c'è alcun giudice imparziale che d'or innanzi contesti questa verità : il Duomo
di Firenze s'impone, non pel vigore o la maestà della sua architettura, ma unicamente
pel lusso della sua decorazione. 2)
Prima di cominciare la descrizione di questo vasto monumento, e dell'incomparabile serie
di sculture del XIV, XV e XVI secolo ch'esso racchiude, cerchiamo un po' di ricordare
le vicissitudini attraverso cui passò la facciata; le peripezie di questa parte dell'edilìzio
sono ancora più lunghe, se non più commoventi, di quelle della costruzione della na-
vata e della cupola.
vicino si trova capace di contenere 40 uomini. Egli vide là che il marmo di cui è incrostata questa chiesa, anche in
nero, comincia già in molti punti a guastarsi, effetto del "gelo e del sole; poiché quest'opera è tutta variata e lavorata,
il che gli fece temere che quel marmo non fosse del tutto naturale ,..
O Quante cose, dichiara Renouvier, l'eminente archeologo di Montpellier, mancano alla cattedrale di Firenze, se-
condo le tradizioni dell'architettura cristiana! I suoi archi sono compressi, la sua ornamentazione povera e nuda, il
suo insieme è vasto, elevato, ma senz'un certo slancio. L'altezza della navata è di 41 m ,90, per una larghezza di 16 m ,56.
Gli archi hanno un'apertura di l§ m ,56 ed i pilastri un diametro di 2 m ,<i0 ; paragonando queste misure a quelle d'uno
degli interni gotici di Francia, si capisce la loro mancanza d'effetto : Amiens ha una navata poco più alta, di 42 m , 24,
ma la sua larghezza non ha che 12 ra ,34, l'apertura dei suoi archi 5 m ,19 ed il diametro dei suoi pilastri 2 m ,08.
Il mio compianto amico Alfredo Darcél, il sapiente conservatore del museo di Oluny, non è meno esplicito: "La
chiesa, diss'egli, che fece la riputazione d'Arnolfo, è concepita in uno stile gotico incerto; tutti gli elementi sono tolti
dalla nostra architettura del Nord; ma Arnolfo non seppe servirsene. Prima di tutto egli non osò innalzare le vòlte
(lidia sua navata, il che gli permise di sopprimere contrafforti ed appoggi; ma sopra gli archi che la separano dalle
parti hasse, egli non trovò posto che per degli oeuli per rischiararla; finalmente nelle larghi 1 travate — a quanto
sembra altrettanto larghe che alte — egli non potè praticare che delle alte e stretti' finestre ogivali; di guisa che la
chiesa è buia, anche col più bel sole. 1 sostegni degli archi della navata sono semplici pilastri ad angoli coronati da
un alto capitello a tre giri di foglie senza sporti. Essi attraversano, per cosi dire, questo capitello per incontrarne
un secondo al disotto d'una galleria rientrante, che si stende all'origine delle nervature della vòlta. Gli architetti
italiani si rassegnavano mal volentieri ad ammettere le linee verticali del sistema di costruzione ch'essi toglievano a
noi. La testata eie crociere vengono divise in cinque cappelle, all'interno solamente. Le loro separazioni sono avvilup-
pate dal muro poligonale esterno, in modo che le linee che formano tutte le cappelle isolate le une dalle altre, sono
completamente perdute, ed è impossibile rischiarare lateralmente queste Cappelle. ..
Una testimonianza per convincere il lettore ancor più, su tale riguardo: Nel suo recente volume su Firenze, Paolo
Joanne dichiara che " l'interno nudo di questo vasto edilizio, senza eleganza di proporzioni, parla pochissimo all'immagina*
zinne, e la vista vi è resa malinconica dalla tinta grigiastra, 0 dall'aspetto freddo dei pilastri e delle nervature ogivali. ,.
FIRENZE. - TL DUOMO.
231
È un tema già abbastanza trattato (indio della
mancanza delle farciate nella maggior parte delle
chiese della Toscana; gli eredi degli Etruschi, per
quanto accorti, avevano per regola di finire d'onde
ordinariamente s'incomincia. Che ne venne? Che
nell'intervallo il gusto avea mutato, e più spesso
ancora la divozione. Compiute le navate a vòlte
più o meno belle, chiusa l'abside, terminato il pa-
vimento più o meno prezioso, che importava ormai
clic la facciata sparisse o no, sotto un'infinità di
statue, sotto uno sfarzo d'incrostazioni! Gli uffici si
potevano celebrare colla massima sicurezza, e non
occorreva di più. Per lunghi secoli per Santa Maria
del Fiore — l'intervallo ammonta a quattrocento
anni! — i fedeli entravano rassegnati dalle porte
praticate in questo muro rivestito d'una semplice
intonacatura. Se Santa Maria Novella dovette at-
tendere la sua facciata sino al XV secolo, in cui
un privato, cioè un Euccellai, ebbe la generosa idea
di farla edificare a sue spese, se Santa Croce non
ebbe la sua che nel 1863, 1} Santa Maria del Fiore dovette aspettare sino 1887 tale com-
pimento, secondo me, indispensabile ad ogni santuario. Ma c' è una chiesa Fiorentina
ancora più maltrattata, ed è: San Lorenzo, la parrocchia dei Medici. Eppure Dio sa se
vi mancarono progetti di facciata, dopo il concorso indetto nel 151(3 da papa Leone!
Del resto è meglio cosi : poiché le facciate non dovevano aver la loro origine nello
stesso tempo del corpo della chiesa, tanto valeva lasciarle allo stato di muraglie senza
ornamento! I Milanesi non si credono oggi obbligati a sostituire con una facciata gotica,
la facciata Rinascimento che il secolo XVI ha elargito al loro Duomo! Sia pure a rischio
di prolungare oltre misura tale discussione, aggiungerò che per quanto riguarda Milano,
coloro che tentano di restituire a qualsiasi monumento il suo carattere primitivo, a costo
di demolirlo per metà, mi sembra battano una falsa strada. Una cattedrale quale è la
loro, non costituisce soltanto un'opera d'arte, ma rappresenta nel medesimo tempo una
pagina di storia; rispettiamo l'impronta postavi da ogni generazione; non sacrifichiamo
l'interesse storico eolla leggerezza che caratterizza tanti architetti dei giorni nostri.
La storia della facciata primitiva del Duomo di Firenze, — per ritornarcene a que-
sta — è delle piìi oscure: non si sa neppure se il muro attuale corrisponda o no al
muro eretto da Arnolfo. Un fatto certo si è, che tale facciata, sebbene incompleta, era
ornata di innumerevoli statue, da quelle dei maestri del XIV secolo sino a quelle del
Donatello oggi esposte nell'interno, per esempio: Coluccio Salutati, Gianozzo Manetti
ed il l'oggi).
Le statue, colle quali gli artisti del XIV secolo hanno ornato — non si può dire ar-
ricchito — il Campanile, fecero toccare con mano la decadenza, il rimpicciolimento della
scultura fiorentina dopo Andrea da Pisa. Le statue scolpite verso la stessa epoca per
la facciata non hanno diritto ad una stima maggiore. Sebbene da lungo tempo separate
dall'editi zio a cui erano destinate, tali produzioni devono essere qui menzionate ; ci for-
*) E fu uno straniero, l'inglese Sloane, che diede il mezzo milione necessari» alla costruzione.
232
FIRENZE E LA TOSCANA.
niscono una nuova testimonianza di decadenza che nulla faceva prevedere dopo le im-
portanti conquiste di quei tre grandi innovatori clic furono: Niccolò, Giovanni ed Andrea
risano.
Quelle fra le statue clic giunsero sino a noi (quattro furono collocate presso la Porta
Romana, altre entrarono nel Museo del Louvre, colla collezione Campana), non rappre-
sentano uè filosofi, uè poeti antichi, come lo si credeva (le teste sono rimesse), bensì
dei profeti e degli apostoli, come fu dimostrato da Luigi Courajod , il compianto con-
servatore del Museo del Louvre. Il sapiente archeologo, con cui sono lieto di trovarmi
d'accordo, almeno su questo punto speciale, aggiunge che tali statue sono " orribili fantocci. „
Si attribuisce d'ordinario ad Andrea Pisano, sulla fede del Vasari (Cavallucci si astiene
dal giudicare), un'altra statua della facciata, quella del papa Bonifacio Vili, per lungo
tempo esposta negli "Orti Oricellari „ (i giardini Ruccellai) e che nel 1895, grazie alla
liberalità del duca Sermoneta, fu resa alla cattedrale. Ma quest'opera, come me ne potei
convincere de visu, è d'una fattura troppo rigida, troppo liscia per derivare dalla mano
d'un artista tanto eminente. Eccone un rapido schizzo. "Il papa è seduto, ed alza la
destra (la sinistra è spezzata). L'iscrizione BONIFATTVS P. P. Vili, ci indica quale
sia il personaggio rappresentato. I due apostoli che tengono compagnia al pontefice,
san Pietro 1 ) e san Paolo hanno le teste rimesse. I loro panneggiamenti, di stile go-
tico, sono discreti. Anche i due angioli hanno le teste rimesse; quella dell'angiolo a si-
nistra sembra anzi antica, cioè romana; ma i loro panneggimenti sono d' un' estrema
povertà.
Sarebbe ingiusto lasciare il lettore sotto tale impressione. A Firenze stessa, verso
la metà del XIV secolo, un altro scultore, Orcagna, creava, verso quest'epoca il suo
ammirabile tabernacolo di Or San Michele, con cui faremo conoscenza quanto prima,
mentre ad Orvieto degli scultori anonimi — probabilmente Senesi — arricchivano la
tacciata della cattedrale con quel capo d'opera, che si chiama il Giudizio Universale.
Dopo questa necessaria digressione, termino ora la storia, stavo per dire, l'odissea
della costruzione della facciata.
Nel 1490 Lorenzo il Magnifico aprì un concorso (era il cavallo di battaglia per quei
Fiorentini, così grandi ragionatori e così caustici!) per dare a Santa Maria del Fiore il
supplemento di decorazione che le mancava. Egli stesso, il furbo diplomatico, il poeta
ispirato, il conoscitore emerito non sdegnò d'entrare in lizza : il suo progetto fu sotto-
posto al ballottaggio, come quelli dei suoi emuli, i semplici artisti. Da questo concorso
provenne ciò che si poteva aspettare: le incertezze della commissione arrestarono di
botto lo slancio popolare. Circa vent'anni più tardi, un altro dei Medici, il figlio di Lo-
renzo il Magnifico, papa Leone X, nel momento di fare il suo ingresso trionfale nella
sua città natale, da cui se n' era fuggito travestito in seguito ad una rivolta, dette
l'ordine di mascherare quell'immenso muro che disonorava il più bell'insieme della città.
Sculture, pitture, marmi, nulla fu trascurato per comporre una facciata in forma (Varco
di trionfo, con statue di profeti nelle nicchie, e dei bassorilievi rappresentanti scene
dell'Antico Testamento!
Nel 15X7, l'antica facciata fu definitivamente demolita, e le statue andarono disperse.
.Ma tutti i progetti di ricostruzione formali sia nel secolo XVI, sia nel XVII, aborti-
') La stillici di san Pietro è opera <li Francesco di Neri, denominato il Pellajo, cho la scolpì nel 1362 (Cavallucci,
Simili Mttììit drl fiore, V-
Firenzi:. - il dfomo. 233
r<»no senza eccezione alcuna. Ad un dato momento, la decorazione del muro non si com-
poneva che di affreschi, simulanti tutta una eostruzione architettonica.
Spettava al secolo XIX completare su questo punto l'opera di Arnolfo e di Talenti :
i lavori ripresi nel 1860, coll'aiuto di sottoscrizioni private, furono terminati nel 1887,
e Santa Maria del Fiore vanta oggi una decorazione ricchissima (sebbene la spesa, non
superasse un milione di lire). La nuova facciata, composta dall'abile architetto fioren-
1'" l'untone della porta della Mandorla.
tino Emilio de Fabris (i 1875), s'accorcia convenientemente eoi resto dell'edilìzio, ben-
ché tre cuspidi, corrispondenti alle tre navate, e come quelle del Duomo d' Orvieto,
avrebbero certo prodotto più effetto dell'unica cuspide adottata da de Fabris. 15
') Descrivere le cerimonie, le feste d'ogni genere, di cui S. M. del Fiore fu il teatro, sarebbe come dipingere i fasti
della Repubblica Fiorentina dal XV al XIX secolo. Fu sotto queste volte che nel 141!) 1* antipapa Giovanni XXIII si
sottomise al papa Martino V; che il concilio di Firenze nel 14:i!) tenne la sua seduta di chiusura, innanzi al papa
Eugenio IV ed all'imperatore Giovanni Paleologo: che Giuliano dei Medici cadde nel 1479 sotto il pugnale dei Pazzi;
che Savonarola fece udire le sue eloquenti e violente prediche.
Firenze e la Toscana. 30
234
FIRENZE E LA TOSCANA.
Finita la parte della critica, è venuto il momento di rendere omaggio alle bellezze
dei particolari che attraggono a Santa Maria del Fiore tutti gli amici dell'arte.
Facendo il giro di questo immenso poligono, più d'una sorpresa — e gradevolis-
sima — ci attende. Prima di tutto l'eleganza e la varietà delle incrostazioni, composte
da lastre di marmo bianco di Carrara, di marmo verde di Prato e di marmo rosso delle
Maremme. Gli Italiani si distinsero sempre nei diversi rami del musaico; a Santa Maria del
Fiore, essi hanno superato loro stessi. Che peccato che tali intarsii non resistano più
a lungo all'azione dell'atmosfera. Ad ogni istante bisogna rinnovarli, e questo non è
una cosa indifferente di certo!
Sebbene il partito adottato in massima per l'esterno di Santa Maria del Fiore sia
l'ornamentazione liscia, in certi punti, si uni a quest' ultima la decorazione in rilievo.
Prendiamo la prima porta laterale settentrionale : il musaico e la scultura si sposano
a un'arte perfetta, malgrado la severità relativa dello stile; gli stipiti sono fiancheg-
giati da colonnette, la cui parte inferiore è come protetta da leoni o leonesse , 1' uno
che tiene fra le zampe un fanciullo nudo, l'altra che veglia sui suoi nati. Nella lunetta
una scultura perfettamente arcaica, una Vergine fra due angioli.
La seconda porta, dallo stesso lato, " la porta della Mandorla, 11 ,, è ancora più ricca:
non vi sono che fascie di verde di Prato, colonnette incrostate con marmo nero, pilastri
che spariscono sotto le sculture, teste di leone in bronzo, statuette d'apostoli, statue alla
base e sulla cima dei pinacoli; infine, per completare tale quadro abbagliante, un mu-
saico in cubi di vetro, a fondo d'oro, un' Annunciazione eseguita alla fine del secolo XV
dal Ghirlandaio, lo dirò tosto, die da quanto si può giudicare di questa composizione
nel suo stato attuale (fu molto ritoccata), essa manca di idea direttrice; l'oro vi è pro-
digato senza necessità.
Il privilegio delle fondazioni collettive, che come il Duomo di Firenze richieggono
il concorso di venticinque o trenta generazioni, è di farci assistere alle vittorie come
pure alle disfatte. E raro che nel corso d'una sì lunga odissea, esse non offrano, se
non ai vinti, almeno ai loro discendenti, l'occasione d'una rivincita.
E così che a Santa Maria del Fiore, senza nemmeno varcare la soglia del santuario,
abbiamo il piacere di scoprire, accanto agli informi tentativi lasciati dai successori di
Andrea Pisano, la prima manifestazione d'un'arte novella, d'un' arte piena di freschezza,
di spirito e di vita. Le curvature di volta e i pinacoli delle porte laterali, ecco il do-
minio in cui gli innovatori tentarono alla fine del secolo XIV ed al principio del XV.
uno sforzo che, per allora, riuscì decisivo.
Questa volta, del resto, come un secolo prima, il segnale della rivoluzione fu dato
da uno straniero e non da un Fiorentino. La scultura toscana doveva ai Pisani il suo
primo impulso : fu ad un Fiammingo o ad un Tedesco, ch'essa dovette l'evoluzione, che
riuscì, dopo un rapidissimo contatto, ai trionfi del Ghiberti e di Donatello.
Di questo ospite misterioso noi non sappiamo che una cosa, cioè che si chiamava
Pietro di Giovanni, oppure Pietro Tedesco. Basterà ricordare clic dal 1386 al 1402
questo maestro eseguì la decorazione della seconda porta meridionale del Duomo.
Malgrado il titolo pomposo di Precursore di Donatello, che gli fu accordato, mal-
grado ciò che poteva esservi di fecondo nel suo insegnamento, guardiamoci da, troppe
illusioni; l'artista fiammingo o tedesco non era, un'aquila; vi si riscontra un'ispirazione
l ) Tale nome Le viene dulia gloria in forma di mandorla, in cui ò posta la Vergine scolpita sopra la porta.
FIRENZE. - IL DUOMO.
pesante, ed una mano poco esercitata, egli non aveva per sè che il suo spirito d'ini-
ziativa. S'egli tanto influì sulla scultura fiorentina, non fu già pel suo talento, ma per
le sue origini; intendo dire, quale rappresentante di quello stile gotico, che da un se-
colo penetrava in Italia con tante ramificazioni.
La porta laterale del nord, o "Porta della Mandorla,, di cui abbiamo poc'anzi par-
lato, ci inizia nello stesso tempo ai tentativi di Niccolò Lamberti d'Arezzo, e a quelli
di Nanni di Banco. Vi ha un abisso tra la distinzione di questi maestri e la rozzezza, di
Pietro di Giovanni.
Parecchie delle figurine nude del Lamberti hanno fatto già un così evidente progresso,
che è impossibile ritenerle anteriori a Donatello; esse dimostrano altrettanta purezza del-
l'/sacco del Ghiberti : tale è l'uomo nudo, con una clamide sulla spalla sinistra. Quanto
all'alto rilievo di Nanni di Banco, la Madonna della Cintola (la Vergine che consegna
la cintura a san Tommaso), respira una freschezza ed una grazia insuperabile : troppo
presto il naturalismo, spesso brutale, di Donatello, sostituì la ricerca del carattere a
quella della bellezza che si incarna in sì alto grado nelle opere di Nanni. lj
Sulla porta stessa della " Mandorla „, due statuette di profeti, eseguite nel 1406 e
nel 1408, ci iniziano ai primi tentativi di Donatello. L'ima di esse ci rivela, secondo
Srlimarsow l'influenza di Niccolò Lamberti, l'altra quella del Ghiberti, cioè dei due artisti
che derivano direttamente dallo stile gotico, quello stile che fu pure la fonte principale a
cui Donatello, ancor giovane, si ispirò. Ho io bisogno d'aggiungere, dopo tale accer-
tamento, che i panneggiamenti vi conservano ancora alcun che di convenzionale e di
rigido ?
All'esterno, non meglio che all'interno, Santa Maria del Fiore produce l'impressione del-
l'infinito, particolare a tante cattedrali gotiche: non vi si trova uè varietà di combinazioni
l vòlte più piccole corrispondenti alle vòlte principali, esse pure suddivise in vòlte ancor
più piccolo, ne scherzi di luce. Nulla di più privo di garbo, ne di più vuoto di questi
colonnati di pietra grigia colla loro doppia fila di pilastri: non è più il gotico, e non
è ancora il Rinascimento. Nell'interno vastissimo, tutto è allo stesso livello; le parti basse
>i collegano alla navata principale in modo da formare con essa una specie di piazza,
ove la vista è limitata dal muro destro, liscio, nudo, coperto d'un'orribile tinta gialla,
senza cappelle laterali, senza nicchie, senza nulla che conferisca degli sfondi, del chia-
roscuro, del mistero. La mancanza di sedie e d'altri mobili, tranne che in un angolo
e nel coro, ove sono degli stalli moderni, in legno dipinto d'un pessimo gusto, aumenta
ancora la nudità dell'ambiente.
Tutto, sino al pavimento, cominciato sui disegni di Baccio d'Agnolo, l'abile archi-
tetto del XVI secolo, continuato su quelli di suo figlio Giovanni, tutto rattrista lo
sguardo: non vi sono che dei grandi disegni vuoti, rettangoli, ottagoni, ecc., di marmo
bianco e grigio, e in qualche punto anche rosso.
Come mai nel paese del colore si ebbe ricorso ad una simile monocromia?
Sopra un fondo così monotono ogni oggetto perde il suo splendore. Collocate pure a
Santa Maria del Fiore un numero dieci volte maggiore di sculture che non ne con-
tenga attualmente, essa apparirà sempre vuota. Sembrerebbe che, come a San Pietro
in Roma, l'architetto abbia mirato soltanto all'insieme. Soltanto la cupola coi suoi
otto giganteschi oculi, provvisti d'invetriate, colpisce per le sue dimensioni e per la
o Con piacere vi segnalo il simpatico studio consacrato a Nanni di Banco di Marcel Reymond, nella Gazzetta delle
Bdle Arti, 1895, t I.
236
FIRENZE E LA TOSCANA.
sua arditezza. Eppure, non dimentichiamolo, i capi d'opera che ornano Santa Maria
del Fiore, formerebbero la gloria di dieci cattedrali e di dieci grandi città. Le crea-
zioni della scultura vi si trovano in numero eccezionale, ed è da queste ch'io comincerò,
com'è naturale, questa rapida ispezione. 1 '
Dal XIV secolo il bisogno di far risaltare la forma sino all'inverisimile, e dall'altro
lato la ricerca del colore e dello splendore, avevano raggiunto
il loro estremo limite. Le superficie piane erano letteral-
mente proscritte ; non si cercavano che gli angoli rientranti
e sporgenti. L'occhio non sapeva ove riposarsi in un tal de-
dalo di nicchie e di rilievi. L'espressione della vita, agli occhi
di quegli artisti inquieti, risiedeva nella varietà delle forme.
La pila dell' acqua santa del Duomo, di cui per lungo
tempo s'attribuì il disegno a Giotto, ma che in realtà ap-
partiene alla scuola di Pisa, fornì un esempio memorabile
di siffatte combinazioni, e di tale alternarsi di
lince. Si potrà giudicarne dalla nostra incisione.
Quanto è leggera la pila dell'acqua santa, altret-
tanto pesante è il mausoleo del vescovo Antonio
d'Orso (f 1336) scolpito da Tino di Camaino, il
compatriota ed il discepolo d'Andrea Pisano. Que-
sto monumento consta d'una statua seduta sopra
un sarcofago, sorretto da tre leoui, a cui una
doppia arcata a mensola serve d'appoggio. Nulla
qui che ricordi nò il vigore, uè la purezza della
statuaria francese contemporanea.
Oltrepassiamo un secolo : nella storia d'un mo-
numento quale Santa Maria del Fiore , è tanto
come un lustro, e studiamo l'urna in bronzo che
rinchiude le ceneri di san Zanobi, il primo ve-
scovo di Firenze. Eccoci in pieno Rinascimento,
innanzi ad una delle più pure creazioni del Ghi-
berti. Nella schiera d'angioli che sostengono la
ghirlanda intorno all' iscrizione, l' artista spiegò
una morbidezza, un'armonia, una soavità insupe-
rabile. Egli si ispirò nei principii generali ai mi-
gliori modelli greci dell'antichità ; ma rimanendo
l'uomo del tempo suo per l'emozione e la fre-
schezza. Gli altri bassorilievi eontengono dei de-
liziosi quadri di genere.
Tale è, dapprima alla cattedrale, poi a Firenze, la quantità dei capolavori che
l ) 11 presidente de Brosses, ad onta delle infinite eresie di cui si rese colpevole in materia d'arte, ha i liti-avvisto tale
legge, cioè che a Firenze la scultura è superiore alla pittura: "Il Vasari, dice egli, ha un bel incensare il suo paese
a tale riguardo; se è per adulare se stesso egli dovrebbe nascondere i suoi quadri che sono poco più che mediocri.
In una parola ciò che v'ha di più curioso qui, in questo genere, è il vedere i primi monumenti dell'arte, fabbricati da
(limabile, Giotto, «addo Gaddi, Lippi, ecc., per la massima parte lavori cattivissimi, ma ohe servono tuttavia a dimo-
strare come il talento si sia sviluppato e perfezionato a poco a poco. Ma se la pittura qui è debole, in compenso vi trionfa
la scultura; è la città delle statue per eccellenza,..
La pila dell'acquasanta (Duomo)
FIRENZE. - IL DUOMO.
23 7
attirano l'attenzione, che il lettore mi perdonerà se sorvolo su quelle pagine da me
altrove apprezzate, per riservare il posto cosi guadagnato a quelle che ho il piacere
di presentargli per la prima volta. Adunque egli mi permetterà di limitarmi ad una seni
[dice menzione delle opere del capo della Scuola fiorentina primitiva, il grande Dona-
ti Ilo. S' egli vuole ricorrere alla mia Histoire de l'Art pendant la Renaissance, vi
troverà la descrizione del san Giura uni (1408-1415), clic servì di prototipo al Mose
di Michelangiolo, quella del Poggio, final-
mente la celebre ridda di bimbi, scolpita
dal 1343 al 1440 perla tribuna dell'organo.
Genio forte, febbrile, con una tendenza
all' improvvisazione, Donatello ha disgra-
ziatamente trascurato troppo spesso di dare
ai suoi lavori quel tocco che distingue
Grhiberti; nelle sue pagine migliori egli
lasciò sussistere molta durezza. Allorché
la composizione non gli veniva di getto, se
ne stancava tosto, e talora abbandonava
xiiza scrupolo il lavoro appena abbozzato.
Attorno a questo focoso innovatore s'ag-
gruppano i suoi discepoli ed anzitutto quel
bel talento che si chiama Xanni di Banco.
Il suo San Luca sedato (1508-1515) me-
ritò di venir attribuito allo stesso Dona-
tello, tanto è grandioso e bello.
Lo scultore che per ordine cronologico
segue Donatello, Luca della Robbia, non
«leve la Mia celebrità soltanto all'invenzione
od al perfezionamento delle terre cotte o
verniciate; egli ha nello stesso tempo di-
ritto a tutta la nostra stima per le sue scul-
ture in marmo — specialmente per gli al-
ti rilievi — in cui havvi tanta purezza e
raccoglimento, un incantesimo così pene-
trante.
A Santa Maria del Fiore Luca è rap-
presentato dai bassirilievi in marmo della Statua di San Giovanni del Donatell ° ^ Duomoj
tribuna degli organi fehe formano riscontro
a quelli di Donatello), dalle porte di bronzo di una delle saeristie eseguite in collabo-
razione con Michelozzo e Maso di Bartolomeo, indi da due altirilievi in terra eotta ver-
niciata, incrostati nei timpani delle due saeristie: la Risarrezione (1443) e V Ascen-
sione (144G-1450j.
Qualche data per fissare la cronologia della vita artistica di questo eminente mae-
stro: nato nel 1100, Luca riceveva nel 1431 l'ordinazione dei bassirilievi destinati alla
tribuna dei cantori del Duomo (terminati verso il 1440) e nel 1437 quella dei bas-
sirilievi destinati al Campanile. Nel 144."), si fa menzione per la prima volta delle sue
238
FIRENZE E LA TOSCANA.
sculture in terra cotta verniciata. Dal 1446 al 1474 egli lavorò alle porte di bronzo d'una
delle sacristie della cattedrale. Morì il 22 febbraio 1482.
Quanto slancio Donatello mise nella sua ridda di bimbi, altrettanta ponderatezza usò
Luca sacrificando alla saggezza, alla moderazione, al ritmo. Non è già ch'egli non sappia
animarsi, ma egli non intende mai uscire dai limiti impostigli dalla cornice architetto-
nica; per ispirito d'osservazione e d'esattezza certi suoi gruppi sono veri prodigi. Già
i contemporanei vi ammiravano — lo afferma il Vasari — il moto della gola in quelli
che cantano, il battere delle mani in quelli che leggono la musica per di sopra le spalle
dei cantori più piccoli.
Come questi cantanti, e questi suonatori o queste suonatrici di mandolino, di cetra,
d'organo, eseguiscono bene la loro parte ! L'autore studiò sul vivo i diversi aspetti che
l'emissione del suono dà alla fìsonomia ; al solo guardare l'uno o l'altro degli ese-
cutori, si vede che l'uno — il maggiore — ha una voce di baritono, e gli altri delle
voci di soprano. Bisogna paragonare questo pezzo di scultura alla famosa pala d'altare
dei Van Eyck, al Museo di Berlino: il talento d'osservazione non è minore.
E quanti soggetti attraenti, pieni di freschezza e di grazia! I cantori che leggono
sopra la spalla l'uno dell'altro ; uno colla mano appoggiata sulla spalla di quello che
gli sta dinanzi, un secondo che segue col dito le note sul quaderno di musica, ed il
maestro che, col braccio alzato, modera l'ardore dei più giovani !
Osserviamo che in questa scena i costumi sono francamente antichi : tuniche corte
o lunghe, clamidi annodate sulla spalla, qualche volta degli stivaletti. Più innanzi, si
trova, come in Donatello, una specie di camicetta che lascia le braccia nude, e forma
sui fianchi un'apertura che si richiude con un bottone. Queste imitazioni non sono,
peraltro, che un caso, un'eccezione. In un'epoca in cui gli artisti fiorentini, anche i
più timidi, subivano il fascino dell'antichità, i Della Robbia si sforzarono di mostrare
ch'era possibile fare una cosa ampia, morbida, armonica, senza copiare i modelli greci
o romani; essi non intendevano del resto diventar tributari del medio evo, e non con-
sultando che la loro ispirazione personale riuscirono ad elevarsi allo stile.
Se nei Cantori , la scena è disposta a scaglioni , nei Suonatori di tamburo è dis-
posta in forma d'emiciclo; da ogni lato tre fanciulli, l'uno un po' più indietro dell'altro;
nel centro uno dei loro compagni che sembra dirigere l'orchestra. L'ordine di questa
composizione è perfetto e dimostra la superiorità dell'artista. Essa ci ricorda pure che
giammai i Della Robbia si attennero al bassorilievo pittoresco, messo in moda dal
Ghiberti.
Ai cinque gruppi, così raccolti, dei Cantori e delle Cantanti, dei Suonatori d' or-
nano e dei Suonatori di tamburo, Luca della Robbia oppose cinque gruppi d'un am-
mirabile movimento, ma ritmico, trattenuto nei limiti della decorazione. Sono : i Suo-
natori di tromba , i Suonatori e le Suonatrici di chitarra, i Suonatori di cembalo, e
finalmente i Danzanti.
La ginnastica del movimento e della disposizione non fu mai tanto osservata quanto
in questi bassorilievi. Non c'è alcun altro modello da raccomandare più calorosamente
ai giovani scultori desiderosi di abituarsi a superare le difficoltà ed a familiarizzarsi con
tutte le risorse della loro arte. Ora trattasi dal contrasto di atteggiamenti fra i più spic-
cati, ma che si risolvono in una perfetta armonia, tanto più vibrata perchè riposa
sopra mio sforzo maggiore; ora un ritmo unico domina in tutte le figure, come in questo
magnifico gruppo «lei sei bimbi, visti di profilo, di tre quarti, di dietro, poi ancora di
profilo, e finalmente di prospetto, in modo da esaurire tutta la serie delle combinazioni
FIRENZE. - II, DUOMO
plastiche. Tale lavoro straordinario, che non pecca clic'
per una eerta pesantezza nelle gambe, può lottare con
qualsiasi bassorilievo antico.
Però la più popolare fra coteste composizioni è
quella dei Suonatori di tamburo: nel eentro due fan-
ciulli nudi, di cui quello di destra sembra ispirato a
qualche * giovane fauno greco o romano, stanno l'uno
dirimpetto all' altro. Uno colle mani stese si dondola
sopra un piede, padrone d'ogni suo movimento; l'altro,
trasportato dal suo slancio, è costretto ad appoggiarsi
sopra uno dei suonatori di tamburo per non cadere ad-
dosso al suo compagno.
Citerò ancora la composizione die si svolge in
forma di fregio, come un Baccanale antico : i suo-
natori di cembali, che camminano lentamente o corrono,
o si slanciano a precipizio. La gradazione dei movi-
menti è prodigiosa.
Questa celebre serie basterebbe a provare che
Luca della Robbia era uno scultore di razza, degno di competere coi più grandi, il vero
emulo del Ghiberti e di Donatello.
Sarebbe stato meglio, per la gloria di Della Robbia, che la sua collaborazione nella
decorazione della cattedrale si fosse limitata alla tribuna dei cantori : in questo caso egli
non sarebbe stato rappresentato nel santuario che da un capolavoro. Disgraziatamente
per lui e per noi, egli sollecitò ed ottenne la direzione delle porte di bronzo di una
delle sacristie (colle figure degli Evangelisti, dei Dottori della Chiesa, ecc.), ed in questo
lavoro, a cui egli si dedicò totalmente per 33 anni, spiegò la stessa pesantezza che pose
nei rilievi del Campanile, invece di manifestare la grazia e la purezza che distinguono
il rimanente delle opere sue. Infatti queste opere in generale costituiscono un'imitazione
imperfetta di quelle del Ghiberti; esse offrono specialmente il soggetto di teste in alto-
rilievo che spiccano sui compartimenti. Ma le pieghe dei panneggiamenti formano una
linea troppo regolare e troppo lunga, i tipi non hanno uè la distinzione, nò la finezza
di quelli di Grhiberti. In una parola, per trionfare delle difficoltà inerenti ad un lavoro
in bronzo, sarebbe stata necessaria la pratica dell'oreficeria, come la possedevano Ghi-
berti e Donatello. Ora Della Robbia fu uno statuario di razza, e nient'altro.
Ma la tentazione è troppo forte: abbandoniamo per un momento l'ordine cronologico
e Della Robbia, per penetrare in questa sacristia, di cui egli si limitò a decorare l'e-
sterno: gli intarsi che coprono le pareti sono dello stile più sobrio e più elegante (rap-
presentano fra l'altro dei vasi di fiori) e le statue pure in legno che vi stanno sopra, —
genii nudi che sostengono dei festoni — ne fanno risaltare l'eleganza, quantunque ab-
biano troppa ricercatezza. Abbiamo innanzi a noi un lavoro di Giuliano da Majano,
L'abile architetto ed intarsiatore fiorentino del XV secolo. La scultura in marmo è pure
ben rappresentata: uno dei lavabo ha per autore Mino da Fiesole; è forse il più iter-
tetto quanto allo stile; ma io preferisco l'altro, scolpito da un allievo di Donatello,
Buggiano, tanto n' è grazioso il soggetto: i due bambini nudi sono seduti sopra un
otre, da cui col loro peso fanno uscire l'acqua.
Oltre alle sculture in marmo ed in bronzo di Luca della Robbia, la cattedrale fio-
rentina ci offre la più antica terracotta verniciata, di data sicura, eseguita da quel
240
FIRENZE E LA TOSCANA.
maestro. È la Risurrezione di Cristo, 1448, a cui fece seguito V Ascensione di Cri-
sto, 1446-1450. Queste due pagine sono ben lontane dal dimostrare la facilità di linee
e la soavità d'espressione, che distinsero in seguito il capo della dinastia dei Della Robbia.
Nella prima la disposizione ha ancora qualche cosa d'angoloso, e gli atteggiamenti
alcunché di forzato (osservate gli scorci dei custodi della tomba). C'è più slancio nella
seconda; gli apostoli che in ginocchio ed a mani giunte guardano il loro maestro, che
s'innalza verso i cieli, benedicendoli, sono davvero tali da commuovere. ì]
Della vernice delle terrecotte a cui il Della Robbia deve la parte migliore della sua
celebrità, non dirò che una cosa: cioè che se la fabbricazione delle maioliche policrome
era conosciuta lungo tempo prima di lui,
come la modellazione delle statue e dei
bassorilievi in terracotta, questo maestro
però sembra abbia avuto pel primo l'idea
d'applicare alla scultura il processo della
colorazione, unicamente usato, prima di lui,
per le stoviglie o le superficie piane. Ca-
vallucci e Molinier nella monografia ad
esso consacrata sono disposti ad accettare
a questo riguardo la leggenda formatasi
attorno al loro eroe e di cui si fece eco
Vasari.
Verso la fine del secolo XV, Lorenzo
il Magnifico, riprendendo l'idea già espressa
nel 1893, decise di fare del Duomo il Pan-
theon delle glorie fiorentine. A tal pro-
getto, abortito poi in seguito alla morte
del Magnifico, e alle lotte civili , si col-
legano i busti di Giotto, il rinnovatore
della pittura, e di Caccialupi, l'abile co-
struttore d'organi. Cotesto effigie sono do-
vute allo scalpello vivace ed elegante di
Benedetto da Majano, uno dei più graditi
tra i quattrocentisti fiorentini , l' archi-
tetto del palazzo di Filippo Strozzi e lo
scultore del busto dello stesso Filippo, acquistato alcuni anni fa dal museo del
Louvre.
Non fu colpa degli amministratori di Santa Maria del Fiore, se il loro santuario
non s'arricchì d'una lunga serie di capolavori scolpiti dal loro illustre concittadino Mi-
chelangelo: sin dal 1503, essi gli ordinarono le statue dei dodici Apostoli dandogli
un termine di dodici anni di tempo per compierli. Ma il maestro sopraccarico d'altre
0 Si affermò talora che da ]>riiiei]>io Luca della Robbia non usò elio dui' colori, il bianco ed il celeste. Ma è certo
die nei suoi Evangelisti, della Cappella dei Pazzi, che contano (Va le sue prime produzioni, e il cui stile è .incora più
arcaico di quello della Rimrrczionc del Duomo, egli ha nià imito a questi dui' colori il verde, il violetto ed il giallo,
riservandoli, è vero, quali accessorii.
I cantori di Luca della Robbia (Duomo).
FIRENZE. - IL DUOMO.
241
commissioni non riuscì che ad abbozzare mia di tali statue, il San Matteo, oggidì con-
servato all'Accademia di Belle Arti a Firenze. Negli ultimi anni, ridivenuto più libero
delle sue azioni, egli volle dimostrare la sua gratitudine ai suoi concittadini, e nel me-
desimo tempo innalzare a se stesso un monumento nella sua città natale; le statue
degli Apostoli essendo state nel frattempo affidate ad altri artisti, egli rivolse tutti i
suoi sforzi sopra un gruppo rappresentante la Deposizione della Croce. Dichiariamolo
La Pietà, di Michelangelo (Duomo).
sùbito: il lavoro riuscì male; Michelangelo stesso ne rimase così malcontento da farlo
a pezzi; non ci vollero che le vive istanze dei suoi amici per far ch'egli acconsentisse
allo scultore Tiberio Calcagni di rimetterlo insieme. Cotesto gruppo malaugurato non
era ancor alla fine delle sue peripezie: soltanto nel 1722 venne collocato nella metro-
poli fiorentina.
Michelangelo, non ci si stanca mai di ripeterlo — e la Deposizione della Croce .
come pure la Pietà non possono che rafforzare tale nostra convinzione. — Michelan-
Firenze e la Toscana. 31
242
FIRENZE E LA TOSCANA.
gelo, dico io, emergeva anzitutto nelle figure isolate: invece i bassorilievi e i gruppi
non erano cose per lui; refrattario agli insegnamenti della pittura, egli ignorò sempre
1' arte di riunire le une alle altre le figure. Clic ne risultò? Che il gruppo di Santa
Maria del Fiore pecca per mancanza di armonia e di ritmo, malgrado la convinzione
e il dolore — una specie di dolore ottuso — dei personaggi che sostengono il cada-
vere di Cristo. Le figure non si staccano abbastanza le une dalle altre; esse presentano
troppi urti e troppe disarmonie per soddisfare l'occhio e la ragione. Non ci vuole meno
del gran nome del Buonarroti, per interessarsi a questa senile produzione.
Il più seducente degli scultori fiorentini del XVI secolo, Jacopo Sansovino, che
fece poi gran fortuna a Venezia nella sua doppia qualità di scultore ed architetto, è
rappresentato nel Duomo da una statua di apostolo (una di quelle ch'erano primieramente
ordinate a Michelangelo), la statua del suo patrono San Giacomo. Quest'opera cospicua
fa pensare a Donatello: uguali sono gli effetti dei panneggiamenti. In quanto alla
espressione, essa ricorda uno dei più eminenti discepoli di Donatello : Nanni di Banco.
È pure a Santa Maria del Fiore, che noi incontriamo per la prima volta l'artista
mediocre e malefico, che osò rivaleggiare con Michelangelo; Baccio Bandinelli 1 ' (1493-1560).
Maldicente, intrigante, indelicato, accattabrighe , questo artista riuscì più d'una volta,
grazie alle antiche relazioni di famiglia coi Medici, a spodestare i maestri più eminenti.
Nel 1547, Bandinelli e Giuliano d'Agnolo fecero accettare a Cosimo I un progetto
di un cancello che da solo doveva costituire un vasto monumento, ornato a profusione
di statue e di bassorilievi, di marmi e di bronzi. Tale lavoro barocco disonorò il Duomo
sino al 1842, epoca in cui venne tolto, non lasciando sussistere altro che il basamento
di marmo, colle sue figure d'apostoli o di santi scolpiti in bassorilievo dal Bandinelli
e da Giuliano dell'Opera. In queste figure, che sono più di Donatello che di Michelan-
gelo, si è colpiti per 1' abuso degli effetti di torso : nulla di più declamatorio, nò di
più vuoto.
Sulle opere di pittura che ornano Santa Maria del Fiore, io sarò breve e con ra-
gione: queste opere non hanno altro vantaggio che la loro varietà — il musaico, la pit-
tura sul vetro e l'affresco vi sono posti a contribuzione; ■ — ma non ci offrono una
pagina grande come quelle che abbondano in molte altre chiese fiorentine, e senza cercar
molto lontano, in Santa Maria Novella od a Santa Croce.
Il musaico, che si trova nell'interno della facciata, nell'arcata a sesto acuto sopra la
porta centrale, Y Incoronazione della Vergine, si raccomanda tanto per la sua antichità
ed il suo splendore, quanto pel nome del suo autore Gaddo Gaddi (f 1333), il discepolo
prediletto di Giotto. 2)
Fra gli affreschi, i due più antichi, le effigie equestri di sir John Hawkood (Gio-
vanni Acuto (f 1394), il condottiero inglese divenuto il più devoto alleato della repub-
blica fiorentina, dopo esserne stato il più accanito avversario , ed un altro condottiero
J ) Benvenuto Celi ini, ch'era il suo mortale nemico, lo chiamava buaccio (gran hue).
2 ) La composizione è altrettanto semplice che maestosa: da una parte Cristo seduto in atto di benedire, rivolto verso
la madre, a cui posa sul capo una corona; dal lato opposto, la Vergine pure seduta, china dinanzi al figlio e che stende
la niano quasi per rispondere alla sua benedizione. Per fondo uno strato d'oro che simula l'azzurro delle regioni ce-
lesti; per vestiti delle stoffe broccato d'oro, metallo che formava in quell'epoca l'ultima ratio del lusso. Pure d'oro sono
i nimbi circondati da una linea nerastra. Le diie figure appaiono ben conservate; esse * icordano i musaici del Battistero,
sili quali però la vincono in maestà.
FIRENZE. - II, DUOMO.
2 L'i
Niccolò da Tolentino (fl433), vantar.*) il nome di Paolo Uccello, il sincero c barocco
campione della prospettiva, e di Andrea del Castagno, realista non meno accanito.
Sebbene manchino di nobiltà , e la conservazione ne sia difettosa (l'Hawkood fu
ridipinto in parte nel secolo XV da Lorenzo di Credi), queste pitture hanno del ca-
rattere e della forma. Si osserverà nella prima 1' uso di un chiaroscuro verdastro, che
spicca pel contrasto eolle bardature e gli ornamenti del eavallo, che sono rossi. L'in-
quadratura è composta di soggetti che appariscono posteriori a Paolo Uccello; dei gri-
foni, dei vasi, ecc.
Le vetrate della cattedrale derivano da disegni forniti da una pleiade di celebri ar-
tisti — Ghiberti, Donatello, Paolo Uccello, ecc. — Il lettore mi scuserà, s'io qui non
mi estendo di più, e se lo indirizzo per maggiori dettagli, ad un lavoro speciale. h
Un'ultima manifestazione della pittura fiorentina, " last not least „ (l'ultima, non la
minima) per dirlo cogli Inglesi, ci si offre sotto la cupola. Sono i Libri corali., che ser-
vono ancor oggi alla celebrazione degli uftìzii. In questa corsa io sono dolente di non poter
trattenermi sulle produzioni della miniatura fiorentina, sui capi d'opera degli Attavante,
dei Gherardo, dei Monte di Giovanni. Quante volte nel corso delle mie innumerevoli gite
a Firenze io m'ero ripromesso di studiarle a fondo, sotto gli auspici del mio sapiente e
gentile confratello, l'abate Anziani, l'antico prefetto della Laurenziana. Io avevo comin-
ciato ad esplorare questo mare magnum, ero giunto sino ad Attavante, il miniaturista
officiale di Lorenzo il Magnifico, dei Pontefici, del re d'Ungheria. Il destino mi ha
sempre impedito di completare la mia esplorazione , ed è, alle analisi disordinate , ma
spesso profonde, di Rio, l'autore dell'arie cristiana, ch'io sono costretto di pregare il
lettore a volersi rivolgere.
La storia della pittura finisce a Santa Maria del Fiore con una nota eh' io quali-
ficherei ben triste, se non vi si unisse una gran dose di grottesco. Nel 1572, il bravo
Vasari, oggi più conosciuto come storico d'arte, che come artista, decise il duca Co-
simo I a far ornare con affreschi l'interno della cupola. Egli scelse per soggetto della
composizione il Giudizio universale, e pregò il suo amico don Vincenzo Borghini, pre-
sidente dell'Accademia fiorentina di Belle Arti, d'elaborare per lui un buon programma.
Era 1' età dell' oro della pittura letteraria : Borghini non dedicò meno di dieci pagine
per parlare dei personaggi storici, e delle figure allegoriche, che intendeva introdurre
nella composizione. L'11 giugno dello stesso anno, il Vasari si pose all'opera, dopo
aver fatto celebrare la messa dello Spirito Santo, e sebbene fosse costretto ad ogni
istante di tornarsene a Roma, al servizio di papa Gregorio XIII, egli spinse avanti
il lavoro con una febbrile attività. Ma la morte lo sorprese il 27 giugno 1574. Il suo
successore, Federico Zuccheri, non procedeva con minor rapidità di lui; cinque anni gli
bastarono per condurre a termine questo ciclo gigantesco (1579), anzi egli distrusse
completamente la parte dipinta dal Vasari, pel piacere di porvi le proprie composizioni.
Se la cupola del Brunellesco non ebbe una decorazione degna di lei, la colpa non
è da attribuirsi agli amministratori fiorentini ; gli onorari versati tanto a Vasari che
a Zuccheri raggiunsero la rispettabile cifra di 12 o 13 000 ducati, cioè tre volte
più di quanto era stato dato a Michelangiolo per gli affreschi della vòlta della cap-
pella Sistina. Ma allora i pittori fiorentini o romani ignoravano ciò che fosse ispira-
zione, originalità e persino probità professionale ; erano diventati dei coloritori e nulla
più. I critici soltanto conservavano ancora delle tradizioni di buon gusto; tutta Firenze
*) Revue dea Arts décorattfs, 1891.
244
FIRENZE E LA TOSCANA.
fu unanime a vituperare tanto l'opera del Vasari, quanto quella dello Zuccheri. Lo sdegno
e lo sprezzo non scemarono col tempo; a diverse riprese la fabbrica del Duomo pensò
di far ricoprire con un' intonacatura la gigantesca gagliofferia (tale è l' epiteto usato
sin dal XVI secolo) che disonora il capo d'opera di Brunellesco.
Nel mio ultimo viaggio a Firenze (non ricordo se fu il ventiquattresimo od il ven-
ticinquesimo), il museo dell' Opera del Duomo formava il complemento obbligato ai
tre editìzi che si chiamano : il Battistero, il Campanile e Santa Maria del Fiore.
Oggi, come i medici di Molière, quei signori dell' Opera hanno mutato tutto ciò.
La collezione dipende ora della direzione generale dei musei fiorentini, direzione per
l'addietro antiliberale, inospitale, ma che oggi, sotto gli auspici del commendatore Ri-
dolfi, è venuta a miglior consiglio, a sentimenti più cortesi, e più degni d'una grande
città internazionale, come Firenze. Si profittò del cangiamento di direzione, e dell'ine-
vitabile collocamento del tourniquet a tassa, per ingrandire il locale, e specialmente
per porvi i bassorilievi in origine scolpiti da Donatello e della
Robbia per le tribune di Santa Maria del Fiore , la Ridda
dei Bimbi e i Fanchdli musicanti, per lungo tempo
conservati al Museo nazionale ]) o del Bargello.
Gli amministratori delle collezioni fiorentine
danno prova dello zelo più lodevole, ma se ne
avvantaggiano solo i compilatori di guide o di
descrizioni, sicuri di pubblicare ogni prima-
vera una nuova edizione. Io lo dico carita-
tevolmente ai miei colleglli; allorché vi oc-
cupate di Firenze non finirete mai ; perio-
dicamente al solstizio d' estate , o al sol-
stizio d'inverno, sarete obbligati a rivedere
il vostro lavoro, se non volete correre il
rischio di lanciare i vostri lettori in labi-
rinti inestricabili. E se non si trattasse
che d'una sala o due aggiunte al resto ! Ma
vi sono continui spostamenti. Benediciamo, ad onta dei disagi che ci impongono, tali
infaticabili organizzatori ; non v' ha secondo me nessun' altra città, ove si faccia tanto con
sì poco rumore. Vuol dire che per tenerci al corrente dovremo visitare più spesso le
rive dell'Arno. Quale sarebbe quel barbaro che deplorerebbe un obbligo simile ?
Il Museo dell'Opera occupa una casa di poca apparenza, situata sulla piazza stessa
del Duomo. Nella corte , delle sculture del medio evo (una statua della Vergine se-
duta, ecc.), alcuni busti più moderni, delle colonne. Poi in un certo numero di sale, il
Museo propriamente detto, che comprende dei quadri antichi, dei lavori d'oreficerie, dei
ricami, ed una serie di ornamenti relativi al culto. Quanto il Battistero, il Campanile
e il Duomo hanno importanza per la storia della scultura e della pittura, altrettanto il
Museo ne offre per quella dei rami minori, non oso dire più umili, quali il musaico,
l'oreficeria e il ricamo.
Due musaici in cubi microscopici, d'un millimetro di spessore, ci ricordano le re-
lazioni dei Fiorentini coi Bizantini ; essi ci riportano, come le incrostazioni monumentali
L'incoronazione della Vergine, musaico di Gaddo Gaddi.
(Duomo).
') Tolgo questi particolari da una corrispondenza pubblicata da Pératé nella Gemette des Bcam- Aris (agosto 1892).
FIRENZE. - IL DUOMO. 245
del Battistero, al secolo XII o al XIII. Le dodici grandi feste, simboleggiate da scene
della vita di Cristo, formano il soggetto di tali meraviglie in cui la minuzia della mano
d'opera non impedisce che la composizione sia piena di movimento e di forza al massimo
grado: allorché i Bizantini abbandonavano la solennità e la rigidità ad essi abituale,
facilmente cadevano nell'eccesso opposto.
Un altro musaico , eseguito a Firenze da Davide Ghirlandajo, c' inizia al Rinasci-
mento provocato in quest'arte verso la fine del secolo XV. Questo lavoro, composto di
cubi abbastanza fini, rappresenta il vescovo san Zanobi di prospetto , a mezzo corpo,
la testa circondata da un' aureola; quale sfondo, una veduta di Firenze. L' autore ha
sbagliato trattando un quadro in musaico , come un quadro di cavalletto, e prodigan-
dovi dei toni multicolori. L'altare d'argento, il dossale, conservato al museo del Duomo,
d'onde si porta ogni anno al Battistero, il giorno di san Giovanni Battista, per esporlo
all'ammirazione dei fedeli, è una pagina importantissima per la storia degli scultori-ore-
fici di Firenze.
Quest'opera monumentale, ricca d'ornamenti d'oro, di smalti, di lapislazzuli, fu co-
minciata nel 136(3 da Leonardo di ser Cristoforo, Betto di (ieri, Cristofano di Paolo
e Michele di Monte. Non era ancora finita verso la fine del secolo XV. Dopo che
il celebre architetto scultore Michelozzo l'ebbe dotata d'una statuetta di san Giovanni
Battista, alta m. 0,60, i più abili scultori orefici, Bernardo Cennini, Antonio Pollajuolo,
Verrocchio, od anche degli orefici di professione, Antonio di Salvi, e Francesco di Gio-
vanni, vi diedero l'ultima mano. Non farà meraviglia, vista la molteplicità dei collabo-
ratori, il riscontrare della confusione nel dossale. Talune scene complicate, col loro
fondo di paesaggi, talune linee angolose e discordi, ci riportano in pieno gotico, eppure,
1' abbiamo detto, una metà almeno di questo monumento in miniatura appartiene all'èra
del Rinascimento.
Gli artisti occupati nel completamento del dossale rispettarono per qualche tempo
la traccia segnata dai loro predecessori. Tali sforzi sono visibili anche nella Visitazione
del Pollajuolo, artista agitato quant' altri mai , e nella sua Natività di san Giovanni
Battista; ambidue si distinguono perla regolarità, non si osa dire per la purezza delle
linee. Nella Presentazione della testa di san Giovanni ad Erode, modellata e cesellata
dal Verrocchio, le figure sono pretenziose e male equilibrate ad un tempo stesso, i drap-
peggi mal disposti ; le stesse regole del bassorilievo vi sono violate nel senso che i
personaggi del primo piano si staccano in altorilievo da quelli del fondo. Finalmente,
nella Decollazione di san Giovanni, il carnefice, visto di dietro, offre la ricerca degli
effetti di scorcio, e degli effetti dei muscoli, sì cari ai maestri fiorentini della fine
del secolo XV.
La croce d'argento, cesellata dal 1456 al 1459 da Betto di Francesco Betti, An-
tonio Pollajuolo, e Meliano di Domenico, al prezzo di 3036 fiorini, 6 lire, 18 soldi,
4 denari (da 150 a 200 000 lire della moneta nostra), si risente pur essa della molte-
plicità di collaboratori.
L'arte tessile conta al museo del Duomo una pagina non meno importante: intendo
parlare della serie di ricami fatti eseguire dalla corporazione dei mercanti dal 1466 in
poi. per la decorazione del Battistero. I Mecenati fiorentini non esitavano, occorrendo,
— il secolo XV era più liberale del XIX, — a ricorrere ad artisti stranieri: il
fiammingo Coppino di Malines figura infatti tra gli interpreti dell' ampio lavoro, che
non richiese meno di ventisei anni. Le fotografie della casa Alinari permettono di stu-
diare nei menomi dettagli la tecnica e lo stile di questo ciclo consacrato all'illustra-
240
FIRENZE E LA TOSCANA.
zione della Vita di san Giovanni Battista: esse ci dimostrano che i ricamatori troppo
spesso tentarono di rivaleggiare colla pittura propriamente detta, e copiarono troppo let-
teralmente i modelli composti per loro da Antonio Pollajuolo.
In questo vasto museo ch'è Firenze è utile, allorché s'incontra qualche pagina straor-
dinaria, studiarla a costo anche di violare 1' ordine storico o topografico. Se ne ri-
mettete l'esame, correte il rischio di venir distratto ed assorbito da cento altre mera-
viglie. Cogliete l'occasione o, come dice il poeta: " Carpe diem „. E per questo che non
abbandonerò la piazza del Duomo senza segnalare presso all' Opera del Duomo, al
N. 26, mi palazzo del XVI secolo, il palazzo Riccardi-Guadagni, costrutto da Ghe-
rardo Silvani, in rustico, d'un aspetto magnifico, ad un tempo ampio, severo, imponente;
i suoi frontoni dalla vigorosa sporgenza, le imposte verdi, il tetto posto direttamente
sul muro della facciata, senza il menomo architrave, la parte monumentale, il gran-
dioso porticato che dà sopra un cortile, in fondo al quale sta una statua, tutto ciò
forma nell'insieme un'armonia delle più complete e delle più fiere. Questa sarà deca-
denza, se si vuole, ma una decadenza degna della nostra stima.
V.
Il quartiere dei Medici. — Il palazzo Riccardi. — I conventi di Sant'Onofrio e di Sant'Apollonia. — La torta
San Gallo. — La Basilica di San Lorenzo e la Biblioteca Laurenztana.
Abbandonando la piazza del Duomo , propongo al lettore d' adottare un itinerario
che non ha nulla di metodico , ma che gli risparmierà la noja di ogni andirivieni :
percorriamo dapprima il quartiere di San Lorenzo, poi il quartiere Santa Maria No-
vella, per dirigerci poscia verso l'Arno e visitare il palazzo Ruccellai, l'oratorio
.d'Or San Michele, la Piazza della Signoria, il Palazzo Vecchio e la Galleria degli
Uffizi. Di là ci spingeremo sino alla chiesa di Santa Croce d' onde , dalla via più
breve, giungeremo al Museo Nazionale, all'Accademia delle Belle Arti ed al convento
di San Marco, la meta estrema delle nostre peregrinazioni sulla riva destra. Una se-
conda serie d'escursioni sarà dedicata alla riva sinistra, ove dovremo sostare successi-
vamente al palazzo Pitti, e nelle chiese di Santo Spirito e del Carmine. Il giro dei
bastioni di questa riva sinistra, ed una visita a San Miniato, completeranno la no-
stra gita.
A breve distanza dal Duomo, si erge su tre strade (via Cavour, via Gori, via Gi-
nori) il capo d'opera di Michelozzo (nato verso il 139G, morto nel 1472), l'allievo pre-
diletto di Brunellesco : intendo parlare del palazzo dei Medici , più noto oggi sotto il
nome di palazzo Riccardi. Solo uno scrupolo di diplomatico impedì Cosimo dei Medici,
il vecchio, il Padre della Patria, di affidare allo stesso maestro la costruzione del suo
palazzo; il progetto espostogli da Brunellesco gli parve talmente grandioso, che te-
mette , adottandolo , di destare la gelosia dei suoi scontrosi concittadini. Egli incaricò
adunque Michelozzo di comporre per lui un progetto più modesto.
'Non senza una certa emozione si ammira questa dimora che ospitò tanti uomini
celebri; ci troviamo costretti ad evocare i primi Medici: Cosimo, suo tìglio Piero,
FIRENZE. - IL PALAZZO RICCARDI.
247
il nipote Lorenzo il Magnifico, il papa Leone X' ed i loro innumerevoli amici: Mi-
chelozzo e Donatello, fra Filippo Lippi e Benozzo Gozzoli, Marsilio Ficino, Poliziano,
Pico della Mirandola, Lascaris, e tutto il fior fiore del Rinascimento fiorentino. Qui
abitarono il re di Francia Carlo Vili (1494), il cui arrivo fu il segnale della caduta
dei Medici, e l'imperatore Carlo V (1536), il ristauratore del loro potere. !) In breve,
si è potuto dire, senza esagerazione: in questo palazzo morì la libertà di Firenze, e
nacquero le arti belle; questa tomba della libertà fu la culla dell'arte. 2)
Non si sa spiegare come un rappresentante di questa stessa famiglia, il granduca
Ferdinando II, abbia acconsentito ad alienare senza necessità un monumento reso sacro
Cortile del Palazzo Medici o Riccardi.
da ricordi tanto gloriosi. La sua indifferenza incoraggiò il marchese Riccardi, a cui
egli lo cedette nel 1G59, per la somma di 287 000 lire, a cancellare persino le traccie
dei primi possessori,^ per sostituirvi le prove della propria magnificenza. Non bastan-
x ) L'iscrizione tracciata nel cortile ricorda con orgoglio, che. in diverse epoche, il palazzo ospitò papi, imperatori,
re e regine, nonché altri cospicui personaggi: " Variis temporibus romani pontitices, romani imperatores, reges, regina,
aliique principes innumerique proceres hospitio excepti. „
2 ) Dupaty, Lettre* sur l'Italie, t. I, p. 168.
?, i Fu molto discusso sull'origine e sul significato delle armi dei Medici, ma senza giungere ad una soddisfacente
conclusione. Per gli uni quelle " palle „ sono semplicemente pillole, emblema del medico che dette il suo nome alla
famiglia; per altri sono focaccine schiacciate. Senza internarmi troppo nella questione, ricorderò che nel 1465 il re
di Francia Luigi XI concedette a Piero dei Medici, il gottoso, il privilegio d'ornare la palla superiore col giglio fran-
cese (in campo azzurro). Bisogna guardarsi dal confondere questi gigli coi gigli fiorentini, gli uni sono sbocciati, gli
altri ancora coi petali chiusi.
248
FIRENZE E LA TOSCANA.
dog-li di prolungare la facciata di Michelozzo, e d'alterarne le proporzioni, raddoppiandone
l'estensione, anche la disposizione interna fu totalmente mutata. 11 Il soffitto di Luca
Giordano, ed un ricca biblioteca, non possono ancora far dimenticare questi atti di
vandalismo.
Quando il governo toscano fece nel 1814 1' acquisto del palazzo, era già troppo
tardi per porvi rimedio. Io proprio non giurerei che i nuovi possessori, il prefetto di
Firenze, e gli altri amministratori, non abbiano ancora aggravato il male.
Il palazzo eretto da Michelozzo si raccomanda per la fierezza delle sue linee. Forma
la transizione tra i palazzi-fortezze, nei quali, a rigore, si poteva sostenere un assedio,
e le abitazioni moderne, in cui la preoccupazione della comodità, della luce, dell'ele-
ganza pone in non cale ogni pensiero di difesa.
Questa creazione è ad un tempo grandiosa ed elegante. Ma varchiamo la soglia
del palazzo: il cortile di forma rettangolare, colle sue quattro file di colonne è sfigurato
da ornamenti affatto barocchi. La premura con cui i
Riccardi vi riunirono delle sculture antiche (osserviamo
i tre sarcofaghi romani, per l' addietro collocati sopra
una delle facciate del Battistero) non compensa gli er-
rori di buon gusto di cui si resero colpevoli. Della
primitiva decorazione non rimasero all'altezza del primo
piano che i medaglioni di Donatello, che riproducono
in dimensioni gigantesche pietre antiche, gemme incise.
Alcuni anni or sono, facendo una riparazione, si
scopersero in un angolo sotto l'intonacatura traccie di
graffiti, — ghirlande di frutti ornate di nastri, — con
cui un contemporaneo di Donatello aveva completato la
decorazione del cortile. In questo cortile, solo gli otto
medaglioni di marmo scolpiti da Donatello, e nell'in-
terno solo gli affreschi di Benozzo Gozzoli, ci ricor-
dano che per più d'un secolo, sino a Giovanni da Udine,
gli artisti più celebri s'erano dedicati all'abbellimento
di questa dimora. Forse nemmeno una stanza conservò
la forma primitiva. Occorsero le pazienti e sagaci investigazioni dello storico dell' ar-
chitettura fiorentina, il barone Enrico di Gaymiiller, per restituire il disegno della prima
disposizione.
Il soffitto dipinto da Luca Giordano (1683) nella sala principale, V Apoteosi dei Medici
del XVII secolo, ha goduto per centocinquant'anni d'una celebrità europea. Ma per quanta
abilità e per quanta arte risplendano in tale pagina, è innegabile che gli affreschi del-
l'umile cappella decorata da Benozzo Gozzoli, affreschi allora sprezzati, quanto veni-
vano vantati quelli di Giordano, riportano su di essa la vittoria! Questo ciclo, a cui la-
vorò Gozzoli dal 1459 al 1463, è pieno di freschezza e di poesia. Il tema scelto, V Ado-
razione dei Magi, non è che un pretesto per svolgere su tre pareti delle brillanti ca-
valcate, dei ridenti paesaggi, i mille e mille soggetti pittoreschi che scaturivano da
quella inesauribile immaginazione. Il Gozzoli, profittando del rilassamento dell'incono-
Angioli, di Benozzo Gozzoli
(Palazzo Riccardi).
J ) Un'iscrizione enumera tali innovazioni e tali ingrandimenti: "in postica auxit parte.... intus forisqne duplo
ampliavit CIO DCXC (1690). — Veterem partem in melioreiu formam redegit, omavit ornat. A CIO DCCXV (1715).,,
FIRENZE
- SANI' APOLLONIA.
ìj. rafia religiosa, diede agli attori dell'augusta scena adolescenti rigogliosi, vecchi
pieni di maestà — i tratti dei suoi protettori, i Medici. Presso a loro egli introdusse
L'imperatore di Costantinopoli, Giovanni Paleologo, che avea diinorato a Firenze al-
l'epoca del concilio del 1439. Ma il gusto per la decorazione non esclude l'emozione:
certi gruppi d'angeli che pregano <» cantano, sono d'una bellezza e d'un'eloquenza in-
comparabile. 1
Presso al palazzo si stendevano i giardini, in cui i primi Medici avevano riunito i
capolavori della scultura antica, i celebri giardini che divennero quasi la scinda dei
giovani artisti di Firenze.
Il palazzo Riccardi è completato dalla bella biblioteca pubblica clic occupa una
parte del piano superiore. Essa forma colla Biblioteca Laurenziana, a cui è riunita da
un certo numero (Vanni, e eolla Biblioteca Marucelli, situata un po' più lungi, al N. 45
di via Cavour, il necessario complemento della Biblioteca nazionale, o Biblioteca
La Cena, di Andrea del Castagno (Convento di Sant'Apollonia).
centrale, posta nel palazzo degli Uffizi. Quante belle ore ho passato in quei santuari
della scienza, specialmente alla Marucelliana, aperta alla sera! Son passati vent'anni:
' ricavo allora le lettere che stabilissero le relazioni degli artisti ed eruditi francesi coi
Imo colleglli d' Italia. La Marucelliana mi forni, oltre il resto, la corrispondenza fra
Grori, l'illustre erudito fiorentino, e Manette, il piìi chiaroveggente fra i grandi critici
francesi del secolo M orso. Alla Riccardiana, l'antico bibliotecario non brillava veramente
pel suo spirito: egli non faceva clic raccontare i suoi dispiaceri, ed i soprusi di cui
era stato vittima. " Clic ve ne pare, — diceva egli, — è permesso trattare così con
un uomo che compose 100 sonetti seri e KM) sonetti allegri? ,, Confesso che non sa-
pevo cosa opporre.
Prima d'attraversare la piazza San Lorenzo, che si stende dietro il palazzo Ric-
cardi, prendiamo la via G inori, che costeggia lo stesso palazzo, e la via San Gallo,
n Degli affreschi esegniti in i XVI secolo da Giovanni d'Uditìe, l'abile e squisito decoratore, e dal Vasari che ri-
produsse la Moria di Cenare, non resta che la memoria.
Firenze e la Toscana. 32
250
FIRENZE E LÀ TOSCANA.
che vi fa seguito : noi vi troviamo al crocevia della strada Ventisette Aprile un museo in
miniatura, che non ci farà rimpiangere d'esserci per un momento tolti dalla linea retta.
Questo musco, provvisto dell'inevitabile tourniquet, che vi obbliga tanto spesso a metter
mano al borsellino, per pagare pedaggi di nuovo genere, quel musco, dico, è situato
nell'antico convento di Santa Apollonia, oggi convertito in magazzino militare: esso è
consacrato ad uno dei più originali e focosi pittori del Primo Rinascimento, Andrea
del Castagno (1457). Noi vi scorgiamo da una parte, in fondo al refettorio, il Cenacolo,
dipinto da questo maestro, e dall'altra gli affreschi suoi della villa Pandolfini, o villa
Legnajo, già conservati al Museo Nazionale.
Il Cenacolo offre un misto di decisione e di inesperienza; se i piedi degli apostoli
hanno un disegno difettoso, in compenso bisogna lodare la grandezza dei panneggiamenti,
l'energia delle espressioni, ed una certa naturalezza. Eccetto la figura di Cristo, che
è sacrificata, e di due o tre altre teste abbastanza mediocri, i personaggi hanno una
specie di imponenza che nel sant'Andrea, per esempio, confina colla maestà. Il vigore
del colorito, dei più nutriti, aggiunge vie più all'effetto. Ma specialmente nella mimica
consiste l'importanza della composizione : molto tempo prima di Leonardo da Vinci, che
certamente ha conosciuto e studiato l'affresco di Santa Apollonia, Andrea del Castagno
ha ricavato dalle pose delle mani dei contrasti davvero ammirevoli. Si ammirerà pure
il bell'atteggiamento di san Giovanni immerso nella sorpresa e nel dolore. Qualunque
fosse il suo realismo, Andrea del Castagno non isdegnava affatto di prendere di tanto
in tanto dall'antichità un soggetto elegante d'ornamentazione. Lo provano le Sfingi poste
alle estremità del banco che serve di seggio agli Apostoli.
Lo stesso eclettismo o gli stessi scrupoli per ciò che riguarda l'iconografìa reli-
giosa : mentre i suoi successori non tarderanno a sostituire le aureole con semplici cir-
coli , o anzi le sopprimeranno addirittura , egli pone coscienziosamente quest' attributo
sulla testa di ciascun apostolo. Colla differenza che in luogo di usare dei dischi pieni ,
applicati contro l'occipite, come fece Giotto nella sua Cena della "Madonna dell'Arena,,
a Padova, egli fa uso di nimbi mobili visti in iscorcio.
Concludendo, l'autore della Cena di Sant'Apollonia la rompe col passato, coli' arte
jeratica; egli si risolve per la bruttezza, purché questa gli fornisca il modo di raf-
forzare le espressioni; egli sa nello stesso tempo mettere nelle sue figure il moto e
la vita. Ma la sua fattura è ancor rozza e angolosa; egli ignora l'arte già famigliare
al Masaccio di porre dell'armonia nelle sue linee. Delle sue composizioni si disse che
erano semplicemente opere di Donatello tradotte in pittura. Il paragone è giusto purché
non si riduca Andrea del Castagno alla parte d'un semplice interprete; le sue figure
hanno troppa vita e troppa convinzione per ridursi ad un riflesso dell'ispirazione altrui.
Ripigliando, nell' uscire da Santa Apollonia la via San Gallo, pochi passi ci por-
tano innanzi al palazzo dei Pandolfini vescovi di Troia (N. 74), costrutto da due dei
San Gallo secondo i disegni di Raffaello. Questo monumento, il solo che a Firenze
dia prova del talento spiegato dal Sanzio nell'arte della costruzione, è una meraviglia
d'ampiezza e d'armonia.
Facendo una nuova punta, ci troviamo in un altro refettorio ed innanzi ad un'altra ( 'ena,
sotto cui più d'un critico iscrisse il glorioso nome di Raffaello. 11 convento di Foligno
o di Sant'Onofrio, ove si trova tale affresco, è situato, a poca distanza dalla via
San Gallo in via Faenza (N. 58).
FIRENZE
- LA BASILICA M SANT'ONOFRIO.
251
Quanta severità c'è negli apostoli di Sant'Apollonia, altrettanta grazia e dolcezza
hanno invece quelli di Sant'Onofrio.
I campioni di Raffaello credettero leggere sulla tonaca dell'incredulo san Tommaso,
intorno al collo, la firma RAP (hael) V(rbinas) MDV. Ma qui lo scetticismo proprio
dell'apostolo in discorso è veramente di rigore: queste pretese lettere non sono clic
ornamenti bizzarri, specie di rabeschi, che i pittori del Rinascimento si compiacquero
di tracciare sugli orli dei vestiti. Quante volte i critici dei nostri giorni e piìi ancora
i possessori di capi d'opera sconosciuti non hanno essi scoperto, in tali linee confuse,
ogni sorta di firme celebri! Essi fanno pensare ai tentativi dei credenzoni clic vogliono
udire nel suono delle campane parole fa-
vorevoli alle loro speranze. Aggiungiamo
(e questo post scriptum ha la sua impor-
tanza che furono i restauratori a sco-
prire le pretese lettere che stabiliscono
la paternità di Kaffaello. Pronunciare qui
un nome sarebbe sacrificare un po' troppo
alla mania delle congetture.
Volta a volta si mise innanzi Pintu-
ricchio, Spagna, Gerino di Pistoia, Sem-
plici ipotesi, e distrutte appena stabilite.
Avvezziamoci adunque una buona volta
ad ammirare un capolavoro anche allor-
ché è anonimo , e contentiamoci di am-
mettere che la Cena del convento di Fo-
ligno ebbe origine dal gruppo a cui ap-
parteneva Raffaello: i tipi e le attitudini
sono evidentemente tolti ad un fondo co-
mune di formole. Ma l'autore, qualunque
sia , vi aggiunse un sentimento ed una
grazia che pongono la sua composizione
ben al disopra di tante altre.
In capo alla via San Gallo, si trova
la porta dello stesso nome che risale ai-
ranno 12*4, e l'Arco di Trionfo eretto
nel 1739 in occasione dell'ingresso di
Francesco II di Lorena e di Maria Teresa d'Austria. Io non m' occuperei di quest'ul-
timo monumento, dalla decorazione brillante ma troppo facile, se il ricordo di due
francesi, l'architetto Gian-Nicola Jadod (Giado) di Lunéville (1710-1761), e lo
scultore Michele Guyot, o Guillot di Parigi, non vi si collegasse. E infatti un Gallo,
die per una strana coincidenza fece il disegno della porta San Gallo. Un documento
da me scoperto negli Archivi di Firenze ci fa conoscere che nel 1739 ugualmente Ja-
dod s'incaricò, mediante un contratto di 60 000 lire per anno, della manutenzione dei
palazzi granducali della Toscana, come pure della chiesa di San Lorenzo. Quanto a Guil-
lot. culi scolpì il trofeo che trovasi a sinistra, venendo da Bologna, come pure lo
stemma imperiale.
Gli artisti francesi, cosi numerosi a Roma ed in alcune altre città d' Italia, non fc-
252
FIRENZE E LA TOSCANA.
cero fortuna a Firenze, senza dubbio perchè v'era troppo potente la concorrenza degli
artisti locali. Si può tuttavia citare, dopo Gian Bologna, il più intelligente fra i pit-
tori-incisori del XVII secolo, Callot, che dimorò parecchi anni sulle rive dell'Arno.
Verso la stessa epoca vi si trova un abile tappezziere parigino, Piero Fèbre o Lefèvre,
come pure suo figlio Giovanni, il futuro direttore della manifattura reale dei Gobelins.
11 Palazzo rnndolfini, costrutto su disegno di Raffaello.
L'avvenimento della dinastia di Lorena al trono della Toscana attirò a Firenze un
gran numero di Francesi. Molte di queste famiglie, fra cui i Collignon, coltivano ancoi
oggi le Iteli e arti.
La piazza San Lorenzo, non è la piìi bella piazza di Firenze, tutt'altro; la statua in-
felice di Giovanni dalle Bande nere non è tale da far sembrar migliori ne le meschine
botteguccie, ne l'orribile facciata incompleta della basilica, eolle sue pietre SCrepO-
FIRENZE. -
LA BASILICA DI SAN LORENZO.
25)5
late e la sua intonacatura: non saprei come meglio caratterizzare questa scultura se. non
dicendo clic n'e autore Baccio Bandinelli, l'incarnazione della mediocrità e della malignità.
La basilica di San Lorenzo era la parrocchia dei Medici, che avevano a pochi passi
di là il loro palazzo: questa circostanza spiega l'ardore con cui Cosimo, Padre della
Patria, i suoi tìgli e i suoi nipoti, i pontefici Leone X e Clemente VII e sino ai primi
erranduehi, cercarono di abbellire il monumento ch'essi consideravano come il santuario
della loro famiglia.
Della storia del monumento primitivo non accennerò che due punti: eh' esso fu
consacrata da sant'Ambrogio e servì di sepoltura a san Zanobi , il primo vescovo
di Firenze. L'edificio era abbastanza rovinato, allorclic, versoli 1425, i Medici ne in-
trapresero la ricostruzione, facendo il possibile per risparmiare le suscettibilità dei loro
La Piazza di San Lorenzo.
concittadini. Giovanni dei Medici, il vecchio, fece elevare a sue spese, prima del 1428,
a quanto afferma il Marcotti, la sacristia, e la cappella vicina; suo figlio Cosimo, dal
canto suo, provvide alla costruzione del corpo stesso dell' edificio, astrazione fatta da
alcune parti accessorie elevate a spese d'altre famiglie della parrocchia. Alla sua morte,
nel 1404, la basilica era quasi terminata.
L'architetto a cui si rivolsero Giovanni e Cosimo era il Brunellesco. E nella ba-
silica di San Lorenzo che questo protagonista del Rinasciménto si presenta a noi per la
prima volta, non più soltanto come costruttore, ma come architetto : la costruzione della
cupola della cattedrale, era stata anzitutto un problema d'ordine tecnico: a San Lo-
renzo l'artista potè finalmente mostrare come egli intendesse servirsi dello stile nuovo
0 meglio dello stile antico, poiché il più sovente egli vi si limitò ad imitazioni o ad
appropriazioni di modelli romani.
254
FIRENZE E LA TOSCANA.
In realtà San Lorenzo è la prima, per data, tra le chiese moderne; la rottura col
gotico v' è assoluta. Brunellesco vi ha adottato il tipo delle basiliche cristiane primi-
tive, con colonnati, soffitti lisci a cassettoni; la luce penetra dalle finestre della navata
principale e delle parti basse, ed è ricorso a combinazioni di archi e di vòlte.
Fu tutta in bene tale memoranda rivoluzione? Non esito a rispondere: no. La rot-
tura col passato fu troppo brusca per non essere esclusiva: Brunellesco, colla sua
logica implacabile, sacrificò senza remissione tutti i ricordi, tutte le tradizioni nazionali
per far ritorno ad una civiltà spenta da più di mille anni. Neil' ornamentazione , egli
rinunciò ai soggetti che animavano gli edifìci — piante indigene, emblemi personali,
stemmi, ecc., — per dedicarsi unicamente agli ornamenti classici , ad ornamenti essen-
zialmente astratti (palme, ovoli, meandri).
Pur proclamando la potenza del genio di Brunellesco, noi dobbiamo chiederci tut-
tavia se quell'inesorabile innovatore non abbia oltrepassato la meta, proponendosi l'as-
soluta, rigorosa imitazione dell'architettura romana. D'allora in poi i tempi erano pro-
grediti : elementi nuovi di civiltà erano entrati a formar parte dei costumi ; si sarebbe
potuto fare qualcos'altro che limitarsi a risuscitare il passato. Noi consentiamo di essere
i discepoli dell'antichità, ma non intendiamo esserne gli schiavi; la schiavitù è sempre
odiosa, sia che si manifesti nella vita sociale o nell'arte.
Da questo punto di vista, egli è con un misto d' ammirazione e di rimpianto che
noi dobbiamo considerare l'azione incalcolabile esercitata dal grande Brunellesco.
Prima di varcare la soglia della basilica, diamo uno sguardo alla facciata: nuda
com'è, essa attraversò delle peripezie non meno singolari di quelle di Santa Maria del
Fiore; i più illustri maestri, Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci, secondo si
afferma, indi Sansovino, Giuliano da San Gallo e molti altri, composero in suo onore
dei magnifici progetti , i quali progetti però non abbandonarono mai la carta per en-
trare nel dominio della realtà.
E una storia curiosa quella del concorso del 1516, indetto dal pontefice Leone X, che
fece con ciò una concessione allo spirito di diffidenza proprio ai suoi compatrioti, poi-
ché nei suoi Stati, a Roma , egli distribuiva i lavori a chi egli reputava più degno,
senza ricorrere ad una commissione. Ma per non annoiare il lettore con tali " batraco-
miomachie „ eviterò, quando non vi sia costretto, il racconto di tali sterili discussioni.
E tuttavia la facciata della basilica di San Lorenzo è la sola, tra le chiese di Fi-
renze, che avrebbe potuto esser costrutta abbastanza in tempo sì da non stonare col-
l' edificio ehe doveva completare!
Attraversiamo rapidamente la basilica stessa, sebbene più di un celebre lavoro ri-
chiami la nostra attenzione: i pulpiti in bronzo, per l'addietro dorati, cominciati da
Donatello, terminati da Vellano e Bertoldo, opera agitata e tumultuosa, per non dire
vuota e declamatoria, e il tabernacolo di Desiderio da Settignano colla sua grazia ma-
nierata. Io odio le ripetizioni, perciò non dico di più su opere che ho altrove analizzate
abbastanza minutamente.
Da un altro lato, la vicinanza delle due saeristie, la vecchia e la nuova, esercita
una così potente attrazione che senza troppa fatica si può lasciare il santuario a cui
sono annesse.
La sacrestia vecchia,^ cronologicamente il primo degli edifici innalzati a spese dei
') Detta così per distinguerla dalla sacrestia nuova, <> sacrestia di Michelangelo, o cappella dei Medici.
Firenze. -
LA BASILICA DI SAN LORENZO.
255
Medici al posto dell' antica basilica di San Lorenzo, si
onora della collaborazione dei due campioni del Rina-
scimento fiorentino: Brunellesco e Donatello. L'uno e
l'altro vi prodigarono le loro fatiche, ma in certo modo
comprimendo ancora l'audacia che sentivano in sè stessi.
Intatti, altrettanto è saggia e severa l' architettura, al-
trettanta armonia e vita latente hanno i primi bassori-
lievi . cioè quelli della tomba di Giovanni dei Medici.
La sacristia di San Lorenzo gode del privilegio raro,
nuche in Italia, d'esser stata costrutta e decorata in un
intervallo abbastanza breve, in modo da offrire nel com-
plesso un'omogeneità perfetta. Appena Brunellesco ne San ,; l()vamii Evangelista, di Donatello,
ebbe compiuta la eostruzione, il suo amico Donatello (Sacrestia di San Lorenzo.)
die' mano alle sculture ove davvero lavorò di gran lena:
oltre alla tomba di Giovanni dei Medici, egli creò le ammirabili porte di bronzo, i me-
daglioni degli Evangelisti incrostati nella vòlta, le scene della vita dei Santi, il busto
di San Lorenzo.
Questo busto — una terra cotta — pecca di mollezza, ma la tomba in marmo di Gio-
vanni dei Medici il vecchio è una meraviglia in quanto a sentimento e decorazione: quale
freschezza, e quale grazia negli angeli seduti, che tengono un cartello, con un' iscrizione,
scolpiti sulle faccie del sarcofago, o negli angeli che volano, scolpiti sul coperchio! Qui
la libertà, la qualità sovrana di Donatello s' aggiunge alla ponderazione ed al ritmo.
Drammatici e pieni di moto sono i Profeti o gli Apostoli aggruppati a due a due
sulla porta di bronzo; la fattura larga e morbida, le espressioni, volta a volta veementi
o patetiche, i contrasti variati all'infinito costituiscono una vera rivoluzione. Si direbbe
che il vivace innovatore si sia dato ad una ginnastica destinata a infrangere per sem-
pre ciò che poteva esser rimasto ancora della rigidità del medio evo.
La decorazione della vòlta non offre minor importanza: qui è lo stucco e non più
il marmo o il bronzo che Donatello ha posto in opera. Egli vi rappresentò, nei suoi me-
daglioni, i quattro evangelisti, scene della vita dei Santi, e una serie d'altri soggetti.
Tanti capolavori, tale concorso ardente e disinteressato prestato per circa qua-
rantanni, allo scopo d'abbellire San Lorenzo, meritavano al grande scultore fiorentino
il supremo asilo ch'egli invocava nel santuario, che doveva a lui i suoi più begli or-
munenti. Ma scegliendo la basilica come sua sepoltura, Donatello non obbediva alle
suggestioni della vanità: erano invece sentimenti di pietosa affezione, commoventissimi,
che lo spingevano a chiedere di venir sotterrato ai piedi del mausoleo del suo protet-
tore ed amico Cosimo dei Medici. Alla sua morte, 1." dicembre 14GG. nell'età di più
che ottant'anni, i suoi concittadini, da cui ebbe funerali veramente solenni, ne esaudi-
rono l'ultimo voto.
La sacristia antica è tutto un museo: alle sculture di Donatello fa seguito il sar-
cofago di porfido che contiene le ossa di Piero e di Giovanni dei Medici. 11 sarco-
fago è posto in una specie di nicchia circondata da bellissime sculture in marmo,
nelle quali domina un soggetto così caro al Rinascimento: un vaso donde sfuggono dei
fiori. Magnifici ornamenti in bronzo, fusi e cesellati dal Verrocchio, completano la de-
corazione. 11 lavabo dalla sfinge (per l'addietro attribuito ad Aut. Rossellino, e solo in
ultima i>tanz;i assegnato al Verrocchio) rivela pure una mano nervosa.
256 FIRENZE E LA TOSCANA.
I secoli esaurirono le forinole d'ammirazione ispirate a tutti dal capolavoro di Mi-
chelangelo; perciò possono essere più interessanti pel mio lettore alcuni dettagli storici,
poco noti sinora.
II papa Leone X, a cui dobbiamo la costruzione della sacristia nuova o cappella
dei Medici, temeva positivamente i capricci e i sarcasmi di Michelangiolo, e il suo
umore di misantropo. Egli colse adunque il primo pretesto onorevole per allontanarlo
Pulpito in bronzo, di Donatello (San Lorenzo).
da Roma, e gli propose una doppia missione, tale da lusingare i più ambiziosi: la co-
struzione della tacciata di San Lorenzo e la costruzione e la decorazione della cappella
funeraria dei Medici, vicino alla stessa chiesa.
Fu, ;i quanto pare, nel Ioli), in seguito alla morte di suo nipote Lorenzo dei Me-
dici e di suo fratello Giuliano, che il papa concepì il progetto di consacrare a tutti e
due, collie pure a suo padre, al suo avo ed al suo bisavolo, una cappella funeraria or-
nata a profusione di statue. Uno schizzo, conservato al Museo degli Uffizi, ci prova
FIRENZE. - LA BASILICA DI SA N LORENZO.
257
L'Aurora, di Michelangelo.
(Frammento; cappella dei Medici).
come fosse ricca la primitiva decorazione;
esso ci mostra, oltre al resto, degli angioli
che sostengono delle tappezzerie. (E egli ne-
cessario aggiungere quale intensità di mo-
vimento abbia infuso Michelangelo in tale
soggetto tolto ai suoi predecessori del se-
colo XV e del XVI?) Presso alle statue dei
defunti dovevano porsi delle figure alle-
goriche : perciò si pensò di dare, quali com-
pagni a Giuliano dei Medici, la Terra, co-
ronata di cipressi e la testa bassa in atto
di piangere la morte del giovane principe, e
il ( 'ielo, felice per dover accoglierne l'anima.
Un' annotazione di mano stessa di Miche-
langelo, conservata in " Casa Buonarroti „ ,
completa sn questo punto le nostre infor-
mazioni e ci rivela le intenzioni simboliche,
o meglio la metafisica nella sua quintes-
senza, che fanno parte dell'elaborazione del
programma: il Cielo e la Terra, il Giorno
e la Notte, parlano e dicono: " Nel nostro rapido corso noi abbiamo condotto alla morte
il duca Giuliano. È giusto adunque ch'egli si vendichi. La sua vendetta consiste in
ciò: ora che noi l'abbiamo ucciso, egli ci ha rapito la luce e coi suoi occhi chiusi
egli ha chiuso i nostri, dimodoché noi non brilliamo più sulla terra. Che non avrebbe
egli fatto di noi se fosse rimasto in vita? „
Alla morte di Leone X (dicembre 1521), i lavori vennero sospesi e il nuovo ponte-
fice, il fiammingo Adriano VI, prestò l'orecchio alle sollecitazioni degli eredi di Giulio li,
che invocavano il trattato concluso con Michelangelo per obbligarlo a terminare il mau-
soleo del loro parente.
Ma sin dal mese di
novembre 152.15, un
altro Medici, Clemen-
te VII, saliva sul tro-
no di san Pietro: sua
prima cura fu d' esi-
gere da Michelangelo
la continuazione delle
tombe fiorentine.
La rivoluzione del
1527, l'assedio del
1529-1530, la fuga
di Michelangelo a Ve-
nezia, arrestarono i
lavori un'altra volta.
Una lettera scrit-
ta a Michelangelo dal
suo amico il celebre
Firenze e la Toscana. 33
La cappella dei Medici.
2f>s
FIRENZE E LA TOSCANA.
pittore Fra Sebastiano del Piombo, il 17 luglio 1533, mostra eon quale ardente curiosità
Clemente VII seguiva i lavori del suo scultore preterito: "Ho mostrato la vostra lettera
al nostro Signore; egli l'ha tenuta due giorni e l'ha tanto studiata che, credo, deve
averla imparata a memoria. Essa gli piace assai , è soddisfattissimo delle disposizioni
da voi prese, che il fratello (Montorsoli) abbia cominciato a lavorare, dei praticanti che
avete posto al lavoro e di tutte le vostre disposizioni. Quanto ai banchi, il nostro Si-
gnore desidera che sieno tutti di noce scolpiti. Egli non ci pensa a spendere tre fiorini
di più purché i banchi sieno eseguiti all'uso
eli Cosimo (cioè che ricordino i lavori ese-
guiti sotto Cosimo il Magnifico). Pel pavi-
mento, Sua Santità s'affida a voi. In quanto
ai giovani scultori che lavorano a Loreto L)
si cercherà d'impiegarli e farli venire. „
Michelangelo tuttavia avea premura d'ab-
bandonare Firenze. Egli conosceva l'odio
contro lui nutrito da Alessandro dei Medici ;
sapeva che solo la protezione di Clemente VII
lo garantiva dalle persecuzioni di questo de-
spota. 2) Suo padre era morto a novant'anni
(1533); nulla adunque più lo tratteneva nella
città natale.
Al momento della sua partenza, manca-
vano ancora dodici statue, quattro destinate
alle nicchie rimaste vuote, ed otto ai taber-
nacoli posti sulle porte. Egli lasciò la cura
di finirle a dei collaboratori. Il San Cosimo
fu eseguito, secondo i suoi modelli, da Mon-
torsoli, il San Damiano da Montelupo. Gli
altri restarono allo stato di progetto.
Come potè Michelangelo, padre snaturato,
separarsi così dalla sua più nobile creazione ?
E un mistero che dobbiamo rinunciar a sco-
prire, come tanti altri che germogliano nel-
l'animo degli artisti di genio. In questo ab-
bandono la noia ebbe una parte maggiore
della fatica e dello scoraggiamento : Michc-
langiolo non aveva ancor raggiunto la ses-
santina , e più d' un capo d' opera doveva
ancor uscire dalla sua immaginazione. Qua-
lunque sia il sentimento a cui egli ubbidì si è tentati di ripetere il bel sonetto d'Augusto
Barbier :
Pauvre Buonarroti, ton Seul bonheur au mondi' Anssi, quanti tu parvins à ta saison dentière,
Fut d'imprimer au marbré uno grandeur profonde Vieux lion fatigué, sous ta bianche crinière,
Et. puissant comme Dieu, d'effrayer cornine lui. Tu mourus Ionguement, plein de gioire et d'ennui.
1 > Milanksi, / ('ttrrìspoiide.nti di Michelangiolo, p. IO."».
2 J Condivi afferma formalmente che Michelangiolo lavorava nelle tombe dei Medici "spinto più dalla paura che
dall'amore ,..
Giuliano de' Medici, di Michelangelo.
(Cappella dei Medici).
FIRENZE. - LA BASILICA DI SAN LORENZO.
259
Si è sovente invocata l'influenza del platonismo dinanzi alle tombe dei Medici. È noto
torse che questo non penetrò soltanto nel concetto delle tombe, ma splendette pure nel
celebre torneo poetico a cui dette luogo la statua della Notte? La strofa — ' ; La notte che
tu vedi qui sonnecchiare dorme.... per conseguenza essa vive „ — è imitata da un
epigramma di Platone. Il dubbio non è possibile; se ne giudichi dalla traduzione del testo
greco: "Sul satiro di Diodoro, cesellato sopra un vaso d'argento. Questo satiro venne
addormentato e non scolpito da Diodoro;
se tu lo tocchi lo risveglierai; l'argento è
sopito „.
La grande cappella dei Medici, o cap
pella dei Principi, principiata nel 1G04, se-
condo i disegni di Matteo Nigetti, assistito
dal priore don Giovanni dei Medici , deve
la sua fama alla ricchezza della decorazione
e non a qualche pagina sublime. Se negli
altri monumenti di Firenze, l'idea o l'ese-
cuzione la vincono sul valore della materia
prima, qui questa vi regna sovrana. Non è
facile analizzare l' impressione di grandezza
e di severità che produce cotesto santuario.
Pendiamogli innanzi tutto questa giustizia:
esso è veramente una cappella funeraria, un
mausoleo; nessun' altra idea diversa si pre-
senta alla mente. La sua grande altezza,
l'oscura tinta dei marmi, le dimensioni gi-
gantesche dei sarcofaghi , tutto soggioga ,
tutto colpisce. Quanto ai marmi, essi sono
davvero della miglior qualità e delle più
varie gradazioni. I cuscinetti posti sui cata-
falchi , 1} sostengono delle corone ornate di
rubini, di zaffiri, di smeraldi, d'una gros-
sezza prodigiosa. Per ciò che riguarda il la-
voro di collegamento, questo è meno per-
fetto che nelle tavole o negli armadi usciti
dalla manifattura fiorentina di pietre dure;
le giunte vi sono più visibili. Si ricorse ta-
lora anche ad inganni: per esempio, nel
Lorenzo do' Medici, di Michelangelo.
(Cappella dei Medici).
J J II marchese di Seignelai tracciò questo curioso schizzo
della cappella: 'Nessun marmo ordinario no fa parte, tutto deve essere incrostato di preziosissimo diaspro; i pila-
stri hanno capitelli di rame dorato, ed alla loro base stanno gli stemmi delle città che compongono gli Stati del
granduca; una quantità di diaspro o di agata forma gli stemmi e il nome delle città è scritto in lettore delle stesse
pietre. Si dice che talora s' impiegano quattro mesi per una di simili lettere, la menoma tra le quali costa 40 scudi.
Le cartelle in cui stanno incastrati questi stemmi, sono ornate di madreperla e d'altri generi di pietre, che tutte
unite fanno un bellissimo effetto. Il soffitto di questa cappella ò imperfetto: esso deve essere a scompartimenti qua-
drati . tra i quali vi saranno delle rose. Ciò che meglio può dare un'idea della magnificenza di tutta l'opera, è
una tomba completa d'uno dei duchi, mentre tutte le altre sono ancora indietro... (P. Clément, L'Italie ni 1671,
p. 201. 202).
260
FIRENZE E LA TOSCANA.
leone in marmo bianco trasparente, attraverso al quale vedesi un fondo ombrato della
forma del corpo dell' animale.
Presso alla basilica di San Lorenzo si stende il chiostro, che sedurrebbe ben poco
i visitatori, se non servisse d'accesso ad una biblioteca celebre fra tutte : la Lauren-
ziana. L'entrata trovasi in un angolo del chiostro, presso alla brutta statua di Paolo Giovio,
scolpita nel 15G0 da Francesco da San Gallo. Fin qui non c'è nulla di monumentale.
Salite una semplicissima scala, uscite sopra una loggia aperta, e allora soltanto penetre-
rete nel vestibolo propriamente detto. Qui, sin dal primo sguardo, sebbene la parte su-
La cappella dei Principi.
periore sia incompleta, trovate dell'ispirazione. Un'altra scala, d' aspetto originale, co-
strutta dal Vasari, secondo i disegni di Michelangiolo, conduce al santuario della scienza.
La Biblioteca Laurenziana si collega intimamente alla storia dei Medici del ramo
primogenito; con essi divise la buona e la cattiva sorte; formata al tempo del loro
splendore, venne confiscata in ciascuna delle rivoluzioni clic li scacciarono dal potere,
e solo per miracolo riuscì a sfuggire alla distruzione. I principii di questa celebre rac-
colta risalgono a Cosimo il Vecchio (1389-1464), il Padre della Patria, che v'interessò
il fior fiore degli umanisti fiorentini : il Poggio, Ambrogio il Camaldolese, Niccoli e tanti
altri; Piero il Gottoso, il figlio di Cosimo, continuò ad ingrandirla con amore e sa-
pienza.
FIUKNZK. - LA LA l.'HKNZI A NA .
261
Un fatto degno di nota è clic gli sforzi di Cosimo tanto si rivolgevano alla ricerca
di manoscritti antichi, quanto all' esecuzione di copie, destinate alla loro volta, collo
scorrere del tempo, ad acquistare 1' importanza di manoscritti antichi. Egli fu in ciò
servito a meraviglia dai copisti di Firenze, e specialmente dal suo amico il libraio Ve-
spasiano dei Distici , che ci lasciò tante importanti biografie dei suoi contemporanei.
Nel 1465, il numero dei lavori ammontava a 127, valutati 2832 fiorini.
Era riservato a Lorenzo il Magnifico di dare a tale collezione, già si preziosa, uno
Il chiostro di San Lorenzo.
splendido sviluppo; grazie alle sue innumerevoli relazioni, grazie all'ardore dei suoi
emissari, egli potè riunire più di mille manoscritti. Confiscata nel 1494, dopo l'espulsione
dei Medici, la biblioteca venne data in pegno dalla Repubblica fiorentina ai Domenicani
'li San Marco, contro un prestito di 2000 fiorini. Savonarola, che allora dirigeva il con-
vento di San Marco, diede prova in quella circostanza d' un liberalismo che lo onora;
grazie ai suoi sforzi la preziosa collezione fu conservata a Firenze.
I Medici consideravano la loro biblioteca come il più prezioso tra i loro gioielli:
il cardinale Giovanni, figlio di Lorenzo il Magnifico, il futuro papa Leone X, non ebbe
pace finche non riconquistò tale tesoro, che aveva si potentemente contribuito alla gloria
dei suoi avi; egli la riscattò nel 1508, colla somma di 2652 fiorini (da 150 a 200 000 fran-
chi di moneta nostra), e la collocò nel suo palazzo di Roma.
262
FIRENZE E LA TOSCANA.
Dopo la sua immatura morte, suo cugino, il cardinale Giulio dei Medici, divenuto
papa Clemente VII, fece trasportare la biblioteca nuovamente a Firenze, e pensò di
consacrarle un monumento clic ne fosse degno. Come Leone X, egli continuamente cedeva
alla tentazione di far deviare Michelangiolo dal lato dell'architettura; pur chiedendogli di
continuare i lavori della facciata di San Lorenzo, egli lo sollecitava perchè abbozzasse i
progetti per la costruzione della sala in cui dovea prender posto la biblioteca medicea. L'ar-
tista adunque dovette interrompere le tombe, prender in mano la squadra ed il compasso,
tracciare dei progetti e così via. Cominciati nel 1525, i lavori non furono terminati che
nella seconda metà del XVI secolo. Nel 1571, finalmente, la sala fu aperta al pubblico.
Gli ultimi Medici e la dinastia di Lorena nulla trascurarono per accrescere il te-
soro affidato alla loro custodia. Secondo la relazione pubblicata nel 1872 dall' abate
Anziani, allora prefetto della magnifica collezione, questa non contava meno di 7049 ma-
noscritti, di cui più di 500 (non compresi gli orientali), anteriori al secolo XII.
Leggìi della Laurenziana.
Molto per tempo la costruzione e l'abbellimento delle sale, destinate specialmente a
biblioteca, avevano preoccupato i bibliofili italiani. Una lunga serie di monumenti, tra
il secolo XV ed il XVIII, dalla biblioteca del convento di San Marco a P'irenze, da
quella dei Malatesta a Cesena e quella del Duomo di Siena sino alla biblioteca del Va-
ticano o alla biblioteca di Ravenna, non cessarono di dimostrare il lusso di tali costru-
zioni. Tra queste la Laurenziana è la più completa, se non la più vasta, l'ordine ar-
dii tettonico, pavimento e soffitto, panche, leggii ed invetriate, tutto v'è spontaneo e di
buon gusto, tutto proclama la venerazione per quel santuario della scienza. Particolar-
mente originale e caratteristico è il collocamento degli stessi volumi: essi sono ancor
oggi incatenati sui leggii che s'alternano con panche destinate ai lettori. Affrettiamoci
a soggiungere che il regolamento, meno severo che per 1' addietro, permette di aprire
tali catene, allorché trattasi di consultare i volumi un po' a lungo, e portare il mano-
scritto nella rotonda, che serve precisamente quale sala di lettura.
La sala principale, in lunghezza, riceve la luce da un lato dal chiostro, dall'altro
dall'ingresso della basilica di San Lorenzo. Dei pilastri grigi, che spiccano sopra un fondo
FIRENZE. -
LA LAURENZIANA.
giallognolo, separano le finestre, che sono alternatamente aperte o murate. Alla lor
volta ({tulle finestre spiccano per le loro belle invetriate disegnate, dicesi, da Giovanni
da Udine, e che concorrono ad abbellire la sala, senza oscurarla, in grazia della loro
leggerezza e finezza. Gli ornamenti, d' una grazia perfetta, spiccano grigi e giallo-
gnoli sul fondo trasparente. Il pavimento si compone di incrostazioni in mastice bianco
e rosso, sobrie ed eleganti; il soffitto è di legno, disegnato da Michelangelo e scolpito
da Tasso e Carota.
Nel 1814 si costruì, a destra della sala principale, la sala di lettura propriamente
detta: una rotonda a colonne, sormontata da una cupola a cassettoni e rischiarata dal-
La biblioteca Laurenziana.
L'alto. Qui è esposta in dieci scafali d'acajou, di quattro scomparti ciascuno, la pre-
ziosa collezione di 1190 incunabuli e altri libri rari, lasciata alla Laurenziana dal
conte d'Elei. Naturalmente presso a tali meraviglie sta il busto del donatore.
Quante generazioni di studiosi languirono su quelle pergamene dal Poggio sin a Paolo-
Luigi Courier! E noto come quest'ultimo si segnalò ad un tempo per la scoperta d'un
bi;ino inedito di Dafne e Cloe e la mutilazione di questo stesso brano. E necessario
ricordare la polemica suscitata dalla macchia d'inchiostro che nascose poi il testo che
Courier avea posto in luce? La causa non è ancora giudicata: più d'un paleografo
imparziale mi affermò che quella macchia non doveva esser stata accidentale.
Conservatrice com'è, a dispetto delle rivoluzioni, l'Italia offre in abbondanza delle
264
FIRENZE E LA TOSCANA.
collezioni secolari — biblioteche, musei — che riuscirono à sfuggire a tutte le bur-
rasche, come i fiori sotto le campane. Io mi tuffo così volentieri in questi venerabili
santuari della scienza o dell'arte, facendo astrazione dal presente, per rivivere alcune
ore della vita del passato, evocando l'ombra di tanti predecessori, bibliotecari e con-
servatori ! L'odore caratteristico dei vecchi libri si cangia per me in un vero profumo.
Ma devo dirlo?... Non ostante la sua celebrità, ad onta del valore intrinseco dei suoi ma-
noscritti, la Laurenziana è una delle bibliote-
che che meno m'attraggono. Mania d'erudito,
dirà il lettore. Non è vero; io sono invece,
di professione, cacciatore dell'inedito. Ora
tanti e tanti prima di me hanno frugato in
questa biblioteca, che non vi resta più nulla
a scoprire. Un illustre fiorentino in ispecie
del secolo scorso, Bandini, pubblicando il ca-
talogo dei suoi tesori , monumento colossale
di undici enormi volumi in-folio, è entrato in
tanti dettagli e ha dato dei riassunti cosi
completi, da togliere ai suoi successori ogni
menoma speranza di qualsiasi scoperta. Al-
cuni filologi tedeschi stanno facendo ancor
oggi alla Laurenziana delle collezioni di testi
classici, ma ninno più spera in nuove rive-
lazioni.
Fortunatamente o disgraziatamente , se-
condo il punto di vista adottato, se si pub-
blicano i testi, la riproduzione delle miniature
che li adornano riesce più difficile. Abbiamo
-dinanzi a noi una messe ricchissima di mo-
delli più o meno inediti, in numero di più di
mille manoscritti , dall' Evangelo siriaco del
monaco Rabula, scritto nel 586, sino agli
splendidi frontispizi composti per i Medici.
Non v'ha neppur un ramo dell'arte, nep-
pur uno, che non abbia ricevuto a Firenze
la sua forma più perfetta. Noi abbiamo am-
mirato o ammireremo altrove le produzioni
del musaico in vetro, in marmo, in legno,
le invetriate, le tappezzerie, i ricami, le me-
raviglie dell'oreficeria, ecc. ; ed ora lo studio
dei tesori riuniti alla Laurenziana ci rivelerà un'altra faccia e non meno interessante
dell'attività degli artisti fiorentini: esso ci farà conoscere i capolavori dell'arte della
miniatura che procacciarono, per tutto il Primo Rinascimento, una fama europea agli
illustratori della capitale fiorentina.
Ricchi e abbaglianti al massimo grado sono i manoscritti illustrati dai miniaturisti
fiorentini del secolo XV, i Francesco d'Antonio del Cherico, i Monte di Giovanni, i
Zanobi Strozzi, i Gherardo, gli Attavante. Nessuna descrizione può rendere l'eleganza
dei fogliami nel cui centro stanno ritratti di Mecenati, o riproduzioni di gemme an-
Vetrata della Laurenziana. attribuita a Giovanni da Udine.
FIRENZE. - SANTA MARIA NOVELLA.
ticlie. La finezza del disegno, lo splendore o la trasparenza delle tinte, sono davvero
degne d'invidia. I genii nudi prodigati in quegli ornamenti e intenti gli uni a folleg-
giare, gli altri a sostenere gli stemmi dei proprietarii del manoscritto, aggiungono a
simili accordi una nota d'una freschezza deliziosa.
VI.
Santa Maria Novella e l'Ordine dei Domenicani. — Da (Jimahue a Filippino Lippi.
La piazza di Santa Maria Novella è altrettanto vasta che pittoresca. All'una delle
estremità sta la chiesa dello stesso nome , col campanile a sinistra , a destra una gai-
La Piazza di Santa Maria Novella.
leria ad arcate: poi, all'altra estremità, la loggia detta di San Paolo; finalmente, ai
lati, delle case private abbastanza belle. Nel centro, o meglio sulla pista — poiché
trattasi d'una vera arena — due obelischi di marmo di Seravezza, destinati a servire
di limiti nelle corse dei carri ad uso antico, che furono inaugurate su questa piazza
nel 1563.
Santa Maria Novella è la chiesa dei Domenicani, come Santa Croce è quella dei
Francescani. Innalzando quasi simultaneamente due santuari così importanti , i disce-
poli di san Domenico e quelli di san Francesco si proposero anzitutto di opporre al-
tare ad altare. Ma che importa a noi tale rivalità! Il risultato più chiaro della loro
ambizione fu quello di dotare Firenze di due monumenti, nei quali l'arte celebra i suoi
piii alti e piìi splendidi trionfi. Sin dal principio, l'Ordine di San Domenico si distinse,
non solo pel culto, ma eziandio per la pratica dell'arte: ninna meraviglia dunque che
Firenze e la Toscana. 34
266
FIRENZE E LA TOSCANA.
Santa Maria Novella sia stata costrutta da architetti usciti dalle file di questa falange
clic conta tanti artisti eminenti. ])
Fra Sisto e Fra Ristoro ne fecero il progetto.
A Santa Maria Novella, come a Santa Maria del Fiore , gli architetti opposero al
sistema dell'ornamentazione in rilievo, che domina nelle cattedrali francesi, quello del-
l'ornamentazione piana; sostituirono le sculture cogli intarsi.
Anche il periodo romano aveva abusato dei metalli e dei marmi preziosi , dei toni
sfolgoreggianti. Ma era una sontuosità fredda e vuota, perchè troppo spesso la ricchezza
della materia faceva le veci della forma e dell'idea.
Il XIV secolo, specialmente in Toscana, ove abbondavano i marmi colorati, tentò
conciliare la polimorfia colla policromia. La loggia dell'Orcagna, oltre a qualche pa-
lazzo privato , è il solo monumento di quest' epoca che non abbia alcune incrostazioni,
ed esso , come si vedrà in seguito, costituisce un tentativo di ritorno alla semplicità
antica.
Senza pretendere al titolo d'alta concezione architettonica, Santa Maria Novella at-
trae per un certo non so che d'elegante: era la chiesa preferita da Michelangiolo, che
la chiamava la sua fidanzata.
Le più illustri famiglie di Firenze — Strozzi, Ruccellai, Tornabuoni — andarono
a gara per arricchire questa chiesa, loro comune parrocchia. Ai primi essa deve la sua
facciata, ai secondi la cappella che porta il loro nome, agli ultimi il complesso degli
affreschi ed i vetri del coro.
Come a Santa Maria del Fiore, a San Lorenzo e a Santa Croce, anche a Santa Maria
Novella mancava la facciata. Nel XV secolo, un ricco fiorentino commerciante ed ap-
passionato per le arti, Giovanni Ruccellai, s'accinse a riparare a tale mancanza. L'ar-
chitetto a cui si rivolse era non solo il primo fra i seguaci di Brunellcsco, ma eziandio
lo spirito più aperto del Primo Rinascimento, nello stesso tempo che poeta ed erudito,
moralista, pittore, matematico. Ma anche Leon Battista Alberti, come il suo maestro,
opinava che prima di tutto bisognava rimettere in onore gli ordini antichi; così invece
di dotare Santa Maria Novella d'una facciata in armonia coll'interno, egli si preoccupò
unicamente di comporre un bell'insieme, in cui le forinole elaborate dai suoi predeces-
sori romani — colonne , pilastri , archi tondi , cornicioni , frontoni — avrebbero detro-
nizzato i disegni , ancora abbastanza vivi , che loro avevano legato in retaggio gli
immediati predecessori, gli architetti gotici.
In ogni modo, sebbene tutta a reminiscenze, la sua facciata fu una grande rive-
lazione : pochi monumenti ebbero una simile influenza nei destini dell' arte della co-
struzione. Cosi, nella curvatura della porta centrale, si vede il più antico esempio, a
quanto si afferma, dell' uso d'una vòlta a cassettoni. Non meno importante è l' inven-
zione della voluta che unisce 1' ordine superiore coli' ordine inferiore, così da nascon-
dere il tetto. Lo stile gesuita lo copiò a suo agio, e sino ai giorni nostri questo sgra-
ziato motivo si trova in centinaia di edifizi religiosi.
Più ancora che Santa Croce, Santa Maria Novella spiega dinanzi a noi i fasti
della pittura italiana, da Cimabuc sino a Domenico Ghirlandaio ed a Filippino Lippi,
passando per Orcagna, i maestri anonimi della Cappella degli Spagnoli, Masaccio e
Paolo Uccello. Solo Giotto vi manca, ma i suoi allievi s'incaricarono di supplirlo.
J ) Nella monografia consacrata dal Padre Marchese agli artisti domenicani, gli architetti, gli scultori, i pittori, i
miniaturisti, i decoratori d'ogni genere, si contano a centinaia.
FIRENZE. - SANTA MARIA NOVELLA.
207
Quando comparve Cimabue (1240-1302) i Bizantini regnavano pacificamente sulla
Penisola: ovunque avevano imposto la loro magrezza, la loro freddezza, le loro figure
quasi automatiche, le loro espressioni stereotipate, o piuttosto la mancanza d'espressione.
I quadri autentici di Cimabue sono in cosi piccol numero, ch'io non resisto alla
tentazione di avvicinare qui gli uni agli altri, e di paragonare alla Madonna di Santa
Maria Novella " quella dell'Accademia di Belle Arti in Firenze , e quella del Louvre
che proviene dalla chiesa di San Francesco di Pisa.
La composizione di questi tre quadri differisce un po'. Nel centro, sopra un trono ric-
camente ornato, la Vergine, triste e severa, col capo coperto dal manto, tiene sulle
ginocchia il bambino Gesù , i cui tratti offrono un po' più d' animazione. Intorno ad
essa, sei angioli in adorazione. Dei medaglioni, contenenti ritratti di santi, servono di cor-
nice all'insieme. Nulla di più solenne, ma nello stesso tempo nulla di meno vivo.
La biografia di Cimabue è piena di testimonianze d' ammirazione prodigategli dai
suoi concittadini. L'esposizione della stessa Madonna che orna ancor oggi 1' altare di
Santa Maria Novella, fu un vero avvenimento ; il re Carlo d'Angiò essendo venuto a
Firenze, mentre l'artista vi lavorava, le autorità lo condussero con gran pompa nello
studio per fargli ammirare questo capolavoro: tale fu il concorso dei signori e dello
dame che accompagnavano il principe francese, che i loro ospiti, per perpetuare il ri-
cordo di quella manifestazione, dettero, afferma il biografo, al quartiere abitato da Ci-
mabue il nome di Borgo allegro. Il collocamento della pala d' altare nella chiesa di
Santa Maria Novella provocò dimostrazioni di giubilo non minori; la si trasportò in
processione, a suon di trombe, dallo studio alla chiesa.
E indispensabile ricordare tale entusiasmo, per giudicare Cimabue con equità. Oggi
le sue opere non sembrano differir molto da quelle dei Bizantini, suoi maestri. Ma ri-
portiamoci al XIII secolo ; esse indicavano un certo progresso. Se la cornice è rimasta
essenzialmente jeratica, le figure vi guadagnarono in morbidezza, in bellezza, in ani-
mazione. Esse presentano un po' della grandiosità che caratterizza le statue greche del-
l'epoca buona. L'emozione, sebbene trattenuta, non è meno comunicativa. Paragonate
alle Madonne del suo allievo Giotto, quelle di Cimabue hanno maggior grandezza, se
non altrettanta vita ed altrettanta potenza drammatica. I suoi angioli di tipo bizantino,
molto spiccato , si distinguono per la purezza del loro ovale , non meno che per la
nobiltà dell' espressione. Cimabue cercò di rialzare 1' effetto di queste anguste scene,
caricando d'ornamenti il trono su cui sta la regina dei cieli. E necessario aggiungere
che non potrebbe esserci quistione di gamma in questi venerabili incunaboli della pit-
tura? Come tutti i suoi contemporanei, Cimabue ignorava l'arte di opporre i toni gli
uni agli altri , egli si limitava a sovrapporli, senza cercare di più. E all' effetto del
tempo certamente che bisogna attribuire il contrasto tra i colori delle carni, rimasto
chiaro, ed il vestito della Vergine divenuto totalmente nero.
Pure a Santa Maria Novella noi incontriamo per la prima volta uno dei più impor-
tanti fra gli artisti fiorentini del secolo XIV, Orcagna. 2)
O A chi credere! La (ruida^Souvcnir del Marcotti dice che Milanesi era disposto ad attribuire la Madonna Ruccellai a
Duccio da Siena (128Ó). Burckhardt e J'.ode invece, nella 6 a edizione del Cicerone (1893), s'attengono alla tradizionale attri-
buzione, ed hanno mille ragioni. Come bisogna abbandonare persino le tradizioni più autorizzate, quando i documenti ven-
gono a contraddirle, ugualmente bisogna guardarsi da questa smania d'ipotesi, divenuta il flagello della storia dell'arte.
2 ) Vasari afferma che Cione, il padre d'Andrea, era orefice, e malgrado l'opinione contraria di Milanesi, io presto
268
FIRENZE E LA TOSCANA.
Andrea di Cione Orcagna, o Orgagna, nacque a Firenze verso il 1308, e morì nella
stessa città nel 1368. Come Giotto, egli pure si distinse contemporaneamente nella pit-
tura, nell'architettura e nella scultura; egli coltivò eziandio la poesia: si citano di lui
dei sonetti. Per il momento io non mi occuperò che del pittore, salvo a trattenermi in
seguito sullo scultore e sull'architetto.
E poco probabile che Orcagna si sia trovato in relazioni dirette con Giotto, però
sta il fatto ch'egli ne consultò le opere con un pio ardore.
A Santa Maria Novella, nella cappella Ricci (il coro attuale), Orcagna dipinse, aiu-
tato dal fratello Nardo, alcune scene della Vita della Vergine. Quest'opera, per tre quarti
rovinata, fu sostituita nel secolo seguente dagli affreschi del Ghirlandajo, che utilizzò
tuttavia in una certa misura, lo afferma Vasari, il lavoro del suo predecessore.
A questi affreschi fece seguito, nella stessa chiesa, la decorazione della cappella
Strozzi: // Giudizio universale ed il Paradiso.
Il Paradiso dell' Orcagna (frammento).
11 Paradiso indica forse più sforzo che vera ispirazione. Le figure vi sono model-
late con cura estrema, dalla testa ai piedi; anche il colorito, abilmente fuso, merita
degli elogi. Ma ciò clic manca è l'impressione immediata della vita, e quei forti tratti
familiari a Giotto. L'artista si servì, non di ritratti, ma di tipi convenzionali; così, non
ostante la ricerca della grazia per le donne, che rammenta quella di Fra Angelico, e
l'energia per gli uomini, la sua opera ci lascia passabilmente freddi.
Orcagna d' altronde non trascurò nulla per mettere nel Paradiso tutta la maestà c
tutta la varietà possibile. I personaggi — profeti, apostoli, santi, angioli — sono di-
stribuiti con una perfetta purezza, a file di cinque o sei. L'artista cercò d'altra parte
di rompere la monotonia inerente ad una composizione in cui centocinquanta attori, forse,
fede a tale asserzione. Milanesi, per contraddire Vasari, sostiene di non aver mai trovato il nome Cione nel registro
degli orefici di Firenze. Ma tale silenzio non vuol dire un gran che, e c' è veramente da stupire di un'opposizione
formulala così alla leggera, da parte d'un erudito come Milanesi. Vasari dà per maestro ad Orcagna Andrea da Pisa.
Ma è certo che l'artista ricevette pure delle lezioni da suo fratello maggiore, Nardo (abbreviazione di Leonardo) e non
Bernardo, come afferma il Vasari, di cui l'errore ò scusabilissimo.
FIRENZE. - SANTA MARIA NOVELLA.
2 09
provano od esprimono lo stesso sentimento; perciò rappresentò gli uni di faccia,
gli altri di tre quarti o di profilo. Per farla breve, in questa pa-
gina, del resto importantissima, non manca che un accento più
commosso ed il fuoco sacro.
Sarebbe ingiusto non aggiungere che gli affreschi della cap-
pella Strozzi furono sottoposti a ristauri , che tolsero loro parte
del valore primiero.
"L'Inferno, dipinto nella stessa cappella, probabilmente dal
fratello di Andrea d'Orcagna, Nardo (13G5), forma la letterale
illustrazione del poema di Dante. Supponiamo una grande mon-
tagna a sette grandi strati, corrispondenti ad altrettante ca-
tegorie di dannati o di supplizi: tale è l'inferno della cappella
Strozzi. L'artista l'ha posto, come si vede, nelle viscere della
5 terra. Egli l'ha popolato d'attori infiniti: Cerbero, i Ccn-
tauri, le Arpie, gli adulatori immersi nel fango, gli avari
Frammento degli affreschi . .
del Gbirlandajo a Santa Maria Novella. e i prodighi, tutti rappresentati colla più Scrupolosa esat-
tezza secondo le descrizioni del poeta, e perchè nessuno li
ignori , i loro nomi sono scritti
presso di essi. "Così,,, disse Am-
père. ki la Divina Commedia è con-
siderata non già come una finzione
poetica . ma come un articolo di
fede,,. — Questa composizione fu
essa pure molto ritoccata.
Ignorasi quando Orcagna ter-
minasse gli affreschi della cappella
Strozzi; è probabile che ciò fosse
prima del 1357, data iscritta sul bel
polittico che orna la cappella stessa.
In quest' ultimo lavoro domi-
nano la maestà, la solennità. Le
figure hanno un' estrema gravità,
non del tutto esente da una certa
rigidezza. Le teste sono indivi-
duate piuttosto debolmente, tranne
che nei due santi inginocchiati ai
piedi di Cristo, san Domenico a
destra, san Pietro a sinistra. Que-
sto è la più bella figura del quadro;
la magnifica disposizione dei suoi
panneggiamenti ricorda Giotto e
annuncia Masaccio. Un pittore mo-
derno non sarebbe riuscito meglio
in quanto all'ampiezza e alla li-
bertà ammirabile di tale lavoro: è il degno riscontro dell'angelo dipinto nel Paradiso
sotto al Cristo : la stessa ardita e sicura disposizione dei panneggiamenti. Quel
Ginevra Benci,
da un affresco del Ghirlandaio a Santa Maria Novella.
270
FIRENZE E LA TOSCANA.
soggetto ricompare nel San Tommaso scolpito in bassorilievo sul tabernacolo d' Or
San Michele.
Noi varchiamo tre quarti di secolo per salutare una delle pagine più imponenti e
meno note del geniale e disgraziato Masaccio, una Trinità, ritrovata or son venticinque
anni in una delle cappelle della chiesa , e oggi fissata contro la parete interna della
facciata.
Il ricordo di Giovanni Tornabuoni, lo zio materno di Lorenzo il Magnifico e rappre-
sentante della banca dei Medici a Roma, è legato al nome del Ghirlandaio, come quello
di Giovanni Euccellai si collega al nome di Leon Battista Alberti, e quello di Filippo
Strozzi ai nomi di Benedetto da Majano e di Filippino Lippi. Gli affreschi del coro di
Santa Maria Novella, dipinti dall'Orcagna, erano rovinati dall'umidità: già parecchi cit-
tadini aveano tentato di farli restaurare o rifare, ma i Ricci, che avevano un diritto di
patronato sul coro, vi si erano sempre opposti. Tornabuoni fu più fortunato: coli' essersi
impegnato ad indennizzare i Ricci, e a porre i loro stemmi nel punto più in vista, egli
ottenne carta bianca. Incaricò tosto il suo amico Ghirlandajo di dipingere sopra una
delle pareti la Storia di san Giovanni Battista, sull'altra la Storia della Vergine, nel-
l'abside V Incoronazione della Vergine. 1}
Gli affreschi del coro di Santa Maria Novella erano anzitutto destinati a celebrare
la liberalità del donatore. Così pure due grandi stemmi in pietra, l'uno dei Tornabuoni,
l'altro dei loro parenti, i Tornaquinci, vennero incastrati sui pilastri esterni, mentre gli
stemmi d'altre famiglie, i Ginchinotti, i Popoleschi, i Marobottini e i Cardinali, presero
posto siili' arco, senza alcun pregiudizio dei numerosi ritratti di membri della famiglia
introdotti tra gli attori delle composizioni. 2)
Per fortuna gli affreschi del Ghirlandajo hanno ancor altri titoli alla nostra atten-
zione, oltre all'interesse che offrono per la storia dei Tornabuoni, oppure per la storia
di Firenze: essi formano un insieme raro e seducente della pittura di genere colla pit-
tura storica, la Vergine e le sue compagne sono vestite alla moda delle Fiorentine
del seeolo XV; gli interni, il mobiglio, i menomi dettagli, tutto ci trasporta in piena
Firenze; nessun sforzo d'astrazione, nessuna ricerca del colore storico. Forse è questa
sincerità che dà tanta seduzione agli affreschi di Santa Maria Novella. ;!) Noi vi scor-
giamo volta a volta gli ardori generosi degli adolescenti e la fierezza delle patrizie,
che s'avanzano impassibili, nel loro costume di cerimonia, per far visita alle amiche loro.
Gli arredi del coro, scolpiti e ornati d'intarsi, contano tra le più antiche, ma eziandio
tra le più eleganti produzioni di Baccio d'Agnolo, che fu un architetto di merito non
] J La retribuzione venne stabilita di 1200 fiorini d'oro (da 80 000 a 100 000 francbi) colla clausola che se il Me-
cenate era contento dell'artista gli avrebbe dato 200 fiorini di più, finito il lavoro. Qui appare in piena luce lo spirito
di lesineria proprio ai dilettanti del Primo Rinascimento: allorché Ghirlandajo ebbe finito, Firenze intiera si entu-
siasmò dinanzi al suo capolavoro. Con tutto ciò il Tornabuoni si dispensò dal pagargli il supplemento convenuto. Affret-
tiamoci però ad aggiungere a suo discarico, che dopo alcuni anni, in occasiono dell'ultima malattia del Ghirlandajo,
ei gli spedì spontaneamente un soccorso di 100 fiorini.
2 ) L'iscrizione tracciata sugli affreschi ci prova quale era in quell'epoca il grado d' orgoglio dei grandi borghesi
fiorentini: "L'anno 1490 — dice questa — in cui la nostra bellissima città, nobile per le sue ricchezze, per le sue
vittorie, por le suo arti e i suoi edifici, godeva dell'abbondanza, della salubrità, della pace.... ,.
Ahimè! due anni più tardi moriva Lorenzo il Magnifico, il gonio tutelare d'Italia; quattro anni dopo l'esercito
francese entrava in Firenze, mentre i Medici prendevano la via dell'esilio. Non c'è mai da fidarsi del destino!
Lo stesso presidente de Lrosses vi trova " una maniera più moderna e che comincia ad essere buona. ,. Anatolio
France li caratterizzò nel Lys rouge: " gli affreschi tranquilli del Ghirlandajo. ,.
FIRENZK. - SANTA MARIA NOVELLA. 271
cornane, come pure un paziente intarsiatore. Arabeschi di squisito disegno spiccano chiari
sopra un fondo scuro.
Una invetriata, eseguita da Sandro Agolanti secondo i modelli del Ghirlandajo, com-
pleta la decorazione del coro. Vi si vede fra l'altre cose la Vergine che contigua la sua
vintolo a siin Tommaso, la Presentazione al Tempio, e la Fondazione della Basilica di
Santa Maria Maggiore a Roma.
L'esempio del Ruceellai e del Tornabuoni stimolò l'emulazione di Filippo Strozzi, il
vecchio (t 1491), che non la cedeva nò in gloria, uè in ricchezza ai suoi due concit-
tadini. Egli scelse per sua sepoltura una cappella situata presso al coro , ed ordinò il
proprio mausoleo al suo amico, l'eminente scultore ed architetto Benedetto da Majano.
Il medaglione di cui questi l'ornò, la Vergine circondata dagli angioli, disgraziatamente
pecca di pesantezza; le figure vi appaiono pietrificate.
Più originali sono gli affreschi di cui Filippino Lippi arricchì la cappella. Questo ciclo
cominciato nel 148 7 non ebbe fine che nel 1500, quindi molti anni dopo la morte dello Strozzi.
Filippino, il figlio di Fra Filippo Lippi, era dopo Leonardo da Vinci il più per-
fetto, senza dubbio, fra tutti i pittori fiorentini della fine del XV secolo ; egli avea lo
spirito, la vena, talora 1' eloquenza ; abile colorista (basta per convincersene guardare
la sua Apparizione della Vergine a san Bernardo, nella badia di Firenze), egli sapeva,
come nessun altro, disporre i suoi lavori, infondervi movimento, passione. Sotto tal
punto di vista egli è il precursore diretto di Raffaello. Il suo capolavoro in questo
genere, oltre gli affreschi della chiesa della Minerva a Roma (1489), è il ciclo di
Santa Maria Novella , ove egli illustrò diverse scene degli Atti degli Apostoli , la
Risurrezione di Drusiana, il Martirio di San Giovanni Evangelista, San Filippo die
caccia il demonio, il Martirio di San Filippo. Completò la decorazione colle meravigliose
figure dei patriarchi , dipinte sulla vòlta. Ciò che domina è il moto, l' estro, una vi-
vacità, che quasi rasenta 1' agitazione. La ginnastica a cui dedicavasi Filippino era
necessaria per introdurre nella composizione la fluidità delle linee, e l'armonia di cui
erano prive da tanto tempo. Questa considerazione ci rende indulgenti per tanti errori:
l'accumulazione degli ornamenti più strani, di obelischi, di trofei che si profilano con
grande audacia; inoltre un lusso, un abuso di emblemi e di accessorii da dare le vertigini.
Innanzi a tante meraviglie della pittura si dimentica di dare uno sguardo alle
statue ed ai bassorilievi che ornano Santa Maria Novella. Eppure c' è qualche cosa
elie merita la nostra stima. Se il Cristo in croce di Brunellesco, nella cappella Gondi,
manca di carattere , se la Vergine circondata da Angioli, che Benedetto da Maiano
scolpì per la cappella Strozzi, non ha ne libertà, uè distinzione, un' altra scultura del
XV secolo, la "Tomba della Beata Villana „, è una delle più originali concezioni di
Bernardo Rossellino : qui nulla ricorda l' antichità. La statua , o meglio , l' alto rilievo
della Santa, si presenta di tre quarti, e si stacca da un panneggiamento che serve con-
temporaneamente di fondo e di cornice: due angioli in piedi da ogni lato, sollevano
« oh una mano siffatta cortina, mentre coll'altra tengono un cartello su cui sta scritto :
Ossa Villane mulieris sanctissimae in hoc celebri tumulo requiescunt. „ Direi che la
figura è graziosa, se la parola si potesse applicare ad una statua funebre: si può per
lo meno affermare arditamente che la posa è piena di naturalezza e di grazia, l'espres-
sione commossa, i panneggiamenti d'una rara morbidezza.^
h Per quanto ci sembri ricca, mancano a Santa Maria Novella molti dei suoi tesori : la pala d' altare del Ghir-
272
FIRENZE E LA TOSCANA.
Il chiostro di Santa Maria Novella, detto il chiostro verde, deve il suo nomignolo ai
suoi affreschi in chiaroscuro verde, di cui Paolo Uccello e altri celebri pittori ricopri-
rono i suoi muri. Le intemperie, come pure la mano degli uomini, non ne lasciarono più
sussistere che alcune traccie, ma queste sono caratteristiche: esse ci dimostrano quali
preoccupazioni di realismo dominassero nella pittura fiorentina sin dal principio del
XV secolo : il Diluvio di Paolo Uccello forma quasi 1' illustrazione d' una scuola di
nuoto; vi si vede ogni sorta di apparecchi di salvataggio, più o meno strani.
Il chiostro verde a Santa Maria Novella.
L'ammirabile ciclo degli affreschi del XIV secolo, che si svolge nella vicina cappella
o cappellone degli Spagnuoli, non poteva trovare un contrasto più completo alle elucu-
brazioni d'un Paolo Uccello.
La colonia spaglinola di Firenze non ebbe parte alcuna nell'edificazione o nella dc-
landajo che completava il ciclo dogli affreschi, trovasi oggi in parte alla Pinacoteca di Monaco, in parte al Museo di
Berlino. La Cantoria di marmo bianco, ornata da Baccio d'Agnolo di sculture d'un gusto squisito (ghirlande, gigli, ecc.),
venne acquistata nel 1859 dal South Kensington Muscum. Finalmente la tribuna dogli organi di legno dorato ò andata
a finirò a Ruoil, ove trovò un asilo nella chiesa (la balaustra dorata di fresco, o certamente in parte rifatta, ha quale
principale ornamento dei rosoni e del fogliamo, senza un certo carattere, che spiccano in rilievo sopra un fondo unito;
essa posa su mensole).
FIRENZE. - SANTA MARIA NOVELLA.
273
corazione di questo santuario, come potrebbe farlo erodere il nome sotto cui è noto. ( Co-
strutto verso la metà del XIV seeolo dall' architetto domenicano Fra Jacopo 'ralenti,
servì in origine quale sala capitolare ai monaci di Santa Maria Novella: non fu che
nel 1556 che il granduca Cosimo I la concesse agli Spaglinoli.
Gli affreschi della cappella degli Spagnuoli formano un gruppo a parte nella storia
della Scuola toscana. Tali importanti pitture furono tenute sino a questi ultimi tempi
le une quale lavoro del senese Simone Menimi (Simone di Martino), le altre di Taddeo
Gaddi. Ma poiché la cappella non fu cominciata che nel 1 350, e le pitture non erano
ancora finite nel 1355, è impossibile che Simone di Martino, morto nel 1344, vi abbia
lavorato. Le composizioni a lui attribuite non possono essere che dei suoi allievi. D'altra
parte la congettura di Cavalcasene e
Crowe. che ascrivono ad Antonio ve-
neziano e ad Andrea fiorentino le pit-
ture sin qui attribuite a Taddeo Gaddi,
non ha trovato partigiani. Il nome stesso
di Taddeo Gaddi non solleva minori ob-
biezioni.
In siffatte incertezze giova il riflet-
tere che se le pagine anonime, i capo-
lavori degli ignoti non sono sempre
quelli che rappresentano il meno fedel-
mente lo stato d'una società, le tendenze
d'una scuola; a più forte ragione le opere
collettive — quali le pitture della cap-
pella degli Spagnuoli — offrono a tale
riguardo i più preziosi insegnamenti.
Ogni collaboratore, costretto a rinunciare
alle sue preferenze personali , non ha
altra ambizione che quella d' interpre-
tare degnamente il pensiero di tutti ed
assicurare l' unità all' edificio innalzato
in comune. 1 '
Il muro in cui è praticata la porta
d'ingresso è ornato di scene della vita di
san Domenico e di san Pietro martire. Il segmento corrispondente della volta rappresenta
V Ascensione.
Sulla parete del fondo sono rappresentati : il Trasporto dalla croce, la Crocifissione
e la Discesa al limbo; sulla vòlta la Risurrezione. Finalmente le due pareti laterali
ci offrono : a sinistra la Glorificazione di San Tommaso d'Aquino, e al disopra, sulla
volta, la Discesa dello Spirito Santo; a destra la Chiesa militante e la Chiesa trion-
fante, e sulla vòlta la Navicella di San Pietro.
La Crocifissione è una pagina d' un'arditezza e d'un'animazione tale che potrebbe
*) Un abisso divide Parte dei Domenicani dall' arte dei Francescani. Se la leggenda di san Domenico è infinita-
mente più povera di fatti commoventi di quella di san Francesco, la sua dottrina all'incontro — di cui l'Inquisizione
fu l'espressione suprema — s'impone pel suo rigore dogmatico, come gli insegnamenti di san Francesco seducono pel
loro dolce misticismo. Un cane con una fiaccola tra i denti, tale fu per lungo tempo l'emblema dei Domenicani; essi
stessi si denominavano Domini canea, i cani del Signore. È naturale che la decorazione della cappella degli Spagnuoli,
la sala capitolare dell'ordine a Firenze, esprima siffatte preoccupazioni.
Firenze e la Toscana. 'òó
Un Miracolo di San Domenico, nel cappellone degli Spagnuoli.
274
FIRENZE E LA TOSCANA.
e sser l'opera d' un pittore del Rinascimento, se
non ci fosse un resto d' arcaismo in un certo
numero di figure. Nel centro, sulla croce, Cri-
sto, nobile e bella figura; le sue forze sono
esauste, lascia cadere il capo. Presso a lui
si librano degli angioli, venuti a racco-
gliere le preziose reliquie. A destra il
cattivo ladrone si contorce sull'istru-
mento del supplizio con un' energia
che non ha nulla da invidiare alla
|k celebre Crocifissione di Rubens ,
IÉ» mentre i demoni si precipitano
su di lui per impadronirsi della
preda. A sinistra il buon la-
drone leva gli occhi al cielo
con un atto di rassegnazione
ammirabile. Il dramma che si
svolge ai piedi della croce
non è meno vivo, meno elo-
quente : di tratto in tratto dei
cavalieri dalle fisonomie or
gravi or severe agitano delle
lancie o degli stendardi colle
iniziali consacrate S. P. Q. R.,
o suonano le trombe, oppure
cacciano col frustino gli spet-
tatori che troppo liberamente
esprimono la loro simpatia pei
giustiziati; indi i discepoli singhiozzanti che rivolgono un addio supremo al loro mae-
stro; a sinistra, in mezzo alla folla, il gruppo delle pie donne piene di dignitoso dolore.
Quanta passione c'è nel dramma commovente del Golgota, altrettanta è la calma e la
serenità nell' Ascensione. Nell'aria appare, fulgidissimo nella sua gloria, Cristo, bianco-
vestito, le mani alzate. Attorno a lui degli angioli. Nel basso la Vergine, poi i dodici
apostoli inginocchiati due a due, negli atteggiamenti più vari , che contemplano rapiti
l'apparizione celeste. Alle due estremità, due angeli ritti in piedi incorniciano il lavoro
e ne rialzano la solennità. I personaggi sono eccellenti come espressione, come atteg-
giamenti, come drappeggi. La figura di Cristo disgraziatamente non merita gli stessi
elogi ; v'ha in questa qualche cosa di troppo compassato, di troppo arcaico, e appare
quale una reminiscenza bizantina in questo ambiente ove tutto respira lo spirito dei
tempi nuovi.
La Glorificazione di San Tommaso d'Aquino ci mostra il celebre dottore dell' or-
dine dei Domenicani in trono, come un Dio, in mezzo a dieci profeti ed apostoli; a
sinistra Giobbe, Davide, san Paolo, san Marco, san Giovanni evangelista, poi conti-
nuando verso destra, san Matteo, san Luca, Mosè, Isaia e Salomone. Sopra al Santo
si librano sette figure allegoriche; ai suoi piedi sono seduti, vinti ed umiliati, gli ere-
tici, o gli infedeli da lui confutati, Ario, Averroc e Sabellico.
Sullo stesso piano dei quattro personaggi, con cui abbiamo fatto testò conoscenza,
(Cappella degli Spaglinoli).
FIRENZE. - SANTA MARIA NOVELLA. 275
ma colla schiena ad essi rivolta, sta seduto un religioso che dà L'assoluzione ad ira
vecchio inginocchiato innanzi a lui.
A qualche distanza, un altro religioso indica alla folla che lo circonda la porta
sotto cui sta san Pietro, colle chiavi in mano: è la Gerusalemme celeste. La città
santa è popolata di eletti d'ogni età e d'ogni ceto; all'ingresso una frotta di bambini,
a cui due angioli danno il benvenuto; più lungi dei prelati, dei principi, dei martiri,
degli apostoli. Tutti hanno gli sguardi rivolti verso Cristo che domina nel mezzo, cir-
condato da un coro d' angeli, e che corona così questa splendida rappresentazione
della Chiesa militante e della Chiesa trionfante.
La Chiesa trionfante, nella cappella degli Spaglinoli.
La parte inferiore comprende quattordici figure allegoriche, sedute in ricchi stalli;
ciascuna di esse ha sotto di se qualche celebre personaggio. Cominciando da sinistra,
scorgiamo dapprima parecchie figure che personificano le Virtù cardinali; poi vengono
la Fede, la Speranza e la Carità coli' arco e le freccie, come l'antico Cupido. Ai piè
dell'ultima è seduto sant'Agostino. Le sette figure di destra rappresentano: L'Aritmetica
personificata da Pitagora; la Geometria personificata da Euclide; l'Astronomia perso-
nificata da Tolomeo; la Musica (Tubalcain) ; la Dialettica (Aristotile); la Rettorica (Ci-
cerone i; la Grammatica (Donato). Accanto a questa stanno inginocchiati due bambini,
che sembra la supplichino a voler loro comunicare la sua scienza.
La composizione, rigorosamente simmetrica, riassume la filosofia e la scienza del
tempo, tanto sotto l'aspetto teologico, quanto sotto l'aspetto profano. Non si può che lo-
276
FIRENZE E LA TOSCANA.
dare la nobiltà delle figure, la purezza della caratteristica, la scienza dell'ordinamento.
Ecco una composizione decorativa che armonizza a meraviglia colla cornice architet-
tonica. Un secolo e mezzo più tardi, Raffaello, incaricato di trattare lo stesso tema,
romperà la simmetria, riavvicinerà ed aggrupperà i personaggi, che qui sono sempli-
cemente sovrapposti; in breve, di questa adunanza grave e solenne egli farà una scena
viva e piena di moto.
Tale qual è, la Glorificazione di san Tommaso d'Aquino conviene perfettamente ad
un'epoca in cui l'arte, non meglio della scienza e della letteratura, non avea ancora raggiunto
l'intera libertà, in cui gli spiriti provavano il bisogno di rinchiudersi strettamente nei
dati tradizionali. La religione regnava ancora sovrana; e specialmente in questa sala ca-
pitolare dell'ordine di San Domenico, era naturalissimo ch'essa imponesse la disciplina
più severa, e proscrivesse l'emancipazione, l'indipendenza tanto dello stile che delle idee.
Questa pagina s'attribuisce ordinariamente a Taddeo Gaddi, ma questa non è, ripeto,
che una mera supposizione.
La Chiesa militante e la Chiesa trionfante non offrono ne l'unità ne la gravità che distin-
guono la Glorificazione di San Tommaso. Contiene per lo meno una mezza dozzina di
episodi diversi, senza connessione gli uni cogli altri. Ma ciò che vi manca quanto a distri-
buzione architettonica, viene compensato con dettagli d'una freschezza e d'una grazia am-
mirabile. Tale capolavoro fu per lungo tempo attribuito erroneamente, come si disse, all'il-
lustre rivale di Giotto, il capo della Scuola di Siena, Simone Menimi (Simone di Martino).
La Chiesa militante e la Chiesa trionfante comprendono sei quadri distinti, riuniti
nella stessa cornice, ma che avrebbero guadagnato formando tanti lavori separati.
A destra, nel primo piano , i Domenicani rappresentati da cani bianchi e neri,
un' allusione al loro abito, danno la caccia a lupi ed a volpi. Dietro ad essi san Do-
menico e san Tommaso d'Aquino discutono coi peccatori e cogli eretici.
A sinistra, allo stesso piano, innanzi ad un edificio imponente che offre grandi analogie
colla cattedrale di Firenze, come pare l'avesse sognata Arnolfo, è riunita una augusta as-
semblea. Il papa è sul trono presso l'imperatore; innanzi a loro giacciono degli agnelli,
che hanno quivi trovato un sicuro rifugio; attorno, in piedi, seduti o inginocchiati, dei
cardinali, dei patriarchi , dei principi , dei gran signori , indi monaci e semplici fedeli.
Ritornando a destra, si scorgono al secondo piano , dei gruppi di giovanette che
ballano a suon di tamburello: è una scena d'una poesia affatto mistica che si direbbe
tolta dal Cantico dei Cantici. Queste figure, con anomalia davvero strana, sono molto
più piccole di quelle del fondo.
Sopra le giovanette, che sembra rappresentino un coro d'eletti, fan bella figura pa-
recchi personaggi dall'aria grave: una donna che suona il violino, un uomo con una
falce, un'altra donna con un leoncino sulle ginocchia, e finalmente un uomo che riflette
profondamente, col mento appoggiato sul braccio. Alcuni critici hanno creduto che l'ar-
tista volesse con ciò rappresentare i piaceri e le seduzioni del mondo. Ma appare più
verosimile che abbia voluto ritrarre la felicità degli eletti. Più in là in un giardino pieno
d'alberi meravigliosi, alcuni giovani sono intenti a coglierne frutti, mentre altri si ag-
girano all'ombra di essi. Sarebbe difficile il dare un'idea abbastanza esatta di tutta la
freschezza, di tutta la seduzione di sì fatta scena primaverile.
FIRENZE. - LA CHIESA D' OGNISSANTI.
277
VII.
Loggia di San Paolo. — La chiesa d' Ognissanti e la chiesa di Santa Trinità. — I Ruccellai e l'Accademia
platonica. — Il palazzo Strozzi. — L'Oratorio d'Or san Michele e le Corporazioni fiorentine.
L'itinerario da me adottato, come tutti i programmi di cui la topografia forma il
punto di partenza, comporta contraddizioni ed inconvenienti senza numero. Invece di
farei trovare a bella prima innanzi all'ospizio dei Trovatelli, ch'è l'originale, ci fa riu-
scire al fondo della piazza di Santa Maria Novella, contro 1' antico ospizio, la loggia
di San Paolo che ne è l'imitazione o la copia. l) Diciamolo tosto, per non aver più bi-
sogno di ritornarvi : non si può immaginare nulla di più grazioso di questi ospedali
11 Nella loggia di San Paolo (non rimane più che la facciata dell'edificio primitivo), le arcate si appoggiano di-
rettamente sui capitelli delle colonne, senz' interposizione di architrave, come ad esempio, nella chiesa di Santo Spirito.
Le decorazioni (dipinte) in forma di quadrati, circoli, ecc., ricordano le incrostazioni del secolo XU e del XIII. delle
pareti esterne del Battistero di Firenze.
278
FIRENZE E LA TOSCANA.
fiorentini, il cui tipo fu creato dal Brunellesco. Al pianterreno un porticato aperto, so-
stenuto da colonne, sopra, negli spigoli degli archi, dei medaglioni di terracotta; al
primo piano delle finestre rettangolari. La stessa disposizione a Pistoia, salvo che nel
celebre ospedale del " Ceppo „ di detta città un fregio di terracotta policroma si svolge
per tutta la lunghezza dell'edificio, tra gli archi e le finestre.
Il quartiere — molto vasto — limitato dalla piazza di Santa Maria Novella e dalla
ferrovia, dal viale Principe Umberto e dal Lungarno Amerigo Vespucci , non contiene
che pochi edifizi celebri, ma tre almeno di questi esigono una visita: la chiesa di
San Francesco dei Vanchctoni , ove tutti i ferventi dell' arte sono andati ad ammirare
due deliziosi busti di bimbo, attribuiti per 1' addietro a Donatello, e oggi dal Bode,
alquanto arbitrariamente, ad Antonio Rossellino ; la chiesa d'Ognissanti ; finalmente i
celebri Orti Ruccellai, ai quali ritornerò più tardi.
La chiesa d'Ognissanti faceva parte in origine del convento degli Umiliati, i monaci
addetti alla fabbrica delle stoffe di lana. Ritoccata e ingrandita dai Francescani, nel
corso dei secoli XVI e XVII, essa offre oggidì 1' arredamento obbligatorio di ogni
chiesa fiorentina : terre cotte dei Della Robbia, pitture dei trecentisti e dei quattrocentisti
(Crocifìsso di Giotto, San Gerolamo del Botticelli, Sant'Agostino del Ghirlandajo), marmi,
bronzi, quadri firmati dai nomi più celebri. Noi non insisteremo su tutto ciò. Però il
refettorio dipendente dall'antico convento merita la nostra speciale attenzione: trovasi
qui una Sacra Cena, dipinta dal Ghirlandajo nel 1480. Vi si vedono inoltre degli an-
geli scolpiti in bassorilievo sopra un tabernacolo, d'Agostino di Duccio. Era troppo inte-
ressante questo maestro, autore delle sculture della chiesa di San Bernardino a Perugia
e del tempio di San Francesco a Rimini, perch'io lasciassi sfuggire l'occasione di pre-
sentarlo, se pure alla sfuggita, ai miei lettori.
Ritornando verso il centro di Firenze, e dedicandoci al quartiere compreso tra la
via dei Fossi e la via Calzaioli bisognerebbe fermarci in ogni strada e quasi innanzi
ad ogni casa: trattasi di ricordi storici il cui interesse si stende ben al di là dell'oriz-
zonte fiorentino, o di edifizi, statue, bassorilievi, che segnano tutti qualche conquista
negli annali dell'arte : da tale o tal' altra scultura smarrita qua e là scaturì la scintilla,
che infiammò migliaia d'imaginazioni. Quanti tesori in quelle poche migliaia di metri
quadrati: le chiese di Santa Trinità, SS. Apostoli, San Pancrazio, Or San Michele , i
palazzi Ruccellai, del Turco, Strozzi, la galleria Corsini, la loggia del Mercato Nuovo,
costrutta dal 1547 al 1551, da G. B. Del Tasso, ed ornata dal Tacca, con una copia
in bronzo del cinghiale di marmo conservato al Museo degli Uffizi. Tali monumenti, come
accatastati gli uni presso gli altri, basterebbero alla gloria di un'altra città: qui essi
sono perduti e quasi annegati in un oceano di meraviglie.
Fra la chiesa d' Ognissanti e la chiesa di Santa Trinità, nell' immediata vicinanza
dell'Arno e sulla via di Parione, s' innalza 1' immenso palazzo dei principi Corsini, la
cui famiglia dette alla Chiesa un santo ed un pontefice (Andrea, morto nel 1)573, santifi-
cato nel 1629; Clemente XII, che del 1730 al 1740 occupò il seggio di san Pietro).
L'editìzio è dei pili pesanti e dei piìi malinconici, malgrado i suoi tre balconi. La tinta
grigiastra clic ricopre l'esterno non è certo fatta per rallegrare la vista e lo stile della
costruzione che appartiene al XVII secolo. Ma l'interno ci riserba parecchie gradevoli
sorprese; qui infatti, e non a Roma nel palazzo della Lungara, venduto or son circa dicci
FIRENZE. - LA CHIESA DI SANTA TRINITÀ .
27!)
anni al governo, bisogna cercare la vera galleria Corsini. Quella di Roma non con-
tiene, tranne poche eccezioni, che opere o molto ritoccate o firmate con nomi d'artisti
della decadenza. A Firenze invece la galleria Corsiniana, il cui catalogo fu compilato
con grande cura da M. U. Medici, offre alla nostra ammirazione delle splendide tele
italiane o fiamminghe, firmate coi più celebri nomi.
Più vicino alla piazza della Signoria, il palazzo Rosselli, costrutto nel XVI secolo
da Baccio d'Agnolo per i Borgherini, ci presenta fra le altre una particolarità clic prova
lo spirito di diffidenza dei Fiorentini di quel tempo; nella vòlta dell'entrata si scorge
ancora l'apertura per la quale gli abitanti potevano esaminare e spiare i visitatori. Mi
si afferma che per l'addietro ogni palazzo fiorentino possedeva tali spie.
Xei dintorni della piazza della Signoria, la chiesa di Santa Trinità, la cui costruzione
e le cui decorazioni comprendono un periodo di quattrocento anni, dal XIII al XIV se-
colo (la facciata è di Buontalenti) — senza parlare poi d'un sacrilego ristauro intra-
preso nel secolo XIX — offre allo studio una serie di importanti lavori. Qui la
Maddalena in legno, scolpita da Desiderio da Settignano, sul gusto della statua di Dona-
tello, conservata al Battistero; là la tomba severa e pura dei Sassetti, in cui Giu-
liano di San Gallo si rivelò contemporaneamente scultore ed architetto, ed anche l'al-
tare decorato da Benedetto da Rovezzano colla sua eleganza alquanto convenzionale,
senza alcun concetto chiaramente prestabilito.
In ogni modo la pittura la vince sulla scultura a Santa Trinità. Il ciclo degli affreschi,
finito nel 1485 da Domenico Ghirlandajo nella cappella Sassetti, in cui San Gallo lasciò
pure uno dei suoi capolavori , rappresenta la Storia della Sibilla di Tivoli, che an-
nuncia all' imperatore Augusto V avvenimento al trono della Vergine , e la Storia di
san Francesco d'Assisi (terminata nel 1485). Vasari loda la freschezza del colorito di
quegli affreschi, e la loro bellezza. Egli aggiunge che Ghirlandajo li accompagnò con una
Natività di Cristo a tempera, che destava la sorpresa dei conoscitori, e ch'egli pose il
suo ritratto fra i pastori, le cui teste erano considerate come cose divine. Per parte
mia osserverò, che in San Francesco innanzi ed sultano il Ghirlandajo s'ispirò a Giotto,
e ch'egli impresse veramente grandiosità alle figure, mentre che nell' Apparizione della
Vergine a san Francesco guastò la composizione con un paesaggio poco felice.
La chiesa non forma il solo ornamento della piazza della Trinità. Nel centro s'erge
una colonna di granito, rotta in parecchi punti, che si raccomanda per un'origine il-
lustre : essa, da secoli, ornava le terme di Oaracalla a Roma, quando il duca Cosimo I
ebbe l'idea di chiederla al papa per collocarla a Firenze sulla stessa piazza in cui egli
aveva per l'addietro ricevuto la notizia della vittoria di Montemurlo (quante supersti-
zioni ancora in quegli allievi di Macchiavelli!). I documenti pubblicati dal Gaye ci infor-
mano dell'odissea del monolito. Meno abili dei loro antenati romani, gli ingegneri fio-
rentini del secolo XVI non riuscirono che con sforzi sovrumani a trasportarlo da Roma
a Firenze (1561-1565). La statua di bronzo che vi sta in cima, la Giustizia, — che
innalza il suo emblema, la bilancia, — fu ordinata da un successore di Cosimo all'a-
bile scultore toscano Pietro Tacca.
Pili lungi, sulla stessa piazza, sorge l'elegante palazzo Bartolini-Salimbeni, colle sue
finestre d'ima rara eleganza; il capo d'opera di Baccio d'Agnolo è oggi trasformato in un
280
FIRENZE E LA TOSCANA.
albergo, mentre il palazzo merlato dei Buondelmonti ed il palazzo Ferroni contengono
uno stabilimento senza rivali in Europa, il celebre gabinetto di lettura di Vieusseux.
Fra la piazza della Trinità e la piazza di Santa Maria Novella, l'oratorio di San Pan-
crazio ed il palazzo Ruccellai proclamano, come la facciata di Santa Maria Novella,
la liberalità di Giovanni Ruccellai, soprannominato il costruttore (1403-1477), ed il ta-
lento del suo amico, l'architetto Leon Battista Alberti. E un tipo attraentissimo quello
di questo bravo mercante diviso fra la divozione e la vanagloria, vegliante con attività sui
suoi atfari commerciali, e rivaleggiante in magnificenza coi principi regnanti. Egli si
è esattamente ritratto nel suo giornale , la cui pubbjicazione è dovuta al Marcotti :
" Anno 1473. Ragioni per le quali io, Giovanni Ruccellai, devo stimarmi felice altret-
tanto, se non più di qualunque altro cittadino, del nostro quartiere di Santa Maria No-
vella.... „ Dopo un'invocazione alla Provvidenza, a cui si dichiara debitore dei suoi
successi, dopo l'enumerazione dei sacrifizii da lui fatti per la cosa pubblica, Ruccellai
aggiunge questa originale confessione : " Si dice che guadagnare e spendere sieno le
gioie più grandi che un uomo possa gustare ; per conto mio , confesso d' aver provato
ancora più piacere a spendere che a guadagnare „. Dopo una tal professione di fede,
non bisogna stupire se il mercante-mecenate fiorentino fece a Roma un pio pellegri-
naggio in occasione del giubileo del 1450 (egli ce ne lasciò una singolarissima descri-
zione), e se nell' occasione del matrimonio del suo figlio Bernardo, il futuro istorio-
grafo, con un'erede dei Medici (1466), spendette in feste ed in sollazzi di ogni genere
la somma enorme di 6638 fiorini, circa un mezzo milione di lire.
La decorazione della cappella di San Pancrazio , cominciata dal Ruccellai e finita
nel 1467, prova i sentimenti di divozione, sempre tanto vivi nei Fiorentini: egli s'era
fatto riportare da Gerusalemme le esatte misure del Santo Sepolcro, ed incaricò il suo
amico Alberti di costrurre un'edicola riproducente il sacro mausoleo nelle stesse dimen-
sioni. E necessario aggiungere che l'Alberti si sforzò prima di tutto di conformarsi alle
regole dell'architettura classica (quest'uomo che aveva abbracciato lo stato religioso fu il
più pagano degli architetti passati e presenti !) e ch'egli si sbizzarrì con ogni genere di
varianti sul tema dato !
Ben altrimenti importante che la cappella del Santo Sepolcro è il palazzo Ruccellai —
in bella " pietra forte „ nella via della Vigna Nuova, — il capolavoro dell'Alberti nel
dominio dell'architettura civile (costruito, secondo Del Badia, dal 1446 al 1451). È la fac-
ciata più pura, più precisa, più sobria che sin allora si fosse mai vista. La mancanza di
spazio impedisce di apprezzarla abbastanza sul luogo; ma essa fu così di frequente ripro-
dotta nelle incisioni o nelle fotografìe, che qui sarebbe superfluo celebrarne tutti i mèriti. 1]
Apparentemente, la disposizione è la stessa di quella del palazzo fiorentino tradi-
zionale : al pianterreno sei finestre quadrate, abbastanza strette, praticate ad una gran
altezza dal suolo e munite d'inferriata, vere feritoie; al primo piano sette finestre bi-
fore, e altrettante al piano superiore.
Ma tre ordini di pilastri (quelli del basso dorici, gli altri compositi), modellature e
ornamenti disposti con buon gusto ed intelligenza, danno a questa facciata una vita
ed un'eleganza insuperabile.
J ) Ciò che colpisce, tanto nell'Alberti quanto in Brunellesco, è la purezza totalmente classica delle loro concezioni;
la rompono arditamente colla tradizione del medio evo ; le loro chiese ed i loro palazzi, come pure le sculture d' un
Donatello o gli affreschi d'un Masaccio, mostrano un ordine d'una semplicità affatto antica; come pure nell'espressione,
vanno ad un tratto sino al fondo, senza incertezze, senza titubanze; vedono chiaramente quello che vogliono, e sanno
attuare il loro ideale con incomparabile fermezza.
1/ o r a t o r i o ili Or San Michele.
Firenze e la Toscana. 3f>
282
FIRENZE E LA TOSCANA.
Non abbandoniamo i Ruccellai senza aver dato prima un'occhiata ai loro antichi
giardini, i così detti " Orti Oricellari „. Lo splendido parco, che per l' addietro si sten-
deva sino alla porta del Prato, e ove regna ora una solitudine tale da credersi a cento
miglia di distanza da una grande città, deve il suo ordinamento attuale alla defunta
principessa Orloff, che l'acquistò nel 1861. Allorché lo visitai nel 1885, col mio com-
pianto amico il barone di Liphart, degli alberi secolari, dal verde fogliame, s'alterna-
vano cogli avanzi d'una loggia murata, a colonne e pilastri ionici, come pure una
serie di statue: il Bonifacio Vili, della facciata del Duomo, il Polifemo, della
scuola di Giovanni Bologna, ecc. Dalla guida del Marcotti apprendo che oggi tutto v'è
mutato. Il palazzo è divenuto proprietà del marchese G inori, il Bonifacio Vili fu re-
stituito al Duomo; altre sculture furono trasportate al castello di Vincigliata; finalmente
il giardino è vendibile a piccoli lotti.
Non importa: malgrado tali mutilazioni chi mai potrebbe passare innanzi agli Orti
Oricellari senz'evocare le imperiture memorie che ad essi si connettono? 1}
Qui, Bernardo (1448-1514), il figlio di Giovanni, e l'autore di una descrizione delle
più erudite di Roma (Libcr de urbe Roma), come pure d'una storia della campagna di
Carlo Vili (de Bello italico), raecolse, dopo 1' espulsione dei Medici , i marmi antichi
ch'egli potè salvare dalla dispersione ; qui egli dette asilo alla celebre Accademia pla-
tonica fondata da Cosimo, il Padre della Patria. Quest'accademia non era, come po-
trebbe farlo supporre il suo titolo, una assemblea chiusa, autoritaria , gelosa delle sue
prerogative, ma una riunione libera ed aperta di uomini dediti agli stessi stridii. I suoi
atti per altro non furono del tutto platonici: nel 1512, essa prese parte al moto
che preparò il ritorno dei Medici; nel 1522, invece, essa congiurò contro il cardinale
Giulio dei Medici (si mostra ancora l'uscio pel quale fuggirono i congiurati dopo
la cattiva riuscita del complotto). Per fortuna della loro gloria, i suoi membri non si
occupavano di politica che per eccezione: nel 1516, uno di essi, Giovanni Ruccellai,
recitò innanzi a Leone X la sua Rosmunda, la seconda per data delle tragedie mo-
derne; un altro, Macchiavelli, vi lesse i suoi immortali Discorsi sulle Deche di Tito Livio.
Più tardi, Carlo V passeggiò sotto le ombre degli Orti Oricellari, Bianca Cappello vi
dette delle feste splendide, ma scandalose, ed il cardinale Gian Carlo dei Medici, vi fece
rappresentare la commedia da Salvator Rosa.
Gli Strozzi, dopo aver per qualche tempo brillato alla testa dell' aristocrazia fio-
rentina (aristocrazia composta di mercanti e non di uomini d' arme), avevano dovuto
prendere la via dell'esilio, in seguito alla loro opposizione alle imprese dei Medici.
Mentre il nobile Palla Strozzi, coltivando le lettere a Padova, tentava consolarsi della
perdita della sua patria, i figli di suo cugino Matteo tentavano ricostituire la loro for-
tuna a Napoli. Vi riuscirono; ed il principale tra essi, Filippo, ottenne finalmente, dopo
lunghi anni di relegazione, di rientrare nella sua città natale. Sua, madre Alessandra,
le cui lettere, pubblicate recentemente da Cesare Guasti, ne dimostrano l'insuperabile
sollecitudine e la rara perspicacia, erasi dedicata durante la sua assenza ad aumentare
l'area su cui sorgeva la loro casa per potervi edificare una dimora più adatta alle con-
dizioni della famiglia. A tale occupazione Filippo dedicò gli ultimi anni della sua vita
con un ardore senza pari. Per non impressionare i suoi ombrosi concittadini, egli co-
minciò a muover lamenti sulla ristrettezza della sua abitazione, e sull'estensione «Iella
l ) Vcili la recente monografia (li Leader Scott, The Orli Oricellari. Firenzi', L898.
FIRENZE. -
II. PA LAZZO STROZZI.
famiglia. Avendo fatto venire dei maestri nell'arte dell'edicare, egli chiedeva loro dei
progetti, poi fingeva rinunciarvi, come spaventato della troppa spesa. Finì poi col per-
suadere i conoscenti d' esser stato trascinato dai suoi architetti molto più lontano di
quanto aveva voluto, mentre invece la sua ambizione era (li superare, possibilmente,
Luca Pitti, che si aveva fabbricato il palazzo più grandioso clic Firenze avesse sin
allora veduto. Siffatte precauzioni non erano così superflue come si potrebbe credere: in-
fatti apprendiamo da una deliberazione del consiglio dei Priori, che l'autorizzazione di
quest'assemblea era indispensabile per permettere allo Strozzi di procedere a lavori clic
dovevano modificare tutto un quartiere di Firenze. Ottenuta infine l'autorizzazione (1489),
Filippo Strozzi rivelò quel misto di divozione e di superstizione che formava lo stato
d'animo d'un Fiorentino del XV secolo. Dopo aver fatto tirare l'oroscopo dai principali
sapienti, fra cui l'illustre filosofo Marsilio Ficino, il propagatore del neoplatonismo, egli
fece celebrare delle messe nelle principali parrocchie, mentre, conformemente ad una
pratica pagana, faceva deporre nelle fondazioni delle medaglie commemorative. Seb-
bene spinti con attività febbrile, i lavori erano ancor lungi dall'esser finiti, allorché Fi-
lippo, che non contava che 65 anni, dettò il suo testamento nel 1491. Le precauzioni
luesc per completare il suo palazzo provano quanto il progetto gli stesse a cuore:
egli ordinò che per lo meno cinquanta operai vi lavorassero continuamente, di modo
che nel 1496 tutto fosse finito. Nel caso che il palazzo non fosse in ordine in tal
epoca, Lorenzo il Magnifico, o in mancanza sua i consoli della corporazione dei mer-
canti . avrebbero avuto pieni poteri per affrettarne i lavori. Un pranzo, offerto ogni
anno dagli eredi, doveva stimolare lo zelo degli esecutori testamentari.
Sino a questi ultimi anni pareva che il nome dell'architetto del palazzo Strozzi non
potesse venir posto in dubbio: tutti gli scrittori antichi non indicavano forse come au-
tore del progetto Benedetto da Majano (tl497), la cui opera fu continuata dopo la sua
morte da Simone del Pollajuolo, chiamato il Cronaca? Ma ecco che un erudito fioren
tino. Del Badia, mette avanti un altro celebre architetto, Giuliano da San Gallo, che
ricevette, nel 1489-1490, 115 lire pel modello del palazzo.
Per parte mia non potrei consentire a questi dubbi. I documenti d'archivi, le polizze
di pagamento non ci forniscono molto spesso che delle indicazioni incomplete. Possiamo
noi opporre la menzione d'un pagamento, fatto per eccezione a Giuliano da San Gallo,
all' affermazione sì concreta e sì categorica del Vasari che il palazzo Strozzi è l'opera di
Benedetto da Majano? Vasari scriveva in pieno secolo XVI , nella stessa città di Fi-
renze , ove più d' uno fra i suoi contemporanei aveva potuto assistere al collocamento
della prima pietra del palazzo. La sua testimonianza merita quindi piena fede. Io per-
sisto dunque ad attribuire a Benedetto da Majano la costruzione di tale imponente
dimora, che sotto tanti punti di vista ricorda i modelli del medio evo, mentre le crea-
zioni di San Gallo appartengono tutte allo stile neoclassico.
Il Palazzo Vecchio di Firenze è il modello a cui si ispirò Benedetto da Majano,
come del resto anche Brunellesco si ispirò al Palazzo Pitti, e Michclozzo al Palazzo dei
Medici, ma mitigando con ingegnose combinazioni quel certo che di ruvido e di austero
clic è proprio dell'oscuro edifizio della piazza della Signoria. Al pianterreno, panchine
di pietra destinate ai passanti, poi le inevitabili finestre quadrate, basse e ad infer-
riata, vere feritoie. Al primo piano, finestre bifore, ornate delle mezzclunc degli Strozzi
(il palazzo Ruccellai misura, se non erro, circa 26 metri di lunghezza, mentre il pa-
lazzo Strozzi ne misura 40); al secondo piano, altre finestre bifore. Queste finestre, in-
vece di raggiungere il loro normale sviluppo, sono bruscamente arrestate nella parte
284
FIRENZE E LA TOSCANA.
inferiore, e tagliate da una specie di cornice , che mi sembra irrazionale , poiché non
indica nò la fine d' un piano, nò il principio d' un altro. La divisione in piani non ò
bene delineata, nò in questo monumento, nò in quegli analoghi. Le finestre non sono che
buchi praticativi simmetricamente, ma un po' a caso in una massa enorme.
Si ammirò per altro molto l'arte con cui Benedetto graduò l'effetto delle bugne co-
lossali, diminuendone ad ogni piano la sporgenza.
Su questa facciata, cosi imponente e così aggraziata, ò fatta una sola concessione
all'ornamentazione: trattasi delle lanterne in ferro lavorato.
Come il palazzo, esse pure hanno la loro leggenda : l'artista che le ideò, Niccolò
Grassi, dovette ad una mania il suo nomignolo di Caparra : concludendo un contratto
egli esigeva sempre che il suo cliente, chiunque egli fosse, gli versasse una somma
qual pegno. Un'insegna appesa alla porta del suo studio rappresentava dei libri che bru-
ciavano : voleva significare con ciò che non faceva credito, poiché non avrebbe potuto
iscrivere i suoi debitori sui libri che il fuoco stava divorando. Quest'uomo originale con-
servava la sua franchezza anche innanzi a Lorenzo il Magnifico: avendogli questi chiesto
una volta di farlo passare prima di alcuni
clienti poveri , il Caparra ricusò brutal-
mente , dicendo che i primi venuti dove-
vano essere i primi serviti. Le lanterne
del palazzo Strozzi dimostrano a quale
punto fossero fondate siffatte esigenze :
l'esecuzione n' è fina, e il disegno pu-
rissimo.
Non ostante le precise prescrizioni dello
Strozzi, l'incuria degli eredi, e la morte
dei due architetti successivi, Benedetto
da Majano ed il Cronaca, fecero trascinare
Il cignale (lolla Loggia del Mercato Nuovo. i lavori oltre Ogni d'edere. Filippo Strozzi
il giovane ebbe alla fine la soddisfa-
zione di condurli a termine nel 1533, ad eccezione della cornice, che non ò ancora
compiuta.
La famiglia Strozzi conobbe tutte le vicissitudini: dopo di essersi segnalata per la sua
ostilità contro i Medici, dopo di essersi riconciliata e aver fatto causa comune con essi,
si lasciò di nuovo, sotto un futile pretesto, trascinare alla cospirazione: Filippo il gio-
vane (1488-1538) aveva appena finito di edificare il palazzo, allorché venne esiliato.
Rifugiatosi a Venezia, rientrò in patria dopo l'assassinio del duca Alessandro, e si pose
a capo dei rivoltosi. Battuto e fatto prigioniero alla battaglia di Montemurlo, egli si
uccise, affermasi, nella sua prigione, dopo aver scritto una lettera celebre, in cui egli
prega Dio liberatore d'accoglierlo nel soggiorno riservato a Catone ed agli altri uomini
virtuosi, che attentarono alla propria vita.
Il tìglio di Filippo, Piero (1510-1558), ereditò dal padre l'odio contro i Medici:
entrato al servizio di Francesco 1, a cui condusse una compagnia d'uomini d'arme, al-
trettanto valorosi, quanto riccamente equipaggiati, e nominato generale dello galere, poi
maresciallo di Francia, prese parte gloriosa alla difesa di Siena. Egli faceva un nobile
uso della sua immensa fortuna, e divideva il suo tempo fra lo studio e la guerra. Questo
cugino di ('aterina dei Medici, venne ucciso a soli 1<S anni, nell'assedio di Thionville.
FIRENZE. - IL PALAZZO STROZZI. 285
In seguito gli Strozzi di Firenze, divenuti principi del Sacro Impero, diedero po-
che occasioni di far parlare di sè: solo il senatore Carlo (1587-1670) si distinse per L'ar-
dore con cui raccolse i documenti atti ad illustrare La storia della sua città natale. Le
sue note conservate negli Archivi di Stato, sotto il titolo di Spoglio Strozziano, ren-
dono continuamente grandi servigi agli studiosi.
Più fortunati di molte altre famiglie patrizie di Firenze, gli Strozzi abitano ancor
oggi il palazzo per essi eretto con tanto amore dai loro antenati. .Molte delle ric-
chezze già riunite in questo palazzo, disgraziatamente non vi si trovano più: il busto
di Filippo Strozzi, dovuto allo scalpello di Benedetto da Majano, è ora al Louvre; il
busto conosciuto sotto il nome di Manetta Strozzi, e il ritratto della figlia di Roberto
La Loggia del Mercato Nuovo.
Strozzi, eseguito dal Tiziano, sono nel museo di Berlino. Persino la celebre eliiave,
un capolavoro di gusto e di finezza, prese la via dell'estero, essa appartiene al barone
Adolfo Rotschild elicla pagò, di'cesi, 30 000 lire. La si potè ammirare in diverse espo-
sizioni di Parigi, fra le altre a quella del 1878.
A qualche passo dal palazzo Strozzi , all' altra estremità della Via Tornabuoni, il
palazzo Antinori, attribuito ora a Giuliano da San dallo, ora a Baccio d'Agnolo, rap-
presenta un interessante tentativo di dare ad un'abitazione privata un aspetto meno
truce di quello dei palazzi-fortezza, senza ricorrere allo stile elassieo il materiale è
piano, senza bugnato, ed i pilastri non vi brillano ehe per la loro mancanza.
Però la serenità domina nell'insieme: il pianterreno, molto alto, non ha ehe tre piccole
finestre ad inferriata. Il tetto alquanto sporgente non contribuisce ad allietare la facciata.
286
FIRENZE E LA TOSCANA.
Abbiamo già fatto conoscenza colla Loggia del Mercato Nuovo, che sorge in quei
dintorni, e il cui ornamento principale è una copia in bronzo, eseguita dal Tacca, del
cinghiale in marmo del Museo degli Uffizi.
A mezza strada fra Santa Maria del Fiore e la piazza della Signoria, nella Via Cal-
zatoli, si rizza un edificio di forma bizzarra, e di nome altrettanto strano, l'Oratorio
d' " Or San Michele „ o di " San Michele in orto „. Il monumento, quale oggi lo ve
diamo, è un antico granaio pubblico, trasformato e completato. Tale granaio riedificato
nel 1.336, sotto forma di loggia aperta, di halle, arricchito nel 1349 d'una cappella, e,
verso la stessa epoca, del celebre tabernacolo dell' Orcagna, venne convertito in oratorio
per opera dell'architetto Simone Talenti , che murò le arcate, vi praticò delle finestre
di rara eleganza, e costruì su questo pianterreno monumentale un primo piano ed un
secondo.
La storia della decorazione d'Or San Michele ci offre un nuovo esempio dell'inter-
vento continuo sì delle corporazioni, che dei privati, nei grandi lavori pubblici, riguar-
danti la religione o l'edilizia. La Repubblica fiorentina , colla sua organizzazione, ad
un tempo così complicata c così feconda, stimolava tutte le generose iniziative. Le acca-
deva costantemente d'invitare le Corporazioni delle Arti e Mestieri a concorrere all'ab-
bellimento di Santuari. Gli amministratori della " Mercanzia „, racconta il Marcotti,
le sette Arti Maggiori ]) e sei tra le Arti Minori, accettarono di fornire ciascuna una
statua per ognuno dei 14 pilastri; essi erano autorizzati in compenso a far porre sotto
questa statua un bassorilievo, contenente un' allusione speciale, e al disopra i loro
stemmi. Non v'ha altro monumento di Firenze — aggiunge il Marcotti — che riesca
ad esprimere in modo più completo la splendida vitalità di questa democrazia del XIV e
del XV secolo. E poiché tra le " Arti Maggiori „, le corporazioni dei fabbricanti di
lana, dei mercanti e dei fabbricatori di seta erano le piìi potenti, si diede in custodia
a quest'ultima Or San Michele, come si era dato in custodia il Battistero alla corpo-
razione dei mercanti, e il Duomo a quella dei fabbricanti di lana.
Al pian terreno ogni lato dell' oratorio contiene tre finestre trifore e quattro nic-
chie in marmo bianco, col fondo cosparso di stelle; di sopra stanno quattro medaglioni,
di cui uno scolpito e tre dipinti; nel primo piano e nel secondo, sopra ogni lato, tre fine-
stre bifore, le cui bianche incorniciature spiccano sulla bella pietra grigiastra adope-
rata nella costruzione; delle false feritoie, ed una balaustrata coronano l'edificio.
Gli architetti faranno più d'una riserva su Or San Michele; essi criticheranno questo
gotico indeciso e povero, che sta tra l'arco tondo e l'arco acuto; quelle nicchie che
mancano di profondità e di carattere, la scarsità delle modellature, la mancanza dei con-
trafforti. Infatti che cosa è mai tal monumento, se non un cubo gigantesco?
La cornice, circostanza degna di nota, si compone d'una specie di balaustrata,
come nella loggia dell'Orcagna, invece di avere delle freccio clic si slanciano nell'aria.
J ) Nel XV secolo le Corporazioni fiorentine comprendevano ventilila arte, di cui sette maggiori e quattordici mi-
nori. Le maggiori erano: 1.° l'arte dei giudici e notai; 2.° l'arte dei mercanti; 3." l'arte dei cambiavalute; 4.° l'arti'
della lana; ~>.° l'arte della seta, a cui appartenevano gli orefici; l'arte degli speziali e medici; 7." l'arte dei vajai
e pellicciai.
Eccovi ora la lista delle arti minori: 8.° linaioli e rigattieri; 9.° calzolai; 10.° maniscalchi; 11. 0 pizzicagnoli: 12." cor-
not ieri ; Di." vinattieri; 14." albergatori; 16.° conteggiai ; 16.° cuoiai; 17." arinajoli; 18." cliiavaiccoli ; 19.° muratori:
20." falegnami; 21." tornitori.
Le professioni non specificate dovevano entrare, o bene o male, nell'una 0 nell'altra di tali corporazioni, come in
un letto di Proeuste : è così ohe gli orefici furono obbligati a schierarsi nella corporazione dei fabbricanti di sete
(vedi (ioii, La Toscana illustrala nella sua storia; Prodromo della Toscana illustrata, t. I, p. 181. Livorno, 17."").
FIRENZE. - OB SAN MICHELE
287
Ma quale splendida ornamentazione: finestre a dentelli, eolle invetriate dipinte, bas-
sorilievi e statue, un mondo intero di seducenti soletti !
La scultura ha libero corso a Or San Michele, tuttavia senza invadere i limiti assegnatile
dall'architettura. Abbiamo anzitutto i bassorilievi scolpiti sotto ad ogni nicchia, indi le sta-
tue delle nicchie, poi quattro statuette corrispondenti alle quattro colonnette d'ogni finestra.
Analizzando il Battistero, il Campanile ed il Duomo, stringemmo conoscenza coi
principali rappresentanti della scultura fiorentina dei secoli XIV, XV e XVII. Ad Or
San Michele il nostro schizzo s'ar-
ricchisce di nuovi elementi.
Qui il Ghiberti, che finora non
apprezzammo die come scultore di
bassorilievo, si rivela come statuario.
Egli dotò T oratorio delle statue di
San Giovanili Battista, di San Mat-
teo, di San Stefano. Sono lavori ele-
fanti, ma clic mancano ad un tempo
di forza e di carattere; proclivi alla
grazia anziché all'energia ; lo scul-
tore delle porte del Battistero non
riesce ove Donatello riporta i suoi
pili splendidi trionfi. Se questi avesse
avuto l' amore dei particolari che
caratterizza Ghiberti, o se Ghiberti
avesse avuto il soffio, la vena, la di-
sposizione del suo rivale, quali sta-
tuari insuperabili sarebbero stati en-
trambi! L'uno era l'uomo del racco-
glimento, delle emozioni contenute,
l'altro quello dell' esuberanza, l'in-
terprete della passione irrompente ed
irrefrenabile.
Come il Battistero e il Duomo,
Or San Michele ci mostra i due ri-
vali alle prese l'uno coll'altro; Do-
natello vi lasciò tre pagine magi-
strali, di cui l'una, San Giorgio, è
divenuta classica.
Le due prime per data. Sun Pietro e San Marco, eseguite dopo il 14l)(j, dimostrano
ancora l'indecisione dell'artista, divisa tra il realismo ed il classicismo. San Pietro si
avvicina alle statue romane pei suoi paludamenti. Osserviamo a questo proposito che
nulla ricorda meno lo stile gotico, quale si manifestava in quel momento sia a Venezia,
sia a Milano ed in Francia, quanto le prime produzioni di Donatello: le fisonomie vi
hanno già una libertà illimitata ; in quanto ai panneggiamenti, il maestro la ruppe totalmente
eoi bisogno di simmetria e di ritmo caro agli scultori del Nord, colle loro pieghe pa-
rallele, coi lembi delle vesti ricadenti a punta.
Queste formole, che si scorgono ancora nella scuola della Borgogna, nei Piagnoni
La porta di Or San Michele.
288
FIRENZE E LA TOSCANA.
della tomba di Filippo l'Ardito a Dijou, mancano già completamente nel maestro fio-
rentino.
In quanto al San Giorgio (141 G), la figura così libera, così fiera e vibrante è tanto
lontana dallo stile gotico, quanto dallo stile classico, è una creazione moderna in tutta
l'estensione della parola. 11 L'occhio fisso sopra un avversario invincibile, le sopracciglia
corrugate, il corpo slanciato, coperto da una di quelle armature del medio evo di cui
assolutamente non c'è da tirare nessun partito nella statuaria, una clamide gettata sulle
spalle ed annodata sotto il mento, la testa e le mani nude, il Santo attende, libero in
Oratorio di Or San Michele,
ogni suo movimento, quasi un leone pronto a slanciarsi al primo cenno. Donatello non
aveva che trent'anni quando creò un tal capolavoro.
Oltre (illiberti e Donatello, anche il loro contemporaneo Nanni di Banco, con cui
facemmo già conoscenza studiando le sculture di S. M. del Fiore, lasciò ad Or San Michele
il suo capolavoro: egli è l'autore della statua di Sani' M 'lìgio, del gruppo de' cinque
santi, e dei bellissimi bassorilievi. Le esigenze del Nanni fornirono a Donatello il pre-
testo d'uno di quei tiri birboni, in cui egli era maestro: avendo trovato troppo elevai
le pretese dell'artista, la corporazione dei calzolai s'era rivolta, quasi per indispettirlo.
') La statua originale di San Giorgio fu sostituita a Or San Michele da una copia in marmo e trasportata al
Museo Nazionale!
FIRENZE. - OR SAN MICHELE.
289
al suo allievo Nanni di Banco. Finito il lavoro, Nanni, che aveva dapprima dichiarato di ri-
mettersi all'apprezzamento dei suoi committenti, richiese una somma molto superiore a quella
domandata dal Donatello. Questi, scelto come arbitro, dette ragione al suo allievo, atteso-
ché, diceva egli, non avendo Nanni la stessa esperienza di lui Donatello, doveva aver oc-
cupato in quel lavoro molto più tempo, e per conseguenza venir pagato anche di più.
Luca ed Andrea della Robbia si unirono a questi corifei della Scuola fiorentina per
scolpire o dipingere
gli stemmi meravi-
gliosi che ornano il
piano superiore.
Il magnifico grup-
po in bronzo d'Andrea
Yen-occhio, V Incredu-
lità di san Tommaso,
lavoro così vibrante
1483), segna una
nuova evoluzione del-
la scultura fiorentina
nel senso della mor-
bidezza e del colore.
Anche il XVI se-
colo conta in questo
santuario due delle
sue migliori pagine :
il San Giovanni Evan-
gelista , in bronzo
(1515), di Baccio da
Montelupo, che impo-
ne malgrado la sua
sobrietà, e San Luca,
pure in bronzo , di
Gianbologna.
Se i maestri del
Rinascimento lar-
gheggiarono sulle pa-
reti esterne, nell'inter-
no il loro antenato del
secolo XIV, Andrea Orcagna (f 1368), s'impone da solo alla nostra attenzione. Egli ci
indegna che la scuola della Toscana non era morta con Andrea Pisano.
Il tabernacolo di Or San Michele fu terminato nel 1359, come ne fa fede la firma
"Andreas Cionis pictor florentinus oratorii archimagister extitit hujus MCCCL1X
La composizione centrale mostra, al basso, la Morte della Vergine, in alto, V Assunzione
della Vergine.
l ì Nella stessa epoca in cui Orcagna dirigeva i lavori di Or San Michele, egli accettò il posto di capo architetto
al duomo d'Orvieto, ove lo si trova più d'una volta dal 1358 in poi.
Firenze e la Toscana. 37
La Morte e l'Assunzione della Madonna (Or San Michele).
290
FIRENZE E LA TOSCANA.
La nascita della Vergine (Or San Michele).
Nella scena inferiore, Oreagna, da vero di-
scepolo di Giovanni Pisano, ricercò le espressioni
violente, l'effetto drammatico. Nel centro la Ver-
gine stesa sopra un sudario, di cui due apostoli
tengono le estremità; un terzo apostolo si curva
singhiozzando, per baciare la mano della defunta.
A destra ed a sinistra una numerosa riunione,
fra cui parecchi personaggi in abiti del secolo XIV;
l'uno tiene un turibolo, l'altro intuona le litanie
dei morti ; altri ancora piangono o si guardano
mestamente d'intorno quasi istupiditi dal dolore.
Ritto in mezzo a questa schiera di fedeli, su la
quale però egli non spicca abbastanza, sta Cristo
che tiene l'anima di sua madre, rappresentata,
come al solito, sotto la forma di una bambina.
Ciò che a bella prima colpisce nella Morte
della Vergine, è il predominio dell'elemento pittoresco sul principio plastico. Invece di
semplificare come Andrea Pisano, Oreagna complica come Giovanni Pisano. Solo la pre-
senza di dodici apostoli era strettamente necessaria per la chiarezza del soggetto : Or-
cagna si compiacque di riunire in questa stretta cornice una trentina di spettatori ; per
farceli stare egli dovette metterli sino a quattro l'uno dietro all'altro. Devo però aggiun-
gere ch'egli in queste figure non seppe mettervi ne abbastanza espressione, ne abbastanza
varietà. L'atteggiamento e la fisonomia di parecchie fra di esse mancano d'un significato
chiaramente determinato. Inoltre i personaggi della prima fila sono alquanto tozzi, eccetto
il giovane accolito, d'una perfetta eleganza, che in piedi, a sinistra, tiene l'incensiere.
I tipi peccano non solo per mancanza di bellezza, ma eziandio per mancanza di pu-
rezza. Vi si trovano quelle reminiscenze settentrionali, che già così sovente ci hanno col-
pito nelle sculture italiane dal secolo XII al XIV. Criticherò specialmente le barbe troppo
lunghe e mal attaccate, gli sguardi incerti, le estremità grossolane e particolarmente i piedi.
L' Assunzione della Vergine forma, salvo rare eccezioni, un completo contrasto colla
Morte della Vergine. La parte più debole è la figura della stessa eroina della scena.
Avviluppata, imbarazzata in vesti troppo pesanti, la Vergine, colla sua benda di moda
nel secolo XIV che nasconde la parte inferiore del volto, e d'un effetto così sgraziato,
non presenta nè abbastanza emozione, uè abbastanza maestà. In tesi generale la Scuola
fiorentina, incomparabile sotto tanti altri riguardi, rimane a lungo senza saper dare alla
figura della Vergine quel tipo sul quale molte altre Scuole avevano concentrato i loro
sforzi , come i Greci sulla figura di Giove , di Afrodite o di Mercurio : il carattere
della bellezza ideale , che ci appare inseparabile da esse. Le Madonne di Cimabue
sono severe e solenni ; quelle di Giotto non colpiscono che quando si collegano a qualche
effetto drammatico; spingiamoci sino al secolo XV: si può citare nell'opera di Dona-
tello o di Ghiberti una testa di Vergine veramente bella?
Gli angioli che circondano la Vergine, uno che suona il flauto, un altro la corna-
musa, altri ancora che sostengono l'aureola in forma di mandorla, in mezzo a cui do-
mina la loro sovrana, sono invece d'una bellezza, d'una grazia, d'un'eloquenza indescri-
vibile, pieni di spontaneità, di leggerezza e di movimento.
San Tommaso, inginocchiato a sinistra, e che tende le braccia verso la Vergine
per ricevere la sua cintola, la vince per l'eloquenza dell'atteggiamento e la disposizione
FIRENZE. - OR SAN MICHELE
201
dei panneggiamenti sii tutte le consimili crea-
zioni del secolo XIV. È il degno riscontro del
san Pietro dipinto da Orcagna sulla pala d'al-
tare della cappella Strozzi, come pure dell'an-
gelo ai piedi di Cristo dipinto nella stessa cap-
pella. Dalla grazia e dalla spontaneità di tali
creazioni si capisce che il Rinascimento non è
lontano.
Su tre lati della base, negli incavi di forma
ottagona, stanno dei bassorilievi rappresentanti
la Nascita , la Presentazione e lo Sposalizio
della Vergine , Y Annunciazione , la Natività,
Y Adorazione dei Magi, la Presentazione al
Ti mpio ; finalmente un angelo che annuncia
alla Madonna la sua prossima fine. Questa,
coi tratti di una donna attempata , getta uno
sguardo umile e fiducioso verso il messaggero
celeste; essa riceve il ramoscello di palma che,
secondo la leggenda, aveva avuto il potere di
renderla invisibile agli occhi degli Ebrei quando
la si conduceva alla tomba. — I soggetti sono
separati gli uni dagli altri da piccoli rilievi che
rappresentano le Virtù cristiane; ventidue figure
personificanti le Virtù , le Scienze e le Arti
servono loro di cornice.
Non Ostante le SUe dimensioni ridotte , il Particolare del tabernacolo di Or San Michele.
tabernacolo d'Or San Michele è il monumento
più sontuoso di Firenze: il marmo, il bronzo, le incrostazioni policrome, centinaia di
motivi del gusto più delicato — angioli a mezza figura con banderuole in mano, colon-
nette ornate di musaici, medaglioni con figure allegoriche, alti rilievi monumentali,
superba balaustrata in marmo con lobi di bronzo traforati , — tutto fu adoperato per
darvi uno splendore straordinario, straordinario anche per una città dove gli occhi tro-
vano ad ogni istante tanti puri ed intellettuali godimenti.
Vili.
La piazza della Signoria e la Loggia dei Lanzi. — Il Palazzo Vecchio. — Arnolfo e gli Etruschi.
La piazza della Signoria, nella quale da seicento anni si svolsero tutti i drammi
di cui si compone la storia interna di Firenze, è grandiosa, ammirabile, pure sfidando
tutte le leggi della simmetria, e quasi quasi tutte le leggi della verosimiglianza. Fra
gli edilìzi che la circondano, non ve n'è alcuno che brilli per maestà e nobiltà; la stessa
Loggia dei Lanzi s' impone anzitutto pel suo interesse storico. Ma ci sono delle au-
dacie trionfanti, innanzi alle quali la critica non può che inchinarsi: tanto di giorno
292
FIRENZE E LA TOSCANA.
quando è inondato di sole, come di notte quando la " vaga luna „ discretamente lo ri-
schiara, l'effetto che produce questo insieme, unico anche in Italia, è addirittura straor-
dinario : vi induce a porre in non cale tutte le regole dell' estetica , per abbandonarvi
ad impressioni che non si potrebbero concepire maggiori.
Era scritto che la Piazza della Signoria sarebbe pittoresca ed imponente ad onta
della violazione di tutti i principii decorativi, o forse in ragione stessa di tale violazione.
(Michelangelo, consultato da Cosimo I dei Medici, espresse un'idea che doveva dare alla
Loggia dei Lanzi, oltre al necessario sviluppo, la sua giusta importanza; egli propose
Veduta della piazza della Signoria desunta da un quadro del XV secolo del convento di San Marco.
di continuarla anche agli altri lati della piazza, in modo da formarne una specie di
porticato continuo. Ma la spesa spaventò il granduca, e l'idea fu abbandonata).
La piazza dominata e quasi schiacciata dal Palazzo Vecchio, che è a sua volta do-
minato dal gigantesco campanile, ha per cornice gli edifizii più disparati: nel fondo,
venendo dalla Via Cai/aioli, la Loggia dei Lanzi, dietro alla quale cominciano le due
gallerie del Palazzo degli Uffizi ; a destra, delle case moderne, tra le quali ce n'è qual-
cuna d'imponente; a sinistra, il palazzo Gondi, edificato nel secolo XV su disegni di
Giuliano da San Gallo, piano, vuoto, freddo, senza nulla che richiami l'attenzione;
finalmente, rimpetto alla Loggia dei Lanzi ed al Palazzo Vecchio, una serie di co-
struzioni private, tra le quali il palazzo Uguccioni, colle sue eleganti colonne (que-
FIRENZE. - LA LOGGIA DEI LANZI. 293
sto edilìzio, per lungo tempo attribuito a Raffaello, fu in realtà costrutto da Za-
nobio Folti).
Il eentro della vita fiorentina servì spesso quale luogo di riunione per le assem-
blee pubbliche, quale luogo di supplizio (qui fu rizzato il rogo che arse 1' infe-
lice Savonarola), oppure quale arena pei combattimenti delle bestie feroei. Oggidì la
sua missione è più modesta; la piazza, come pure le vie adiacenti, sono invase ogni
venerdì da una folla di contadini che vengono a trattare i loro affari. Nulla di meno
pittoresco di quella folla, il cui vestiario si compone di giacche di cotone rigate o qua-
drettate, di calzoni di panno scuro, di cappelli neri o grigi, rotondi o a cencio. Talora
la piazza serve pure per le estrazioni di una tombola. La vidi circondata di tribune,
con le 90 caselle pel gioco, e di numerosi tavolini. L' impazienza e 1' ansia delle mi-
gliaia di spettatori non si può descrivere.
La piazza della Signoria.
La Loggia dei Lanzi, così detta perchè servì sotto i Medici quale corpo di guardia
ai Lanzichenecchi, fu cominciata nel 137G, cioè otto anni dopo la morte dell'Orcagna,
a cui vuoisi attribuirne la costruzione. P^orse può darsi che questo maestro ne abbia
tracciati i disegni, perchè sin dal 21 novembre 1356 il magistrato aveva ordinato la
costruzione del monumento, destinato a ricoverare i suoi componenti durante l'elezione.
Comunque sia, i lavori vennero diretti da Benci di Cione e Simone di Francesco Talenti,
che li condussero a termine pel 1387.
Si affermò sovente che la Loggia dei Lanzi segnava, la prima, il ritorno a'ie tra-
dizioni dell'antichità, rappresentando quasi il prodromo del Rinascimento, di cui Bru-
uellesco, un quarto di secolo dopo, stabiliva le leggi e faceva adottare i prineipii. È
positivo che l'architetto sostituì delle arcate a tutta centina alle arcate ogivali od a sesto
acuto. Però la tutta centina s'era continuata ad usare tanto a Firenze che a Pisa (per
esempio, nel Camposanto di quest'ultima città;. D'altra parte, anche adoperando il gotico.
294 FIRENZE E LA TOSCANA.
gli architetti italiani sforzavansi già da lungo tempo a far armonizzare le loro costruzioni
coi bisogni ed i gusti del paese. L'antagonismo fra le scuole settentrionali e la scuola
italiana era cresciuto di giorno in giorno; in Francia si preoccupavano special-
mente dei problemi di costruzione; in Italia invece, l'eleganza della decorazione su-
perava ogni altra ambizione ; in Francia si cercava di moltiplicare le difficoltà tecniche,
l'esecuzione delle più difficili vòlte; in Italia si mirava anzitutto ad una facciata di
stile puro ed armonico.
Tali sono le preoccupazioni che si manifestano nella Loggia dei Lanzi, e che as-
La Loggia dei Lanzi.
segnano al suo architetto, — sia egli Orcagna o Talenti, — un posto particolare tra i pre-
cursori del Rinascimento.
Le sculture della facciata non sono all'altezza della concezione architettonica. Se
le Viriìt teologali e cardinali, scolpite in bassorilievo sul fregio dell'edificio da Giovanni
d'Ambrogio e Giacomo di Piero (1383-1387), si distinguono almeno per un certo senso
decorativo, nulla di più grossolano, di più grottesco dei gemi nudi figurati nell'interno
della Loggia allo spigolo degli archi. L'autore ha preso troppo seriamente la loro pre-
tesa missione di cariatidi : essi sono piegati in due , come opprèssi sotto un enorme
peso. La scorrettezza delle loro forme non fa che peggiorare la bizzarria dei loro at-
teggiamenti. All' incontro la Loggia dei Lanzi venne trasformata in un museo di scultura
FIRENZE. - LA L()(i(;iA DEI LANZI.
29i
dei più ricchi. L'antichità v' è rappresentata da] celebre
gruppo di Ajace che sostiene il corpo di Patroclo (restau-
rato dal Ricci); dalle sei prigioniere germaniche, tra cui
la pretesa Tasnelda, la sposa d'Arminio, il vincitore di
Varo; finalmente da un Leone che commina, a cui Fla-
minio Vacca nel 1600 diede un compagno.
La Tusnelda e le sue compagne provengono da Roma,
come la maggior parte delle altre antichità oggidì esposte
a Firenze : essa facea parte, nel secolo XVI, della colle-
zione Capranica, ove figurava sotto il nome di Sabina:
si affermò sovente che la sua testa era stata rifatta; ma
una raccolta d'incisioni pubblicata nel 1576, sfuggita ai
miei predecessori, mi consente di parlarne con esattezza :
noi vi possiamo vedere la statua intatta, eccetto l'avam-
braccio destro.
Il Rinascimento è meno ben rappresentato: se ora.
studiando Or San Michele , noi abbiamo assistito allo
splendido sbocciare della scultura fiorentina con Orcagna,
Ghiberti, Donatello, Nanni di Banco, Verrocchio, la cui
opera fu degnamente continuata dai loro successori del
XVI secolo, Baccio da Montelupo e Gianbologna, nella
Loggia dei Lanzi, come anche sulla piazza della Signoria,
non v'ha più posto, fatta eccezione per la Giuditta del
Donatello, che pei decadenti: Gianbologna stesso qui
segue la corrente.
La scelta delle statue che ornano la piazza della Si-
gnoria e la Loggia dei Lanzi, ha in sè la sua moralità;
ci obbliga cioè a metter a confronto le ordinazioni fatte
dalla Repubblica con quelle dei primi granduchi: quale
abisso tra di esse ! La Repubblica toglie dal palazzo dei
Medici, per esporlo sotto la Loggia, il gruppo di Dona-
tello. Giuditta ed Oloferne, dopo avervi fatto aggiungere II Perseo di B. Cellini (Loggia dei Lanzi).
un'iscrizione per ricordare che l'azione dell'eroina ebrea
è un avvertimento pei tiranni; la Repubblica indica quale soggetto della statua colos-
sale ch'essa affida a Michelangiolo, Davide, il
giovane pastore il cui eroismo salvò la patria
sua dal giogo dei Filistei. Vedete invece in che
consistano le preoccupazioni dei Medici: essi non
pensano che ad ornare la piazza di belle scul-
ture, sprovviste d'ogni significato, in una pa-
rola, essenzialmente platoniche; tali sono V Er-
cole e Caco, il Nettuno, il Perseo, il Ratto delle
Sabine. Bisognava che il culto dell'arte avesse
singolarmente soffocato il patriottismo, perchè
i Fiorentini del XVI secolo accettassero con
tanto entusiasmo , invece della glorificazione
L'antico leone della Loggia dei Lanzi. d'un santo O d' UH eroe popolare, invece dell'il-
296
FIRENZE E LA TOSCANA.
La statua di Tusnelda (Loggia dei Lanzi).
lustrazione di qualche grande vittoria nazionale, delle
composizioni che non possono vantare altro che il
semplice merito artistico !
E tuttavia, per quanta diversità offrano le pre-
occupazioni delle autorità che ornarono la Loggia dei
Lanzi, nelle differenti epoche della storia fiorentina,
si stabilì come un legame di parentela tra queste
sculture di diverse provenienze. E di lotte, di trionfi
e di sconfìtte ch'esse ci parlano! Qui vediamo Tu-
snelda che geme per la perdita della sua libertà: al-
trove, Giuditta che ammazza Oloferne; Perseo che
uccide Medusa, e Romolo che rapisce le Sabine!
Dirimpetto al monumento attribuito all' Orcagna,
sulla soglia del Palazzo Vecchio, si trovava per l'ad-
dietro il Leone di Donatello. Trasportato al Museo
nazionale, fu sostituito sulla piazza della Signoria da
una copia.
Il leone (il Marzocco) era l'emblema di Firenze,
l'insegna del suo dominio; ovunque, sulle piazze della
capitale, come su quelle delle città soggette, si er-
geva la sua statua in pietra o in marmo.
Il " Marzocco „ di Donatello mi spinge a parlare
della parte rappresentata dai leoni nella storia di Fi-
renze. Questa da tempo immemorabile possedeva una
fossa pei leoni, o un serraglio, oggetto di assidue cure.
Uno dei primi personaggi della città era incaricato della
custodia di queste belve, il cui numero giungeva talora sino
a ventiquattro. La nascita di qualche nuovo rampollo dava
luogo a feste pubbliche. In occasione della visita di qualche
sovrano straniero, si organizzavano in un anfiteatro speciale
delle lotte o di leoni tra di loro, o fra leoni ed altre bestie
feroci, oppure tra leoni e vacche o muli, ecc. L'ultima di
queste rappresentazioni ebbe luogo nel 17137, in occasione
delle feste per la salita al trono della dinastia di Lorena.
Ma la superstizione avea altrettanta parte che i ricordi
nazionali nel culto dei Fiorentini pel serraglio. Essi osser-
vavano con ansietà i movimenti di quelle belve: nel 1337,
Villani, registrando la nascita di sei leoncini,
considerò l'avvenimento come un presagio di
prosperità per la città. Nel 1391 invece la
morte d' una leonessa sbranata dai suoi com-
pagni fu considerata come un presagio di
sventura.
La fossa dei leoni, dopo esser stata mutata
di luogo parecchie volte, venne soppressa
nel 1777.
>• " 'm .i i ii.h. ,., - .ì:ii;i iim;"'^'
Il Marzocco di Donatello.
Firenze e la Toscana.
38
298
FIRENZE E LA TOSCANA.
Come il Marzocco del Donatello, anche il Davide di Michelangiolo abbandonò
la piazza della Signoria, di cui formava il principale ornamento; nel 1878, il Municipio
decise, per sottrarlo all'intemperie, di trasportarlo all'Accademia di Belle Arti; ivi fu
costrutta una sala speciale per il colosso.
Gli edili fiorentini levarono il capolavoro senza toccare il gruppo sciagurato che
gli faceva riscontro e che continua a disonorare la piazza : V Ercole e Caco di Baccio
Bandinelli (1534). Solo la fontana dell'Ammanati, con sopra un Nettuno, tanto colossale
quanto vuoto, può rivaleggiare pel miscuglio di povertà e di pretesa col gruppo del
Bandinelli.
La piazza della Signoria, non fu fortunata: la statua equestre di Cosimo I, che
si trova a qualche passo dalla fontana di Nettuno, è pure un'opera mancata, sebbene
ne sia autore l'illustre Gianbologna.
Affrettiamoci ad aggiungere che l'artista contava più di settantanni quando ebbe com-
piuta la statua (1594); i bassorilievi dello zoccolo non vi furono posti che quattro
anni dopo. Questi bassorilievi sono, s'è possibile, ancor più deboli: si compongono non
già di rilievi rotondi, ma di rilievi piatti d' un effetto orribile ; inoltre, certe figure vi
misurano sin dieci teste di lunghezza.
Ritorniamo sotto alla Loggia dei Lanzi : Gianbologna prende la sua rivincita se
non coli' Ercole ed il Centauro, che manca di libertà nelle sue linee, almeno col Ratto
delle Sabine, gruppo cosi esuberante, ma pure così ponderato.
Il Perseo di Benvenuto Cellini, che fa riscontro al Ratto delle Sabine, reclama pure
il nostro omaggio, sebbene di un genere diverso. È un' opera altrettanto febbrile ed
effeminata, quant'è sana e robusta quell'altra.
Le creazioni di Arnolfo del Cambio, il Duomo, come il Palazzo Vecchio , col-
piscono tanto per le loro dimensioni, quanto per la scienza architettonica che vi ri-
splende. Esse si presentano a noi circondate da tale aureola di celebrità, da tanti ri-
cordi storici, da non pensare affatto a sottometterli ad una analisi severa, quanto allo
stile. Chi avrebbe il coraggio di criticare il gigantesco palazzo della piazza della
Signoria, colla sua grandiosa facciata nuda e severa, col suo campanile vertiginoso,
oppure, per parlare con H. Taine, " quell' enorme quadrato di pietra, forato da rare
finestre a trifoglio, munito d'un grand'orlo di merli sporgenti, con un'alta torre simile,
vera cittadella domestica, buona per la lotta e per la parata, che si difende davvicino
e si annuncia da lontano, insomma un' armatura chiusa , sormontata da un cimiero
visibile „.
Avviene del Palazzo Vecchio , come di molte altre opere , nella cui ammirazione
fummo educati: il criticarle sembrerebbe quasi un rinunciare a delle care illusioni, un
diminuire il nostro patrimonio intellettuale, un rimpicciolire noi stessi.
Lungo tempo prima di Arnolfo il ricordo degli Etruschi riempiva l'immaginazione
e lusingava l'orgoglio dei Toscani, dei Fiorentini in ispecial modo, che si compiace-
vano opporre ai Romani gli antenati da cui pretendevano discendere ed a rivendicare
un'antichità infinitamente più remota. Le mura gigantesche di Fiesole, la città madre
da cui usciva Firenze, figlia poco riconoscente, queste mura che ancor oggi colpiscono
per la loro grandiosità, come per la loro irregolarità, furono (anziché il palazzo muni-
cipale di Poppi, ('onie si affermò spesso) i modelli che i rinnovatori dell'architettura
fiorentina si tennero onorati d' imitare. Questo patriottismo sui generis brilla per la
FIRENZE. - IL PALAZZO VECCHIO. 299
prima volta con certezza nel Palazzo Vecchio di Firenze. Da allora in poi gli artisti
ne usarono ed abusarono.
Cominciato nel 1299, l'edifizio era finito nelle sue linee principali prima del 1314.
Le pietre che servirono alla costruzione della facciata appartengono al materiale
medio; il bagnato non vi spicca chiaramente: nessun possibile paragone coi blocchi
enonni del palazzo Pitti e del palazzo Strozzi. Al basso una porta grande ed una pic-
cola; più in alto tre finestre ad inferriata, poi sei grandi finestre ed una piccola che
mettono sopra un meschino balcone di ferro; più in alto ancora due file di tìnestrine
senza simmetria, poi il piano superiore, le cui finestre, sebbene più regolari sono dis-
uguali: sopra a queste delle aperture. Finalmente, quale cornice, delle feritoie sotto
una galleria chiusa a merli, e fra queste feritoie degli scudi dipinti. Nulla di meno
regolare, di meno esattamente ordinato, e tuttavia che grandiosa impressione!
Un elemento di stupore, quasi di spavento, è 1' arditezza del campanile, alto no-
vantaquattro metri, col suo orologio ad una sfera sola, non sul muro stesso della
facciata, ma sulla galleria coperta, costrutta a sua volta sulle feritoie che circondano
la facciata: la gigantesca appendice spicca a grande distanza; allorché la sua campana
oscilla, non si può reprimere il timore di vederla cadere da tanta altezza.
Sopra una massa così enorme gli ornamenti quasi si perdono : non destano del resto
che un interesse mediocre, cominciando dai portatorcie di ferro che mancano di ca-
rattere.
Al disopra della porta principale un' iscrizione del 1529, e circondata ai lati da
due leoni in bassorilievo, dà prova dei sentimenti di divozione che non avevano ces-
sato d'animare la popolazione fiorentina: " IHS Rex regimi et dominus dominantium. „
Non ostante il mutamento di regime, Firenze aveva infatti conservato, sino in pieno se-
colo XVI, alcunché dell'austerità repubblicana: non vi si vedevano uè suntuosi equipaggi,
ne i seguiti brillanti di Roma ; lo stesso abbigliamento era qui meno ricco che altrove.
Egli è che l'antico spirito borghese, fatto di devozione e di virtù domestiche, che aveva
trovato la sua eco in Savonarola, non era affatto spento. Si risvegliò durante le ango-
scie dell'assedio del 1529, rivestendo diversamente la forma che le aveva dato l'austero
e focoso riformatore.
La lapide in bronzo, collocata da un lato, registra i risultati del plebiscito del 1860,
pel quale Firenze s'era data alla dinastia di Savoia.
E quanti altri avvenimenti, quanti drammi di cui nessuna iscrizione rievoca il ri-
cordo ! Qui s'insediò Gualtiero di Brienne duca d'Atene, il quale oppresse d'un giogo
così pesante Firenze durante l'anno 1342-1343. Alle finestre o ai merli della facciata
vennero appesi nel 1478, dopo l'assassinio di Giuliano dei Medici, i Pazzi ed i loro com-
plici, cominciando dall'arcivescovo Salviati. Qui siedette, in una sala costrutta per or-
dine di Savonarola, l'assemblea destinata a riorganizzare la Repubblica fiorentina, mo-
mentaneamente strappata ai Medici. Qui il granduca Cosimo I consumò il servaggio
della sua patria. Qui si tennero dal 18G5 al 1871 le sedute della Camera dei deputati
d'Italia, finalmente libera ed una.
8e neir ordinamento della facciata del Palazzo Vecchio, la simmetria venne più o
meno rigorosamente osservata, non vi ha nulla di più goffo, di più sgraziato della riu-
nione della parte antica del palazzo con quella costrutta nel XVI secolo, dal lato della
fontana dell'Ammanati. Trattavasi, così si dice, di non toccare il terreno su cui s'innal-
zavano per l'addietro le case dei proscritti, terreno maledetto, votato ad eterna esecra-
zione. Ma perchè in tal caso non continuare la linea del palazzo primitivo, oppure, se
300
FIRENZE E LA TOSCANA.
l'ingrandimento, a partire da un certo punto, era indispensabile, perchè non far spiccare
francamente lo sporto del nuovo edilìzio sull'antico? Tale riunione eseguita in parte
con pietre da taglio, in parte con mattoni, dispiace inoltre per le sue arcate a metà di-
strutte, e le finestre disposte quasi a casaccio. Noi sappiamo del resto, per la testimo-
nianza d'un contemporaneo, Vasari, il quale ebbe la parte principale nella decorazione
del Palazzo Vecchio, che Cosimo faceva costruire senza ordine nè metodo, sotto l'impero
d'ogni specie di necessità impreviste.
Ben diversamente pittoresco è il lato che dà sulla Via della Nina: qui il palazzo
prosegue diritto sino in capo alla via, ove fa un gomito improvviso, che la mancanza
di spazio rende meno sensibile, mentre l'arco arditamente lanciato nell'aria tra il Pa-
lazzo Vecchio ed il Palazzo degli Uffizi, ch'esso riunisce, colpisce come la torre.
Il cortile del Palazzo Vecchio così stretto e così buio venne in parte rifatto da Mi-
chclozzo, nella seconda metà del XV secolo, ed ebbe la sua de-
corazione definitiva 100 anni più tardi, in occasione del matri-
monio di Francesco dei Medici coll'arciduchessa Giovanna d'Austria.
Delle colonne il cui fusto venne ornato nel 1565 di stucchi simu-
lanti scanalature, geni, fogliame, grottesche, sostengono le arcate
sotto le quali stanno dei becchi a gas d'uno stile abbastanza mo-
derno. Sopra le colonne, dei medaglioni col giglio fiorentino o
l'aquila imperiale ed affreschi del XVI secolo (battaglie, ornamenti
o grottesche) pesanti e vuoti. Dire che il bravo Vasari, prezioso
come storico' d'arte, ma molto meno raccomandabile come pittore,
ha presieduto a tale decorazione, significa spiegarne tutte le la-
cune. Delle finestre e degli " occhi „ guardano sul cortile, ma non
contribuiscono ad accrescergli la luce.
Nel centro sta una fontana adorna di uno dei capolavori del
Verroechio, il Patto col delfino.
Il Palazzo Vecchio
veduto dai campanile Ad onta dei loro sforzi i Fiorentini non riuscirono a creare una
residenza paragonabile a quella dei Dogi, o al palazzo di Lucca.
Nessun' unità nella disposizione del Palazzo Vecchio, che è oggi sede del Municipio,
mentre nel palazzo Riccardi sta la Prefettura. Dei volgari uffizi moderni s' alternano
colla gigantesca sala dei Cinquecento; ovunque scalette buie, passaggi nascosti, terrazze
cimili a pozzi ed eziandio meschine abitazioni in cui dimorano le famiglie dei custodi, e
finestre ornate con vasi di fiori. E ciò che è peggio, le opere d'arte vi sono in numero
ben scarso, solo gli arazzi, e tra questi ve ne sono di magnifici, formano la nota do-
minante della decorazione: tale è la serie che svolge innanzi a noi la Storia di Giuseppe,
illustrata dal Bronzino, Salviati e Pontormo.
La sala del Gran Consiglio, o sala dei Cinquecento, costrutta nel 14 ( J5-14 ( J(>, per
iniziativa del Savonarola, e secondo i disegni del Cronaca, aiutato dal legnatolo Fran-
cesco di Domenico, stupisce per le sue dimensioni, più che per la sua magnificenza.
Le pitture colle quali il Vasari ha coperto — non si può dire ornato — le pareti ed il
soffitto, la Storia dei Medici e la Storia, di Firenze (in una quarantina di quadri) non
sono tali da abbellirla ; non vi si trova ne studio, ne ispirazione. Sia qui, sia nelle siile
vicine le stesse indicazioni topografiche mancano d'ogni precisione e d'ogni realtà i.ls-
sedio di Empoli, nella sala di Clemente VII ; Arrivo della duchessa Eleonora, nella sala
FIRENZE. - IL PALAZZO VECCHIO. 301
di Cesimi», ecc.). A mala pena nell'Ingresso di Leone X a Firenze, o nel Secolo di
Leoni A sala di Leone X), .si riesce a trovare qualche ritratto o qualche foggia «li
vestire degna d'attenzione. Il buon Vasari s'era accorto di siffatte lacune, e le scusa at-
tribuendole alla precipitazione con cui dovette lavorare; la sala fu appena pronta pel
matrimonio dell'erede presuntivo della Toscana eolla sorella dell' imperatore. Conquesto
motivo il Vasari si scolpa del non essere pienamente riuscito a ritrarre le innumerevoli
11 Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio.
scene affidate al suo pennello: assalto di piazze, cannonate, attacchi, scaramueeie, fab-
briche di città, consigli pubblici, cerimonie antiche e moderne, trionfi ed altri soggetti
che richiedevano un tempo enorme, senza, parlare degli schizzi, dei disegni, dei mo-
delli, delle vedute, dei paesaggi, che fu obbligato a togliere dal vero, come pure i ri-
tratti d' un' infinità di soldati, di capitani, di generali e d'altri.
Mi rincresce lasciare il lettore con una simile impressione: questo valoroso e degno
Vasari, il biografo a cui dobbiamo tante preziose informazioni, tanti commoventi rac-
302
FIRENZE E LA TOSCANA.
conti, la mia guida, il mio compagno di tanti anni, deve dunque essere irrevocabilmente
condannato come artista? Sia benedetta 1' educazione in uso nel secolo XVI! Vasari,
come il suo contemporaneo Ammanati così mediocre in fatto di scultura, avea studiato
l' architettura , ed ivi egli si fece onore. Noi 1' applaudiremo presto nel Palazzo degli
Uffizi.
I dipinti del Vasari, composizione in cui il colossale si alterna col comune, occupano
il posto primieramente destinato a due dei grandi capolavori di cui andava altera la
Scuola fiorentina : la Battaglia d'Anghiari di Leonardo da Vinci, e la Guerra di Pisa
di Miclielangiolo. Lasciate incompiute dai loro autori, tali pagine non sono note più da
lungo tempo che per parziali riproduzioni.
La scultura non è più fortunata nella sala del Gran Consiglio : ad un Leone X,
statua senza carattere, cominciata dal Bandinelli , finita dal Rossi, ad un Cle-
mente VII che incorona Carlo V e ad alcune altre opere similmente mediocri, fa
riscontro il Savonarola del Passaglia (1882), otferto àalYItalia redenta: il riformatore in
piedi, gli occhi infiammati, alza colla destra il crocifisso, mentre posa la sinistra sul
leone che tiene le chiavi di Firenze. Quanto alle Fatiche d'Ercole, scolpite da Vin-
cenzo De Rossi, esse ci provano ancor una volta con quale convinzione i dominatori del
Rinascimento s'erano appropriati le lezioni dell'antichità: non bisogna cercarvi un sog-
getto mitologico qualsiasi, ma la glorificazione del grande riparatore dei torti, il trionfo di
" Ercole paladino della giustizia.... ,,
Savonarola non si sarebbe immaginato, allorché fece costrurre questa sala destinata
alle assemblee della Repubblica fiorentina, libera dal giogo dei Medici, che un giorno
essa avrebbe dato ospitalità ai rappresentanti dell'Italia libera ed una: il Parlamento
italiano vi tenne le sue sedute per cinque anni dal 1865 al 1870, data del trasporto
della capitale da Firenze a Roma.
II primo piano del palazzo contiene inoltre gli appartamenti detti di Leone X, de-
corati dal Vasari, che ci lasciò una descrizione di quelle oneste pitture, ove manca af-
fatto il carattere, ed ove le reminiscenze dei maestri nuocciono continuamente alla spon-
taneità dell'ispirazione.
Al secondo piano la sala del Giglio o dell'Orologio ci offre le reliquie dell'arte
fiorentina del Rinascimento, e l'eco dell'imponente dimostrazione fatta nel 1865 in onore
di Dante da tutti i municipi d'Italia; 342 bandiere inviate dalle città grandi e pic-
cole del regno ed aggruppate intorno al busto del sommo poeta, ricordano un tal po-
stumo omaggio. Quanto alla decorazione, sebbene presenti meno ampiezza e meno facilità
di quella del palazzo dei Dogi, pure unisce la severità alla ricchezza. Un fregio do-
rato con leoni che sostengono degli stemmi, ed un magnifico soffitto di legno pure
dorato servono di cornice agli affreschi di Domenico Ghirlandaio: san Zanobi in mezzo
ad altri santi, ed una serie di Romani celebri (1481). Queste composizioni ampie, serene
e raccolte ci mostrano sotto la sua luce più favorevole il creatore del ciclo sì pit-
toresco di Santa Maria Novella.
La sala dell'Udienza presso a quella del Giglio ha per ornamento principale la porta
scolpita ed ornata d'intarsi nel 1481 da Giuliano da Majano. il fratello di Benedetto,
che come lui coltivava ad un tempo l'architettura, la scultura e l'intarsio. Questo artista
FIRENZE. - GLI UFFIZI. 303
vi rappresentò, per mezzo di lamelle in legni intagliati e riuniti con una pazienza degna
d'un più brillante risultato, le ligure in piedi di Dante e del Petrarca.
Sorvolando sugli affreschi del Salviati, la Storia di Camillo, menzionerò un magni-
fico soffitto a cassettoni dorati ed un fregio a teste di leoni ed a festoni. Un mobile,
eontenente reliquie di Ugo Foscolo (tl827), dimostra con quanto amore Firenze abbia
riunito le glorie del XIX secolo a quelle del passato.
La piccola cappella dei Priori, che sta subito dopo la sala dell'Udienza, vantava
per l'addietro la magnifica pala di Filippino Lippi, V Adorazione dei Magi, oggi esposta
al museo degli Uffizi. Le pitture, colle quali Ridolfo Grhirlandajo ornò la vòlta nel 1514,
non sono fatte per colmare tale lacuna; questo maestro, piìi diligente che ispirato, non
vi trovò gli accenti di passione che vibrano nella sua Storia di San Zanóbi.
Le sale che fanno seguito alla cappella dei Priori guardano sulla piazza della Si-
gnoria; esse sono abbastanza alte per permetterci un'occhiata sulla terrazza che si stende
sopra la Loggia dei Lanzi.
In questo dedalo di locali, gli uni convertiti in uffizi prosaici, gli altri con ancora
le traccie dell' antica magnificenza, i ricordi dei Medici relegarono al secondo piano
quelli della Repubblica fiorentina, ma l'opera creata nel XVI secolo da Cosimo I sof-
ferse a sua volta per l'indifferenza o l'incuria della casa di Lorena, e dei re d'Etruria,
per non parlare della casa di Savoia. E così che l'appartamento, una volta così sun-
tnoso, di Eleonora di Toledo, la sposa di Cosimo I, non si fa più osservare — almeno
quando io lo visitai 1' ultima volta — che per la sua rovina; in certe stanze, mise-
ramente ammobiliate, pendono dei lembi di carta dipinta! Le decorazioni eleganti od
ingegnose che si conservarono qua e là, specialmente dei grotteschi, oppure un gra-
zioso lavabo di pietra, del secolo XV, ornato nella parte inferiore d'una testa di leone,
stonano in un insieme così crudelmente mutilato.
Oggi finalmente il Municipio fiorentino comprende l'importanza di siffatti ricordi, di
tali modelli, e s'occupa attivamente a conservarli. Sia lode al suo zelo! Però è da augu-
rarsi che non esca dalla giusta misura; è bene abbia presente che rifare e conservare
sono due cose molto diverse, che il passato non ha nemici più pericolosi dei ristauratori,
e die snaturare è qualche volta peggio di distruggere!
IX.
Il Palazzo e la Galleria degli Uffizi. — Storia del suo ordinamento. — Gli Antichi, le Scuole italiane
e le Scuole straniere. — I ritratti d'artisti dipinti da loro stessi.
L'esplorazione dei quartieri che si stendono a sinistra della grande arteria, per la
quale Firenze è divisa in due parti quasi uguali — la via Cavour, la via dei Mar-
telli e la via Calzaioli - - può spaventare il più intrepido ed il pili insaziabile dei viag-
giatori. Oltre al Duomo ed al Palazzo Vecchio, che abbiamo studiato nelle nostre pre-
cedenti escursioni, incontriamo una serie infinita di monumenti celebri, di chiese e
•li conrenti, come Santa Croce, la Badia, l'Annunziata, San Marco, collezioni come
quelle della Galleria degli Uffizi, il Museo nazionale, il Musco archeologico, il Museo
degli arazzi. l'Accademia delle Belle Arti, senza parlare di oratori, di loggie, di ospizi
304
FIRENZI-: E LA TOSCANA.
e di palazzi senza numero. Armiamoci di coraggio prima (l'intraprendere questa spedi-
zione e specialmente cerchiamo di trascurare ogni ricordo storico, ogni opera d'arte,
che non sia di primo ordine, per non perdere un tempo prezioso.
Il palazzo degli Uffizi, con cui cominceremo, è il capo d'opera del Vasari, celebre
già presso i suoi contemporanei come pittore ed architetto, ma più apprezzato dai po-
li Palazzo degli Uffizi verso la Piazza della Signoria.
steri per la sua raccolta di biografie d'artisti. Questo maestro, che ne diresse la co-
struzione dnl 1560 al 1574 (dopo la sua morte i lavori furono continuati da Alfonso
Parigi e Buontalenti), doveva eziandio tener calcolo delle costruzioni anteriori, ed ese-
guire ogni cosa con semplicità e con grandezza. Egli però se la cavò con onore, per
quanto ingrato fosse il progetto impostogli (due gallerie straordinariamente lunghe, unite
alle loro estremità, dalla parte dell'Arno, da un corpo di fabbrica composto di sole tre
campate) e seppe dare dell'eleganza a questo vasto alveare in cui Tosimi» dei Medici
intendeva concentrare l'amministrazione di tutta la Toscana. Sopra un porticato di ampie
FIRENZE
- GLI UFFIZI.
proporzioni, egli praticò una ri la di finestre d'ammezzati, separate dalle mensole allun-
gate, che tanto gli erano care; poi un piano monumentale, con finestre ornate al basso
di balaustre, in alto di frontoni; finalmente una specie di loggia a cristalli fera in ori-
gine una terrazza) inondata di luce, non ostante l'enorme sporgenza del tetto che la
ricopre. Il problema fu risolto con gusto e con talento. Non importa: io non posso
trattenermi dal notare che la scienza, le forinole, il cruccio della correttezza vi hanno
sostituito l'ispirazione che brilla in un sì gran ninnerò d'edifizi anteriori, quel dono di
fissare il pensiero, tranquillamente, con amore, e ([nello non meno invidiabile d'espri-
mere un sentimento: la grazia, la fierezza, il raccoglimento o ancora la fiducia d'una
generazione in sè stessa. Si ha fretta ormai di correre alla meta, eppoi grazie agli
sforzi dei grandi architetti dei secoli XV e XVI, grazie alla conoscenza sempre più
perfetta del Trattato degli Ordini architettonici di Vitruvio , riesce così facile il fare
correttamente! Non più incertezze, ma una soluzione rigorosa, scientifica, anziché arti-
stica. Dal momento che la logica fa la sua apparizione, addio poesia! Il palazzo degli
Uffizi, ad onta de' suoi meriti reali, è la prova del cangiamento effettuatosi, non solo
nello spirito degli artisti, ma eziandio nello stato d'animo di tutta la società italiana.
Ai tempi nostri, fra il 1842 ed il 1856, la decorazione del palazzo degli Uffizi fu
completata con ventotto statue più grandi del vero. Queste effigie oneste, ina poco
ispirate, che occupano le nicchie praticate nei pilastri del portico, in bella pietra az-
zurrognola, ricordalo» le glorie della Toscana, militari, scientifiche, letterarie, artistiche,
da Guido d'Arezzo, il benemerito della teoria musicale, da Niccolò Pisano, il rinnovatore
della scultura italiana nel X 1 1 1 secolo, ed Accinsi, il grande giureconsulto, sino a Dante.
Firenze e la Toscana, ^
306
FIRENZE E LA TOSCANA.
Petrarca, Boccaccio, Macchiavelli, Leonardo da Vinci, Michelangiolo e Galileo. Certa-
mente pochi grandi Stati possono vantare una simile galleria d'illustri antenati.
L'idea di porre questa guardia d'onore in marmo intorno all'edilìzio che conserva i
titoli storici, letterari ed artistici di Firenze, i suoi archivi, la sua biblioteca, la sua
galleria di pitture, non è delle meno felici : era giustizia collocare qui questi grandi,
presso a tanti capolavori dell'ingegno umano, quasi per rammentare che, senza il genio
d'uno solo, lo sforzo comune di tutta una generazione può rimaner sterile.
Non solleverò su tale soggetto una quistione imbarazzante; cioè di sapere in qua!
misura conviene, quando si tratta di queste glorificazioni storiche, dare il posto a delle
figure di fantasia, accanto ad effigie assolutamente autentiche. Nessun ritratto di
Guido d'Arezzo o di Niccolò da Pisa, — è necessario dirlo al lettore? — è giunto sino
a noi. Gli autori delle loro statue, furono ridotti, come quelli delle statue di Stefano
Marcel o di Giovanna d'Arco, a creare i tipi, che parve a loro incarnassero il tale o
tal altro carattere. Ma è inutile ogni cruccio ; la mia attuale missione è di essere ci-
cerone attraverso il palazzo degli Uffìzi, compito abbastanza arduo, senza ch'io mi prenda
altri rompicapi.
Firenze non ha uè il Vaticano, nò il Louvre, uè il Prado, ma essa conta una decina di
collezioni, che riunite in una sola, potrebbero rivaleggiare con ciascuno di questi musei.
Questa dispersione di forze riproduce la storia della capitale della Toscana: i Medici,
anche quando fu stabilita una monarchia ereditaria, facevano mostra di liberalismo e di
mansuetudine; essi cansavano di opporsi alle abitudini dei loro sudditi, stavo per dire
dei loro concittadini. Fedeli alla dottrina del vecchio Cosimo, il Padre della Patria, essi
cercavano di guadagnarsi gli spiriti colla dolcezza, invece di soggiogarli colla forza.
Lungi da essi il pensiero di toccare le opere d'arte consacrate dall' ammirazione pub-
blica, quelle opere d'arte, che in una capitale come la loro, formavano quasi un pal-
ladio nazionale ; essi le lasciavano più ch'era possibile nel luogo di loro origine.
Uno schizzo della storia delle serie forniate dai Medici, non sarà qui fuori di pro-
posito; cedo poi tanto più facilmente alla tentazione di tracciarlo, dacché mi è dato
assumere tale incarico con dei nuovi elementi di informazione, sconosciuti ai miei pre-
decessori del XVIII e XIX secolo, Pelli e Gotti. 1 »
Le collezioni dei Medici del XV secolo occupavano il palazzo Riccardi ed i giar-
dini vicini. Confiscate o saccheggiate a diverse riprese, specialmente nel 1494, non for-
nirono che un debole contingente al museo degli Uffizi. E già molto se due o tre delle
statue antiche conservate in questo deposito, possono riunirsi al gruppo primitivo. Fra
le sculture moderne che ne facevano parte, la Giuditta di Donatello, ed il Putto col
Delfirio del Verrocchio, già conservate a Careggi, sono le più importanti; fra i quadri
citeremo le Fatiche oV Ercole del Pollajuolo. Quanto al ricchissimo cofano di pietre
antiche e di medaglie, esso divenne proprietà dei Farnesi, pel matrimonio della vedova
d'Alessandro dei Medici con uno dei principi di questa famiglia; poi per successione,
cadde nelle mani dei Borboni di Napoli. F in questa città al " Museo Borbonico „ che
bisogna oggi cercare le gemme principali, su cui Lorenzo il Magnifico aveva fatto in-
cidere l'iscrizione LA VP. MED. (Lorenzo Medici) che ne raddoppia il valore.
Le collezioni degli Uffizi e del palazzo Pitti possono essere considerate come una
') Per maggiori particolari, mi faccio ardito di rinviare il lettore al mio lavoro: Les eollections des Médicis "»
JCVJme siècle, pubblicato nel 1895, nelle Meinoires de VAcadémie des iiiscriptions et bclles-Ieltrcs,
FIRENZE. -
OLI UFFIZI.
fondazione propria dei Medici del KVI secolo, e in particolare di quel grande mece-
nate, in cui l'organizzatore superava ancora il conoscitore: Cosimo I (1537-1574).
Sotto il suo regno la collezione granducale s'arricchì, oltre al resto, dei tre più bei
bronzi di Firenze, la Chimera etnisca, Y Oratore etrusco, la Pattade.
I due figli di Cosimo, Francesco I (1574-1587) e Ferdinando I, continuarono con
pio zelo l'opera del padre. Il primo, lo sposo di Bianca Cappello, collocò nel palazzo
degli Uffizi una parte delle collezioni, sino allora esposte le une nel Palazzo Vecchio,
Le altre nel Palazzo Pitti.
I Medici, in ogni tempo, avevano incoraggiato le scienze, unitamente alle arti ed
alle lettere. Lorenzo il Magnifico già manteneva un serraglio, dei giardini botanici. Co-
simo I dedicava cure speciali alla costruzione d'istromenti d'astronomia, e riuniva a tale
scopo importanti collezioni. 11 Anche Francesco I si distinse perla sua grande passione
verso cotesti studii. Montaigne, che visitò Firenze nel 1580-1581, lo dipinge " occupato ad
imitare delle pietre orientali od a lavorare il cri-
stallo, essendo egli un principe dedito all'alchimia,
alle arti meccaniche e specialmente grande archi-
tetto ... Altrove lo stesso autore ammira i suoi ap-
parati per la distillazione, ed il suo laboratorio e
tutti gli strumenti. Sin d' allora la Fonderia dei
Medici, cioè la distilleria dei profumi, dei balsami,
delle quintessenze (ed anche dei veleni, se si deve
credere alle leggende), era celebre in tutta Europa.
Essa trovavasi accanto alla galleria degli Uffizi,
ed esisteva ancora alla fine del XVII secolo. Qui
è pure il caso di ricordare, oltre a tutte le altre
testimonianze di simpatia verso le scienze fisiche,
matematiche e naturali, anche la tenera amicizia
professata da un altro Medici, Ferdinando II, per
Galileo.
Ma ritorniamo alla Galleria degli Uffizi. Il car- Galileo Galilei > ritratt0 del Sustermans ( Utìizi )-
dinaie Ferdinando I (1587-1609), che depose la
porpora per salire sul trono di Toscana, si acquistò infiniti titoli alla riconoscenza dei
posteri per la creazione del museo dei marini della villa Medici a Roma: questa pre-
ziosa serie, dopo avere per lungo tempo formato l'ornamento del monte Celio (l'Accademia
di Francia, la nuova proprietaria della villa, ne conserva ancora un'interessantissima
scelta), emigrò un po' per volta sulle rive dell'Arno, fornendo tra altro alle collezioni
fiorentine, YArrotino, i Niobi<li, i Lottatori, ecc.
I Medici del XVII secolo s' appassionarono , come i loro antenati del secolo XVI
e XV. per le reliquie del passato, per la manifestazione del bello sotto tutti gli aspetti.
Il cardinale Leopoldo fondò la galleria dei ritratti dei pittori dipinti da loro stessi. Il
granduca Ferdinando II |'1G21-1G70) fece ancor più per aumentare l'inapprezzabile pa-
trimonio che gli avevano legato dieci generazioni di entusiasti dilettanti. Ascoltiamo
un po' l'istoriografo della galleria, il bravo Zaechiroli; per sperticati che sembrino i
suoi elogi, essi sono ancora inferiori al vero: " Cinquantanni di questo regno fu-
rono segnalati da altrettanti benefizi resi alla galleria, agli artisti ed ai letterati. Fon-
1 ) Lastri, L'Osservatore fiorentino, ediz. del 1707. t. UT, p. 10.
FIRENZE E LA TOSCANA.
datore dell' Accademia del " Cimento „, che bandiva le chiàcchiere inintellegibili ed i sogni
sistematici dell'antica filosofìa, Ferdinando affrettò forse lo sviluppo dei Newton, dei
Swammerdam, dei 'S Gravesande; legato, ben più per un'amicizia ragionata, che per
natura, col cardinale Leopoldo, suo fratello, istruito dilettante di belle arti, impoverendo
Bologna, Roma, e persino l'antica Mauritania Tingitana di quanto avevan di bello, sia
in pittura, sia in scultura, od in iscrizioni originali ed erudite, egli portò la magnifi-
cenza e la riputazione della galleria al suo massimo splendore „. Durante lo stesso re-
gno, l'estinzione della famiglia dei Della Rovere, di cui una erede aveva sposato un Medici,
procurò alle collezioni fiorentine la ricca serie che era riunita nel palazzo ducale d'Urbino.
La casa di Lorena, a sua volta concorse non indifferentemente ad arricchire i musei
fiorentini. La soppressione dei conventi, tanto all'epoca della rivoluzione che nel 18G6,
aggiunse nuovi tesori a tutti quelli che già rigurgitavano nella galleria degli Uffìzi.
In un tempo in cui in Francia non esisteva ancora alcun museo pubblico (il Louvre
non fu aperto che nel 1793), la galleria reale di Firenze era già da lungo tempo acces-
sibile liberamente ai visitatori di tutti i paesi. Nel 1783, l'abate Francesco Zacchiroli
di Ferrara pubblicava una Descrizione in tre volumi dei tesori che la componevano.
Differente dal museo di scultura del Vaticano , la collezione fiorentina formava un' in-
sieme ben completo, comprendendo in una trentina di sale le sculture antiche e le scul-
ture moderne, le medaglie, le pietre incise, le pitture ed i disegni.
Nei due corridoi, che hanno la forma di un u greco, erano esposte statue, busti,
quadri storici e ritratti. Più innanzi trovavasi il gabinetto delle miniature, la tri-
buna, colle statue della Venere dei Medici, dell' Arrotino, del Fauno, dell' 'Apollo, ed
il gruppo dei Lottatori. Fra i ventisei quadri che ornavano questo santuario, si tro-
vavano diverse tele di Fra Bartolomeo, di MieheJangiolo, di Raffaello, d'Andrea del
Sarto, del Correggio, del Parmigianino, di Daniele da Volterra, di Tiziano, di Rubens ;
i Carracci, Guido, il Guercino , Lanfranchi, l'Albano, Dolci ed i Bassano, erano stati
uniti, sebbene indegni, a queste glorie sfolgoreggianti. Un gabinetto speciale racchiu-
deva i lavori in terra cotta; un altro i disegni; tre erano esclusivamente riservati ai
pittori fiamminghi. Le gemme, le medaglie antiche, i ritratti dei pittori, le iscrizioni,
l' Ermafrodito, i Niobidi, i bronzi antichi ed i bronzi moderni, le iscrizioni antiche, il
museo etrusco, occupavano ciascuno rispettivamente un gabinetto. Finalmente nel corri-
doio che conduceva al palazzo Pitti era stata posta una collezione di ritratti dei mem-
bri della famiglia dei Medici.
Quante generazioni d' artisti ebbero la loro istruzione in quelle splendide gal-
lerie! Per gli uni, era la preparazione ai forti studi classici rappresentati dalla Scinda
di Roma; per gli altri l'avviamento alle conquiste dell'arte moderna!
Una ventina d'anni fa, approfittando d'un po' d'ozio, io mi divertivo a copiare, negli
archivi del museo, gentilmente messi a mia disposizione dal compito cavalier Campani,
le lettere ed i biglietti scambiati coli' amministrazione da principianti, avidi di nuove
cognizioni, o da maestri già noti, desiderosi di ravvivare i loro ricordi. Questa cor-
rispondenza, in cui figurano molte firme celebri, ci inizia ad una gran parte della vita
degli artisti dal XVII al XIX secolo. D'ordinario i direttori del museo fiorentino face-
Nano ai loro ospiti la più gentile accoglienza ; ma qualche volta pure innanzi alle esi-
genze di qualcuno di questi sfuggiva ad essi la pazienza.
Oggi, oltre alla galleria, dei quadri, il museo degli Uffizi contiene i marmi antichi,
le collezioni di ritratti, il gabinetto delle gemine, la collezione dei disegni e quella delle
FIRENZE. -
GLI UFFIZI.
stampe, senza nominare qualche serie secondaria. E continuamente lo zelo illaminato
dei suoi amministratori, primo fra i quali è duopo citare il soprintendente Enrico Ui-
dolfi, l'eminente storico d'arte lucchese, ci aggiunge nuovi tesori. Pare quasi che nel
museo inanelli lo spazio; e qualche volta verrebbe la volontà di versare tutto il super-
fluo delle sue ricchezze in qualche altro stabilimento. Già da lungo tempo la collezione
di sculture del medio evo e del Rinascimento fu trasportata al Museo Nazionale o Bar-
gello; i bronzi antichi e gli arazzi al palazzo della "Crocetta,,. (In giorno o l'altro
anche le sculture antiche emigreranno alla loro volta. 1
L' autore, a cui dobbiamo la descrizione della galleria reale di Firenze, pubbli-
cata nel 1783, vanta la bellezza dello scalone largo, magnifico e ben rischiarato, che
il granduca Leopoldo poi imperatore di Germania) fece costrurre nel 1780, mettendo
a contribuzione i disegni lasciati dal Vasari. Bella, se si vuole, questa scala di circa
cento e venti gradini, è però d'una ripidezza senza pari; obbligando ad una vera ascen-
sione, l'amministrazione, più pietosa di ([nelle di altri musei, finì per collocarvi un ascen-
sore, che col pagamento d'una lira vi trasporta al piano superiore — l'antica terrazza,
convertita in una loggia vetrata, in cui si trovano le splendide serie.
I busti dei Medici e dei loro successori, i principi della Casa di Lorena, le statue
d'ogni genere che adornano la scala, i magnifici bassorilievi antichi rappresentanti un
Sacrifizio, non ci fermeranno: bisogna spicciarsi.
II corridoio o vestibolo interminabile che si stende al secondo piano del palazzo e
ne occupa tutta la lunghezza, non ha nulla da invidiare per F estensione alla galleria
del Louvre, quella cosi detta k- della riva „. Se non 1' uguaglia per la ricchezza della
di r, nazione, la supera per maggior luce, e ciò non è una cosa secondaria, trattandosi
d'un museo. Gli ornamenti dipinti sul soffitto, in una cinquantina di compartimenti,
risalgono in parte al secolo XVI (uno porta la data del 1561); sono scene mitologiche
e grottesche, d'un disegno qualche volta ancora elegante, ma alquanto rigido. Parecchie
fra quote escono dal pennello brillante e facile di Beni. Poccetti. Da un capo all'altro
del corridoio, i quadri si alternano colle statue, coi busti, coi sarcofaghi, invece di suc-
cedersi senza interruzione, posti gli uni accanto agli altri come al Louvre; e questo
mi sembra un indicibile vantaggio.
Il corridoio, che fa il giro del palazzo, è fiancheggiato da una parte da una tren-
tina di sale; qualcuna mette direttamente in esso, le altre comunicano fra loro.
La prima che si presenta al visitatore è l'ottagona, cosi celebre sotto il nome di
Tribuna, costrutta al principio del XVII secolo secondo i disegni del Buontalenti. In
questa son riuniti i gioielli della galleria, i suoi marmi e quadri più preziosi, senza
distinzione di epoca o di scuola. Questa scelta, oggi può andar soggetta a qualche cri-
tira perchè preferisco disporre le opere nell'ordine cronologico o regionale, astrazion
t';itra dal loro valore intrinseco. Comunque sia, l'idea fece fortuna; numerosi musei co-
piarono la Tribuna degli Uffizi, fra gli altri il Louvre, nella sua sala quadrata (il 6 r a-
lon carré . quattro volte più grande; qui, come là, troviamo una sala che forma il rias-
sunto c dà la quintessenza dell'intera galleria.
Qualche parola ora sulla disposizione del museo degli Uffizi: lesale d'esposizione,
"ilo per lo piii di piccole dimensioni , ciò che è 1' ideale d' ogni collezione destinata
o Duo anni or sono si cominciò a procedere ad una rimganizzazione generale del Museo (vedi l'articolo di Ar-
sene Alessandro ncìVEclair dell'I 1 ottobre 1894).
310
FIRENZE E LA TOSCANA.
allo studio. Molte sono rischiarate dall'alto. Eccetto la Tribuna, tappezzata di broccato
di seta rossa, le pareti in generale hanno un'intonacatura di tinta verde acqua, che fa
spiccare meglio i quadri, i soffitti ole vòlte; e per ornamento dei dipinti a figure pic-
cole , sobrie e d' un carattere decorativo (battaglie , panorami , ecc.) , che rallegrano le
sale, senza nuocere alle opere d' arte che devono, in certa maniera, incorniciare.
Prima di dedicarci ai quadri, diamo un'occhiata alle ricchezze archeologiche.
La serie dei marmi antichi è la più ricca d'Italia, dopo quelle, s'intende, del Va-
ticano e del Campidoglio. Non vi si contano meno di cinquecento e cinquantadue statue,
bassorilievi, busti, frammenti d'ogni genere. Ne esiste un eccellente catalogo, fatto con
diligenza da un archeologo tedesco, il signor Dutschke.
Nella Tribuna si trovano dei capolavori troppo celebri , perchè sia necessario qui
analizzarli: la Venere dei Medici, Y Arrotino, i Lottatori, il Fauno danzante, V Apollo,
sono stati anche troppo riprodotti in ogni maniera. Ma se i ineriti di tali capolavori
sono conosciuti da tutti , non a tutti è nota la storia della loro scoperta. Secondo
il dottor Marcotti, l'autore dell'eccellente Guida-Souvenir di Firenze, la Venere sarebbe
stata trovata a Tivoli nel 1580 e trasportata da Roma a Firenze nel 1G77; secondo
il Michaelis , sarebbe stata conosciuta sin dal principio del XVI secolo. Io per parte
mia tentai dimostrare ch'essa si trovava in Toscana sin dal XIV secolo, epoca in cui
Giovanni da Pisa lo copiò nel suo celebre pergamo. L' Arrotino dette origine ancora a
maggiori discussioni : non si tentò, pochi anni or sono, di provare che era un la-
voro del XVI secolo, eseguito da qualche imitatore di Michelangiolo ! Veniamo ai Lot-
tatori : secondo gli storici più degni di fede, essi non furono scoperti che nel 158,'),
contemporaneamente ai Niobidi: ora nel 1504 o 1505, Michelangiolo, nel suo disegno
della Guerra di Pisa, dava a due dei suoi personaggi un atteggiamento che molto s'av-
vicina a quello dei due antichi atleti ; qui come là si vede un uomo in ginocchio, col
torso che forma un semicerchio, la testa in basso che si appoggia sopra una mano. Ma
ciò che maggiormente colpisce sono le analogie dello stile; quella potente modellatura,
quella forza nei muscoli, quelle spalle d'Ercole.
Fra gli altri marmi del museo degli Uffizi , i Niobidi, testò menzionati , ebbero
per lungo tempo il potere di commuovere tutte le anime sensibili. Anche Corinna, l'eroina
della signora di Stael, " fu colpita da quella calma, da tanta dignità nel più profondo
dolore. Senza dubbio,, — aggiunge essa — "in una situazione simile, la figura d'una
vera madre sarebbe interamente sconvolta ; ma l' ideale delle arti conserva la bellezza
nella disperazione; e ciò che tocca profondamente nelle opere di genio, non è già la
sventura per se stessa, ma la forza che l'animo conserva su tale sventura. 1}
Alle serie antiche si collegano la preziosa collezione di gemme o pietre incise, di
carnei, il medagliere, come pure una quantità di opere decorative d'ogni genere, fra cui
il vaso dei Medici coi suoi bassorilievi rappresentanti il Sacrifizio d'Ifigenia, occupa il
primo posto. Dobbiamo osservare che diverse altre serie, prima esposte agli Uffizi, i
bronzi, i vasi dipinti, ecc., furono trasportate al Museo archeologico.
L'esistenza, nella stessa città, di due Gallerie che offrono tanti punti di contatto come
gli Uffizi ed il Palazzo Pitti non può a meno di sorprendere. Evidentemente sarebbe
J ) La critica moderna non condivido l'entusiasmo della signora di Stari. Ai suoi occhi il dolore di Niobe e le sof-
ferenze delle suo ereature hanno qualche cosa di troppo teatrale por non dire di troppo melodrammatico; è arto della
decadenza, il prodotto d'una Scuola che si distingue per l'affettazione, la mancanza di temperamento e di vita.
FIRENZE. -
GLI UFFIZI.
un vantaggio il fonderle insieme. Ponendo nelle serie degl'Uffizi, che formano un in-
sieme storico più completo, i capi d'opera del palazzo Pitti, che considerati separata-
mente hanno per la maggior parte maggior valore di quelli della collezione rivale, si for-
merebbe un tutto che potrebbe, senza scomparire, misurarsi colle due piìi grandi gal-
lerie di pittura del mondo, il museo del Louvre ed il museo del Prado, e die supe-
rerebbe di certo i musei di Londra, di Dresda, di Monaco, di Berlino, di Vienna e di
Pietroburgo. Così come sono, gli Uffizi, rassomigliano piuttosto ad una collezione pub-
blica, formata a scopo di studio, ed il palazzo Pitti ad una collezione privata, il cui
possessore si fosse specialmente occupato della qualità.
Dove cominciare, e dove finire, innanzi ad un tal cumulo di lavori celebri e di capi
d'opera! Col rischio di sacrificare più d'una pagina ammirata da molte generazioni di
viaggiatori, che da circa trecento anni si succedono nelle gallerie degli Uffizi, io mi
occuperò esclusivamente d' un piccolo numero di composizioni atte a segnare le evolu-
zioni della pittura fra il medio evo ed i tempi moderni.
Ecco prima di tutto Y Annunciazione, dipinta nel l'ò'òo da Simone Menimi, o Simone
di Martino, imo dei fondatori della Scuola di Siena, in colla-
borazione col fratello Lippo Menimi. Separata dall' angiolo da
un intervallo piuttosto grande, in cui il vaso contenente il
giglio tradizionale si profila sopra un fondo d'oro, la Vergine
sembra voltarsi, quasi per respingere la missione che le an-
nuncia il messaggero celeste: il suo atteggiamento e la sua
fisonomia esprimono piuttosto il dispetto che la contentezza; ma
la bellezza dei suoi lineamenti compensa tale difetto. E il tipo
della Scuola di Siena, in tutta la sua purezza e la sua poesia;
occhi a mandorla, naso sottile dalle narici strette, bocca pic-
cina. In uno degli sportelli dell' Annunciazione trovasi un san-
t' Ansano, figura giovanile dal volto imberbe, pieno di nobiltà
e di poesia, come i santi guerrieri tanto cari al medio evo. Angelo del Beato Angelico (Uffizi).
Neil' altro , una santa Giulietta, che spicca pel modo con cui
porta il suo abito e per la sua mano affilata. Il colorito è d'una purezza e d'una tra-
sparenza rara, ma senza decisione, senza gamma di intonazione.
All' Annunciazione di Simone di Martino fa riscontro il capolavoro di Giottino, l'al-
lievo prediletto di Giotto: le Pie donne -piangenti Cristo morto. Lo stile è qui al-
l'altezza dell'espressione, il colorito — d'una rara intonazione — al livello del disegno.
Bisogna ammirare l'arte colla quale Giottino fuse i suoi colori; solo forse il suo incar-
nato è troppo risentito; specialmente sulle guancie si osserva qualche tocco troppo
vivo. ^ I personaggi, belli, nobili e chiaramente individuati, sono in preda ad un
vivissimo dolore; nulla di più triste del gesto della Vergine che solleva il capo del
morto figliuolo. E una pagina degna di Giotto, e che forse ha per di più la finezza
e la distinzione che questo genio potente sacrificava qualche volta con troppa facilità.
N el secolo seguente , parecchi pittori di talento, specialmente religiosi , il camal-
dolese don Lorenzo Monaco, morto verso il 1425, e sopratutto Era Angelico, morto
nel 1455, seguirono la tradizione mistica del medio evo. Ma perchè dissimularcelo?
oramai il vento soffia dalla parte del realismo. Prima di passare in rivista i nova-
tori — per lo più fiorentini — diamo un' occhiata alle due pagine principali, colle
I Vedi su ciò il Trattato di Pittura di Genuino Genuini, ce. LXVII,
FIRENZE E LA TOSCANA.
quali l'angelico pitture di Fiesole figura nel museo degli Uffizi: V Incoro nazione, della
Vergine, e la Vergine gloriosa.
Oggi - a che scopo tacere? — non mancano i rimpianti perchè l'arte non rimase ■
stazionaria, perchè sempre non si conservarono i modelli stereotipati di Cimabue o di
Duccio. Dal XIII secolo, dicono molti, non fu fatto alcun progresso; tutto, allora, an-
dava per il meglio nel migliore degli stili.
Io risponderò che i novatori del XV secolo , questi realisti alle volte troppo acca-
niti, non fecero che continuare la rivoluzione inaugurata da Giotto: tentarono d'av-
vicinarsi sempre più alla natura, coll'aiuto della prospettiva, dell'anatomia, della fiso-
nomia. C'era per l'arte italiana una necessità ineluttabile: se nel medio evo la gioventù
e la fantasia avevano saputo creare uno stile nuovo, queste qualità non erano più ab-
bastanza vive nel secolo XV; bisognava unirvi la rimessione, e con questa la critica e
la scienza.
Fra questi novatori ben pochi mancano qui all'appello : Paolo Uccello, Piero della
Francesca, i due Lippi, Baldovinetti, Botticelli, Domenico Ghirlandajo, Signorelli, Pol-
la,]' nolo, ci si presentano in file serrate.
In quanto agli assenti, Masolino, Ma-
saccio, Andrea del Castagno, Verroc-
chio, li ritroveremo altrove, senza ab-
bandonare i musei fiorentini.
Analizziamo qualcuna di queste
composizioni, che per la maggior parte
stabiliscono una data negli annali del-
l'arte.
Paolo Uccello (1397-1473), uno
dei fondatori della prospettiva, è rap-
presentato al musco degli Uffizi da un
gran quadro: Un combattimento di ca-
La visita a Santa Elisabetta, valleria. La prospettiva, per Una COn-
frammento del quadro deii'Aibrrtineiii (Uffizi;. traddizioiie che non deve esser passata
sotto silenzio, vi manca addirittura ; sic-
ché e' è una inestricabile confusione, non solo senza armonia, ma eziandio senza purezza,
una specie di frammento di arazzo gotico. L'ampollosità vi apparisce, malgrado l'affetta-
zione del realismo. Uccello, che mira alla forza, dette ai suoi cavalli una groppa ed un
collo giganteschi, uguali a quelli che i pittori del Re Sole adottarono più tardi pei loro
corsieri. Il contrasto fra le sue aspirazioni ed i movimenti di certe sue cavalcature è dav-
vero comicissimo: c'è nulla di meno pittoresco del cavallo dal pelo rosso che tira un calcio?
Al gruppo dei realisti appartiene Piero della Francesca, di Porgo San Sepolcro
(V 1492) osservatore d'una sincerità e d' un' impassibilità a tutta prova, ed il più fine
dei coloristi della primitiva Scuola toscana. I suoi due ritratti, il duca Federico d'Ur-
bino e la sua sposa Battista Sforza, s' impongono per la trasparenza del colorito non
meno che per la purezza della, caratteristica. Dinanzi a queste due meraviglie eseguite
a tempera si domanda quale necessità c'era mai di decorrere poi alla pittura ad olio,
che cagionò la rovina di tanti quadri celebri.
Mantegna a- sua, volta,, che visitò Firenze nel 14CG, presenta alla nostra ammirazione
due splendidi quadri: una Madonna, ed un trittico rappresentante ['Adorazione ckì
Magi, la (Circoncisione, V Ascensione
FIRENZE
- (!LI uffizi.
Oggi nessun Primitivo è più in voga (li Sandro Botticelli (1447-1510), e nessun
lavoro di questo maestro, dolce, soave, squisito, contribuì tanto alla sua t'ama (pianto
la sua Vergine che canta il Magnificat, e la Nascita di Venere, due veri gioielli.
Filippo Lippi 1504), l'allievo del Botticelli, ha a sua volta agli Uffizi uno dei suoi
capolavori: 1 ! 'Adorazione dei Magi. Egli vi pose, oltre ai tipi tolti dalle statue degli
archi di trionfo (il prigioniero barbaro) ed ai tipi orientali (figure con turbante, ecc.,.
dei personaggi immaginati da lui, clic hanno tutti molta varietà negli atteggiamenti;
citerò per esempio il giovane inginocchiato, che s'appoggia colle due mani sul terreno.
I Primitivi hanno i difetti delle loro qualità, e le qualità dei loro difetti. Graziosi,
L'adorazione dei Magi, di Filippino Lippi (l'fiizi).
teneri, alle volte fieri e vibranti, essi mancano ancora, eccetto Donatello e Masaccio,
di grandezza e di forza , di anima e di slancio. L' arte non poteva, malgrado quella
freschezza primaverile, malgrado quell'emozione comunicativa, fermarsi a quel punto.
Eissa doveva tentare un nuovo sforzo per giungere ai supremi trionfi , al pieno pos-
sesso di tutti i segreti della tecnica e dello stile, all'interpretazione libera e potente
dei moti dell' animo. Non si potrebbe concepire il Rinascimento senza questi sommi:
Leonardo da Vinci. Michelangelo, Raffaello.
Forse, se al principio dell' era novella non fosse comparso un genio così potente
come Michelangiolo, le creazioni del Primo Rinascimento avrebbero indefinitamente sod-
disfatto l'umanità: esse offrivano ad un tempo la grazia e la fierezza, la tenerezza ed
il piccante, la freschezza, la soavità. Ma il nostro spirito cosi fatto che quando l'idea
Firenze e la Toscana. 40
814
FIRENZE E LA TOSCANA.
della grandezza s'è destata in noi, tutte le altre qualità ci sembrano d'un ordine infe-
riore. E quale antico e moderno maestro realizzò mai quest'idea dallo stesso punto di
vista di Michelangelo ! Quale scultore, quale pittore prestò mai accenti più patetiei e
tristi al dolore! L'ombra di Michelangiolo pesa adunque retrospettivamente sull'arte del
Primo Rinascimento e ci impedisce di gustarla completamente senza preconcetti.
Le collezioni italiane offrono troppo di rado l'occasione di ammirare un'opera auten-
La Circoncisione, di Andrea Man teglia (Uffizi).
tica del grande Leonardo da Vinci, perchè non occorra fermarsi dinanzi alla sua Ado-
razione dei Magi. Per quanto sia incompleto, questo abbozzo attira l'ammirazione per
la ricchezza dei soggetti ed il calore dell'espressione.
A questo punto i nomi celebri ed i capolavori si affollano innanzi a noi; qui c'è
la Sacra j amiglia di Casa Doni, uno dei rari quadri da cavalletto di Michelangiolo,
tutto slancio e fierezza; là dei Fra Bartolommco, degli Albertinelli, degli Andrea del
Sarto, dei Tiziani, dei Correggio, dei Sebastiano del Piombo, dei Bronzino, di primis-
simo online.
FIRENZE. -
r;i.T UFFIZI.
315
Se i monumenti pubblici di Firenze non contengono il menomo affresco firmato col
nome di Raffaello , il museo degli Uffizi e la galleria Pitti ci offrono un' ampia scelta
di quadri usciti dal suo pennello. Non poteva essere diversamente: durante i quattro
anni da lui trascorsi sulle rive
dell'Arno, Raffaello aveva incon-
trato troppe obbligazioni verso
l'antica metropoli toscana, e le
aveva, d'altra parte, resi troppi
servigi, perchè un legame indis-
solubile non si stabilisse fra loro.
Non dobbiamo abbandonare
le opere nelle quali s' incarnano
i supremi trionfi del Rinasci-
mento senza dare un' occhiata
al San Sebastiano del Sodoma,
così soave e commovente: que-
Bt' omaggio è tanto più giusti-
ficato in quanto che noi non
avremo piìi occasione d'incon-
trare a Firenze un'altra compo-
sizione di questo maestro, che
popolò dei suoi capolavori Siena
e Monte Olivete Maggiore.
Uno dei pili seducenti fra
i " maestri minori „ fiorentini
rie] XVI secolo. Francesco Uber-
tini . detto Bachiacca, merita
pure la nostra attenzione ; egli
è l'autore del Martirio di san-
fAcasio, composizione attraente,
Sebbene già alquanto molle. La lu ,. di( . a di san Pietro Martire, di Schaeufèlein (Uffizi).
Noi possiamo, senza alcun inconveniente, terminar qui la nostra rivista dei pittori
816
FIRENZE E LA TOSCANA.
italiani del XVI .secolo, poiché li ritroviamo quasi tutti al palazzo Pitti, ove essi splen-
dono ancora con maggior fulgore che agli Uffizi.
Conoscendo l'epoca in cui avvenne la formazione della galleria degli Uffizi, non bi-
sogna stupire di vedere i pittori della decadenza tenervi un posto importante. Una sala
— per non citare che un esempio — fu chiamata " Sala del Baroccio „ in onore di
Baroccio (1528-1612), il compatriota ma non l'allievo di Raffaello d'Urbino, pennello
facile e brillante, ma terribilmente manierato. Certamente il gruppo degli artisti toscani
della fine del XVI secolo, e del principio del XVII, i Santi di Tito (1586-1603), i
Poecetti (1542-1612), gli Jacopo Chimenti d'Empoli (1554-1640), i Giovanni di San
Giovanni (1599-1686), i Pietro da Cortona (1596-1669), non mancano nè di scienza,
L'adorazione dei Magi, del Diirer (Uffizi).
uè di talento; ma c'è forse una qualità al mondo che sostituisca la mancanza di since-
rità! Compiangiamo questi maestri, versoi quali la natura si mostrò prodiga, madie il
destino fece nascere in un tempo in cui la scienza aveva soffocata l'ispirazione, in cui
le forinole di studio avevano sostituita l'osservazione ingenua, lo sforzo indipendente.
Sarebbe un grande errore il credere che la galleria degli Uffizi non sia ricca che
di lavori italiani, un tale, esclusivismo non sarebbe stato ne nelle idee del Rinascimento
(anche Vasari, il fondatore della storia- dell'arte, non dà forse prova della, più grande
tolleranza?), ne in quelle dell'Italia del XVII e XVIII secolo, che non cessò d'offrire
ospitalità a tanti maestri francesi, fiamminghi 0 tedeschi. Così le antiche Scuole tanto
dei l'aesi Bassi, quanto della Germania, sono brillantemente rappresentati da Ruggiero
van der Weyden e Memling, Nicola Kroinent, Alberto Diirer, Eolbein, Schseufelein
FIRENZE. - GLI UFFIZI. .'!17
e moiri altri. Rubens e Van Dyck non vi fanno minor bella figura, se, non agli Uf-
fizi, almeno al Palazzo Pitti, ed hanno per vicini i Clouet, i Rigaud, i Boucher. Solo
gli Olandesi furono trascurati. Confessiamo clic la loro estetica contrastava davvero
un po' troppo con quella degli Italiani.
La serie così importante delle pitture fiamminghe del XV secolo, riunita o agli Uf-
fizi, o nell'ospizio di Santa Maria Novella, o nelle gallerie private, per esempio la gal-
leria Corsini, dimostra l'eclettismo dei primi Medici c dei loro contemporanei. Sedotti
dalla precisione dell'esecuzione e dal calore del colorito, che i Van Dyck, i Rogier
van der Weyden, i Memling, gli Hugo van der Goes, sapevano dare ai loro quadri
da cavalietti!, essi li ricercavano alla pari delle più preziose fra le produzioni ita-
liane. L' inventario di Lorenzo il Magnifico ne registra una scelta fra le più varie.
Particolarmente fine e delicata , già
tutta penetrata della grazia del Rinasci-
mento, è la Vergine di Memling, con gran
sfoggio di panneggiamenti.
Un altro rappresentante della Scuola
del Xord, Alberto Dtirer, meritò di pren-
der posto nella Tribuna. Dobbiamo rico-
noscere che la sua Adorazione dei Magi
— dipinta nel 150G — tiene degnamente
il suo posto fra tante pagine celebri. Io
mi affretto ad aggiungere ch'essa fu di-
pinta in Italia, nei giorni fortunati in cui
il grande artista tedesco poteva dimenti-
care ugni suo cruccio riscaldandosi ai
raggi del sole di Venezia.
Dttrer conta agli Uffizi qualche altro
lavoro prezioso — la Vergine dalla pera,
delle teste d' Apostoli ed il magnifico ri-
tratto di suo padre (1490) — in cui il
realismo la vince sulle preoccupazioni
dello stile.
Ritratto di Francesco I ;1<;1 Clouet (Uffizi).
La Scuola francese, sebbene sia stata
l'ultima ad affermarsi, seppe conquistarsi immediatamente il primo posto, ch'essa poi non
perdette piti, e vanta agli Uffizi, infatti, delle pagine importantissime.
Il primo, per data, appartenente a quella scuola è un artista del XV secolo, che pel
nome, Nicolaus Frumenti, fu ritenuto o tedesco o fiammingo sino al giorno in cui Paul
Mantz, paragonando la forma latinizzata alla forma francese, scoperse che si trattava
realmente d'un Nicola Froment di Avignone, uno dei pittori prediletti del buon re Re-
nato, e l'autore del celebre Roveto ardente della cattedrale d'Aix in Provenza. Fer-
miamoci un istante innanzi al suo trittico, che rappresenta nel centro la Risurrezione di
Lazzaro, nell'interno Marta 'prosternata innanzi a Cristo e Maddalena che lava i piedi
di Cristo; e sull'esterno la Vergine ed i donatori. L'opera, concepita nelle idee più rea-
listiche 8Ì distinguono i vermi che rodono il cadavere di Lazzaro!), rivela delle solide
qualità di colorista.
Il XVI secolo francese conta al suo attivo il ritratto di Francesco I a cavallo, di-
318
FIRENZE E LA TOSCANA.
pinto da uno dei migliori maestri dell'epoca, Francesco Clouet: il quadro, di piccole di-
mensioni, ha tutta la finezza d'una miniatura, ma nello stesso tempo il calore d'una
pittura ad olio.
Io non potrei abbandonare la sala destinata all'arte francese (vi si trovano riunite
delle tele del Poussin, di Mignard, di Le Bruii, dei Bourguignon, di Watteau, ecc.), senza
dedicare un pensiero all'autore dei due ritratti d'Alfieri, il grande poeta tragico, e della
sua amica la contessa d'Alban}*, la vedova del pretendente Carlo Edoardo. Oggi Fran-
cesco-Saverio Fabre (1766-1837) è meno conosciuto come pittore, che come fondatore
del museo di Montpellier, sua città natale, e come interlocutore di Paolo Luigi Courier
Una sala della raccolta dei ritratti agli Uffizi.
nella spiritosa serie di paradossi, intitolata: Conversazione presso la contessa d'Alban^
Era tuttavia un artista di merito, come lo provano i due ritratti d' una caratteristica
molto precisa, sebbene d'un tono un po' freddo, in cui egli fissò la fisonomia del poeta
e della dama gentile (ch'egli sposò segretamente, affermasi, dopo la morte d'Alfieri).
La collezione di ritratti di pittori dipinti da loro stessi, proclama l'illuminata libe-
ralità del cardinale Leopoldo dei Medici (1 61 7-1 675). Non contento d'aver aggiunto a
migliaia statue, quadri, medaglie, gemme, disegni, questo prelato concepì ed effettuò un
progetto unico nei fasti dell'arte: ottenere che ogni pittore eseguisse il proprio ritratto.
Verso il 1681 la serie era abbastanza ricca, per esser collocata in una sala speciale,
aperta pei - ordine del granduca Cosimo II.
FIRENZE. -
(ì\A UFFIZI.
Fu un'idea generosa quella che presiedette alla formazione ili questa scric, destinata
ad unire nella fratellanza dell'arte e nel Pantheon della gloria, gli artisti di tutti i |>;icsi.
Dopo tante gite a Firenze, confesso di non potermi ancor oggi trattenere da una certa
emozione, quando vedo tanti artisti francesi, tanti volti amici, ricevere ospitalità in quel
santuario internazionale, ed essere a contatto coi più illustri maestri d'Italia d'un tempo:
contemporanei di Luigi XIV, dal contegno solenne; campioni vivaci e spiritosi del
rococò; romantici dalla cera ora triste ora truce; realisti ardenti e focosi.
Se non c'è nulla di più monotono e di più noioso delle effigie officiali, eseguite dopo
la morte da artisti che per lo più non conobbero neppure di vista il defunto — ne
abitiamo un esempio nella collezione di busti, esposta all'Istituto! — nulla invece po-
teva essere più gentile che il chie-
dere agli artisti celebri di fissare essi
stessi la loro fisonomia, d'analizzare
il proprio carattere. Problema psico-
logico dei più delicati, assunto singo-
larmente spinoso e fecondo di errori.
Quanti riuscirono ad evitare lo sco-
glio di dipingersi senza lusingarsi;
quanti seppero mostrarsi semplici, na-
turali, senza artifizio e senza posa!?
Da tale prova, mi pare , si ricono-
scono gli uomini di carattere ed i
temperamenti veri, abbastanza corag-
giosi per apparire quali sono, colle
loro imperfezioni, la loro bruttezza,
se occorre; fiduciosi in se stessi,
senza però spingere l' infatuazione
sino alla stolta pretesa di mutare in
belle qualità i loro difetti!
Le statue ed i busti vennero
esclusi dalla collezione, probabil-
mente perchè la mediocrità è più in-
sopportabile in tale arte che nella Lorenzo il Magnifico, dal ritratto del Vasari (Uffizi).
pittura, perchè la personalità con
maggior fatica vi si fa strada, e perchè la messa in scena v' è ridotta alla sua più
semplice espressione. Quanto interesse avrebbero destato i busti di Donatello, di Cellini,
di Coysevox, di Pajou o di Houdon, da loro stessi cesellati, altrettanto sarebbe stata
monotona una galleria iconografica in marmo.
A lato ad un bel numero di ritratti apocrifi (tra cui quello di Leonardo da Vinci),
la collezione, che iconograficamente considerata dovrebbe venir sottoposta a rigoroso
esame, contiene una quantità di ritratti d'un'autenticità incontestabile : Raffaello, Giulio
Romano, Andrea del Sarto, Beccafumi, Sodoma, Vasari, Fed. Zuccheri, Pordenone, Paolo
\ eronese, il Tintoretto. Un'infinità d'altri maestri del secolo XVI, sino ad Alberto Diirer
e Bolbein, vi sono rappresentati da quadri dipinti da loro stessi, o per lo meno da an-
tiche copie.
Fra i ritratti del secolo XVII citerò, come particolarmente interessanti pel lettore
francese, quelli di Giacomo Callot e di Giacinto Rigami. Quest'ultimo, inviando la tela
Verrocchio (?). Piero de' Medici, il giovane. Carlo Dolci. Giulio Romano.
Alberto Diirer. Salvator Rosa. Caterina Cornare Holbein.
Giacomo Callot. Ernesto Liotard. Giacinta Rigaud. H. Flandrin.
Alfieri. La Contessa d'Albany. L.-E. Vigée-Le Bruii. Angelica Kaiittiuanii.
A ir 11 ni ritratti d'ella Galleria degli Uffizi.
FIRENZE. -
<;i,T UFFIZI.
al granduca, l'accompagnò con una lettera ch'io copiai agli archivi della Galleria, e clic
inserisco qui per mostrarvi quale perfetto cortigiano si celasse sotto al brillante pittore. ])
Un altro ritratto del secolo XVII, che mi ha sempre colpito per la sua espressione
di malinconia, è quello di Carlo Dolci, tutto rugoso e raggrinzato, collo schizzo in mano
d'un suo ritratto da lui eseguito allorché era giovane e bello. Il contrasto è dramma-
tico, e l'artista ha in tal modo creato, con una sincerità, commovente, una vera pagina
di storia.
Il secolo XVIII conta a sua volta una serie di ritratti gaj , teneri o piccanti, da
quello di Liotard, detto il pittore turco, causa la sua barba , sino a quello della si-
gnora Vigée-Le Bruii. Nemmeno
qui non so resistere alla tenta-
zione di riprodurre la lettera con
cui questa donna amabilissima
ed artista d'un talento raro, ac-
compagnò l'invio della sua tela :
- Monsignore, — Avendo avuto
la fortuna d'ammirare i rari ca-
polavori che compongono la gal-
leria di Vostra Altezza Reale,
e sapendo ch'era permesso agli
artisti di attestarne il ricordo
coll'ammissione dei loro ritratti,
da essi stessi eseguiti, io mi son
presa la libertà di profittare d'un
tal privilegio, offrendo a Vostra
Altezza Reale quello che ho spe-
dito al Direttore dell'Accademia,
per esser presentato da parte
mia come * debole omaggio reso
all' amore eh' ebbero per l'arte
i predecessori illustri di V. A.,
la quale la coltiva con altrettanta
distinzione. Un così nobile sen-
timento non può che aumentare
il profondo rispetto con cui io
sono. Monsignore, di Vostra Altezza Reale l'umilissima e obbedientissima serva, L. E. Vi-
gée-Le Bruii, pittrice di Corte. — Roma, 30 agosto 1791 „.
Ai tempi nostri la serie s' alimenta per inviti rivolti a tutti i pittori di qualche
Maria de' Medici (Uffizi).
2 ) " Monsignore, quantunque il marchese Salviati m'abbia assicurato, alcuni anni or sono, che Vostra Altezza de-
siderava avere il mio ritratto per collocarlo nella sua galleria presso ai più grandi uomini, io mi sono ritenuto così
indegno di tale onore, che non avrei mai osato dipingermi a tale scopo, se il marchese di Forey, per dissipare i miei
dubbi, non m'avesse dichiarato che Vostra Altezza Serenissima ne avrebbe provato dispiacere. È con tale idea, Monsi-
gnore, ch'io lavorai a questo ritratto colla massima esattezza dovuta ad opere che vi devono appartenere. Il suo pregio
maggiore con tutto ciò starà nell'esser presentato a Vostra Altezza Serenissima da Sua Eminenza il cardinale Gual-
tieri© , che mi fa l' insigne onore di voler incaricarsene. Non mancherebbe alla mia buona fortuna che 1' onore per-
fettissimo di presentarlo io stesso a Vostra Altezza Serenissima coi più umili , più sommessi e più profondi ri-
spetti di colui che osa dirsi, Monsignore, di Vostra Altezza Serenissima l'umilissimo e obbedientissimo servo. Rigaud. —
Parigi, 29 agosto 1706. „
Firenze e In Toscano.
41
322
FIRENZE E LA TOSCANA.
fama: naturalmente ben pochi sono quelli clic sdegnano l'onore di figurare in quella
eletta riunione, in quel tempio dell'immortalità. Quale tentazione questa d'assistere
alla propria apoteosi pieni di vita ancora e di salute ! Io ritengo che l'amministrazione
della Galleria degli Uffizi debba essere alquanto imbarazzata nel dover resistere a tante
offerte spontanee di personalità non molto in vista!
La Scuola francese del secolo XIX è brillantemente rappresentata in questo cenacolo :
Ingres e Flandrin, Corot, Cabanel, Leumann, Bonnat, Hébert, Henner, J.-P. Laurens,
Puvis di Chavannes e molti altri, aspirarono all'onore di arricchirlo delle loro tele, che
non sono soltanto delle effigie d'una perfetta rassomiglianza, ma eziandio dei veri studii
di carattere.
Fra i ritratti inglesi eiterò quello di lord Federico Leighton, 1' antico presidente
della "Rovai Academy,,, pieno di poesia e di solennità. La Germania è meno bene
rappresentata: Overbeck, il capo della Scuola nazarena, rassomiglia — il paragone non
è mio, badate — ad un coniglio che rosichi un cavolo. Altrove troviamo la nota co-
mica, grottesca: l'aria provocante, dei baffi incerati, un 'plastron che sparisce sotto ogni
sorta di decorazioni. 1}
Le meraviglie della pittura, tali sforzi del pennello, tante pagine celebri che rive-
lano un temperamento, o che incarnano un sentimento, non devono farci dimenticare le
numerose creazioni meno brillanti sparse nei musei fiorentini.
Le gemme, in numero di più di 400 (cammei, intagli, statuette o busti di pietre dure,
vasi di cristallo di rocca, di diaspro, di onice, ecc.), formano, in un gabinetto a parte,
il riscontro alla celebre galleria d'Apollo. Eccovi anzitutto il bel cofanetto di cristallo
di rocca, ornato da Valerio Belli di Vicenza di ventiquattro scene della Vita di Cristo,
e regalato dal papa Clemente VII a Caterina dei Medici per le sue nozze col principe
ereditario, il futuro Enrico IL Questo gioiello come altri (il gran cammeo di Vienna e
la saliera di Benvenuto Cellini) è uscito dalle collezioni della corona di Francia, nella
guisa con cui c'era entrato, cioè quale dono. Una tazza di cristallo di rocca, con un
coperchio d'oro, coperto di smalti bianchi, neri, verdi e rossi, di grazioso disegno, evoca
egualmente la memoria di Enrico II: secondo il catalogo, che s'era appoggiato sull'esi-
stenza delle mezzelune, delle freccio e delle iniziali intrecciate D. (o C.) e H. sormon-
tate da una corona con un giglio, la tazza dovrebbe essere stata eseguita per Diana
di Poitiers ; ma si sa che questo monogramma è quello di Caterina dei Medici. Non di-
mentichiamo le bellissime tavole di musaico fiorentino esposte in parecchie sale.
La collezione dei disegni della galleria degli Uffizi è una delle tre o quattro rac-
colte piii importanti d'Europa. Occupa il posto dopo quella del Louvre e prima di quella
dell'arciduca Alberto (Albertina) a Vienna. Le fotografie della casa Braun hanno sparso
ovunque i principali disegni che la compongono, i Leonardo, i Michelangelo, i Raffaello,
mentre il catalogo che pubblica il conservatore Nerino Ferri assicura d'altra parte a
ciascuno di essi un commento ben degno.
In ispecial modo ricca c preziosa è la collezione dei disegni d'architettura che si
apre col secolo XV, e ci fornisce, per tutto il periodo dell'età dell'oro del Rinascimento,
ì ì La collezione degli Uffizi ha ispirato a Castagnary, tino degli ultimi direttori delle Belle Arti di Parigi, il
desiderio di creare al Louvre una simile collezione. Togliendo dalla Scuola di Belle Arti e dal Museo di Versagli» i
ritratti degli artisti, per aggiungerli a quelli che il Louvre già possedeva, riuscì a formare una sala interessante ab-
bastanza. Ma simili cose non si possono improvvisare, ci vuole molto tempo; questo prezioso ausiliare padrone ed ar-
bitro d'ogni cosa.
FIRENZE. - GLI UFFIZI. 323
una serie continua di rilievi o di soggetti firmati eoi nomi più celebri, San Gallo, Va-
sari, Ammanati, ecc.
Anche la raccolta delle stampe merita tutta la nostra attenzione.
Un corridoio comodo se non elegante riunisce il palazzo degli Uffizi al palazzo
Pitti, che raggiunge dopo di aver circolato tra case private e dopo attraversato il
Ponte Vecchio. Trasformato in galleria contiene centinaia e centinaia di ritratti di
personaggi celebri del secolo XV e del XVI. La collezione venne formata sotto l'aspetto
iconografico, e non artistico: perciò se qualche, ritratto presenta un valore considerevole
come documento, non ne offre alcuno come lavoro. D'altronde la maggior parte di queste
effigie non sono che copie e talora copie delle copie; onde si può giudicare di ciò che può
esser rimasto del carattere primitivo.
Xel 1552 Cosimo I concepì il progetto di far riprodurre i più importanti tra i ri-
tratti della raccolta riunita a Como da Paolo Giovio, il celebre poligrafo. Egli affidò l'in-
carico, poco invidiabile, al pittore fiorentino Cristoforo dell'Altissimo, che vi si dedicò
per lunghi anni. Ora se Paolo Giovio possedeva un numero abbastanza grande di preziosi
originali, troppo spesso s'accontentava pure — ci tengo a far osservare questa specie
di soperchieria — di far tradurre in pittura i busti od anche delle medaglie : questo è
certo il caso del ritratto di Gastone di Foix (tolto dalla statua sepolcrale conservata
nel Museo di Milano). Quest'era già una prima alterazione o deficienza; il lavoro affi-
dato all'Altissimo ne costituì una seconda. Non monta: le sue copie hanno un reale in-
teresse iconografico, avuto riguardo alla dispersione della raccolta del Giovio e alla scom-
parsa di parecchi elementi importantissimi che racchiudeva.
Ritornando indietro per ridiscendere al pianterreno, e rivolgerci verso l'Arno, incon-
triamo, sotto l'ampio porticato del Vasari, una seconda scala meno monumentale, che con-
duce alla Biblioteca nazionale o " Magliabechiana „ (dal nome di uno dei suoi fondatori)
situata al primo piano degli Uffizi, ed agli Archivi di Stato, posti al secondo. Malgrado
ogni seduzione, io saprò resistere al desiderio di penetrare in questi due santuari della
scienza. Del resto v'ho passato troppe settimane e troppi mesi per poterne parlare colla
libertà di spirito necessaria: correrei il rischio, per la mia troppa frequenza, di per-
dermi in dettagli, mentre una visita sommaria mi avrebbe permesso d'abbracciarne tutto
l'insieme. Limitandomi a dichiarare che per la loro ricchezza, come pure per la loro or-
ganizzazione, tali depositi sono degni in tutto e per tutto d'una città come Firenze, non
voglio mancare almeno di rendere omaggio ai due ultimi sovrintendenti dell' Archivio:
Cesare Guasti, profondo erudito e scrittore non comune, e il suo successore, l'indi-
menticabile maestro Gaetano Milanesi (f 1895), il dotto commentatore del Vasari, e il
piii perfetto galantuomo del mondo.
324
FIRENZE E LA TOSCANA.
X.
La chiesa di Santa Croce. — Il Pantheon fiorentino. — Giotto e la sua Scuola. — La cappella dei Pazzi.
Lasciando il palazzo degli Uffizi, giriamo attorno al Palazzo Vecchio per internarci
nel Borgo dei Greci, che in pochi minuti ci condurrà in piazza " Santa Croce „, il
nostro più prossimo obbiettivo.
Soffermiamoci, cammin facendo, in piazza "San Firenze,, (o San Fiorenzo), ornata
La chiesa di San Firenze.
a sinistra di una chiesa del secolo XVII, dedicata a san Filippo Neri, il fondatore del-
l' Ordine dell' Oratorio ; nel centro vedesi un convento trasformato in tribunale civile e
correzionale; a destra un monumento innalzato nel 1775 in onore di sant'Antonino,
l'arcivescovo fiorentino, e decorato di chiassose figure allegoriche, la Faina che suona
la tromba, e degli Angioli.
La chiesa, composta d'una sola navata e molto alta, è suntuosa, ma ne i suoi bei pila-
stri grigio-ferro che spiccano sopra un fondo bianco, uè il suo bel soffitto scolpito e dorato,
hanno il potere di trattenerci. Sono produzioni d'un'epoca brillante e rumorosa ad un tempo.
Nel Borgo dei Greci saluto passando l'ospitale palazzo dei Peruzzi, ove passai tante
belle serate in mezzo ad una società simpaticissima.
Dopo la piazza della Signoria, tra le piazze di Firenze quella di Santa Croce
FIRENZE. -
SANTA CUOCI':
utile maggior carattere. Se La parte centrale coperta di ghiaia e guernita di bau
chine di pietra non ha altro ornamento che una fontana di marmo e il monumento di
Dante idei Pazzi. 1865; l'atteggiamento è declamatorio; L'aquila che sta presso il poeta
In fa rassomigliare a san Giovanni l'Evangelista; i leoni hanno L'aria di scimmie), se
il lato sinistro non è occupato che da costruzioni piccolissime e senz'apparenza alcuna,
il lato destro colle sue case antiche e la tacciata adorna di pitture, e i piani sostenuti da
enormi mensole di legno, ha davvero un aspetto imponente. Gli affreschi del palazzo del-
l' Antella, eseguiti in venti giorni alla fine del secolo XVI o al principio del XVII, da
tredici pittori di talento, offrono in uno stile brillante delle allegorie o dei soggetti d'ornato.
Tutto sulla piazza di Santa Croce parla del passato, quantunque poche vestigia sieno
La piazza di Santa Croce.
rimaste. Di quante feste, di quanti tornei non fu essa il teatro. Qui l'eloquente predi-
catore popolare san Bernardino da Siena teneva tutta Firenze sospesa alle sue labbra;
qui Giuliano e Lorenzo dei Medici uscirono vincitori dal torneo del 1468, la "Giostra,,
immortalata dal Poliziano, che gli ispirò un bellissimo poema, ove egli però ci parla
• li tutto tranne che dei suoi eroi; qui molte generazioni di giuocatori di palla die-
dero prova della loro destrezza. Parecchie case che fiancheggiano la piazza evocano pure
dei ricordi simpatici: una ha servito di culla ad uno scrittore ed artista celebre del
secolo XVI, Raffaello Borghini, 1' amico di Michelangelo e del Vasari, e autore del
Riposo; un'altra, ad un poeta che salì sul trono pontificio, Urbano Vili (Maffeo Bar-
berini). — Quante; altre città possono vantar sì copiose memorie storiche ed artistiche
ad ogni passo come Firenze?
326
FIRENZE E LA TOSCANA.
Come Santa Maria Novella proclama la magnificenza dell'ordine di San Domenico,
la chiesa di Santa Croce proclama quella dell'ordine rivale, i Francescani, che la fecero
cominciare nel 1294, su disegni d'Arnolfo del Cambio. L'edificio non venne consacrato
che nel 1442 1) .
Come tanti altri santuari, Santa Croce mancava d' una facciata : trentacinque o
quarantanni fa un inglese, il cui nome merita d'essere conservato, Sloane, diede un
mezzo milione perchè la lacuna venisse colmata. Cominciata nel 1857 dietro i disegni
di N. Matas, terminata nel 1868, la facciata semplice, dignitosa, un po' fredda, rialzata
da alcune incrostazioni di marmo rosso o verde di Prato, offre la disposizione " tricu-
spidale „ (tre frontoni triangolari), che molti artisti avrebbero voluto veder adottata per
il Duomo. Come nelle chiese di Pisa e di Lucca , o eziandio nelle chiese di stile
gesuita, un' intera parte di quel muro gigantesco oltrepassa il tetto, per cui non s'ap-
poggia contro nulla e non risponde a nulla.
L' interno di Santa Croce è vasto e leggiero, pieno d'aria e di luce : la policromia
è data solo dall'alternarsi delle pietre di un bel grigio turchino, coll'intonacatura bianca
delle pareti, coi mattoni rossi del terreno , colle invetriate di celebri autori e gli af-
freschi del coro. Le arcate, che si appoggiano su pilastri ottagonali, hanno un'apertura
enorme, spaventosa quasi, che contribuisce non poco a far apparire la chiesa meno mas-
siccia. Tale impressione è aumentata dalla mancanza della vòlta di pietra, essendo pie-
namente visibile la travatura in legno del tetto. Ecco dunque la differenza fondamentale tra
il gotico italiano e il gotico francese, cioè il vero gotico accentuarsi una volta di più! L'arco
ogivale fu inventato — nessuno lo ignora — per conferire maggior elevazione e maggior
ampiezza alle vòlte della navata; è questa la sua principale, si può dire, la sua unica
ragione d'essere ! Ora in Italia si sopprimono continuamente tali vòlte sostituendole con
travi simili a quelle delle basiliche cristiane primitive. In queste l'ogivale non è che
un semplice elemento di decorazione, e non un elemento costruttivo. Tale è il sistema
che noi vediamo adottato a Santa Croce, come pure nella cattedrale d'Orvieto, e in
molti altri edilìzi.
L'estremità orientale della chiesa offre, come lo notò Kenouvier, una disposizione
affatto speciale; la crociera, più rimarchevole che d'ordinario, ha il muro orientale
perforato da sette archi, corrispondenti ad altrettante cappelle; quella del centro, che
costituisce l'arco trionfale e più grande delle altre, forma un'abside rotonda con vòlte
dalle nervature a scudo.
Santa Croce, il Pantheon fiorentino, contiene forse — dice la signora di Staèl —
la riunione più brillante di morti che vi sia in Europa. Qui v'è Galileo "perseguitato
dagli uomini per avere scoperto i segreti del cielo; più in là Macchiavelli , che rivelò
l'arte del delitto più da osservatore che da reo, ma le cui lezioni riescono piìi proficue
agli oppressori che agli oppressi; l'Aretino, colui che consacrò i suoi giorni alla celia,
e non provò nulla di serio nella vita, eccettuata la morte ;' 2) Boccaccio, la cui ridente
fantasia potè resistere ai flagelli riuniti della guerra civile e della peste; un quadro in
onore di Dante, come se i Fiorentini che lo lasciarono perire nel supplizio dell' esilio
potessero vantarsi ancora della sua gloria,,.
A questi nomi, grandissimi quant'altri mai, madama di Staci ha dimenticato d'aggiun-
gere quello di Michelangelo, il cui mausoleo terminato nel 1570, sui disegni del Vasari,
ì > Circa la differenza d'aspirazioni tra Domenicani e Francescani, veda il lettore il Canto XI del Paradiso di Dante
e gli Italienische Studiai di Hettner (p. 99 e seg.) e les Vierges de Raphael de Gruyer (t. I).
2 ) L'autrice di Corinna confuse Leonardo Bruni d'Arezzo, detto esso puro l'Aretino, col suo concittadino Pietro.
FIRENZE. - SANTA CROCE. .'52 <
è un'opera d'arto pregevolissima, come pure un'eloquente prova dell'ammirazione pro-
fessata pel Buonarroti dai suoi concittadini.
Quanto ai morti che pur non appartenendo come Dante. Macchiavelli e Michelan-
gelo all'umanità intera, contami però tra le manifestazioni piìi splendide del genio italiano,
la lista n'è infinita: qui riposano Ghiberti, Vasari e Bartolini, altrove Filicaia (f 1707),
l'autore del magnifico sonetto: "Italia, Italia, o tu cui feo la sorte
Il secolo XIX non ha affatto da arrossire dinanzi ai suoi predecessori; i poeti e gli
artisti sepolti a Santa Croce. Alfieri, Ugo Foscolo, Niccolini, Cherubini e Rossini, com-
parirebbero degnamente in qualunque tempio della gloria; senza parlare poi di tante
altre illustrazioni, quali gli storici Gino Capponi e il Botta, l'abate Lanzi, lo storico della
Interno di Santa Croce.
pittura italiana, l'incisore Raffaele Morghen, ecc. Un'idea pietosa ha voluto associare a
tali mausolei o a tali monumenti, che eternano con figure di marmo o di bronzo tanto il
ricordo delle virtìi o del genio dei defunti, quanto i loro lineamenti, delle iscrizioni che ri-
cordino tutti coloro che hanno ben meritato della grande patria italiana, o della piccola
patria fiorentina: Vittorio Emanuele, Napoleone III, Mazzini, Cavour, Garibaldi, Rica-
soli. Manin, hanno in Santa Croce la loro lapide commemorativa, precisamente come
l'annalista Varchi, o l'architetto-archeologo Canina.
Per quanto rispettabile sia l'intenzione, il risultato non corrispose sempre alle fatiche:
nulla di più mediocre infatti del mausoleo innalzato all'epoca nostra a Leon Battista Al-
berti, l'illustre umanista e architetto del secolo XV; i due genii dai capelli ricciuti presso
alla statua del defunto sono d'un pessimo g - usto.
328
FIRENZE E LA TOSCANA.
Per l'addietro il mausoleo di prammatica pei morti seppelliti a Santa Croce, fossero
celebri od oscuri, si componeva d'una lastra di marmo più o meno ornata, fissata nel
pavimento (al tempo della pubblicazione della Guida-Souvenir di Firenze del Marcotti, la
chiesa non contava meno di 276 di siffatte lastre, comprese tra il secolo XIV e il XIX).
In tal genere di commemorazione c'era una strana inconseguenza: o il defunto spin-
La tomba di Michelangelo in Santa Croce.
gelido all'estremo grado la sua umiltà avrebbe dovuto contentarsi di far incidere sulla
lastra tutt'al più il suo nome; oppure avea il desiderio di vedere passar ai posteri la
sua effigie, o il ricordo delle sue virtù o delle sue gesta, ed era in tal caso irragione-
vole il collocare sul pavimento la lastra che sarebbe stata ben presto rovinata dai passi
dei fedeli. Infatti oggi la maggior parte hanno perduto le iscrizioni o gli ornamenti in
rilievo che le abbellivano; si ignorano quindi persino i nomi dei morti ch'esse rico-
prono: " sine nomine corpus,,.
330
FIRENZE E LA TOSCANA.
Tuttavia l'ambizione riusciva spesso a trionfare sull'umiltà e la contrizione ch'erano
stati i requisiti del medio evo ; dopo il XV secolo Santa Croce accolse un certo numero
di mausolei, che lungi dal limitarsi umilmente al terreno, si rizzarono orgogliosamente
contro le pareti. Composti in principio della statua del defunto e di statuette di angeli
o di geuii, in un contorno più o meno ricco, tali monumenti furono decorati, un secolo
più tardi, di figure allegoriche: è cosi che le personificazioni dell'Architettura, della
Scultura e della Pittura ebbero il loro posto sulla tomba di Michelangelo. In seguito
l'aggiunta divenne regola,
I mausolei si alternano con altari dai frontoni triangolari o semicircolari , più
pesanti che imponenti, innalzati dal Vasari. Menzioniamo a sinistra i monumenti di Ga-
lileo, dell'archeologo Lami (statua in piedi), di Tavani , del ministro Fossombroni, di
Marsuppini, d'Antonio Cocchi , di Raffaello Morghen (un alto rilievo rappresentante il
Il convito di Erode, affresco di Giotto in Santa Croce.
defunto steso sopra un sarcofago); a destra quelli di Dante, dell'Alfieri, di Macchiavelli
(una donna seduta sopra un sarcofago col medaglione recante la di lui effigie), dell'abate
Lanzi, di Bruni, di Leonardo Nobili.
Contro la facciata hanno preso posto i mausolei di Gino Capponi (un busto, poi presso
al sarcofago, una donna con una corona), di Giovanni Targioni Tozzetti e di Antonio
Targioni Tozzetti, di Niccolini (una donna gigantesca con una catena infranta).
Quante iscrizioni in Santa Croce ! Ci sarebbe qui da fare tutto un corso di studi
sulle epigrafi funebri. Come sempre in simile argomento, la palma spetta alla concisione:
che c'è mai di più eloquente dell'epitaffio scritto sul mausoleo innalzato nel 1787 a Mac-
chiavelli, dietro iniziativa di lord Cowpcr (ecco di bel nuovo un Inglese che ha parte
nell'abbellimento del santuario fiorentino!): Tanto nomini nullum par elogium.
Dopo l'enumerazione dei monumenti funebri di Santa Croce, è giusto far seguire
FIRENZE. - SANTA CUOCE.
331
Un cantuccio del chiostro di Santa Croce.
l'analisi delle sculture che li completano. Le più belle
tra queste appartengono al secolo XV.
Eccovi prima di tutto tre pagine celebri di Dona-
tello: V Annunciazione, la cui distinzione rasenta la
ricercatezza, e che, seducente ad una certa distanza,
colpisce dawicino per la magrezza e la durezza; poi
il celebre Crocifisso di legno, a cui Brunellesco ha rin-
facciato il soverchio realismo , e la statua in bronzo
di San Luigi.
Bernardo Rossellino è rappresentato dal mausoleo
di Leonardo Bruni, cancelliere della Repubblica fio-
rentina e celebre umanista (f 1444). Basta vederne
l'ordine architettonico per convincersi che si tratta d'un
capolavoro , una vera meraviglia. Per basamento un
fregio coi genii che sorreggono delle ghirlande, ed una
testa di leone nel centro; più in alto il sarcofago coi
genii volanti d' una purezza di contorni ed una no-
biltà d'atteggiamento davvero insuperabile; ancor più
in su il catafalco coperto d'un ricco broccato su cui è steso il defunto, leggermente
rivolto verso lo spettatore; una figura grave e sublime come nessun altro avea creato
da Donatello in poi. Due aquile, colle ali spiegate, stanno innanzi al sarcofago; il loro
appetto imponente ci ricorda i migliori modelli antichi. Qui Rossellino infatti s'è posto
al livello dei più grandi maestri.
Non meno celebre è il mausoleo di un altro cancelliere della Repubblica fiorentina,
Carlo Marsuppini (f 1455). I) suo autore, il giovane Desiderio da Settignano, vi brilla
per la vivacità e 1' ingenuità, nella stessa guisa che Rossellino s'è distinto per la sua
gravità.
Un altro quattrocentista, Benedetto da Majano, s'è sforzato, nei suoi bassorilievi
del pergamo, riproducenti la Storia di san Francesco d'Assisi, di rivaleggiare colla pit-
tura ; egli ci offre dei quadri ad un tempo sobrii e pieni di moto, e sopratutto ben in-
corniciati. Il compianto Perkins ha già osservato che uno di essi, la Morte di san Fran-
cesco, differisce poco dallo stesso soggetto dipinto dal Ghirlandajo per la cappella Sas-
setti, nella chiesa di Santa Trinità. Un tal fatto, aggiunge egli, " prova a qual punto le
due arti si confusero tra le mani degli scultori del
secolo XV ; Benedetto, nel suo bassorilievo, come Ghir-
landajo nel suo quadro, rappresenta il Santo coricato
sopra una barella nel mezzo della chiesa d'Assisi, at-
torno a lui il clero in piedi o inginocchiato, e dei bimbi
con ceri e turiboli; dietro ad essi, la navata della
chiesa colle sue colonne in prospettiva ; al fondo, l'altare,
e sopra l'arco che separa la navata del coro, l'apoteosi
del Santo, che due angioli trasportano in paradiso „.
Il tabernacolo di Mino da Fiesole, esposto in una
sacrestia, c'inizia all'incontro a tutte le lacune d'un
simile talento disuguale : Mino vi dimostra una volta
di più d'ignorare affatto l'arte di ponderare le masse
San Matteo, terracotta smaltata io i
di Luca della iiobbia, nella caccila de' Pazzi, e di far alternare arnionicamente i pieni coi vuoti:
332
FIRENZE E LA TOSCANA.
come espressione, i suoi angioli sono sbiaditissimi, e come esecuzione affatto inde-
terminati.
Passo sotto silenzio una serie d'altre statue o bassorilievi, a cui si collegano i nomi
di Ghiberti, dei Della Robbia, di Michelozzo, di Pollajuolo; bisogna sapersi frenare
anche trattandosi di maestri di tal genere.
Per la prima volta, dacché percorriamo Firenze, si otfre a noi il nome glorioso di
Giotto di Bondone, il rinnovatore della pittura. Fu dopo il suo ritorno da Padova, ove
terminò gli affreschi della chiesa della Madonna dell'Arena (cioè verso il 1305), che il
maestro accettò di ornare le cappelle appartenenti a parecchie famiglie di ricchi ban-
chieri fiorentini, i Bardi e i Peruzzi (il cui ultimo rappresentante, Ubaldino Peruzzi,
sindaco di Firenze, morto nel 1891, ha trovato un asilo ai piedi di quei capolavori). Le
sue composizioni, nascoste dall'intonaco per più d'un secolo (1714-1841), poi religiosa-
mente restituite alla luce, riproducono la Vita di san Giovanni Battista, di san Giovanni
Evangelista e di san Francesco d'Assisi.
Tra le scene della vita di san Giovanni Battista e di san Giovanni l'Evangelista,
due meritano specialmente di venir ricordate : il Banchetto d'Erode e San Giovanni
Evangelista che sale al cielo. Sotto un bel porticato, il cui stile ricorda gli antichi
monumenti, Erode è seduto a tavola con due altri commensali; innanzi a lui un guer-
riero che gli presenta la testa di san Giovanni Battista, un po' più in là, a destra,
Salomé che balla; a sinistra un suonatore di violino. Quest'ultimo è una di quelle figure
di getto, un'ispirazione di genio come se ne incontrano spesso nei lavori di Giotto. Per
la spontaneità del suo atteggiamento, la soavità e la grazia insuperabile, esso sembra
annunciare il suonatore di liuto di Bernardino Luini, nella Galleria di Milano.
San Giovanni Evangelista che sale ed cielo colpisce per la rara arditezza e l'ori-
ginalità. Dal centro d'un edificio sostenuto da colonne, il Santo si slancia nell'aria;
il Redentore gli viene incontro seguito da undici apostoli che emergono a mezzo corpo da
una nube ; all'avvicinarsi della divina schiera, tutto s'inonda di luce. Al basso gli spet-
tatori attoniti o rapiti; uno di essi, un vecchio dall'espressione scettica, si china sulla
tomba vuota; un altro, come abbagliato, si fa riparo agli occhi colla mano; altri ancora
alzano le mani verso il cielo in segno di stupore, o le incrociano sul petto in atto
di venerazione.
Nella vita di san Francesco farò osservare la scena della Prova del fuoco innanzi
al sultano d'Egitto. Nel centro, sopra un trono di parecchi gradini, il monarca fa
segno ai suoi dottori od ai suoi taumaturghi d' entrare nel rogo acceso ai suoi piedi.
Presso a lui stanno due schiavi nubiani dal tipo e dal vestire veramente perfetti,
degno riscontro dei Tartari che si vedono ad Assisi in un altro affresco di Giotto,
l'Adorazione dei Magi. All'estrema sinistra, i falsi dottori che ricusano di accettare
la prova ad essi proposta da san Francesco, loro avversario. Quest' ultimo in piedi,
dal lato opposto, leva la destra al cielo, come per proclamare 1' onnipotenza divina, e
rapito d'entusiasmo si prepara a porre il piede tra le fiamme. Presso a lui uno dei suoi
compagni giunge le inani, diviso tra lo spavento e l'ammirazione: scena insuperabile, in cui
Giotto con una mezza dozzina di figure ha composto il dramma più vivo, più eloquente.
1'] interessantissimo confrontare l'affresco di Giotto col bassorilievo scolpito sul per-
gamo nella stessa chiesa, centocinquant' anni più tardi da Benedetto da Majano; qui
la composizione è tormentata e confusa, e lo scultore apparisce in tutto e per tutto
inferiore al pittore.
FIRENZE.
- SANTA CUOCE.
Anche a Santa Croce Giotto è rappresentato da una pala d'altare, le cui figure,
beati ed angeli che fanno musica, sono bellissime e purissime, veramente serafiche.
Cito un'altra scena della stessa serie, San Francesco che risuscita, non foss'altro
per segnalare la maestà delle figure di vecchi prodigatevi da Giotto, e la grandiosità, lo
slancio dei panneggiamenti. D'un tal progresso si attribuisce l'onore a Masaccio, ma
quest'ultimo, negli affreschi del Carmine, in realtà, non fece che completare i modelli
lasciati da Giotto, servendosi delle nuove risorse offertegli dal perfezionamento della
prospettiva.
Gli affreschi di Santa Croce sono preziosi in quanto ci consentono di misurare
l'abisso che separa l'allievo dal maestro, Taddeo Gaddi da Giotto. Gaddi ha una
maniera dura, secca, impacciata; le sue figure sembrano per lo piìi di legno, i loro
movimenti sono angolosi, le espressioni pretenziose. Il sentimento cosi vivo della realtà
che distingueva Giotto è scomparso. NelY Incontro di san Gioachino e di sant'Anna,
il santo, malgrado la sua barba bianca, ha la fisonomia d'un giovane; è inoltre mal
collocato sul suolo, come tutti gli attori della scena. Nelle figure principali si cerche-
rebbe invano quell'animazione nobile e vera che troviamo nella scena corrispondente di
Giotto nella "Madonna dell'Arena,, a Padova; quanto alle figure accessorie (il servo
che segue Gioachino tenendo in una mano un cestino, nell'altra un bastone in capo
al quale sta appeso un agnello, poi le tre compagne di sant'Anna), esse sono triviali o
volgari. Non meno prosaica è V Adorazione dei pastori. Uno dei personaggi, d'aspetto
volgare, è coricato sul terreno; egli si volge senz'incomodarsi verso l'angelo che gli
annuncia la buona nuova. E impossibile figurarsi una concezione più meschina.
Gli affreschi dipinti da Giovanni da Milano, in un'altra parte della chiesa, la cap-
pella Rinuccini (1365 e gli anni seguenti), peccano quanto quelli del Gaddi di durezza
di colorito, e d'imperfezione nei tipi. Ma tali difetti vengono compensati dalla ricerea
della vita, e talora da un sentimento reale di grandezza.
La cacciata di san Gioachino è una scena davvero imponente; in una basilica a
cinque navate si agita la folla dei fedeli; nel centro il gran sacerdote respinge l'of-
ferta di san Gioachino; a destra dei vecchi prostesi; poi al basso delle donne — in
fiero atteggiamento — con agnelli tra le braccia; a sinistra uomini che presentano
altri agnelli; finalmente più lungi, rimpetto alle donne, una seconda fila di uomini
che attendono divotamente il loro turno.
E una pagina piena di intenzioni ritmiche, così dette ; i diversi atti della solennità,
sono abilmente opposti gli uni agli altri.
La Presentazione della Vergine al tempio contiene pure i tratti indicanti un ingegno
superiore: infatti basterebbe l'atteggiamento ispirato della Vergine, che sale i gradini
del tempio, e le belle fisonomie degli uomini e delle donne a farne fede.
Giovanni da Milano è più a suo posto nelle scene numerose e piene di moto che
non nelle scene le quali ammettono soltanto un picciol numero di personaggi e un'azione
che non abbia nulla di violento o di patetico. Tale circostanza, aggiunta a tante altre,
ci autorizza ad affermare (die la Scuola di Giotto era sovratutto una scuola di dram-
maturgo, mentre la Scuola di Siena era una scuola di lirici.
L' Incontro di san Gioachino e di sant'Anna, la Nascita della Vergine, la Madda-
lena ai piedi di Cristo, rivelano l'imbarazzo dell'artista ogniqualvolta trattasi di ricm-
334
FIRENZE E LA TOSCANA.
pire una data cornice con uno scarso numero di figure. I personaggi appaiono incep-
pati nei loro movimenti; inoltre la composizione ed i tipi ridiventano antiquati come lo
erano prima di Giotto.
Ci vorrebbero settimane e settimane per studiare, per meditare, come lo meritereb-
bero, tante celeberrime composizioni; inestimabili le une come documenti storici, le
altre come manifestazioni d'un'arte giunta al suo apogeo. Il mio compianto amico, il
barone di Lippart, che passò a Firenze circa vent'anni, s'era proposto di redigere un
inventario ragionato di tutte le bellezze di Santa Croce: malgrado il suo assiduo la-
voro, egli morì prima d'aver compiuta la sua impresa. Egli intendeva con ciò rischia-
rare tutti i dubbi, e determinare la parte che spettava ad ogni maestro in questo vasto
lavoro d' abbellimento. La mia ambizione non va tant' oltre ; mi basterà aver destato
presso i miei lettori il desiderio di fare una lunga sosta nell'antica chiesa dei France-
scani, eh' è ad un tempo museo e santuario. Libero ciascuno di dedicarsi poi, secondo
il suo gusto, ai trecentisti, ai quattrocentisti ed ai campioni dell'Età dell'Oro, agli
scultori, ai pittori o ai decoratori. Il campo è infinito, e ciascuno è sicuro di potervi
pienamente soddisfare le proprie aspirazioni.
Intanto com'è possibile passar oltre senza soffermarci, innanzi al mausoleo, in marmo,
elie s'innalza presso la cappella dei Medici, e che proviene dallo scalpello d'un abile
artista francese, la signorina de Fauveau, coli' aiuto del fratello? Il soggetto è elegante, un
po' pretensioso, per non dire civettuolo; ma non ci rincresce il vedere una giovanotta
che spiega tutte le grazie femminili per rendere omaggio ad un' altra sua pari. Al
basso un sarcofago; al disopra una specie di baldacchino gotico, in fondo al quale la
defunta, scolpita in alto rilievo, e quasi alla grandezza naturale, si slancia verso il cielo.
Sotto ai suoi piedi sta in bassorilievo il panorama di Firenze. Nell'iscrizione c'è pure la
data: Luigia Favrcau, nata alla Guadalupa nel MDCCCXXXIII. Aveva XVII anni.
Alla loro figlia diletta, Pietro ed Emma Favreau. — Frater et soror H. et F. de
Fauveau sculpserunt Fiorentine anno domini MDCCCLVL
Le dipendenze di Santa Croce, la sacristia. la cappella dei Medici, quella dei Ri-
nuccini, il chiostro, la cappella dei Pazzi, non sono meno ricche d'opere d'arte dello
stesso santuario; terre cotte dei Della Robbia, cancelli di ferro lavorato, con incorni-
ciature a traforo composte di fogliame, eleganti intarsi in legno, pitture della Scuola di
Giotto vi si succedono senz' interruzione.
Il chiostro, eoi suo prato smaltato di fiorellini, e i suoi cipressi nani tagliati a ce-
spugli, mette una nota d'una deliziosa freschezza in mezzo a tanti ricordi del passato,
a tanti sublimi concezioni. In tale cornice, altrettanto ridente quanto l'altra — parlo
dell' interno della basilica — la morte perde alcunché del suo terrore. Eppure le sue
vittime si contano qui a legioni: ovunque, nelle gallerie, contro i muri della chiesa,
stanno innumerevoli lapidi o cippi ornati di busti, di medaglioni, di bassorilievi alle-
gorici, proclamanti le virtù dei defunti o il dolore dei superstiti. Vi predominano le
tombe d'artisti; ma qui ciascuno si crede in diritto di pretendere la gloria e l'immor-
talità. Un epitaffio latino — latino ciceroniano — non proclama forse i titoli d' un
farmacista che non fece opera di ciarlatano? pharmakeion fecit non circumfoream, ma
coltivò l'alta, medicina, sapientioris medicina sequax! L'autore dell' epitaffio, cedendo
;il bisogno di drammatizzare, proprio a sì gran ninnerò dei suoi colleglli, rappresenta
FIRENZE. - IL BARGELLO. .'5.">f>
il suo eroe come una vittima della malvagità umana: "Essendo stato perseguitato in-
giustamente (immerita expertus), ne provò tale dolore da non poter piti a lungo sop-
portare l'esistenza...
In fondo al chiostro sorge un edificio, che non è soltanto il capolavoro d'un grande
artista, ma che forma nello stesso tempo una data nella storia dell'arte; è là, in quella
celebre cappella dei Pazzi, che Brunelleseo ha messe in atto tutta la nobiltà delle linee
e la ricchezza d'ornamentazione di cui avea rubato il secreto agli antichi Romani.
Si credette a lungo che la cappella dei Pazzi fosse stata cominciata nel 1420, il
che avrebbe .aumentato ancora il merito di Brunelleseo ; ma risulta dalle ricerche di
Fabriczy che il principio dei lavori cade nel 1429 o 1430; se l'opera materiale era
finita nel 1442, la decorazione non fu intrapresa che negli anni seguenti, principal-
mente sotto la direzione di Giuliano da Majano; verso il 1469 soltanto quel gioiello
d'architettura del Primo Rinascimento potè essere compiuto per l'ammirazione del mondo
artistico. Tutto vi ricorda l'antico, e nulla il medio evo; si direbbe che Brunelleseo
abbia voluto farvi " tabula rasa „ di tutte le tradizioni legategli dai suoi immediati pre-
decessori. Il bel porticato, colle colonne monoliti (forse ancora un po' esili), in " pie-
tra di macigno „,i suoi cassettoni a rosoni, il fregio coi cherubini (scolpiti, dicesi, da
Donatello), i pilastri, gli ovoli, tutto ciò figurerebbe benissimo a Roma, presso alle più
ricche e più pure creazioni dell'epoca dei Cesari. La cupola invece, d'un garbo semplice
ed elegante, ci riporta ai modelli lasciatici dal Basso Impero.
L'interno, di ampie proporzioni, con decorazione sobria anziché ricca, ha per or-
namento principale i medaglioni di terra cotta smaltata della cupola — gli Evange-
listi — di Luca della Robbia. Sono figure austere, solenni, raccolte, quasi bizantine
per la gravità dell'espressione e dell'atteggiamento. Si intuisce un'ispirazione sostenuta,
un vero temperamento di scultore, un'idea forte e generosa che svolge senza sforzo il
tema detcrminato. L'artista non arretrò dinanzi agli atteggiamenti più difficili, come
quello di san Matteo, seduto, con un piede nudo posato sul suolo, l'altro di sotto, eolla
pianta rivolta verso lo spettatore.
XI.
Il Bargello o Museo Nazionale. — La Badia. — La casa Buonarroti. — La Piazza e la Chiesa dell'Annunziata.
Ospedali e teatri. — Il Museo archeologico e il Museo degli arazzi.
Airincrociamento della via Ghibellina e della via del Proconsolo s'innalza il "Bar-
gello,, o Museo nazionale.
L'edificio risale pel suo disegno al secolo XIII; ma non ricevette che più tardi
la sua forma attuale, e non fu completato che nel 1345 dagli architetti Benci di
Cione, e Neri di Fiora vante. Occupato durante molte generazioni — dal 1261 al 1502
— dal Podestà, divenne nel secolo XVI la residenza del " Bargello ,,, cioè del capo degli
sbirri, e fu trasformato in prigione. Bargello, sbirri, carcerieri scomparvero già da lungo
tempo, ma ne rimase il nome. Grazie ad ingegnosi lavori di appropriazione, cominciati
nel 1857 e condotti a termine nel 1865, nelle sale e nelle celle, testimoni per 1' ad-
336
FIRENZE E LA TOSCANA.
dietro di tante sofferenze e di tante miserie, si stabilì un museo , il più pittoresco ,
senza dubbio, di Firenze.
Il Bargello, isolato da ogni parte, non ha all'esterno che poche aperture, abbastanza
irregolari dal lato della via del Proconsolo e più simmetriche dal lato della via Ghibel-
lina, ove disegnano due piani. I muri, tutti picchiettati pei restauri, sono circondati
da feritoie. Una torre elevata, la cui campana rispondeva per l'addietro a quella del
Palazzo Vecchio, ricorda che un tempo tale fabbrica serviva di fortezza.
Mentre prendo questo breve schizzo, nell'attesa che aprano il museo, la campana
della torre suona le dieci; la porta ferrata gira sui suoi cardini e — dopo aver sod-
disfatto al tributo che l'amministrazione dei musei fiorentini impone a tutti i visitatori
— penetro nella prima sala, vasta ed oscura, la sala d'armi. Sin dai primi passi uno
s'accorge che gli abili decoratori incaricati di fare un museo dell'antico Bargello tenta-
li Palazzo del Bargello.
rono di armonizzare il contenente col contenuto. Come al Museo germanico di Norim-
berga, modello così degno d'osservazione, la cornice fa rivivere l'epoca a cui appar-
tengono le serie esposte in ogni sala, colla differenza che al Bargello la sobrietà e la
severità dominano invariabilmente.
La sala d' ingresso è destinata, come dissi, alle armi. Ogni mezzo di distruzione
v'è rappresentato, ma anche qui c'è da ammirare qualche capolavoro.
Una sala più piccola, posta presso alla precedente, contiene delle selle ricamate,
delle bandiere e ancora delle armi o analoghi ornamenti.
Il cortile, in cui penetriamo uscendo dalla sala d'armi, presenta la decorazione più
strana che siavi in Firenze: i suoi archi, i suoi pilastri massicci, il suo ammattonato
coperto di musco, le finestre bifore, la loggia aperta, la scala così erta e così
monumentale, compongono un quadro in cui gli ornamenti propriamente detti non pos-
sono che acquistare un'infinita intensità d'effetto; essi riuniscono e armonizzano non
ostante la diversità della loro origine: la vera del pozzo, le vasche enormi l'ima di
Firenze e la Toscana
Il Cortile del Bargello.
338
FIRENZE E LA TOSCANA.
verde antico, l'altra di porfido, i leoni di pietra e gli stemmi scolpiti o colorati, incro-
stati sulle pareti, sulle curvature delle volte, ricordi delle più illustri famiglie fioren-
tine, vere pietre parlanti.
Se la pittura regna sovrana a Firenze nei tre grandi musei, — gli Uffizi (che
di marmi non conservarono clie gli antichi), il palazzo Pitti, 1' Accademia di Belle
Arti, — la scultura meno invadente s' è contentata d'un solo asilo, il Museo nazionale ; ma
in compenso vi brilla qui di luce fulgidissima. Come l'oratorio d'Or San Michele, e con
maggior prodigalità, il Musco nazionale ci fornisce una serie d'anelli destinati a com-
pletare la vasta catena che corrisponde alle evoluzioni della scultura fiorentina. I
più grandi tra i quattrocentisti ed i cinquecentisti vi contano ciascuno delle pagine
sublimi.
Dall'ultimo mio viaggio a Firenze la collezione venne disposta in modo tutto di-
verso dall'antico; per cui, ben lungi dal poter fare
da cicerone ai miei lettori, devo ingolfarmi io stesso
in ogni specie d'investigazioni per scoprire dei la-
vori classici, che per l'addietro avrei ritrovato ad
occhi chiusi.
Fu poi un vantaggio tale rivoluzione? Mi si
permetta di dubitarne. Il riavvicinamento di certe
sculture offriva un tempo dei contrasti piccanti.
Infatti collocando l'uno presso all'altro il Davide
di Donatello e il Davide del Verrocchio, si era
ottenuta un' antitesi caratteristica per lo studio dei
due maestri. Quanto appariva largo ed elegante
il primo, esuberante di giovinezza e di poesia, al-
trettanto ristretto ed angoloso appariva il secondo ;
lo si sarebbe detto un pastore di Virgilio rimpetto
ad un monello fiorentino. Oggi il capolavoro del
Donatello orna la sala consacrata al maestro , mentre il suo antico vicino è rimasto
nel piano superiore, nella sala dei bronzi.
: ^ TOSASI .
Il ritratto di Dante, di Giotto, al Bargello.
Le arcate che comunicano col cortile e le due sale adiacenti del pianterreno sono
dedicate alle sculture del secolo XIV, XV e XVI, senza distinzione di maestri.
Qui Michelangiolo ha una serie di lavori troppo noti perchè sia necessario parlarne :
la Maschera, di Satiro, che attirò su di lui l'attenzione di Lorenzo il Magnifico; il
medaglione colla Vergine, il Bambino Gesù e il piccolo san Giovanni Battista, uno dei
pochi lavori in cui egli si sia dedicato al bassorilievo, e dove sia riuscito eziandio a
sposare armonicamente le linee; poi la statua di Bacco, ispirata ad una statua antica,
per l'addietro conservata a Roma; il busto incompleto di Bruto, d' un sì fiero porta-
mento, e il gruppo pure incompleto del Genio vittorioso, ecc.
Da notarsi pure, al pianterreno, il camino scolpito da Benedetto di Rovezzano pel
palazzo Rosselli del Turco, e diverse altre produzioni di quello scalpello ; e inoltre Y Adamo
ed Era del Bandinelli, e la Fiorenza di Gianbologna.
La scala esterna mette sulla loggia aperta ove stanno parecchie campane , e nella
sala alta e vasta, simile ad una navata di chiesa, ove regna Donatello.
FIRENZE. - IL BARGELLO.
339
Per l'addietro i bassorilievi scolpiti dall'insigne maestro e da Luca della Robbia, per
la tribuna degli organi del Duomo, si trovavano qui con parecchie delle sculture at-
tualmente esposte al pianterreno; in seguito esse furono trasportate al Museo dell'Opera
del Duomo. Ma rimangono nella sala abbastanza capolavori a proclamare il genio del
sommo artista che fu, con Brunellesco, il vero fondatore del Rinascimento. Eccovi per
esempio il busto in terra cotta policroma di Niccolò da Uzzano, il celebre uomo di Stato
fiorentino. Esso è d'una verità meravigliosa. Il Sem Giorgio d'Or San Michele trovasi
pure qui (fu sostituito da una copia nella nicchia dell'oratorio).
Le due sale seguenti ricordano un episodio doloroso pei visitatori francesi; il fatto
cioè d'un francese nemico della sua patria sì da
defraudarla a profitto degli stranieri. Il Lio-
nese Carrand (f 1889), a metà negoziante e a
metà artista, avea formato una collezione delle
più importanti , di cui molti lavori, tra i quali
specialmente il flabellum „ di Tournus (IX se-
colo), godevano d'una fama addirittura europea.
Irritato dagli avvenimenti politici, che non aveano
secondato il suo desiderio, egli si ritirò in Italia
(prima a Pisa, poi a Firenze), portando con sè
le sue raccolte. Or son dieci anni, Federico
Spitzer. che vagheggiava collo stesso ardore, ma
con maggior liberalità la conquista di opere d'arte,
riuscì a strappargli a peso d' oro le più belle
spade della collezione. Il resto, cioè gli avorii,
i bronzi, le maioliche, ecc., fu da Carrand legato
al Museo nazionale di Firenze. Per quanto spia-
cevole sia stata per la Francia tale determina-
zione, non pregiudicò tuttavia agli interessi della
scienza : Italiani e stranieri possono studiare co-
modamente al Museo nazionale quelle collezioni
importantissime.
S'io volessi descrivere i tesori del Museo na-
zionale, vetrina per vetrina, o anche sala per
sala, mi bisognerebbe un volume, e ancora cor- Busto di Cosimo I, di B/ Cellini (Museo del Bargello).
rerei il pericolo di trascurare qualche lavoro inté-
ressante.. Il mio assunto perciò si limiterà a mettere in luce alcuni tipi e non a fare
un inventario generale.
Anche qui come in tutti i musei si alternano il buono ed il cattivo, e molto spesso
il punto di vista storico la vince sull'estetica; presso ai magnifici, preziosissimi cristalli
di rocca si vedono delle orribili sculture d' ambra. A quest'ultima categoria apparten-
gono i tre altorilievi in cera di Zumbo, rappresentanti Scene della Peste con cadaveri
in decomposizione ed altri dettagli spiacevoli.
Senza fermarsi alla collezione degli avorii, colla sella preziosa del secolo XIV e una
quantità d'altri stupendi lavori, ai cofani di nozze adorni di pitture di celebri maestri, o co-
perti di ricche sculture, ai cristalli di rocca, agli smalti, alle stoffe e ai ricami, ecc., il visi-
tatore dovrà raccogliersi dapprima nella cappella e poi nelle due sale consacrate ai bronzi.
340
FIRENZE E LA TOSCANA.
La cappella si onora d'un ciclo di pitture a cui, malgrado ogni controversia, si col-
lega e sempre si collegllerà il nome di Giotto. Probabilmente fu dopo il suo ritorno da
Padova che 1' illustre rinnovatore della pittura ha posto mano a tali composizioni, di cui
certo parecchie vennero terminate dai suoi allievi, e fors'anco dopo la sua morte. I sog-
getti da lui scelti, o che gli vennero indicati, sono: le Scene della vita di Cristo, della
vita di santa Maria Maddalena e di santa Maria egiziaca, Y Inferno e il Paradiso. Fra
gli affreschi quello che rappresenta il Paradiso deve la sua celebrità alla presenza di
Dante, che Giotto ha posto tra la folla degli eletti, in piedi presso al suo maestro
Brunetto Latini. Da quanto si può giudicare, attraverso i ritocchi moderni, trattasi d'una
figura giovanile, di una bellezza, d'una nobiltà senza pari, dal naso aquilino, dalla fronte
alta e pensosa, dallo sguardo fiero e dolce ad un tempo.
La cappella del Bargello cogli affreschi di Giotto.
Le due sale dei bronzi contengono la più straordinaria riunione di statue, di busti,
di bassorilievi, di medaglie, d'ornamenti d'ogni sorta, che abbia prodotto l'arte del Ri-
nascimento : Brunellesco, Ghiberti e Donatello, Bertoldo, Pollajuolo, Vecchietta, Benve-
nuto Cellini e Gianbologna sono rappresentati da capolavori tra i quali brillano i due
bassorilievi col Sacrificio d'Isacco, eseguiti nel 1403 per le porto del Battistero, e il
Davide del Verrocchio.
Il secondo piano non contiene minor numero di meraviglie: due sale sono dedicate
completamente alle sculture in marmo; per far comprendere l'importanza dei lavori ivi
raccolti, basterà ch'io accenni i nomi dei loro autori, cioè: Luca della Robbia, Be-
nedette» da Majano, Mino da Fiesole, Antonio Rossèlliiio, Civitali, Desiderio da Setti-
guano, Verrocchio, Michelangelo, Jacopo Sansovino, in breve il fior fiore dei maestri
clic assicurarono la superiorità della scultura fiorentina del quattrocento e del cinquecento.
Il Bargello. -
La sala dei bronzi.
342
FIRENZE E LA TOSCANA.
Nella sala dei sigilli, meritano speciale attenzione gli arazzi delle Cacete di Luigi XV,
esegniti a uso Gobelins, secondo i modelli di Oudry, lavori di tale freschezza e finezza
da superare tutti gli esemplari conservati in Francia. Più avanti stanno le sale delle
terre cotte smaltate e delle maioliche. Ci si stanca di guardare, ma non ci si stanca
mai d'ammirare.^
Per continuare da questo lato la nostra esplorazione, dovremo seguire la Via dei Servi e
visitare la chiesa dell'Annunziata, il palazzo della Crocetta che contiene il museo archeolo-
gico e il museo degli arazzi, l'Accademia di belle arti, e finalmente il convento di San Marco.
Il chiostro della Badia.
La chiesa che sorge rimpetto al Bargello, la Badia, non ha molt' apparenza. La
facciata, semplicissima, tutta liscia, non ha per ornamento che una porta monumentale,
1 ) A due passi dal Bargello, nella via Ghibellina, un'opera d'arte che non abbiamo il diritto di trascurare, reclama
tutta la nostra attenzione. Trattasi dell' Espulsione del duca d'Atene, dipinta nel 1343 da Giottino. Giunto innanzi alla
porta del locale della Società Filarmonica, ove si conserva la pittura, io comincio col preparare una lunga spiegazione
per far comprendere lo scopo della mia visita al fioraio che sta all'ingresso della casa; ma dopo le prime parole quest'uomo,
senza profferir sillaba, interrompe il suo lavoro, prende una chiave, mi fa salire alcuni gradini d'una scala moderna e
introduce la chiave nella serratura d'una porta centinata. Io m'immagino di penetrare in qualche sotterraneo delle an-
tiche prigioni per debiti, li; " Stinche „, per l'addietro situate in quest'edificio, che oggidì la Società Filarmonica fa ri-
suonare dei suoi lieti accordi. Quale delusione! Tale porta non è che il battente destinato a proteggere l'affresco
dipinto sul muro stesso della scala. Se il lavoro è guasto oltre ogni dire, per lo meno è vergine d'ogni ritocco. Ma
l'arte non vi guadagna per questo: Giottino non si è dimostrato satirico che coH"intenzione, non nell'effetto risultato;
come caricaturista è men che mediocre..
FIRENZE. — LA BADIA.
343
con un fregio ornato di delfìni, su eui sono incrostati un bassorilievo in terracotta
smaltata attribuito a B. Buglioni, una Madonna e lo stemma d'un vescovo. 11 solo cam-
panile esagono, colle sue finestre trifore e i suoi baldacchini, offre del carattere. Ma
penetriamo un po' nell'interno: sebbene manomesso nel secolo XVII (da quest'epoca data
il suo ricco soffitto intagliato), ha conservato un certo numero di pàgine celebri.. In prima
fila sta il capolavoro di Filippino Lippi , Y Apparizione della Vergine a san firn/ardo:
vi si ammira il colore più vibrante, e l'espressione più intensa, qualità che troppo pre-
sto cedettero il posto in quest'eminente pittore allo spirito e alla frivolezza.
Non meno celebri sono le sculture eseguite da Mino da Fiesole : l'altare, eretto
dietro iniziativa dell'agitatore fiorentino Diotisalvi di Nerone (il cui busto, scolpito dallo
stesso maestro, è l'ornamento di una delle grandi raccolte parigine, quella cioè del si-
gnor Gustavo Dreyfus), le tombe di Bernardo Gnigni (;-14GG), e del conte Ugo il
Grande (1481).
Pochi scultori del Primo Einascimento godono all' età nostra una fama uguale a
quella di Mino : io consento, per parte mia , ad ammirarlo, ma alla condizione di non
dissimulare le lacune del suo talento. Vediamo il mausoleo del conte Ugo: tanto l'idea
che la forma vi mancano di maturità, malgrado i ineriti che sarebbe ingiustizia voler
negare. I due angioli che tengono il cartello coll'i scrizione sono troppo in movimento :
essi corrono come se si trattasse di guadagnare un premio nella palestra. Molto mi-
gliore è il bassorilievo che sta sopra il sarcofago : la Carità in piedi con un bimbo nudo
in collo, mentre un altro bimbo, pure nudo, s'afferra ai suoi vestiti. Qui il sentimento
è ispirato allo stile dell'antichità; i panneggiamenti ricadono in pieghe parallele armo-
niche ; il gesto, con cui la Carità stende il braccio destro, ha della grandiosità, è quasi
elegante, e prova lo studio dei modelli classici, che si rivela pure nell'ornamentazione.
All'incontro il movimento d'uno dei bimbi che si aggrappa al vestito della Carità non
si può spiegare ; è una di quelle anomalie che troppo spesso s'incontrano in opere per
tre quarti perfette.
Il quartiere che si stende tra l'Annunziata e Santa Croce è povero di monumenti
o di collezioni. Nè il teatro Alfieri, nò la sinagoga (che rivela 1' importanza della co-
lonia israelitica di Firenze), nè la chiesa di Sant'Ambrogio, sono tali da farci arrestare
a lungo. Sarebbe imperdonabile però ch'io non facessi fare una piccola sosta ai miei
lettori alla casa Buonarroti, nella Via Ghibellina, poi all'oratorio di Santa Maria Mad-
dalena dei Pazzi.
La casa Buonarroti, consacrata alle reliquie di Michelangelo, contiene oltre a pa-
recchi importanti bassorilievi della prima maniera del maestro (il Combattimento dei Cen-
tauri e dei Lapiti, una Madonna, ispirata dal Donatello, i bozzetti in cera del Davide),
oltre a numerosi disegni, gli archivii d'una famiglia, che ha cominciato così gloriosa-
mente e finito così miseramente : vi si ritrovano gli originali della maggior parte delle
lettere scritte da Michelangelo, e quelli delle risposte d'una quantità d'artisti o di di-
lettanti. Con una disposizione ben poco liberale, il conte Cosimo Buonarroti, legando
la casa e il suo contenuto alla città di Firenze (1858), proibì di pubblicare i mano-
scritti o autografi compresi nel legato. Fu necessario ricorrere ad ogni specie di astuzie
per far sì che Guasti e Milanesi ci potessero dare, nel 1875, in occasione delle feste
del Centenario, l'uno l'edizione delle poesie di Michelangelo riveduta sugli originali,
l'altro il Carteggio del maestro. In seguito Milanesi potè dar ancora in balìa del pub-
blico le lettere scritte a Michelangelo da Sebastiano del Piombo. Ma, se devo giudicare
344
FIRENZE E LA TOSCANA.
da una certa missiva ufficiale che mi fu diretta, pare che ogni ulteriore pubblicazione
sia di nuovo proibita.
Parecchie generazioni d' ammiratori concorsero ad abbellire questa dimora, che se
non fu abitata dal sommo maestro, fa per lo meno da lui comperata pel nipote Leo-
nardo: essi vi accumularono ritratti di Michelangiolo (tra gli altri un bellissimo busto
in bronzo del XVI secolo), pitture illustranti la sua vita e diversi altri lavori, testi-
moni della loro pietà e del loro talento nel medesimo tempo.
Seguendo la Via dei Pinti, stretta e insignificante, il forestiero corre serio pericolo
di passar davanti alla chiesa e al convento di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, senza
neppur accorgersene. Costrutta sulla stessa linea delle case, con un marciapiede largo
a mala pena un mezzo passo, l'esterno di tal chiesa non ha nulla che attiri l'atten-
zione. Confesso che alla mia prima escursione mi lasciai distrarre dai lembi di giar-
dini che si scorgono in fondo ai cortili, e dal campanile di Fiesole, che malgrado la
distanza, sembra si rizzi in faccia a voi. Ma a Firenze ancor più che altrove bisogna
badare a non giudicare i monumenti dall'apparenza.
Come facciata, la chiesa ha un gran muro in cui sono praticate alcune finestre ir-
regolari ; la parte laterale che dà sulla Via della Colonna non ha maggior carattere;
non v'ha di monumentale altro che l'iscrizione tracciata sull'orologio, e che ricorda come
nel 1G28 il papa Urbano Vili collocò i Carmelitani, antichi abitatori di questo con-
vento, in un locale più spazioso.
Per visitare il santuario si penetra in un cortile, o meglio in un chiostro, i cui in-
tercolonni sono murati da tre lati; soltanto le colonne joniche che formano il porticato
sono ancora libere; esse si fanno notare pei loro capitelli pesanti e sgraziati. Non fac-
ciamone un carico all'architetto, il celebre Giuliano da San Gallo che innalzò questo
chiostro negli ultimi anni del secolo XV; egli si applicò qui a copiare dei marmi an-
tichi scoperti a Fiesole alcuni anni prima. Una cassetta, con un'iscrizione francese, sol-
lecita un' elemosina kt pel mantenimento di questa chiesa oggidì priva affatto d' ogni
rendita „.
Varcata la soglia della chiesa ci ritroviamo in un museo, sebbene Santa Maria
Maddalena dei Pazzi abbia perduto alla fine del secolo XVIII, o al principio del XIX,
parecchi dei suoi più preziosi tesori: la Visita a san? Elisabetta, del Ghirlandaio, la
Vergine di Lorenzo Credi, la Vergine e i Santi di Cosimo Rosselli, tutti tre oggi al
Louvre. La navata molto ampia e le cappelle laterali, di cui l'ha fiancheggiata San Gallo,
danno ricovero ad un mondo intero di opere d'arte. Qui una bella tribuna di marmo,
in parte dorata, pei cantori; là delle invetriate del secolo XVI rappresentanti figure
di Santi; altrove stucchi e altri ornamenti in cui lo stile barocco s'abbandona ad
ogni sorta di eccessi. Gli affreschi e i quadri sopra tutto abbondano nei corridoi, nelle
cappelle, sul soffitto; dalle laboriose produzioni dei Primitivi sino alle facili e brillanti
ispirazioni di Bernardino Poccetti (1 G 12), l'abile decoratore che ha dotato il santuario
d'una Storia dei santi Nereo e Achilleo, di San Filippo Neri, di San Bernardo, o alle
pitture del soffitto, che col loro brio ricordano il celebre salone del palazzo Barberini
a Roma, il capolavoro di Pietro di Cortona.
Ad onta dell' espropriazione, a profitto del Louvre, d'una parte delle ricchezze di
Santa Maria Maddalena dei Pazzi, i Primitivi sono tuttavia rappresentati ancora benis-
simo in tale santuario. Cosimo Roselli, che fu il pittore titolare dei primi ospiti del
convento, vi conta di suo un'importante Incoronazione della Vergine (1505), in cui non
FIRENZE. -
LA PIAZZA DELL'ANNUNZIATA.
ho da biasimare che la povertà delle espressioni e la durezza del colorito vie piti accen-
tuata dal turchino che l'autore scelse quale fondo.
Più celebre, ed a ragione, è il grande affresco la Crocifissione di cui il
Perugino ha ornato la sala del capitolo, ove si entra per la Via della Colonna. La sala
stessa, coi suoi intarsi in legno dipinti e i suoi bandii, ha un'impronta del tutto moderna,
ma facciamo astrazione da simili meschini dettagli per dedicarci alla contemplazione del
capolavoro che sta nel fondo , nelle tre lunette divise da pilastri. Noteremo , così
alla sfuggita, che questa divisione in tre arcate ha recato vantaggio all'artista umbro,
che non brillava troppo nell'arte della disposizione : essa gli ha permesso in tal modo di
distribuire armonicamente le sue figure. Quale cornice egli scelse un bellissimo paesaggio,
fresco, semplice e vaporoso, sparso d' alberi col tronco slanciato e fiancheggiato da
La piazza dell'Annunciata.
montagne d' un grigio-verdastro veramente moderno. Quanto alla scena, eli' è grave e
raccolta. Il Cristo, dall'espressione rassegnata, annuncia quello che alcuni anni dopo Raf-
faello dipingerà nella Crocifissione, che fu per lungo tempo l'ornamento della galleria
Ward-Dudley. La Maddalena, malgrado il volto un po' rosso e le mani raggrinzate,
san Bernardo, malgrado la testa troppo piccola, sono creazioni addirittura commo-
venti. Per non cedere ai miei diritti di critico, farò notare una particolarità propria al
Perugino: i suoi personaggi stanno ritti quasi invariabilmente sopra un piede solo, men-
tre l'altro è rialzato come fanno le cicogne.
La phizzii dell'Annunciata, una delle più spaziose di Firenze, ha un aspetto
quasi direi imponente. Nel centro, la statua equestre del granduca Ferdinando I. del
Grianbologna; piii in là due fontane con figure del Tacca; a destra l'ospedale degli
Firenze e la Toscana. 44
346
FIRENZE E LA TOSCANA.
Innocenti; a sinistra un porticato composto da Antonio da San Gallo; nel fondo la
chiesa clic ha dato il suo nome alla piazza.
Si afferma che l'ospedale degli Innocenti sia il piti antico istituto di tal genere creato
in Europa (la sua costruzione fu decretata nel 1421). Il certo si è che l'edificio (che
abbiamo già nominato parlando della loggia di San Paolo) deve al suo architetto, il
gran Brunellesco , una non meno alta illustrazione. La costruzione è delle più sem-
plici ; sopra un basamento si stende un portico aperto, leggiero, chiaro, allegro; al
primo piano, delle finestre che s' appoggiano direttamente sulla fascia che corre per
tutta la lunghezza dell'edificio ; sopra tali finestre stanno dei frontoni triangolari. Ciò che
Interno della chiesa (lell'Annunciata.
Orcagna avea confusamente intravveduto nella Loggia dei Lanzi, Brunellesco l'ha realiz-
zato con una sicurezza insuperabile in quest'altra loggia, che servì di tipo ad un'infi-
nità d'altre simili costruzioni.
L' ospedale deve pure parte della sua celebrità alle terrccotte verniciate di Andrea
della Robbia: dei bimbi in fasce. Nessun altro maestro ha mai rappresentato così egre-
giamente il bimbo innocente, impacciato nei suoi movimenti, colle sue forme ancor un
])(»' indecise.
Sarà difficile che un artista o un dilettante rinunci a penetrare nell' interno ov' è
attratto da una pagina preziosissima quant' altra mai : V Adorazione dei Mani, a la Strage
degli Innocenti, dipinta nel 1488 dal Ghirlandajo : il maestro ha quivi unito la ricerca
degli effetti alla precisione del disegno.
FIRENZE. - LA CHIESA DELL'ANNUNZIATA.
347
La chiesa dell' Annunciata, oppure la chiesa dei Serviti, data, nelle sue parti prin-
cipali, dal XV secolo e ricorda il talento degli architetti Michelozzo, Manctti e Leon
Battista Alberti. Disgraziatamente dei pretesi abbellimenti, intrapresi nel XVII secolo,
hanno orribilmente sfigurato l'opera dei quattrocentisti. Si troverà la spiegazione esatta
di quest'ultima in una serie di pubblicazioni speciali. Non insisterò qui clic, sul prin-
cipale tra gli ornamenti dell' Annunciata : sugli affreschi cioè d'Andrea del Sarto. Dal 1509
al 1514. Andrea, ch'era sul sorgere, dipinse nel piccolo chiostro, presso alle composi-
La nascita della Vergini', affresco di Andrea del Sarto.
zioni di Cosimo Rosselli e di Baldovinetti, diverse scene destinate ad illustrare la vita
di san Filippo Benizzi, il fondatore dell'ordine dei Serviti, come sarebbe: San Filippo
Benizzi che dà la sua camicia ad un lebbroso, i Bestemmiatori /aiutinoti, San Filippo che
'fiorisce una donna invasa dal demonio, San Filippo che guarisce cine bambini, V Adora-
zione delle reliquie d'I Sunto, alle quali opere egli aggiunse l'Adorazione dei Magi e la
Nascita della Vergine. Occorre ch'io ricordi la grazia, la vivacità o il languore di tali
composizioni, che. tutto considerato, si possono calcolare il capolavoro di questo maestro?
I ricordi storici abbondano in quest' angolo di Firenze: qui sorgevano o sorgono
348
FIRENZE E LA TOSCANA.
ancora i palazzi degli Albizzi , dei Pazzi , degli Altoviti , che hanno avuto una parte
così brillante negli annali della Repubblica fiorentina, specialmente come avversari dei
Medici. Più d'una di tali dimore forma nel medesimo tempo un'opera d'arte nella più
completa estensione del termine. Vedete un po' al numero 12 il magnifico Palazzo
non finito cominciato nel 1592 da Buontalenti, per uno Strozzi, che non riuscì a
condurre a termine i lavori: è oggi sede dell'amministrazione centrale del telegrafo.
Presso a questo c' è il palazzo Pazzi o Quaratesi , uno dei più nobili edifizi di Fi-
renze, il cui disegno fu attribuito sino a questi ultimi anni a Brunellesco (in realtà la
costruzione è posteriore alla morte del maestro). Un pianterreno rustico, due piani di
nove finestre, 1' uno sulla facciata, poi al disopra una fila d' aperture circolari, una
specie di cornice, dominata, schiacciata, dovrei dire, dal tetto sporgente: questo in
quanto alla disposizione generale. Ma quanti modelli interessanti, senza parlare delle for-
inole d'arte! Qui al pianterreno le finestre dalle
inferriate simili a quelle delle prigioni ; gli anelli
destinati a sostenere le torcie , poi la cantina
ove il proprietario spacciava il vino e l'olio ; là
le belle file di finestre bifore coi delfini che figu-
rano nello stemma dei Pazzi e che formano quasi
il tema dell'ornamentazione del palazzo. Il cor-
tile, non ostante i suoi archi murati, produce
un'impressione di nobiltà e di armonia : la pro-
porzione delle colonne e dei pilastri, l'eleganza
dei capitelli, su cui sono scolpiti dei delfini, la
scelta così originale di nicchie circolari destinate
a contenere dei busti, rivelano l'intervento d'un
eminente architetto, a quanto dicesi, cioè di
Giuliano da Majano.
Memorie lugubri si collegano a tale dimoia :
qui abitava Jacopo dei Pazzi, il fautore della
cospirazione che porta il suo nome (1478), e che
costò la vita a Giuliano dei Medici. " Era, af-
ferma Poliziano, un giuocatore, un bestemmia-
tore, d'un insopportabile orgoglio, che si distin-
gueva contemporaneamente per la sua estrema avarizia, e pel desiderio non meno vivo
di dissipare il patrimonio. Egli rovinò completamente, aggiunge Poliziano, il bel palazzo
lasciatogli dal padre tentando di rinnovarlo (forse i lavori si limitarono nell'interno?):
ad ogni istante egli faceva venire degli operai, ma senza mai pagarli integralmente, in-
gannando persino quei disgraziati che vivevano delle loro fatiche e compensandoli talora
con della carne secca e guasta,,. E noto come la folla, indignata per l'assassinio di Giu-
liano dei Medici, abbia poi linciato Jacopo dei Pazzi, coi suoi complici, come abbia tra-
scinato il suo cadavere innanzi al palazzo rompendogli quivi la testa contro il portone.
Oggidì il palazzo dei Pazzi è ben decaduto dalla sua grandezza: al tempo del mio
ultimo viaggio a Firenze, esso era occupato da un sarto, da un litografo e da una
compagnia d'assicurazioni !
Continuando a, seguire la Via del Proconsolo, sbocchiamo sulla piazza del Duomo,
d'onde in pochi minuti giungiamo nella Via Sant'Egidio, che contiene l'arcispedale di
FIRENZI]. -
l'ospedale ih santa maria nuova.
.'549
Santa Maria Nuova, il quale c'interessa poco; ma non è così della piccola galleria
esposta dirimpetto e ornata di parecchie pitture celebri: il trittico di Ugo van der Goes,
il Giudizio finale di Fra Bartolomeo, ecc.
Diamo un' occhiata alla più importante tra le composizioni conservate in questo
museo in miniatura: cioè al Giudizio finale, cominciato nel 1498 da Fra Bartolomeo
della Porta. Malgrado le sue dimensioni ridotte, la pittura forma un saggio di sintesi
veramente rimarchevole. L'artista domenicano ha tentato di riassumere in un piccolo
numero di ligure gli episodi principali di questa scena complessa: il momento scelto è
quello in cui san Michele Arcangelo, brandendo la spada e mostrando ad un peccatore
nudo inginocchiato innanzi a lui la parte destra della composizione, gli annuncia ch'è
I lavori secondo i mesi dell'anno. Arazzo fiorentino su cartone del Bachiacca.
dannato. Tutt'intorno, da un lato gli eletti che gioiscono, dall'altro i dannati che pian-
gono. L'opera è saggia, ben concepita, benissimo aggruppata, ma senza il soffio che
esigono tali soggetti.
Lasciando l'ospedale di Santa Maria Nuova, diamo un'occhiata al teatro della Per-
gola . situato ad alcuni passi di là nella via dello stesso nome (un luogo di piacere,
eosì presso ad un luogo di dolore !j. Quest'edificio, costrutto in legno nel 1652 dal-
l'Accademia degli Immobili, ricostrutto nel 17.'>K, riorganizzato nel 1828 (tolgo le in-
formazioni dal Marcotti), può contenere 2500 spettatori.
Nella via della Pergola vediamo pure la casa abitata da Benvenuto Cellini.
350
FIRENZE E LA TOSCANA.
Lo stesso quartiere contiene il celebre convento degli Angeli : Santa Maria degli
Angeli. Fondato nel XIII secolo, tale santuario irradiò di sua luce vivissima il se-
colo XV; in quest'epoca i Camaldolesi ne fecero un vero focolare di civiltà, mentre il
miniaturista don Lorenzo Monaco (t 1425) vi dipingeva le sue pale d'altare, il ce-
lebre umanista Ambrogio Traversari, o Ambrogio il Camaldolese, il generale dell'or-
dine, vi redigeva le sue sapienti dissertazioni sugli autori greci ch'egli avea esumato
nelle biblioteche italiane.
L'oratorio poligonale, incompleto e in rovina, così celebre sotto il nome di Santa Maria
degli Angeli, vanta ad un tempo il nome del Brunellesco che ne diede il disegno, e del
noto avventuriero fiorentino Filippo degli Scolari, detto Pippo Spano, che ne ordinò
la costruzione. Tuttavia Pippo non fu che l'esecutore della volontà dei suoi due fra-
telli, che morendo avevano legato una somma abbastanza considerevole per tale fonda-
zione. L'edificio portava sfortuna : Pippo non aveva ancora fatto adottare il suo pro-
getto che morì alla sua volta (142G). Di qui nuove difficoltà, che non vennero appianate
che nel 1434. I lavori diretti dal Brunellesco parevano ben avviati, allorché il go-
verno fiorentino s' impadronì dei cinquemila fiorini costituenti il legato. Così coni' è,
l'abbozzo proclama però una volta di più la grandezza e la varietà del genio del Bru-
nellesco.
Il Museo Egizio e il Museo Etrusco, per 1' addietro situati in via Faenza, occu-
pano già da buon numero d'anni il palazzo della Crocetta, costrutto nel secolo XVII
dai Medici. E un fabbricato immenso, di nessun carattere, ma con un magnifico giar-
dino che deve averlo reso d'estate una dimora piacevolissima. La sobrietà della decora-
zione interna risponde alla nudità dell' esterno: vestiboli, scale, corridoi, sono coperti
d'una semplice intonacatura violacea.
Per farsi un'idea esatta della principale tra le raccolte della Crocetta, bisogna ri-
cordare che i Fiorentini si sono sempre considerati come gli eredi degli antichi Etru-
schi, e che persino nella mente di Napoleone I il termine d'Etruria era sinonimo di
Toscana. La collezione di cui trattasi adunque è consacrata alle antichità nazionali di
ogni specie, tanto a quelle che provengono dalle primitive popolazioni italiche, come a
quelle che appartengono alla dominazione romana. Le terrecotte, i bronzi, i gioielli,
le monete d'Arezzo, di Vetulonia, di Chiusi, di Cortone, d'Orvieto, vi s'alternano con
vasi della Magna Grecia, o della Grecia, con bronzi greci o romani.
Alle preziose serie egiziane, portate per la massima parte dal Rossellini, l'autore dei
Monumenti dell'Egitto e della Nubia (1832-1844), alle statue monumentali in bronzo
quali la Chimera, Minerva e V Oratore, fa seguito la ricchissima collezione d'arazzi dal
XV al XVIII secolo (per l'addietro esposti nel corridoio che conduce dal Museo degli
Uffìzi al Palazzo Pitti).
Firenze s'è fatta onore dedicando un Museo speciale a questo ramo della pittura per
tanto tempo negletto; le tappezzerie clic ornano le pareti del palazzo della Crocetta
completano le nozioni che noi possediamo siili' opera d' una quantità di celebri pit-
tori: Salviati, Bachiacca, il disegnatore dei graziosi modelli illustranti i lavori di tutti
i mesi, e molti altri. Le Scuole del Nord hanno qui un posto degno presso alle Sem ile
italiane: le Feste della corte di Enrico ile, di Caterina dei Medici, tessute ;i Bruxelles
dietro modelli francesi, offrono un'insuperabile galleria iconografica, mentre le Scene, delio
Cenesi ci mostrano l'arte fiamminga, inspirata, ringiovanita e nobilitata dalle lezioni di
Raffaello. Qui i Brussellesi Rost e Karcher, direttori della manifattura fiorentina del
FIRENZE.
- l'accademia di belle arti.
secolo XVI. presentano i loro arazzi più fini, come pure il loro successore Pietro Fèvre
di Parigi, ch'ebbe l'onore di lavorare per la corte di Francia, e il cui figlio fu uno
dei primi direttori della manifattura dei Gobelins, nel secolo XVII. Poi vi sono degli
alti licci parigini, una Storia d'Ester di de Troy e molti altri capolavori di composizione
o di finezza. Era impossibile offrire alle austere reliquie dell'arte egizio-etrusca, che
adornano una parte del palazzo della Crocetta, un contrasto più piccante di queste pro-
duzioni dell'arte tessile, così sontuose, così profane e moderne.
XII.
L'Accademia delle Belle Arti. — Il convento di San Marco. — Il Beato Angelico e Savonarola.
Ai nostri giorni, come per l'addietro, il quartiere posto al nord dell' Annunziata è
dei più tranquilli, dei più sonnolenti, sebbene a Firenze, come in tante altre capitali la
popolazione ricca tenda ai sobborghi. Vi si ritrova ciò che
manca spesso nel resto della città, aria e verde. Di quando in
quando però e' è un ricordo storico prezioso, una seducente
opera d'arte, come il bassorilievo di Desiderio da Settignano,
incastrato sopra una facciata della Via Cavour.
Sulla piazza di San Marco, regolare ed ampia ma senza
carattere, due edifici, dalla facciata volgare, attraggono tutti
gli ammiratori — una legione al giorno d'oggi — dei pittori
Primitivi fiorentini.
L'Accademia di Belle Arti, la più antica istituzione di tal
genere che siavi in Europa, per lo meno in quanto al corpo
insegnante, venne fondata nel 1563 sotto gli auspizi di Co-
simo dei Medici. Essa avea lo scopo di liberare 1' arte dai
ceppi in cui la tenevano le corporazioni , d'affermare l' indi- L'angelo di Tobia (Accademia),
pendenza dell' artista , e di diffondere nei giovani il gusto
degli studi elevati, come pure la conoscenza dei migliori modelli. L'organizzazione dei
funerali di Michelangelo (1564) la pose in luce un anno appena dopo la sua fondazione.
Ben presto, ad onta della rapida degenerazione della Scuola fiorentina, essa divenne il
modello su cui si regolarono tanto in Italia che all'estero. Tiziano, Paolo Veronese, il
Tin foretto, gli scultori Alessandro Vittoria e Cattaneo Danese, il grande architetto Pal-
ladio, appartennero quasi sin da principio al novero dei suoi membri onorari.
Lasciando da un lato, per oggi, la storia di quest'istituzione più di tre volte se-
colare, che ha reso servigi eminenti, mi dedicherò alle collezioni formate per le sue
cure, cioè ad una scelta di pitture preziosissime riunite sotto il titolo di Galleria
antica e moderna, che ha sostituito quello di Museo dell'Accademia delle Belle Arti. Il
colossale Davide di Michelangelo è esposto in una sala a parte. Nella stessa guisa
clic la galleria Pitti viene a rinforzare il Museo degli Uffizi, per quanto riguarda
il XVI secolo, la collezione dell'Accademia gli offre un appoggio pel periodo anteriore.
La sua forza risiede anzitutto nelle opere dei trecentisti: Ciinabue, Giotto e i
suoi allievi. Ambrogio Lorenzetti, 1' eminente pittore senese, e una quantità di altri
ni, ostri hanno tutti qualche pagina che li rappresenta: Madonne ancora impersonali,
352
FIRENZE E LA TOSCANA.
nello stile e eoncetto di quelle dei Bizantini, scene
della Passione piene di realismo, evocazioni della sto-
ria romana. Secondo i generi, domina la tradizione,
ove s'afferma il progresso; nell'opera stessa di Giotto,
i cosidetti quadri di divozione, la Vergine e il bam-
bino conservano qualche cosa di jeratico; le figure
hanno già il gesto, ma non ancora l'espressione. Al-
l' incontro nella Presentazione al tempio del Loren-
zetti (1342) le velleità archeologiche si fanno strada:
l'edificio centrale è ornato di gcnii con festoni, imi-
tazione dei modelli classici.
La transizione tra il medio evo e il Rinascimento
è rappresentata da una serie di lavori di capitale
importanza: V Adorazione dei Magi di Gentile da Fa-
biano (1423), ad un tempo così fresca, vivace e so-
V Incoronazione della Vergine di Fra Filippo
pittura disgraziatamente rovinata dai restauri;
Deposizione dolio Croce, e il Giudizio finale
lenne ;
Lippi,
poi la
San Giovanni Battista, frammento della tavola
del Verroccbio (Accademia).
La Deposizione
croce, ili Filippino Lippi
( Accademia ).
Pietro Perugino
del Beato Angelico. Fermiamoci in-
nanzi a queste due pitture: la De-
posizione si distingue per la fermezza
della fattura ed il patetico che vi
domina. Una volta, una sola volta,
il maestro ha sacrificato al realismo:
uno per lo meno dei suoi personaggi
è un ritratto, e i suoi abiti sono
quelli dell'epoca. Quanto al Giudizio,
esso ci mostra il pittore mistico e
che si dedica , ma senz' alcun suc-
cesso, ad un tema che non era adatto
al suo pennello; se riuscì benissimo
a dipingere la gioia degli eletti ,
le loro estasi, non si può dire altret-
tanto per ciò che riguarda l'espres-
sione di sofferenza dei dannati, cosa
questa per la quale il suo pennello
non uvea abbastanza potenza, nò suf-
ficiente ampiezza.
Un altro ecclesiastico fiorentino,
d'una condotta ben meno esemplare
di quella di Fra Angelico, Fra Fi-
lippo Lippi, contribuì ben più a far
progredire l'arte sua. Nato verso il
1 lui; da umile famiglia — il padre
era un macellaio — egli fu posto
all' età di otto anni in un collegio,
ma si mostrò tosto refrattario ad
FIRENZE. - L'ACCADEMIA DI BELLE AKTI.
353
ogni cultura letteraria, non sentendo vocazione che per la pittura. Non c'era minor abi-
tazione nel suo carattere che nel suo spirito; come la sua ardente curiosità gli fece
seguire di buon 'ora il vessillo dei naturalisti, così 1' instabilità del suo umore gli
fece intraprendere molti viaggi c tentare infinite avventure. Preso dai corsari, du-
rante una sua gita in mare, conobbe per diciotto mesi le dolcezze della schiavitù tra i
Musulmani. Dopo il suo ritorno in Italia, la sua condotta fu oggetto di scandali, su cui
non mi indugierò qui certamente. I particolari si possono leggere nel Vasari, il cui rac-
conto fu confermato dai documenti scoperti in seguito.
Come pittore — e io non lio da giudicarlo che sotto questo punto di vista — Fra
Filippo si distingueva per la chia-
rezza e la precisione della sua carat-
teristica ti suoi tipi hanno una sicu-
rezza rara) , per combinazioni in-
gegnose, piccanti. Come sono fini i
profili delle sue Vergini, come sono
inattese , originali le sue composi-
zioni! Nessuno odiò quanto lui le re-
gole e le convenzioni ! Talvolta nei
suoi affreschi della cattedrale di Prato
si compiace, come prima di lui il suo
maestro Masaccio negli affreschi della
chiesa del Carmine , nel presentarvi
imponenti assemblee composte dei
suoi amici o protettori; tal altra volta,
come nell' Incoronazione della Ver-
gine nella cattedrale di Spoleto, evoca
dei cori d'angioli, presso ai quali pone
dei patriarchi, dei profeti, volti ema-
ciati o feroci.
A sua volta Sandro Botticelli si
presenta a noi con una delle sue più
seducenti creazioni, la Primavera,
così fresca, così olezzante! Che qua-
lità superiori, quale strano e piccante
miscuglio d'ingenuità e d'audacia, di La vìsita a Santa Elisabetta, del Pacchiarotti (Accademia),
grazia e di malinconia! Si dimenticano
le numerose traccio d'arcaismo, — i personaggi magri, angolosi, il colorito duro e troppo
secco, — tanta è la gioventù e la penetrante dolcezza che ha trasfuso il maestro nella
sua tela.
Un altro celebre lavoro, il Battesimo di Cristo, ha riunito in un' opera comune il
Verrocchio e Leonardo da Vinci, il maestro e l'allievo, ma un allievo che non dovea tardar
molto a superare il maestro. Non so se sia vero l'aneddoto riportato dal Vasari, ad
ogni modo è ben trovato: dicesi che Verrocchio vedendo l'angiolo aggiunto nel suo
quadro dal giovane Leonardo, abbia buttato via per sempre il pennello, scoraggiato
innanzi a quella grazia insuperabile. Infatti era impossibile opporre creazione più lumi-
nosa a figure più secche, più dure, più prosaiche.
Colla Deposizione della Croce cominciata da Filippino Lippi, terminata dal Perugino,
Firenze e la Toscana. 45
354
FIRENZE E LA TOSCANA.
Il primo <■(! il secondo chiostro drl convento di San Marco,
e V Apparizione della Ver (/ine a san Bernardo,
di Fra Bartolomeo, noi giungiamo al XVI secolo,
che vanta aneli' esso piti d'un capolavoro nelle
gallerie dell'Accademia. Ai corifei della scuola
fiorentina, ai Lorenzo di Credi, agli Andrea del
Sarto, ai Granacci, ai Bronzino, si associarono
i rappresentanti delle scuole vicine; il Perugino
coi suoi due magnifici ritratti di monaci di Val-
lòmbrosa, Pacchiarono, di Siena, colla sua Visi-
tazione un po' dura ed arcaica, e una quantità
d'altri celebri maestri.
11 convento di San Marco
non ha il carattere monumentale
di quelli della Vernia, d'Assisi,
di Montecassino. Situato in una
pianura, nell'interno d'una città,
sarebbe stato difficile dargli l'a-
spetto d'una fortezza. Tutto vi
respira la grazia più della po-
tenza; per cui non fu difficile
mutarlo in un museo : non si
trattava che di render accessibili
al pubblico i capolavori di cui
1' ha popolato Fra Angelico.
Nove anni della vita del pio do-
menicano scorsero tra queste
mura, e per nove anni il suo
pennello non cessò un istante di la-
vorare.
Dell'edificio, sebbene ne sia fonda-
tore un mecenate quale Cosimo dei
Medici, architetto ne sia stato un mae-
stro del valore di Michelozzo, dirò bre-
vemente : claustri, sale e cappelle ci of-
frono la forma leggiera e graziosa a cui
ci abituò il Primo Rinascimento. Nulla
di severo, uè d'ascetico; era la vera
dimora conveniente a dei frati pii ed
attivi, destinati a vivere, non già in
un deserto, ma nel mezzo d'una vasta
città affaccendata. La devozione e il
l'accoglimento non dovevano tuttavia
perdervi i loro diritti.
San Marco vanta innanzi alla po-
sterità due nomi celebri, un grande
artista ed un riformatore candido e vio-
FIRENZE
Tf- COXVKNTO DI SAN MARCO.
lento ad un tempo, quali il Beato Angelico e Frate
Girolamo Savonarola. Ambitine hanno onorato l'Or-
dine dei Domenicani, l'Ordine dei Frati Predicatori,
col loro talento e le loro virtù, ma se il primo ha
adornato quelle pareti d'immagini tenere e mistiche,
di visioni paradisiache, il secondo v'ha lasciato dei
ricordi tragici, poiché «otto il velo dell' umiltà egli
nascondeva un orgoglio immensurabile, consideran-
dosi un vaso d'elezione, il giusto tra i giusti.
Non starò qui a ricordare i suoi principii, la sua
ostilità contro i Medici, che avevano costrutto il con-
vento che lo ospitava, i suoi attacchi contro i co-
stami dei suoi concittadini, e contro la corte di Roma,
il suo contegno rimpetto a Carlo Vili di Francia ,
la sua deplorevole fine; sono tutti ricordi famigliari Un0 iei corridoi dei convento di San Marco,
a odoro che hanno soltanto sfogliato la storia della
Repubblica fiorentina. Dal punto di vista dell'arte intanto — e in una città quale Fi-
renze è precisamente questo principio che deve dominare la sua influenza fu più du-
revole che non si creda. La pittura mistica, compromessa dal razionalismo dei Medici,
tornò a metter radici in conseguenza de' suoi sforzi. Il riformatore ebbe la fortuna d'ag-
gruppare attorno a se una serie d'artisti di gran talento, quali i Della Robbia, Lorenzo
di Credi, il Perugino, Fra Bartolomeo, e molti altri rimasti fedeli all'ispirazione religiosa.
Il convento di San Marco non si rialzò più dopo il colpo ricevuto; la sua storia,
altrettanto breve quanto brillante, termina colla morte del Savonarola. Visto di cattivo
occhio dai Medici del secolo XVI, che vi indovinavano un sordo rancore, non fece più
che vegetare. Un viaggiatore della fine del XVII secolo, Misson, ci mostra i monaci
intenti alla composizione dei balsami e dei profumi: "Ce ne siamo fatti una provvista
presso di loro, aggiunge il Misson, ed ebbimo spesso il piacere di aggirarci nei loro
elaustri e nei loro giardini ove tutto è profumo in tale stagione; ove non si rèspira
che effluvii di cedri e gelsomini!.. Come siamo lontani dal Savonarola e da Frate An-
gelico !
Ai nostri giorni il R. I*. Marchese ha conferito alquanto lustro al convento dome-
nicano colle sue belle pubblicazioni
sugli artisti appartenenti al suo Or-
dine — e il loro numero è legione.
L'eleganza dello stile di questo scrit-
tore , come pure la ricchezza delle
sue informazioni, gii valsero il nome
di " Vasari del secolo XIX.,. Io ebbi
l'onore di corrispondere con questo
erudito, altrettanto modesto quanto
distinto, e passai delle ore piacevo-
lissime nella sua cella di Santa Maria
del Castello a Genova, ove egli s'era
ritirato, ed ove è morto alcuni anni
or s Egli avea conservato la
La cella Savonarola nel convento ili San .Marco, memoria e l'affabilità, ma l' indeboli-
358
FIRENZE E LA TOSCANA.
mento della vista non gli consentiva più di dedicarsi al lavoro, e fu uno dei suoi col-
leglli, il R. P. Bonhora, superiore del convento di Bologna, che ha riveduto sotto la
sua direzione la quarta edizione del suo libro classico: Le memorie sulla vita dei più
celebri artisti domenicani.
Soppresso nel 18GG come convento, San Marco fu riunito alla direzione dei Musei
fiorentini; bastò lasciarlo tale e quale per farne un santuario dell'arte.
Qui nessuna barriera tra il mondo esterno e la vita contemplativa, che presupponga
qualsiasi clausura. Appena varcata la soglia, ci ritroviamo nel chiostro principale, detto
di Sant'Antonino; un semplice muro lo separa dalla
piazza San Marco.
La prima impressione non è favorevole. Se gli af-
freschi eseguiti dal Poccctti nelle lunette del chiostro
dimostrano ancora un certo sentimento decorativo e ab-
bondano di soggetti strani se non edificanti, gli orribili
ritratti del secolo. XVII, o del XVIII, dipinti agli spigoli
delle vòlte, letteralmente disonorano un santuario in cui
non dovrebbero esservi che le produzioni delle epoche
piìi belle dell'arte. Per fortuna, di quando in quando, in
mezzo a tali note discordi, si fa sen-
tire il canto soave del Beato Ange-
lico ; qui , sopra una porta , egli ha
dipinto san Domenico, a mezzo corpo,
col libro della regola e la disciplina ;
altrove san Domenico ai piedi della
croce, o Cristo in abito da pellegrino.
Un delizioso lembo di giardino, con
rosai, mirti, trifogli e varie erbe alla rinfusa,
corrisponde alle nobili creazioni del mistico pen-
nello.
Il chiostro di Sant'Antonino comunica diret-
tamente, o per mezzo di vestiboli, colla sala ca-
pitolare, il gran refettorio e il piccolo refettorio.
La sala capitolare deve la sua fama ad un
affresco del Beato Angelico, certo la composizione più monumentale fra quelle del pio
pittore domenicano: la Crocifissione. Egli ha riunito agli attori e agli spettatori di questo
gran dramma tutti coloro che il fervore della fede mise in qualche modo a contatto col
martire del Golgota: san Domenico, san Francesco e parecchi altri santi dimostrano
la loro venerazione, il loro dolore cogli atteggiamenti ed i gesti più varii e commossi.
Qui, dinanzi a tale capolavoro, non si può a meno di parlare un po' più diffusa-
mente del suo nutorc, di questo artista davvero eccezionale. Entrato a vent'anni nel-
l'Ordine di San Domenico, Era Angelico ebbe residenza dal 140!) al 141<S a Cortona, che
conserva tuttora parecchie sue opere; dal 141S al 1436 egli abitò Fiesole; dal L436
ni 111"», Firenze; dal 1445 al 1155, Roma, ove morì a sessantottini.
Neil' evoluzione della pittura italiana, il Beato Angelico non ha che una parte
secondaria. Confondendo le pratiche della miniatura, cioè I' uso dell' oro e dei colori
La porta San Nicola.
FIRENZE
- II. CONVENTO l'I SAN MARCO.
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cnuli. con quelle della pittura da cavalletto, egli meglio che preparare l'avvenire, ri-
corda il passato. La sua nota dominante è un dolce misticismo; i suoi personaggi,
staccati dalle cose del mondo, vivono in un'atmosfera ideale. Egli sa pure esprimere
la tenerezza materna, il dolore delle pie donne ai piedi del Crocifisso, il loro stupore
vedendo la tomba vuota, e allorché l'angelo dice loro: "Colui che cercate non è qui;
egli è risorto alcuni atteggiamenti, alcuni gesti, per la loro eloquenza ricordano
Giotto, il gran drammaturgo del XIV secolo.
Anche presso di lui l'ispirazione è quella d'un artista in ritardo; il suo dolce mi-
sticismo, i suoi slanci di tenerezza, le sue visioni celestiali sono un ultimo riflesso del
medio evo. Nulla gli è più estraneo delle tendenze realistiche che dominavano sin d'al-
lora nella pittura fiorentina: una sola volta egli si permise, nella Deposizione dalla Croce,
dell'Accademia di Belle Arti, d' introdurre tra gli attori della sacra storia il ritratto
di uno dei suoi contemporanei, l'architetto Michelozzo.
Continuando la nostra esplorazione , noi penetriamo nel gran refettorio per mezzo
d'un vestibolo affatto nudo. L' affresco che vi si trova non è di Fra Angelico. Il suo
autore. G. Antonio Sogliani (1536), non aveva evidentemente abbastanza talento per
adempiere all' impegno assegnatogli : celebrare /San Domenico e i suoi fratelli serriti
dagli angeli. Egli non riuscì a fondere in un'armonia comune i costumi bianchi e i co-
stumi neri degli attori, ma. ciò ch'è peggio, non seppe dare della grandiosità e neppure
del carattere alle fisonomie che sembrano però derivare da ritratti. La decorazione di
questa sala lunghissima è completata da una Crocifissione — abbastanza comune —
di Fra Bartolomeo, e da un pergamo che serviva al frate incaricato di leggere pre-
ghiere o esortazioni durante i pasti.
Come il refettorio grande, anche il piccolo non ha altro ornamento che un affresco,
firmato però con nome celebre: la Cena, di D. Ghirlandaio. E un lavoro grave, nu-
trito nel colore, ma pesante e senz'effetto ; 1' artista ha voluto ritrarre la sorpresa dei
discepoli nel momento in cui il loro maestro pronuncia le parole : "Uno di voi mi tra-
dirà ... Ma il problema era terribilmente arduo per un quattrocentista. Mentre uno degli
apostoli congiunge le mani in atto di dolore, ed un secondo si scopre il petto, la mag-
gior parte degli altri — figure prive di garbo — restano impassibili. Così com'è, la com-
posizione serve a misurare l'abisso che separa Leonardo da Vinci dai suoi predecessori.
Notiamo alcuni tratti che dimostrano il quattrocento : i nimbi d' oro mobili, le ciliege
sparse sulla tavola, il gatto che sta presso Giuda, il pavone che fa la ruota, il boschetto
d'aranci che serve di sfondo.
Al primo piano del convento stanno tre vasti corridoi, dei quali due hanno ai lati
una fila di celle: una quarantina in tutto. Queste sono a volta, e ciascuna di esse forma
un'abitazione a parte; ma un soffitto di legno le ricopre tutte come sotto un'egida
comune. Trattasi di stanze anguste (cinque passi di lunghezza per quattro di larghezza).
La Ime che vi penetra da una piccola finestra centinata non serve che a tradirne la
nudità. Unico ornamento, ma un gioiello inestimabile, alcuni affreschi di Fra Angelico,
come il Cristo in croce.
L'estremità del secondo corridoio è occupata da tre celle che servirono di dimora al
Savonarola. La divozione dei posteri v'accumulò le reliquie del martire: libri (die gli
appartennero, un rosario, delle stoffe, ecc. Come opere d'arte, delle Madonne, abbastanza
Firenze e la Toscana.
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FIRENZE E LA TOSCANA.
grossolane, dipinte ad affresco da Fra Bartolomeo, e un bassorilievo moderno (1873)
rappresentante Savonarola che predica. J)
Sovra uno di questi corridoi si apre la libreria del convento, per 1' addietro così
ricca, e oggidì spogliata di una parte dei suoi manoscritti a profitto della Lauren-
ziana. La porta è ricca di stemmi dei Medici. La sala stessa, abbastanza lunga, è ta-
gliata in tre da due file di colonne, e rischiarata insufficientemente da oculi. Nessun
partito preso presiedette alla decorazione. Degli armadi dipinti in grigio contengono
preziosi lavori di miniaturisti fiorentini del secolo XV. Qui , in un Graduale (n.° P),
illustrato da Fra Benedetto da Mugello , si ammira un Davide inginocchiato ; altrove
in un Libro dei salmi, attribuito a Monte di Giovanni, la Consegna delle chiavi a
san Pietro. E la nota mistica, cara al Beato Angelico, che si fa strada attraverso il
lusso dell' illustrazione, e che domina nelle iniziali brillanti d'oro, e negli ornati sparsi
di azzurro.
XIII.
Riva sinistra dell'Arno. — Il talazzo Pitti. — 11 giardino Boboli. — Santo Spirito e il Carmine.
Ultima occhiata.
Il venerabile Ponte Vecchio, clic noi .seguiamo per passare l'Arno, si collega ad
un quartiere più irregolare che pittoresco, in cui emergono, se non molti monumenti
maestosi, per lo meno alcune storiche dimore. Tali sono la casa del Machiavelli, il Pa-
lazzo del Guicciardini, c un po' più in su la casa di Galileo. Ma se varchiamo le al-
ture che dominano Firenze da questo lato, quanti splendidi panorami, quanti punti di
vista deliziosi ! La A r ia della Costa San Giorgio col suo ripido pendìo e le sue file
di case, la fortezza del Belvedere, il Piazzale di Michelangelo, la Basilica di San Mi-
niato, il Male dei Colli, Bellosguardo! In poche parole, se sulla riva destra predom